Editoriali

L’agricoltura 4.0 italiana sfonda il muro dei 2 miliardi di euro nel 2022

Nel 2022 il mercato dell'agricoltura 4.0 ha cubato in Italia 2,1 miliardi di euro, con una crescita del 31% rispetto al 2021. Questo nonostante la Sau gestita in maniera smart sia solo l'8% del totale. A dirlo sono i dati contenuti nell'ultima ricerca dell'Osservatorio Smart AgriFood, School of Management del Politecnico di Milano e il Laboratorio RISE (Research & Innovation for Smart Enterprises dell'Università degli Studi di Brescia). Il 35% della torta è rappresentato dai sistemi di monitoraggio e controllo di mezzi e attrezzature, seguito con il 30% dai macchinari connessi e dal 20% dai sistemi di monitoraggio da remoto di coltivazioni, terreni e infrastrutture.  Al 6% ci sono i software gestionali aziendali, al 4% i sistemi di mappatura di coltivazioni e terreni e al 3% i Sistemi di Supporto alle Decisioni (DSS). Altro dato interessante riguarda gli obiettivi che le aziende agricole perseguono adottando questo genere di soluzioni; la maggior parte infatti mira ad aumentare la produttività, il 63% vuole ottimizzare l'uso degli input tecnici, il 51% specificatamente l'acqua, mentre il 38% il lavoro degli operai e il 37% il parco macchine. Nonostante i numeri positivi sull’adozione e le opportunità di sviluppo per tutte quelle tecnologie ancora poco impiegate e conosciute, poco meno del 30% delle aziende dichiara di voler investire in nuove soluzioni entro i prossimi tre anni per le criticità riscontrate: costi elevati (50% del campione), mancanza di competenze in azienda (24%) e di soluzioni adatte al contesto (15%), non sostenibilità economica (14%) e la difficoltà di misurare i benefici e valorizzali. Tra le soluzioni in cui il 28% dichiara di voler investire si trovano i software per la tracciabilità (33%) e di business intelligence (26%), ma anche soluzioni basate su QR Code (23%).

Bua Giulia

Giulia Bua

andrea vitali editoriali
Il florovivaismo italiano si distingue per la vasta gamma di produzioni. Nonostante che sia spesso descritto con dati aggregati indistinti, il settore florovivaistico è articolato in due comparti che in Italia sono comunemente chiamati “vivaismo (ornamentale)” e “floricoltura”. Si tratta di due comparti strettamente legati e dai confini non così chiari e netti, ma che presentano differenze significative e tratti peculiari che è necessario capire per tracciare politiche mirate ed efficaci.
Se il “vivaismo” è dedito alla produzione, sia in vaso che in pieno campo, di piante prevalentemente da esterno e alberi, nella floricoltura si coltivano soprattutto piante in vaso da interno e fiori recisi. Ma a distinguere i due comparti sono anche e soprattutto i processi produttivi, commerciali e distributivi. Il vivaismo infatti si caratterizza per cicli produttivi più lunghi, che richiedono cure prolungate alle piante prima che esse sviluppino appieno il proprio potenziale. Nella “floricoltura” invece la produzione è più flessibile e capace di rispondere in tempi più brevi alle richieste di mercato, spesso influenzate anche dai movimenti di domanda e offerta legati alle ricorrenze festive.
Un'altra differenza importante in Italia è che il vivaismo è più orientato all'export, con una forte presenza sui mercati esteri delle piante italiane, prodotte da aziende leader a livello europeo. Al contrario, la floricoltura, con alcune significative eccezioni, è più concentrata sul mercato interno, a soddisfare la domanda di fiori e piante in vaso nazionale.
Tali differenze implicano esigenze diverse sia in termini normativi che di politiche di sostegno alla competitività. L'analisi dei dati aggregati fornisce, pertanto, solo una visione parziale della situazione: per dare risposte efficaci al florovivaismo è essenziale tenere distinti il vivaismo e la floricoltura con le loro specificità.
 
Andrea Vitali

E’ fondamentale piantare alberi, ma non è sufficiente: dobbiamo in primis ridurre le emissioni inquinanti. Ribadito ciò, quanti alberi si potranno ragionevolmente piantare nei prossimi anni? Alcune stime e ragionamenti sul numero di alberi (1.000 miliardi) ipotizzato da un gruppo di ricercatori del Crowther Lab del Politecnico di Zurigo per raggiungere risultati significativi nell’assorbimento di CO2 e sulla cifra target del 2030 indicata dalla Commissione Europea (3 miliardi di alberi in Europa). Invito sul come piantare: usare sempre materiale vivaistico di qualità e professionalità qualificate.


Mentre si glissa sulla data delle emissioni nette globali di gas serra pari a zero, o neutralità del carbonio, preferendo un generico «entro la metà del secolo» o «verso la metà del secolo», si ripetono cifre iperboliche sugli alberi che dovranno essere messi a dimora. Ma li vogliamo fare due conti? Facciamoli e vediamo se questo può contribuire a fare un po’ di chiarezza.
Prima dei conti però vorrei ribadire con forza che non si deve pensare che piantando alberi si possa continuare a inquinare. DOBBIAMO RIDURRE LE NOSTRE EMISSIONI e non pensare che gli alberi, da soli, risolvano i problemi del pianeta. 
Riporto allora i pensieri di alcuni studiosi/colleghi/ricercatori.
«La sola idea di piantare alberi porta l’opinione pubblica a pensare che basti ciò per risolvere la crisi climatica e che tutte le trasformazioni epocali che dovremmo imporre alle nostre esistenze per renderle più sostenibili non siano più necessarie» (Grittani, 2021 – su rinnovabili.it).
Secondo quanto riportato dal sito “One trillion trees”, gli alberi piantati sono solo qualche decina di milioni (a fronte dei 15,3 miliardi abbattuti annualmente). «Supponendo anche che ne piantassimo 100 milioni a settimana, per arrivare a mille miliardi ci vorrebbero poco più di 192 anni. La grande sfida imposta dalla crisi climatica non può attendere tanto». 
Oltre a questo dobbiamo puntualizzare che se consideriamo una percentuale di sopravvivenza del 50% (che in certi casi è quasi ottimistica), gli anni per avere 1.000 miliardi di alberi in più diventano 384.
Riprendo un pensiero (adattandolo leggermente, ma non cambiandone assolutamente la sostanza) espresso da Paolo Mori, dottore forestale, esperto di livello assoluto e direttore della Rivista Sherwood:
«Non è solo una questione di tempo, ma anche di disponibilità di terreno. 
1.000 miliardi di alberi per fissare la CO2 in eccesso e risolvere la crisi climatica? Ma SIAMO PROPRIO SICURI?
Questa è la proposta avanzata dal Crowther Lab (ormai ripetuta come un mantra, senza che nessuno si chieda se la cosa è realmente possibile) per risolvere in pochi anni la crisi climatica. 
Per fissare CO2 al meglio delle loro potenzialità le varie specie devono essere collocate in aree idonee e a ogni albero va assegnata una superficie adeguata alle dimensioni che potrà raggiungere da adulto.
Quanta superficie terrestre servirebbe quindi per 1.000 miliardi di alberi adulti? Se, solo per avere un ordine di grandezza, prendiamo un albero comune come un tiglio, il cui raggio della chioma raggiunge facilmente i 5 m a maturità. Con un raggio di 5 m lo spazio indicativamente occupato dalla chioma è di circa 78 m2. Per mantenere la chioma fotosinteticamente attiva per tutta la sua profondità, e non solo per i 3 o 4 m della sua sommità, bisogna lasciare almeno 1 m in più rispetto al raggio effettivo che la pianta raggiungerà da adulta; pertanto, l'area che serve ad una pianta del genere è di circa 113 m2 (circa 85-90 piante per ettaro). Possiamo piantare anche 1.000 alberi per ettaro, ma se vorremo mantenere al massimo il potenziale delle piante che costituiranno il soprassuolo definitivo, saranno necessari diradamenti e, in alcune decine di anni, si arriverà comunque a 85-90. Qualora ne mantenessimo comunque di più non eseguendo diradamenti, la capacità di fissazione per ettaro sarà inferiore. Se si moltiplica la superficie necessaria a ogni pianta per il numero di alberi si arriva a un fabbisogno pari a 113 milioni di CHILOMETRI quadrati (non ettari ma chilometri quadrati). Ora se si considera che l'Italia ha una superficie di 301.304 chilometri quadrati, se ne ricava che per avere a maturità i 1.000 miliardi di alberi promessi al meglio delle loro potenzialità, servono indicativamente 375 Italie, oppure, se preferite 11,31 Canada (cioè poco più del 75% delle terre emerse).
Ipotizzando non 85-90 piante a ettaro di grandi dimensioni, ma 1.000 di piccole dimensioni di cui gran parte destinata ad una morte precoce e quindi non conteggiabile nel numero di quelle fotosinteticamente attive, servirebbero comunque più di 32 Italie, cioè qualcosa di più della superficie dell’intero Canada. 
Ora, pur adottando un criterio di prudenza e considerando che si tratta di una stima di massima fatta con una sola specie, non vi sembra comunque che quella dei 1.000 miliardi di alberi sia una proposta irrealizzabile su cui non perdere altro tempo, cercando piuttosto di portare avanti azioni concrete e più facilmente realizzabili?
Piantiamo alberi e facciamolo bene, poiché servirà a contrastare la crisi climatica, ma non illudiamoci di poter nascondere il carbonio fossile che mettiamo in circolazione sotto un tappeto di alberi. Potremo dare un contributo con gli alberi e lo daremo, ma servirà soprattutto ridurre le nostre emissioni e imparare a vivere all'altezza delle nostre possibilità ambientali». (Paolo Mori, 2021)
Va anche detto che Ursula von der Leyen ha affermato che dovranno essere piantati 3 miliardi di alberi in Europa entro il 2030. Anche solo in termini numerici, la promessa appare difficile da mantenere: piantare tre miliardi di alberi in 10 anni (circa 7 per abitante UE 27) vuol dire piantarne 300 milioni ogni anno. Per raggiungere questa cifra, bisognerebbe procedere al ritmo di circa 1,5 milioni al giorno, considerando che la stagione di piantagione sia di circa 200 giorni. Il problema è che dei 200 giorni potenziali che vanno da metà ottobre a metà aprile ci sono oltre 50 sabati e domeniche e almeno 10 giorni di festa. Oltretutto non si può piantare nei periodi eccessivamente piovosi e nei giorni di gelo (frequenti nel nord Europa). Ciò vuol dire che abbiamo al massimo 100-120 giorni per piantare… ne consegue che potrebbe essere necessario piantare quasi 3 milioni di alberi al giorno. Anche se parlassimo di piccole piantine forestali, sarebbero sempre 3.000.000 di piantine da movimentare, piantare e magari irrigare se non piove. E così per 100-120 giorni. Resta da capire dove sono 3 milioni di piante al giorno disponibili, visto che l’attività vivaistica è considerata un’attività marginale ed è sottoposta a numerosi vincoli, giusti o eccessivi che siano per quanto riguarda le superfici coltivabili. Le piante non sono mascherine che possiamo produrre e accumulare a milioni e milioni in un piccolo capannone, ma necessitano di almeno 1-2 anni per la produzione di piantine forestali e almeno 4-5 per quanto riguarda le piante destinate a costituire le aree verdi delle nostre città (Ferrini, 2021).
Quando al portavoce di Ursula von der Leyen è stato chiesto quanti alberi sono stati piantati da maggio a Novembre 2020, è calato il gelo. Non sono state fornite cifre, e i cronisti sono stati invitati a interpellare le regioni e i singoli Stati membri della UE. Quindi non sono più 10 gli anni di tempo, ma adesso sono 8…(Ferrini, 2021).
Alla luce di tutto ciò, questo è il mio pensiero finale: piantiamo meno e piantiamo meglio. Piantiamo alberi in modo corretto laddove essi sono più necessari, cioè nelle aree urbane e periurbane e favoriamo la afforestazione laddove è possibile, ma lasciamo anche che la natura faccia il suo corso e piano piano riconquisti le aree sottratte ai boschi e attualmente abbandonate. Magari potremmo favorire tale "riconquista" evitando che i nuovi boschi siano costituiti da specie invasive, gestendo in modo adeguato questa “naturale riforestazione”.
E, soprattutto, utilizziamo materiale vivaistico di qualità, prodotto in vivai professionali e con le adeguate certificazioni e affidiamo i futuri imponenti progetti (perché qualcosa si deve fare e si farà sicuramente) a coloro che di impianto e gestione delle foreste ne capiscono, in modo da garantire la sostenibilità non solo ambientale, ma anche economica e sociale della filiera.
Riportare la realtà dei fatti non è da Cassandre, ma da onesti professionisti. Forse però è più facile credere alle favole. Ma quando le favole finiscono bisogna affrontare la realtà, che ci dice che non abbiamo né le superfici, né le piante, né i soldi (veri) per mettere a dimora fantasmagorici numeri. Noi piantiamo alberi, non piantiamo numeri. 

Francesco Ferrini
prof. di Arboricoltura generale e coltivazioni arboree dell’Università di Firenze 
presidente del Distretto rurale vivaistico-ornamentale di Pistoia

Le arti visive sono inevitabilmente toccate dalla crisi climatica, il problema più determinante di una generazione. L’arte ha la capacità di trasmettere l’urgenza. Ma perché ha questa capacità? Perché le arti, a differenza della scienza e dei dati, hanno il potere di generare un’esperienza fisica e sensoriale attraverso la nostra emotività inconsapevole. 



Il festival internazionale dei giardini di Chaumont-sur-Loire in Francia è l’esempio perfetto di ciò. Il titolo dell’edizione di quest’anno è “Biomimetica in giardino”. Vale a dire il giardino come occasione per ripensare tutto sotto il profilo del mimetismo e dell’universalità delle forme e delle organizzazioni! Ovvero comprendere e imitare i sistemi viventi e in particolare gli ecosistemi naturali come una delle chiavi d’accesso al nostro futuro. Gestione del flusso dell'energia, purificazione e stoccaggio dell'acqua, conversione della luce solare in energia, chimica verde... Tutto è in natura.

In quanto approccio all’innovazione ispirato a forme, materiali, proprietà e funzioni degli esseri viventi, la biomimetica ha molto da insegnarci, in termini di bioluminescenza, termoregolazione, controllo dell'inquinamento, idrofobicità, resistenza al vento... L'obiettivo è quello di mettere la natura, sia la flora che la fauna, al centro dei progetti umani. La natura non è più solo una risorsa o un vincolo, ma una vera fonte di ispirazione.
Assieme a 25 allestimenti di giardini su questo tema a Chaumont-sur-Loire s’incontrano anche 50 installazioni d’arte contemporanea realizzate da altrettanti artisti internazionali negli spazi del castello e nel parco. Ecco come il connubio tra natura e arte prende forza facendo leva sulla nostra emotività inconsapevole. Un’esperienza che consiglio e che ho condiviso con una vera e propria invasione di visitatori.

Andrea Vitali

 

Malgrado il calo generale del comparto la Toscana del FloroVivaismo cresce a valore e mantiene il primato.

Partendo dal rapporto dati dell’agricoltura Istat 2017, la sezione dedicata al FloroVivaismo conferma alla Toscana il primato con un fatturato di 796 milioni di euro su di un totale di 2.538 milioni d’euro, seguita dalla Liguria con 347 milioni. Da notare che la media dei fatturati negli anni che vanno dal 2012 al 2016 era di 791 milioni. Quindi, malgrado a livello nazionale il fatturato sia in calo dell’1,4%, la Toscana conferma il primato e aumenta dell’1% il suo fatturato rispetto alle medie nazionali 2012-2016.
Le motivazioni del calo generale, secondo ISTAT, con il quale sono parzialmente d’accordo, sono da ascriversi alle avverse condizioni meteo che, come si sa, influenzano sia il sell-in che il sell-out del settore. D’altronde, come evidenziavo in uno dei miei precedenti editoriali, le meteo sono ormai una criticità che può divenire, se ben interpretata, un vantaggio competitivo. Lo spostarsi alle alte latitudini di climi più miti permette infatti la commercializzazione, ma anche la produzione, di piante che una volta non era possibile commercializzare. Così come particolari condizioni di arsura alle basse latitudini non permettono coltivazioni, né consumo privato, con aumenti importanti delle risorse idriche.
Le meteo, infatti, influenzano sia le rotazioni di coltivazione produttiva, che l’umore del privato, che acquista in tempi diversi rispetto ad alcuni anni fa. Qui le funzioni preposte alle strategie di settore per enti e aziende avrebbero dovuto già tenere in considerazione questi aspetti e, certamente, non potranno più esimersi dal farlo per il futuro prossimo e ripensare, appunto, strategie e tattica per affrontare il mercato.
Gli altri fattori, che hanno determinato il calo, sono la mancata capacità delle aziende di destagionalizzare le produzioni e il calo di competitività dei prodotti indigeni, che hanno subito la concorrenza dei mercati UE, alimentati da politiche di internazionalizzazione mirate più al profitto di breve periodo che a politiche di consolidamento di medio-lungo.
Non ultimo il momento congiunturale che ha ridotto il potere d’acquisto dell’utente e delle stesse amministrazioni pubbliche, una volta grandi buyer del settore. Interessante anche la ripartizione dei fatturati che un recente studio (febbraio 2018) di Banca Intesa valuta, per la PLV (produzione lorda veduta -sell-in-) di Pistoia, in 300 milioni di euro, di cui 160 esportati.

Anche grazie alla distinzione del grafico che segue,

 

 

 

sempre in base ai dati forniti da Intesa San Paolo, dove si vedono gli ettari coltivati, si capisce che non sono comprese le produzioni di Pescia e Viareggio. Gli altri due poli produttivi che, per differenza, valgono quindi circa 496 milioni di euro.
Insomma, grandi scommesse da fare nei prossimi anni per tutti i player di settore (produttori, commercianti, retailer) che dovranno lavorare di più, e meglio, su studio, ricerca, sviluppo, piani industriali, business plan e, soprattutto, su controllo di gestione e per centro di costo, strumenti che non sono certamente propri della cultura di questo segmento che sino ad oggi ha sempre preferito lavorare a vista.
Quello che emerge chiaro, anche alla luce delle nuove forme di commercio che sempre più stanno conquistando i mercati, è che chi quanto prima riuscirà a darsi una veste aziendale ben strutturata, prima riuscirà a competere a pari livello sullo scenario internazionale. Anche nelle piccole dimensioni, si dovrà contare su di una organizzazione strutturata che, condita con una maggiore agilità, potrà dare più chance per competere a pari livello dei grandi.
Ancora determinante è la raccolta dei dati, che per il FloroVivaismo è particolarmente difficile. Niente di ufficiale arriva dai maggiori mercati: Pescia, Pistoia e Viareggio. In generale l’agricoltura 2017, secondo i dati diffusi da ISTAT, ha diminuito la produzione del -4,4% ed aumentato a prezzi correnti i volumi del 3,9%. I prezzi di vendita sono mediamente aumentati del 6,8%.
Purtroppo nel FloroVivaismo questa analisi non è stata fornita. Segno che i dati non lo hanno permesso, anche se la Toscana, seconda solo dopo la provincia autonoma di Trento, ha registrato un calo produttivo generico in agricoltura del 8,8% e del valore aggiuntivo del 11,1%. Questo però non vuol dire che sia accaduto anche nel FloroVivaismo, dovremmo dunque capire se e quanto esso è cresciuto a valore, quantità e per tipologia. Mi duole allora rimarcare che la questione dati per il settore rimane determinate per compiere scelte giuste e smetterla di navigare a vista.

Andrea Vitali