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Florovivaismo toscano

Per Cia - Agricoltori Italiani servono meno burocrazia e politiche innovative per garantire la competitività sui mercati. Il settore vale il 30% della produzione lorda vendibile dell’agricoltura toscana. E resta il problema del Mercato dei fiori Pescia.


Il florovivaismo toscano non chiede assistenzialismo, ma politiche che possano garantirne la competitività sui mercati italiani e internazionali. E una maggiore attenzione da parte della politica, a tutti i livelli.    
Se ne è parlato nell’incontro in webinar dedicato al florovivaismo che ha visto la partecipazione di un centinaio di aziende della zona di Pistoia, Pescia e Lucca, organizzato da Cia Toscana Centro.
Molti i temi affrontati e le problematiche emerse: «è necessario prevedere un piano fitosanitario efficace – ha detto il presidente di Cia Toscana Luca Brunelli -, ma che allo stesso tempo tenga conto della sostenibilità economica delle imprese. E poi: supportare le imprese floro-vivaistiche della Toscana, e sburocratizzare il settore, rendendo più snelle le procedure».
Al termine dell’incontro web il presidente Brunelli ha chiesto un incontro, con una delegazione, con l’assessore regionale all’agricoltura Stefania Saccardi per porre alla sua attenzione i problemi dei settori floricolo e vivaistico.   
Il florovivaismo toscano, rappresenta un settore strategico nell’ambito del comparto agricolo, sia per quanto riguarda l’ambito toscano, dove rappresenta circa al 30% della produzione lorda vendibile agricola, che per quello nazionale, dove la Toscana con il 15% della PLV italiana è una delle regioni di riferimento. In circa 6.500 ettari di superficie (lo 0,90% della Sau regionale), il settore vale infatti un terzo del fatturato (900 milioni di euro) dell’agricoltura toscana. Con oltre 3.313 imprese florovivaistiche (di cui 2.060 vivaistiche e 1.900 floricole, molte lo sono entrambi), con una grande incidenza su occupazione ed economia indotta, oltre ad una forte vocazione all’export.
Un settore che nel 2020 è stato flagellato dalla crisi dovuta al Covid, soprattutto durante il lockdown della primavera scorsa. Dal confronto continuo che l’associazione ha con gli operatori del settore, emergono quattro tematiche principali: gli aspetti fitosanitari; il supporto allo sviluppo delle aziende; gli aspetti infrastrutturali ed infine, la semplificazione burocratica. 
«Questo comparto – ha sottolineato Sandro Orlandini, presidente Cia Toscana Centro -, che si sviluppa in particolar modo nell’area Pistoia e Valdinievole, ha raggiunto tali risultati, grazie alla capacità imprenditoriale ed al dinamismo degli operatori del settore, affiancati da investimenti capaci di garantire innovazione, sostenibilità e competitività delle aziende. Oggi ci troviamo in un contesto economico e produttivo globalizzato e quindi è sempre più necessario garantire un adeguato supporto agli imprenditori che operano in questo settore, con l’obiettivo di rafforzare la leadership che il florovivaismo toscano rappresenta». 
Grande attenzione per la semplificazione burocratica. Il tentativo di rendere più snelle le procedure in senso lato è un obiettivo che va perseguito con determinazione. Questo va fatto sia su un piano generale, ma anche nello specifico, ossia sia nelle fasi di gestione degli adempimenti di ottemperanza delle aziende agricole che nelle procedure legate agli incentivi allo sviluppo. Troppo spesso la complicazione dei sistemi sia procedurali che informatici, determina ritardi nel completamento di progetti ed investimenti e anche rinunce da parte delle aziende. Questo rischia di attenuare la ricaduta sul territorio dell’iniziativa politica. La burocrazia eccessiva porta spesso, anche involontariamente, alla contrapposizione tra le parti anziché consentire di procedere verso scopi comuni nell’interesse dell’agricoltura.
Per il settore floricolo, è estremamente strategica la rivitalizzazione del Mercato dei fiori della Toscana di Pescia. E’ necessario riprendere un processo che indirizzi la struttura verso un uso multifunzionale e adeguato alle esigenze degli operatori del settore. Per questo deve essere completato con nuove risorse il processo di adeguamento strutturale di un ambiente che per decenni è stata abbandonato a se stesso, ma che rappresenta a livello regionale (ma anche del Centro - Nord Italia) un punto di commercializzazione e logistico fondamentale per il fiore reciso e per le piante stagionali in vaso fiorite.

Redazione


Annuario agricoltura italiana

Il sistema agroalimentare italiano, dall’agricoltura alla ristorazione, pesa 522 miliardi di euro, pari al 15% del Pil. Lo dice l’Annuario dell’agricoltura italiana 2019 presentato oggi dal Crea insieme al Rapporto sul commercio estero dei prodotti agroalimentari 2019 con anticipazioni sul 2020. Il sostegno pubblico è pari a 11,9 miliardi, sceso del 10% dal 2015 al 2019, mentre è «straordinaria» la riduzione del deficit negli scambi con l’estero: da 5 miliardi di euro nel 2015 a meno di 1 miliardo nel 2019. Riguardo ai primi nove mesi del 2020, saldo addirittura positivo nel commercio estero, grazie al +0,8% dell’export e -4,4% dell’import. Tra i settori più colpiti dal Covid in primavera, il florovivaismo e in particolare la floricoltura. 

«Con oltre 522 miliardi di euro, il sistema agroalimentare italiano rappresenta il 15% del Pil nazionale: primi in Europa per valore aggiunto agricolo. È su questo che dobbiamo lavorare per creare reddito e posti di lavoro in grado di traghettarci oltre la crisi dovuta alla pandemia. Con il nuovo corso alla guida del Crea, stiamo analizzando i fabbisogni delle diverse realtà locali e sono certo che potremo dare presto risposte, raggiungendo risultati concreti ed efficaci per le nostre imprese». 
E’ quanto dichiarato da Giuseppe L'Abbate, sottosegretario alle Politiche agricole, intervenendo oggi alla presentazione dell’Annuario dell’Agricoltura italiana 2019, realizzato dal Crea con il suo Centro Politiche e Bioeconomia e corredato quest’anno anche dal Rapporto sul commercio estero dei prodotti agroalimentari 2019 con anticipazioni 2020 e dal Rapporto L’emergenza Covid-19 e il settore ittico italiano: impatto e risposte. Incontro durante il quale è emerso che il sistema agroalimentare è stato messo alla prova dalla pandemia, ma ha saputo essere più resiliente di altri settori economici.
Il quadro strutturale conferma che, nonostante una superficie agricola nazionale che è circa la metà di quella spagnola e francese, l’agricoltura italiana ha la leadership europea per valore aggiunto ed è al terzo posto per produzione lorda vendibile (plv). L’Italia è primo produttore mondiale di vino in volume e primo produttore europeo in valore nella produzione di ortaggi. Nel 2019 il valore della produzione agricola è stato di 57,3 miliardi di euro, in linea con l’anno precedente, di cui oltre il 50% dovuto alle coltivazioni, il 29% circa agli allevamenti e la restante parte alle attività di supporto e secondarie.
Crescita significativa nell’ultimo decennio per l’industria alimentare con +12% di valore aggiunto (circa il doppio rispetto a quello del manifatturiero) e +8% dell’indice della produzione, a fronte di una diminuzione generale. Le produzioni di qualità certificata (Dop-Igp) sono state tra le più dinamiche dell’agroalimentare italiano, con un valore che raggiunge i 17 miliardi di euro (oltre il +4%), tra componente alimentare e vinicola, circa il 19% del totale dell’agro-alimentare italiano.
Sempre più significativa è la crescita delle attività connesse all’agricoltura, ormai oltre un quinto del valore complessivo della produzione agricola: l’agriturismo con +3,3% in valore e +4,1% di aziende nel solo 2019 e il contoterzismo (+1,7% in valore), particolarmente attivo in termini di maggiore diffusione di innovazioni tecnologiche, ricorso alle pratiche dell’agricoltura 4.0, facilitazioni nel rispetto di alcune prescrizioni ambientali, riduzione del digital divide.
Sono più di 1,5 milioni le aziende agricole, di cui il 27% sono imprese che intrattengono rapporti stabili di mercato, ricoprono il 65% della Sau (superficie media di 21 ha, superiore alla media nazionale) e rappresentano il 75% della produzione standard complessiva. Le imprese non specificamente orientate al mercato, invece, sono circa il 66% del totale (di cui il 36% ha rapporti solo saltuari e il 30% dedito al solo autoconsumo) e occupano complessivamente circa il 29% della SAU totale.
Rilevante il sostegno pubblico al settore agricolo, circa 11,9 miliardi di euro nel 2019, ma in calo rispetto agli anni precedenti: dal 2015 al 2019, infatti, si è verificata una riduzione di oltre 1,3 miliardi di euro (-10%), quasi totalmente derivante da minori agevolazioni nazionali.
Sul fronte degli scambi commerciali, come evidenziato nel Rapporto sul commercio estero dei prodotti agroalimentari 2019 con anticipazioni 2020, netta è stata la riduzione del deficit della bilancia agroalimentare italiana, sceso largamente al di sotto di 1 miliardo di euro nel 2019, a fronte dei 5 miliardi del 2015 e degli oltre 9 miliardi del 2011. 
Si tratta di un dato straordinario, confermato dai primi 9 mesi del 2020, in cui, addirittura, si verifica un cambio di segno nel saldo, per la prima volta positivo dall’inizio della serie storica, grazie alla crescita tendenziale delle esportazioni (+0,8%) a fronte di un importante calo delle importazioni (-4,4%). In particolare, l’export, dopo un’ottima performance nei primi tre mesi dell’anno (+6,3%) e un calo nel secondo trimestre (-4,6%) soprattutto a maggio, ha visto una ripresa dei flussi, confermata al termine del terzo trimestre 2020 (+0,8%). 
I settori dell’export più colpiti dagli effetti del Covid-19, nel secondo trimestre 2020, sono stati il florovivaismo (che in particolare nel comparto della floricoltura ha visto finire al macero a primavera il 60% della produzione di fiori recisi), le carni, i prodotti dolciari e il vino (nonostante la crescita del canale della grande distribuzione), parzialmente compensati dalla crescita di altri importanti prodotti del made in Italy, come la pasta, le conserve di pomodoro e l’olio di oliva.


Redazione


L’assessora all’agricoltura Saccardi: «un'opportunità per gli agricoltori in crisi a causa del periodo che stiamo attraversando» per il Covid. Tra i requisiti, riduzione di fatturato nel 2020 rispetto al 2019. Cinque le banche convenzionate.

Le imprese agricole e agroalimentari colpite dalla crisi per l’emergenza Covid 19 alla ricerca di liquidità potranno ottenere prestiti fino a 200 mila euro con garanzia gratuita.
E’ la nuova misura messa a punto dalla Regione Toscana comunicata nei giorni scorsi dalla vice presidente e assessora regionale all’agroalimentare Stefania Saccardi. «Si tratta di un’opportunità che deriva dalla misura 4.1.6 rivolta alle imprese agricole [Miglioramento della redditività e della competitività delle aziende agricole – strumenti finanziari, ndr] e dalla misura 4.2.2 rivolta alle imprese agroalimentari [Investimenti nella trasformazione, commercializzazione e/o nello sviluppo dei prodotti agricoli – strumenti finanziari] del Programma di sviluppo rurale Feasr 2014-2020 – ha spiegato Stefania Saccardi –, un’opportunità che abbiamo voluto creare per rendere possibile ottenere garanzie gratuite previste nella programmazione dello sviluppo rurale anche per l’erogazione di liquidità a favore degli agricoltori in crisi a causa del periodo che stiamo attraversando».
Le Pmi e le Small Mid Cap, imprese che indipendentemente dal fatturato hanno un numero di dipendenti inferiori a 500 unità, che hanno avuto nel 2020 una riduzione di fatturato rispetto al 2019 potranno chiedere liquidità non superiori a 200 mila euro alle cinque banche convenzionate e i prestiti dovranno essere erogati entro il 30 giugno 2021.
Tra i requisiti viene meno l'obbligo di presentare giustificativi basati su piani aziendali o documenti equivalenti e prove che dimostrino che il sostegno fornito tramite lo strumento finanziario sia stato utilizzato per gli investimenti.
Le banche abilitate sono la Banca di Cambiano, il Monte dei Paschi di Siena, Credem, Creval e Iccrea Banca impresa.
Per ulteriori informazioni, consulatare la pagina del sito web della Regione Toscana dedicata al Psr Feasr 2014-2020.

Redazione

Il mercato dei fiori di Pescia ha registrato nei primi dieci mesi del 2020 un calo di oltre 6 milioni di euro rispetto al 2019 del valore dei fiori e fronde recisi affluiti. L’azienda speciale Mefit che lo gestisce rende note le stime delle perdite dei mesi peggiori: fra -80% e -90% in aprile, fra -60% e -70% a marzo. Le vendite di questo ottobre sono state buone, ma penalizzate dalle scarse quantità di crisantemi che erano state coltivate per il timore di non venderle. Ecco le tabelle parziali del Mefit con il raffronto fra le quantità e valori delle principali specie di fiori affluite al mercato pesciatino nel 2019 e nel 2020. 

Nel periodo in esame, dal 1° gennaio 2020 al 31 ottobre 2020, le statistiche mensili elaborate dalla direzione del Mefit evidenziano che il mese con maggiore afflusso di merci e movimenti di vendite è stato ottobre (in cui si sono concentrate le vendite per la festa di “Tutti i Santi” e per la commemorazione dei defunti), mentre il periodo con minori movimenti è stato aprile, mese in cui sono state sospese le contrattazioni nella platea del mercato a causa del lockdown deciso a livello nazionale per il contrasto ed il contenimento dell’emergenza da Coronavirus.
Nel periodo gennaio-ottobre le vendite sono cresciute in progressione nei mesi di gennaio e febbraio, conseguendo un risultato leggermente migliore rispetto allo stesso periodo del 2019. Nel mese di marzo, con la sospensione delle contrattazioni nella platea del mercato dal giorno 12, si è registrata una netta diminuzione delle vendite, quantificabile dal 60 al 70% in meno rispetto a marzo 2019. Nel mese di aprile, causa la sospensione delle contrattazioni per tutto il mese il calo delle vendite è stato drastico, raggiungendo una percentuale variabile tra l’80 ed il 90 % rispetto allo stesso mese del 2019. Nel mese di maggio, con la riapertura della platea, abbiamo assistito ad una buona performance delle vendite in concomitanza della festa della mamma, ma poi le vendite si si sono appiattite, concludendo il mese con un -35/45 %. Nei mesi estivi, giugno, luglio e settembre le vendite sono andate discretamente, ma i coltivatori, per non rischiare, hanno diminuito le quantità prodotte e alcuni coltivatori stagionali hanno deciso di non produrre. Le vendite nel mese di ottobre sono state molto soddisfacenti, anche in questo caso sono diminuite le quantità di crisantemi coltivate, sempre per il timore di non riuscire a vendere le quantità prodotte, cosa che poi non è avvenuta.
Nel periodo gennaio ottobre del corrente anno il volume d’affari alla produzione è risultato intorno a 27 milioni e 500.000 euro con un decremento di circa 6.200.000 euro rispetto allo stesso arco di tempo del 2019. Questo risultato di decisa diminuzione (-18,40%) in termini economici rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, è da attribuire prevalentemente alle misure restrittive decise a livello governativo nazionale per contrastare e contenere il contagio da Covid-19 e alle conseguenze indirette che si sono trascinate nel tempo.

Oltre alla pandemia, va sottolineato, questo risultato è stato influenzato da un quadro economico che, nonostante timidi segnali di ripresa, attraversava un periodo congiunturale sfavorevole, tanto da essere divenuto da alcuni anni strutturale e dove il comparto floricolo ha affrontato, nello stesso arco di tempo, una corrosione economica superiore a quella di altri beni.

Redazione

 

 

Chiesta task force per fermare l’avanzata del calabrone asiatico sterminatore di api da Coldiretti Massa Carrara in seguito all’identificazione e neutralizzazione di due nidi. Preoccupati gli apicoltori toscani e non solo, perché predando impollinatori come le api è una minaccia per la biodiversità vegetale e per diverse coltivazioni.

Emergenza vespa velutina (o calabrone asiatico) a Massa Carrara. La provincia apuana, dove si produce l’unico miele Dop al mondo, il miele Dop della Lunigiana, è tra i primi territori a livello nazionale, insieme alla vicina Val di Vara in Liguria, in cui la presenza del temibile insetto alieno che uccide api ed insetti impollinatori è stata certificata.
A lanciare l’allarme è stata Coldiretti Massa Carrara, preoccupata dalla continua invasione di insetti ed organismi alieni portati nelle campagne e nei boschi dai cambiamenti climatici e dalla globalizzazione degli scambi che ha causato già molti danni. Basta pensare a protagonisti delle cronache come la cimice killer, il cinipide galleno, la popillia japonica, la drosophila suzukii, il coleottero Aethina tumida e cimice marmorata asiatica.
«Servono risorse e strumenti per affrontare questa nuova emergenza che rischia di decimare gli alveari e minare il principio della biodiversità – ha dichiarato Francesca Ferrari, Presidente Coldiretti Massa Carrara –.  Mi rivolgo alla Regione Toscana: come il calabrone asiatico è arrivato qui, può arrivare presto in altri territori. Possiamo combatterlo oggi e limitare i danni o lasciare che invada altre provincie con danni incalcolabili. Può avere lo stesso devastante effetto del cinipide galleno sulla castanicoltura. Per vincere la battaglia contro il cinipide ci abbiamo messo anni. Ci troviamo di fronte a specie che distruggono i raccolti, favorite dai cambiamenti climatici e dal sistema di controllo dell’Unione Europea con frontiere colabrodo che continuano a lasciare passare materiale vegetale infetto e parassiti vari».
Il primo avvistamento, sporadico ed isolato, risale al 2008 in Lunigiana a Licciana Nardi. Da lì in poi gli avvistamenti si sono progressivamente moltiplicati fino all’ultimo di alcuni giorni fa sulla costa. I due nidi sono stati neutralizzati con il sistema autorizzato della permetrina in polvere iniettata nel nido mediante aste telescopiche; per uno dei due nidi, data l’altezza elevata, si è ricorsi all’intervento dei Vigili del Fuoco, che hanno messo a disposizione la piattaforma aerea, sia per la neutralizzazione che per la rimozione del nido nei giorni successivi. Fatto che ha innalzato il livello di preoccupazione tra apicoltori ed agricoltori.
La vespa velutina aggredisce gli alveari con strategia militare. I calabroni pattugliano l’entrata degli alveari e catturano le api bottinatrici cariche di polline al rientro nell’alveare, le uccidono e lo portano al proprio nido come alimento per la prole. Inoltre, là dove questo predatore tiene sotto assedio gli alveari, le api bottinatrici smettono di uscire dall’arnia e la colonia di conseguenza si indebolisce.
Inoltre, essendo l’ape uno dei principali insetti impollinatori, il danno non è circoscritto solo al settore dell’apicoltura ma, più in generale, questo calabrone predando le api, rappresenta una minaccia sia alla biodiversità vegetale, che alla produzione delle colture agricole la cui impollinazione si basa sull’azione delle api. Da non sottovalutare la pericolosità anche per l’uomo. Le punture delle api asiatiche sono pericolose ed a volte anche letali.

Redazione