Editoriali
- Dettagli
- Categoria: Editoriali
Il MEFIT di Pescia ottiene 10 milioni dal PNRR, ma il rilancio è bloccato dalla mancata garanzia comunale. Coldiretti ricorda l’origine del progetto. La politica si muove, anche fuori dalla giunta.
A Pescia, durante l’incontro di venerdì scorso al Crea OF, non sono mancate battute strappate a margine. Stavolta il centro della discussione sono i 10 milioni di euro che il MASAF, attraverso il bando logistica, ha destinato al MEFIT, mercato floricolo storico del Centro Italia. Un atto politico, va detto, perché la struttura, formalmente, non possiede ancora i requisiti di sicurezza. Dopo l'annuncio di aprile, la riunione del 27 giugno ha riportato al centro il cronoprogramma e le responsabilità istituzionali.
Patrizio La Pietra, sottosegretario al MASAF, ha raccontato senza retorica quanto sia costato sbloccare quei fondi: “Il progetto fu presentato all’ultimo minuto. Ma alla fine abbiamo trovato le risorse. Ora tocca all’amministrazione del comune di Pescia fare la propria parte”. Un impegno, il suo, che assume un peso ancora maggiore se si considera che Fratelli d’Italia, il suo partito, non è nella squadra di governo dell’attuale amministrazione comunale targata PD. La Pietra ha rimarcato più volte che si tratta di una responsabilità verso il territorio e tutti gli operatori, e non di una questione di bandiere.
Il nodo ora è tutto nella firma del Comune di Pescia, chiamato a fornire la garanzia necessaria per rendere esigibile il contributo a fondo perduto. “È un dovere morale superare l’impasse delle garanzie”, ha affermato il sindaco Riccardo Franchi. Parole nette, ma seguite da atti ancora attesi, ormai da tempo, e che rischiano di diluire talmente la programmazione dei bandi e la loro attuazione da compromettere la rendicontazione, prevista entro giugno 2026.
Nel frattempo Coldiretti, per voce di Maurizio Procissi, ha voluto puntualizzare un dettaglio tutt’altro che secondario: “Il progetto è frutto dell’opera dell’ex amministratore Grassotti, che lo ha consegnato in pratica già approvato al suo successore”. Una precisazione che dice molto con poco, come spesso accade nei contesti dove le parole pesano più delle firme. E a proposito di firme, quella dell’attuale amministratore Cristiano Battaglini – protagonista mediatico della presentazione del 14 aprile – stavolta è mancata. Non solo sulla carta, ma anche nella sostanza: nessuna presenza all’incontro di giugno, né comunicazioni pubbliche da parte della cabina di regia da lui coordinata. Un silenzio, diciamo così, rumoroso. Come certe assenze che si notano più delle presenze.
Incerpi, presente ma defilato, ha lasciato che a parlare fosse il lavoro fatto. E intanto i dieci milioni restano lì, sospesi tra la promessa e la rendicontazione, tra le urgenze di un cronoprogramma già in moto e le esitazioni di chi dovrebbe guidarlo.
Se il MEFIT vuole davvero diventare “un polo per il Centro Italia”, come sostiene La Pietra, servono meno passerelle e più concretezza. Perché i fiori, si sa, non durano in eterno. Nemmeno quelli da dieci milioni.
Andrea Vitali
- Dettagli
- Categoria: Editoriali
Il florovivaismo italiano – e ripeto ormai da anni “floro-vivaismo” con convinzione, perché chi conosce il comparto sa che è fatto di almeno due anime – vale, nel suo insieme, 3,2 miliardi di euro. Lo dicono i numeri ufficiali, non le stime fantasiose. Di questi, ben il 70% va all’export: oltre 2,2 miliardi. Eppure, alla conferenza stampa di lancio di Greenitaly, tenutasi ieri a Roma, Matteo Zoppas, presidente di ICE Agenzia, ha parlato di 1,2 miliardi esportati nel 2024 e 480 milioni nei primi tre mesi del 2025. Un taglio? Sì, probabilmente sì: quei dati si riferiscono con ogni probabilità al solo vivaismo ornamentale, monitorato attraverso le voci doganali che escludono fiori recisi, accessori e progettazione. Greenitaly, che debutta dal 15 al 17 ottobre 2025 alle Fiere di Parma, si presenta con l’endorsement pieno del governo e di ICE Agenzia. Il progetto è nuovo, ma l’ambizione è antica: diventare piattaforma internazionale del verde. A ribadirlo, tra le pieghe del linguaggio diplomatico, lo stesso Zoppas: “Fiere come Flormart appartengono al passato. Fiere di Parma ha fatto un gesto straordinario prendersi quel ruolo e creare Greenitaly”. Tradotto: Flormart è chiusa. Parma raccoglie la bandiera.
Patrizio La Pietra, sottosegretario all’Agricoltura con delega al florovivaismo, ha dato tono politico e istituzionale all’incontro. Ha rimarcato che il floroviviasmo era ritenuto “la Cenerentola dell’agricoltura”, ma oggi se ne riconosce l’importanza eoconomico-sociale e ambientale. Poi la promessa: Greenitaly potrebbe essere l’occasione per presentare il decreto attuativo della legge delega sul florovivaismo. Ed infine chiosa: “Senza piante prodotte dal settore non si fanno né rimboschimenti né rinaturazioni e il Green Deal europeo non si raggiunge”.
Antonio Cellie, amministratore delegato di Fiere di Parma, ha ammesso di aver cercato di rilanciare Flormart quando ormai nessuno ci credeva più. “Mi dicevano che era finita, anche aziende leader del distretto vivaistico di Pistoia. Ma ci ho creduto, e oggi ripartiamo da Parma, con un progetto nuovo”. Greenitaly sarà, nelle sue parole, “un ecosistema, non una semplice fiera”.
Ma poi si arriva alla domanda che resta in sospeso: in cosa consiste davvero questo “ecosistema”? Qual è il cambio di paradigma? Le fiere del settore hanno ormai bisogno di format agili, esperienziali, capaci di facilitare il matching diretto tra produzione e mercato. A oggi, non è ancora chiaro cosa differenzi davvero Greenitaly rispetto a Myplant & Garden – oggi leader del comparto in Italia – o rispetto ai modelli fieristici europei più dinamici.
La logistica? Parma come crocevia? Potrebbe esserlo, ma è sufficiente? Il punto è che nel florovivaismo per una fiera btob è diventato più semplice attrarre buyer che aziende leader. Quelle, da anni, espongono sempre più volentieri all’estero. E non è un caso: in Olanda si tengono eventi come l’IFTF di Vijfhuizen o la Trade Fair di Aalsmeer, fiere a cielo aperto o itineranti, spesso organizzate dentro le aziende. Più business e meno passerella. E poi i Flower Trials, riferimento obbligato per chi lavora con la genetica e la selezione. Il panorama internazionale è consolidato: l'IPM di Essen resta punto di riferimento per il professionale, Angers mantiene una reputazione solida con il Salon du Végétal, e Londra brilla con il Chelsea Flower Show, vetrina di paesaggio e design. A questi si affiancano nuove realtà emergenti in Polonia, Romania, Turchia: mercati dinamici, che stanno costruendo format nuovi e adatti a una domanda in evoluzione.
A chiudere la presentazione romana, Mauro Uniformi, presidente del CONAF, ha ricordato che il verde è oggi molto più di una questione estetica: è salute pubblica, risposta al cambiamento climatico, infrastruttura urbana. E va progettato e gestito con metodo, visione e responsabilità.
Prima di seppellire Flormart
L’arrivo di Greenitaly segna un cambio di scena, ma non necessariamente la chiusura definitiva di Flormart. Con la nomina di Paolo Ferrin alla guida di Padova Hall, il polo fieristico padovano annuncia l’intenzione di rilanciare Flormart già a partire dal 2025. Saonara è un distretto vitale, e Padova è città dotta e produttiva, al pari di Parma. La sfida, quindi, potrebbe non essere tra fiere concorrenti, ma tra visioni capaci – o meno – di dare rappresentanza a tutto il comparto. Il primo passo c’è stato. Ora si dimostri se si sa dove andare.
Andrea Vitali
- Dettagli
- Categoria: Editoriali
Quasi 200mila presenze, oltre 400 espositori e incassi stimati tra i 4 e i 5 milioni di euro: la manifestazione genovese consolida il successo sul fronte BtoC e guarda ora anche al mercato professionale.
Che Euroflora sia un evento amato dal grande pubblico è ormai una certezza consolidata, rafforzata ulteriormente dai numeri dell’edizione 2025: 200.000 visitatori sfiorati in undici giorni, 400 espositori, 254 concorsi e un ricco calendario di oltre 150 eventi che hanno saputo intrecciare arte, scienza, paesaggio e spettacolo. Una vera festa del verde che, nella rinnovata cornice del Waterfront di Levante progettata da Renzo Piano, ha ribadito il suo ruolo di vetrina d’eccezione per il florovivaismo italiano e non solo.
La manifestazione, unica in Italia riconosciuta da AIPH, ha confermato la sua vocazione BtoC, coinvolgendo un pubblico ampio ed eterogeneo, con una significativa crescita di partecipazione giovanile: l’88,4% dei giovani si è dichiarato soddisfatto dell’esperienza e l’88,9% intenzionato a tornare. Una performance che, da sola, merita plauso da parte di un settore che troppo spesso fatica a parlare alle nuove generazioni.
Ma dietro ai dati eclatanti, emerge anche un orientamento da parte degli organizzatori che merita attenzione: la volontà – dichiarata – di rafforzare la dimensione BtoB di Euroflora, cercando di affiancare o competere con manifestazioni di settore consolidate come Myplant, il nuovo Flormart di settembre a timone 100% Veneto e la neonata Green Italy che si terrà ad ottobre a Parma. Un obiettivo ambizioso, che ha visto un primo timido segnale nella presentazione dell’Osservatorio sul florovivaismo italiano ANVE-ICE a cura di Nomisma e nell’organizzazione di missioni commerciali con buyer esteri provenienti da Europa, Medio Oriente e Asia. Una direzione che, se confermata, dovrà però fare i conti con il posizionamento attuale della manifestazione, fortemente orientata al pubblico familiare e all’esperienza emozionale, dove spettacolarità e intrattenimento prevalgono sul confronto tecnico-specialistico e le necessità aziendali di chiudere affari.
Tanto più se si considera che, nel panorama fieristico internazionale, i riferimenti del segmento BtoB restano ben delineati e difficilmente scalfibili: IPM Essen continua a essere il punto di riferimento per l’intera filiera florovivaistica europea e non solo, grazie a un impianto espositivo centrato sull’efficienza commerciale, la verticalità tematica e l’integrazione con l’innovazione tecnologica; Salon du Végétal, con la sua cadenza biennale, offre una piattaforma solida e capillare per il mercato francese e mitteleuropeo, con un pubblico mirato e specialistico; mentre il Chelsea Flower Show, pur mantenendo un impianto più “di rappresentanza” che strettamente business, continua a esercitare un’influenza notevole grazie alla sua forza mediatica e all’alto posizionamento culturale.
In questo scenario, Euroflora appare ancora sospesa tra due anime: da un lato l’affermazione nel segmento BtoC, che l’ha resa senza dubbio uno degli eventi florovivaistici più amati e partecipati in Italia; dall’altro l’ambizione di avvicinarsi al profilo fieristico professionale, in un contesto dove il mercato trade è oggi orientato verso eventi agili, verticali, altamente interconnessi e capaci di coniugare la dimensione fisica dell’incontro con quella digitale della relazione continuativa. Il BtoB fieristico moderno, infatti, richiede non solo vetrine, ma piattaforme intelligenti, agende condivise, contenuti tecnico-strategici e occasioni di networking strutturato. Elementi che Euroflora dovrà saper integrare e interpretare, se vorrà davvero diventare – anche – un punto di riferimento per i professionisti del verde.
Resta il fatto che Euroflora, nei numeri, è già un evento economicamente rilevante. Con un biglietto d’ingresso compreso tra i 18 e i 25 euro e quasi 200.000 visitatori paganti, si puo stimare che gli incassi complessivi dell’edizione 2025 possano aver superato i 4 milioni di euro in undici giorni. È quindi lecito ipotizzare, pur non conoscendo i costi, che la manifestazione economicamente stia in piedi. Un risultato che potrebbe confermare Euroflora come un’iniziativa non solo culturale e promozionale, ma anche capace di sostenere la propria continuità e di valorizzare l’intera filiera florovivaistica italiana.
Andrea Vitali
- Dettagli
- Categoria: Editoriali
Nel giorno dedicato al lavoro umano, Francesco Ferrini, professore ordinario di Arboricoltura all'Università di Firenze e presidente del Distretto Rurale Vivaistico-Ornamentale di Pistoia, ci invita a rivolgere un pensiero ai più silenziosi e infaticabili tra i lavoratori del pianeta: alberi e piante, veri protagonisti del nostro benessere e della lotta al cambiamento climatico.
"Oggi, Primo Maggio, celebriamo come ogni anno il sudato, eroico, nobile lavoro umano. Applausi, cortei, discorsi solenni. Eppure, mentre brindiamo alla nostra operosità, ci dimentichiamo dei più sfruttati, dei più instancabili, dei più umili lavoratori di tutti: le piante.
Sì, proprio loro. Quelle silenziose creature che ogni giorno producono ossigeno, ci sfamano, ci vestono, ci curano... senza pretendere nulla in cambio, se non essere lasciate lavorare in pace...Le piante lavorano senza sosta, con turni di fotosintesi che farebbero impallidire qualsiasi contratto a tempo indeterminato. Non hanno tredicesima, non hanno ferie pagate, non scioperano (eppure sarebbe un loro diritto visto i maltrattamenti che subiscono!), producono zuccheri, filtrano l’aria, stabilizzano il clima e si accontentano, al massimo, di un po’ d'acqua piovana (quando va bene).
E mentre noi ci lamentiamo della pausa pranzo troppo corta, loro affrontano tempeste, inquinamento, cambiamenti climatici, rimanendo al loro posto con un’abnegazione degna di un film epico. Senza mai – e dico mai – minacciare le dimissioni.
Forse, quindi, oggi dovremmo dedicare un brindisi verde: alle querce operaie, ai platani instancabili, ai poveri bagolari.
Lunga vita alle piante, i veri lavoratori invisibili del nostro mondo!"
Francesco Ferrini
MAY DAY: LET'S HONOUR THE GREATEST WORKERS... PLANTS!
On May 1st, as we traditionally celebrate human labour, Professor Francesco Ferrini reminds us not to forget the most humble, tireless workers of all: plants.
"Today, on May Day, we praise human endeavour with parades, speeches, and toasts. Yet, we often forget the most exploited, relentless, and humble workers: plants.
Yes, them. Those silent beings that give us oxygen, food, clothes, and medicine. They work around the clock in photosynthesis shifts that would put any full-time contract to shame. They don’t get bonuses, paid leave or holidays, and never go on strike. They manufacture sugars, filter air, regulate climate, and all they ask for is a little rainwater.
While we complain about short lunch breaks, they face storms, pollution, and climate change with unwavering dedication – never once threatening resignation.
So, this May Day, let us raise a green toast to oaks and plane trees, to the underappreciated hackberries. Long live plants: the invisible workers of our world!"
Francesco Ferrini
Editoriale tratto da un post pubblicato il 1° maggio 2025 da Francesco Ferrini su LinkedIn, ripreso e riproposto dalla redazione per gli editoriali di FloraViva
Redazione
- Dettagli
- Categoria: Editoriali
I dati ISMEA diffusi il 16 aprile smentiscono l'ottimismo generalizzato: il calo dell’export e un saldo parziale senza dicembre mostrano un settore florovivaistico in contrazione.
Alla luce dei dati ISMEA dello scorso 16 aprile sull’export, finalmente un dato ufficiale smaschera l’illusione ottica del florovivaismo in crescita. Ecco la mia lettura. In questi giorni, più che un rincorrersi di titoli entusiastici, colpisce il silenzio assordante della stampa e dei canali digitali. Da febbraio a oggi, dopo gli annunci e le stime ottimistiche legate a eventi come Myplant & Garden, si è abbassato un velo. Eppure, proprio ora che ISMEA ha diffuso i dati sull’export e l'import florovivaistico aggiornati ai primi undici mesi del 2024, ci sarebbe da parlare eccome.
Un dato secco, chiaro, senza sovrastrutture: 1.173 milioni di euro, in calo rispetto ai 1.197 milioni del 2023. Un –2% tondo che, a dispetto della stagionalità natalizia ancora da computare, ci racconta già una tendenza consolidata. Quella di un export che arretra, mentre l’import cala ancor più (da 888 a 798 milioni), migliorando il saldo commerciale a 374 milioni. Tutto bello? Non proprio.
Perché questi numeri sono in valore, e sappiamo bene che nel 2024 i prezzi delle piante sono saliti tra il +5% e il +7%. Tradotto: vendiamo meno piante, le vendiamo a più caro prezzo, eppure il fatturato estero cala. Il che significa una sola cosa: le quantità sono crollate ben più del 2% nominale.
È da qui che ho deciso di scrivere. Perché da mesi – da Myplant & Garden in avanti – si inneggia a una crescita che non si capisce bene dove guardi. Il celebre 3,3 miliardi di Coldiretti (con tanto di studio Divulga e Ixe) appare come un gigante dai piedi d’argilla: dentro ci trovi anche gli 800-900 milioni di importazioni, mentre la produzione nazionale, quella vera, arranca. E lo stesso vale per Confagricoltura, che almeno ammette un aumento più realistico (+1,6%), e per Myplant, che si posiziona al centro con un +3,5%.
Ma il punto, il vero nodo, è che nessuno scorpora davvero floricoltura da vivaismo. Eppure le dinamiche sono opposte: la prima vive su volumi rapidi e ricorrenze, il secondo su investimenti lenti e capitalizzazione nel tempo. Se li sommi, falsi la lettura. E se poi dimentichi che le piante vendute nel 2024 sono state coltivate nel 2021, allora rischi di confondere la pioggia col cielo.
Il mercato, intanto, cambia. Cresce l’import, +47% in quantità, e cresce dalla porta di servizio: quella olandese, che triangola tutto il triangolabile – dall’Ecuador alla Cina – e lo fa con costi energetici dimezzati, logistica più fluida e una rete distributiva che fa invidia anche ai nostri migliori consorzi.
Su Floraviva e nel nostro spazio dedicato ilvivaista.it, dal 2009 cerchiamo di offrire una lettura meno euforica e più aderente alla realtà del settore. Non per polemica, ma per affetto: perché se non lo capiamo per primi noi, chi dovrebbe tutelarlo, questo comparto?
Oggi, grazie al dato ISMEA, sento di poterlo dire con serenità: la crescita c’è, ma solo nei numeri nominali. La produzione nazionale mostra una contrazione reale, e il settore rischia di reggersi su fondamenta traballanti se non si interviene. Servono misure strutturali, contratti di filiera e di coltivazione, regole chiare sull’import, incentivi veri al consumo di verde. Non slogan fieristici, ma politiche di visione. E soprattutto, serve chiarezza: chiarezza su cosa realmente misura il dato, su cosa include e cosa esclude, su quale porzione del comparto rappresenta davvero. Perché senza questa trasparenza analitica, anche il miglior dato rischia di essere solo un’illusione statistica.
Andrea Vitali