Editoriali
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La condivisione dei dati e dei risultati della ricerca, senza passaporti, è la cura giusta per quella che potremmo definire la “Green Valley” della Valdinievole e, richiamando il nome del tavolo tecnico recentemente deliberato dal sindaco di Pescia Oreste Giurlani, il baricentro della Toscana “verde-floreale”.
Come ha sostenuto non molto tempo fa Fabiola Gianotti, direttrice del Cern di Ginevra, il più grande laboratorio al mondo di fisica delle particelle (dove hanno scoperto la particella di Dio o bosone di Higgs e vent’anni prima Tim-Berners-Lee inventò il web), «la passione per la conoscenza è un valore universale che non conosce passaporti». Al Cern lavorano tremila scienziati di differenti nazioni che sono tra loro anche in guerra. Ma lì tutti sono uniti dalla passione per la conoscenza condivisa e la ricerca in comune. Nel settore orto-florovivaistico purtroppo abbiamo poco a che fare con quello spirito. Eppure in uno scenario economico e sociale in forte cambiamento, ma con ancora scarse prospettive di crescita e in cui la meteorologia fa in agricoltura il bello e il cattivo tempo in tutti i sensi, ci sarebbe davvero estremo bisogno di quell’atteggiamento mentale, precondizione per definire una policy chiara in cui (quasi) tutti possano riconoscersi, aderendovi con convinzione e impegno.
Continuiamo invece a non fornire indirizzi di policy sui quali ricerca e tecnici, da un lato, e imprese e manager, dall’altro, possano elaborare progetti economicamente sostenibili. Ma se queste scelte di indirizzo non verranno fatte, e in tempi piuttosto rapidi, a mio avviso, il comparto agricolo, e nello specifico orto-florovivaistico, della Valdinievole sprofonderà in una crisi irreversibile, senza futuro per i nostri giovani. Tali scelte non potranno non tener conto dei segnali che il geoide terra sta lanciando e che ci conducono inevitabilmente ai mantra della sostenibilità ambientale ed economica, del rispetto per il nostro pianeta, della lotta alle emissioni di CO2 e veleni.
Con queste premesse, provo qui a indicare almeno le dimensioni generali del distretto floricolo, secondo quanto ricavato dalle informazioni che mi passano sotto gli occhi nell’attività di editore di questa rivista, ma anche dei dati che, seppur aggregati, sono frutto di mie indagini come consulente di marketing e comunicazione dal 2012 per importanti soggetti del settore. Del resto non si può non partire da una precisazione dei numeri, anche se il settore florovivaistico sembra averne quasi paura (come confermato anche dal coordinatore del Distretto florovivaistico della Liguria che in un’intervista su Floraviva ha parlato della difficoltà di avere dati completi sul settore). Ebbene, quale è il valore del Distretto floricolo interprovinciale Lucca – Pistoia (che ha come centri propulsori Viareggio e Pescia)? Secondo le mie analisi vale intorno a 350 milioni d’euro al sell-in (il prezzo di cessione dal produttore o importatore al commerciante, retailer o gdo e gds) e 4000 addetti impiegati. Di questi 350 milioni, circa il 40% è commercializzazione, ovvero prodotto rivenduto da commercianti. Ne deriva che la produzione vale circa 210 milioni, su un totale nazionale per l’intero florovivaismo di 2 miliardi e mezzo di euro (di cui il 45% da floricoltura e il 55% da vivaismo) da parte di 21 mila imprese (14 mila floricole e 7 mila vivaistiche) e 100 mila occupati [fonte Agrinsieme].
Questa è solo una cornice quantitativa di riferimento, ma utile per orientarsi a chi si accosta al settore. A partire da essa bisognerebbe lavorare a fondo per ottenere tutti i dati più specifici necessari all’elaborazione di strategie politico-economiche efficaci. Ma, come dicevo, c’è una ritrosia di fondo verso la trasparenza dei dati e il settore sembra bloccato o fare catenaccio quando si arriva a toccare il fattore “informazione”, mentre là fuori nel mondo dell’economia che funziona e corre le nuove tecnologie stanno portando a disposizione di tutti informazioni e modelli di gestione. Come mai questo catenaccio o paura dei dati? Da un lato, c’è la responsabilità dei piccoli produttori che, per pigrizia o scarsa consapevolezza del contesto di mercato, non riescono a capire l’importanza di fornire più informazioni e feedback ai pubblici decisori e all’opinione pubblica per favorire scelte che non li penalizzino e anzi permettano loro di cambiare passo sviluppando le proprie potenzialità. Dall’altra, chi ha capito la situazione non ha nessun interesse a divulgarla per non perdere le posizioni di vantaggio conquistate grazie ai successi economici degli anni passati.
Il fatto è, a mio avviso, che l’attuale configurazione della domanda-offerta ha reso più appetibili, o comunque più facilmente commercializzabili, in questo momento, i prodotti ad alta rotazione, cioè le produzioni della Valdinievole e della Versilia, rispetto a quelle tipiche del vivaismo ornamentale pistoiese. Ad esempio, le annuali e le fioriture, invece che le alberature e le piante coltivate in pieno campo solo verdi, la cui commercializzazione è più legata all’edilizia e alla pubblica amministrazione e si trova quindi in grave difficoltà in questa fase.
E questa considerazione mi porta a dire la mia su quello che è oggi il nervo scoperto di un settore con buone potenzialità come la floricoltura, nella Regione Toscana, ovvero il Mercato dei fiori di Pescia gestito dal Mefit (Mercato dei fiori della Toscana – città di Pescia), sulla cui economicità e attualità commerciale si sta dibattendo, con troppe faziosità da un lato e dall’altro, da molti, troppi anni, senza arrivare a una conclusione convincente nemmeno sul piano teorico. Alla luce di quanto detto sopra e di quanto sto per aggiungere, il Mefit è un soggetto estremamente competitivo e “pericoloso” per i soggetti concorrenti, in primis toscani, nella commercializzazione di piante e fiori. Da lì passano infatti 80 milioni di euro (ricavati dalle dichiarazione degli operatori iscritti sui loro fatturati d’impresa) e il mercato costa agli stessi operatori circa 870 mila euro ovvero poco più dell’1%. Bastano queste cifre per riassumere l’estrema competitività del Mefit. Certo, una volta che la Regione, proprietaria dell’immobile, avrà fatto il suo dovere rimettendolo a posto (se mai avverrà), spetterà al Comune e agli operatori farsi carico di una sua puntuale manutenzione, a fronte di una concessione pluriennale, e questo potrebbe comportare un graduale aumento delle tariffe e del rapporto fra costo e fatturati. Ma andare in un nuovo anonimo capannone costerebbe assai di più a Comune e privati e significherebbe rinunciare ai tanti punti di forza del mercato dei fiori di Pescia. A meno che la Regione non decida proprio di abbandonare al degrado la struttura rinunciando a riqualificarla tout court oppure di venderla a ipotetici compratori di altri settori. A quel punto, giocoforza, si dovrà trovare un nuovo immobile.
Ma perché credo che il Mefit sia altamente competitivo, anche a confronto con gli Olandesi (che per inciso hanno strutture gigantesche per la commercializzazione dei fiori)? La struttura è appunto relativamente piccola per il settore. E quindi flessibile e poco costosa, dal punto di vista degli operatori, rispetto a forme alternative classiche di commercializzazione. La posizione, poi, è ineguagliabile: accanto alla stazione ferroviaria e servita da comode strade. Una struttura che attualmente è energivora, vero, ma che con un progetto architettonico sostenibile affidato a menti giovani può essere trasformata da energivora a sostenibile: l’opera di Savioli e Santi non va né abbandonata né distrutta, ma recuperata e trasformata in fonte di energia pulita per la collettività con un impianto fotovoltaico che la renda autosufficiente (magari collegandolo a un altro di nuova generazione che produce energia elettrica senza emissioni per mezzo della fermentazione elettromagnetica dei rifiuti umidi o vegetali: fiori, sfalci). Questo consentirebbe di segnare le provincie di Pistoia e di Lucca, ma anche la regione di un fregio green distintivo, il simbolo della Green Valley di Pescia. Sono convinto che potremmo diventare un modello a livello europeo, creando interesse anche per il turismo.
L’edificio di Savioli e Santi si adatta perfettamente ai nuovi scenari economici e si può avvantaggiare del fatto che oggi molte tecnologie sono più a buon mercato di un tempo, per cui non sono più necessari grandi investimenti per la riconversione alle energie rinnovabili degli immobili. Inoltre alla nostra agricoltura serve una logistica snella ed efficiente/affidabile, oltre ovviamente ai nuovi sistemi di comunicazione sul web e sui social media e a una vendita di prossimità (sell-out) complementare, che già di per sé ridurrebbe l’impatto ambientale. Insomma tale edificio può essere il contenitore quasi perfetto per quei “servizi condivisi” ai piccoli agricoltori di cui ha bisogno la Valdinievole, così come tutta la Toscana agricola, fatta da piccole aziende, per essere competitiva sui mercati globali.
Sin qui sulla struttura del mercato dei fiori di via Salvo d’Acquisto come sede per il commercio all’ingrosso di fiori e piante dalle grandi opportunità. Certo, per la sostenibilità economica della struttura, anche una volta rimessa a posto sul piano del consumo energetico, ci vogliono delle funzioni complementari al mercato che la facciano girare per le altre ore del giorno. E quindi si apre il capitolo di un progetto multifunzione o polifunzionale, con capitali privati, adatto all’attuale contesto territoriale. Prospettive e idee non mancano in tal senso, ma senza segnali di volontà di impegnarsi da parte delle forze economiche e politiche del territorio, a cominciare dagli operatori del mercato, si va poco lontano.
Tutti i tentativi fatti sinora dal Mefit, in collaborazione con il mio team di Diade adv, di dare una mossa all’ambiente con iniziative tese a ridare visibilità al mercato dei fiori di Pescia o a impostare un piano strategico più a lungo termine con cui partecipare ai bandi dei Pif hanno avuto scarsissimo seguito. Nemmeno per manifestazioni facili da capire, quali Christmas Flower Trend, che poi sono state esportate in fiere importanti di livello nazionale come Flormart, si è riusciti ad avere una partecipazione degna di questo nome da parte degli operatori del mercato, in particolare dai produttori. Anzi è spesso mancata la voglia di venire persino agli incontri introduttivi in cui si spiegava di cosa si trattassero le varie iniziative: un rifiuto apriori, dunque.
L’unica spiegazione logica per tale comportamento, se si esclude il masochismo, è che, malgrado i continui lamenti, molti produttori forse preferiscono che non cambi niente, perché tutto sommato si continua a campare egregiamente in questo sistema poco chiaro. Peccato che l’immobile si stia progressivamente deteriorando e che questo atteggiamento non darà futuro a nessuno. Per chi ancora non l’avesse compreso: siamo giunti al capolinea e il mercato dei fiori, se non si sarà in grado di progettare un modello di sviluppo credibile all’interno della struttura, sarà chiuso a breve, con buona pace sia dei furbetti che degli ingenui.
Più in generale, l’obiettivo deve essere, in tutti i modi possibili, restituire margine alla produzione, ma qui nella terra della Nievole e in quella del Pescia pare non siano i tempi maturi. Anche quando per i danni fatti al nostro pianeta la primavera è già arrivata da tempo. Non mi resta che sperare in giovani non troppo italioti che alzando la testa si fidino di coloro che credono che innovare e condividere sia l’unico modo per stare tutti meglio in una Green Valley.
Andrea Vitali
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E’ ai blocchi di partenza la seconda edizione di Myplant & Garden, la manifestazione che si tiene nel quartiere fieristico di Milano Fiera a RHO da domani al 26 febbraio. Quali sono le aspettative?
Gli organizzatori, che fanno parte di un consorzio di produttori composto da Vivai D’Adda, Floricoltura Pisapia, Florpagano, Florsistemi, Nicoli, Organizzazione Orlandelli, Vigo Gerolamo e Francesca Vigo, Cattaneo Bruno, Christensen, Garden Service, Catusmania, Artigianfer, Corino Bruna e Giambò piante, dichiarano, alla luce dei risultati ottenuti nella prima edizione e grazie alle adesioni alla seconda edizione (420 espositori, 14.000 mq e 20 attività promozionali e congressuali), di voler dare risposte concrete al mercato florovivaistico. Vedremo in che misura sapranno tener fede a questa promessa.
Nella prima edizione Myplant & Garden poté avvantaggiarsi anche della forte spinta mediatica ricevuta dall'Expo e della curiosità per la novità da parte degli operatori del settore florovivaistico, oltre che del malcontento degli stessi per la progressiva involuzione nel corso degli anni di quella che era la fiera leader di settore in Italia: Flormart, il salone internazionale del florovivaismo di Padova.
Oggi il contesto è un po’ diverso, perché gli effetti Expo e novità sono passati, e Myplant & Garden dovrà guadagnarsi i galloni sul campo e nel merito. Anche se il panorama fieristico italiano rimane ancora, dal suo punto di vista, apparentemente favorevole, visto che è caratterizzato, a fronte dell’ulteriore potenziamento e specializzazione dei maggiori player esteri (ad esempio Ipm Essen o Salon du Végétal di Angers), da molte incertezze e una relativa confusione di idee, senza l’emersione di fiere concorrenti in piena salute. Ciò, nonostante i timidi, e per ora infruttuosi, tentativi di Rimini Fiera di imporsi con il Flora Trade Show e i promettenti progetti di innovazione nei contenuti e nel format di Flormart - gestita da 2 anni da Daniele Villa, amministratore delegato di PadovaFiere - sui cui esiti sul fronte commerciale è però presto per dare un giudizio definitivo. E nonostante un sistema fieristico nazionale in forte fermento, con l’attivismo di Aefi – Associazione esposizioni e fiere italiane, che rappresenta la più grande area espositiva italiana: 670mila metri quadrati dislocati in 19 quartieri fieristici, tra cui Piacenza, Bergamo, Brescia, Riva del Garda, Reggio Emilia, Modena, Ferrara, Carrara, Cesena. Il fatto è che, malgrado tali segnali interessanti e poche lodevoli eccezioni quali l’alleanza fra OroArezzo e VicenzaOro, le fiere italiane continuano per lo più a ballare da sole e a non far fruttare a dovere l’enorme superficie espositiva di cui dispongono (con 2.200.000 mq è la quarta nazione mondiale per metrature adibite a fiere). E questo non saper fare sistema vale in particolare nel settore florovivaistico.
Ebbene, in tale contesto generale, Myplant & Garden, se saprà confermare - anzi consolidare e perfezionare nei contenuti - i risultati della prima edizione, ha la chance di affermarsi davvero come fiera leader nazionale. Anche se, per il bene del florovivaismo nazionale, sarebbe meglio ancora, in assenza di un’unica grande fiera di settore in Italia veramente internazionale, attivare «un coordinamento nazionale del sistema fieristico» florovivaistico, come suggerì il presidente di Cia e responsabile nazionale di Agrinsieme, Dino Scanavino, durante la premiazione di nòva_green all’ultima edizione di Flormart, lo scorso settembre.
Dal canto mio, aggiungo che, per restare competitivi e non perdere ulteriore terreno, serve – come ho cercato di fare con Diade adv, collaborando a Flormart 2015 - riformulare una offerta fieristica con contenuti qualitativamente alti, tali da meritarsi di indossare il brand made in Italy come in altri settori. Non possiamo essere qualitativamente inferiori ai tedeschi o ai francesi proprio in un comparto che ci vede leader europei quale il vivaismo ornamentale e in un altro come la floricoltura in cui siamo secondi (forse a pari merito con la Francia) dietro soltanto all’Olanda. E non possiamo esserlo in particolare sul terreno della qualità estetica, in cui noi italiani sappiamo di solito fare la differenza e creare valore aggiunto, grazie alla nostra professionalità e creatività che ci consente di dettare o ispirare le tendenze del gusto.
Ci vuole dunque uno stile verde italiano, o meglio ancora uno ‘stile del verde fiorito contemporaneo italiano’ (che non deve rinnegare l’eredità storica, ma anzi includerla, avendola assimilata, in qualcosa che vada ben oltre e guardi a nuovi orizzonti). E bisogna fare in modo che questo stile del verde fiorito italiano venga per prima cosa riconosciuto e poi apprezzato sui mercati internazionali. Vasto programma, indubbiamente, ma anche una sfida che vale la pena di affrontare, come testimoniato nell’ultimo anno dai successi internazionali (e dalle cifre dell’export) del made in Italy agroalimentare.
Intanto, alla vigilia dell’apertura, un in bocca al lupo e un augurio di buon lavoro a Myplant & Garden.
Andrea Vitali
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Una nuova favola in agricoltura necessita di competenze e meritocrazia.
Abbiamo deciso di realizzare per questa primavera anche una edizione cartacea perché, anche se abbiamo 3000 lettori al giorno sul web, il territorio ce la chiede spesso. Del resto si tratta di un ritorno all’inizio, perché quando Floraviva nacque, nel 2008, durante l’omonima manifestazione, fu pubblicato contestualmente anche un numero su carta della rivista. Oggi, questa edizione, vuole essere anche un mezzo in più a disposizione di chi visita la manifestazione Naturalitas, per consentirgli di gettare uno sguardo d’insieme, per quanto sintetico, sul territorio e la sua primavera (speriamo in tutti i sensi).
Che cosa è cambiato per noi di Floraviva in questi sette anni? La nostra linea editoriale si è arricchita di informazioni e i nostri lettori oggi hanno superato la soglia dei 3000 lettori e sono in costante crescita. Continuiamo questo duro lavoro di portare le notizie del mondo agricolo toscano e dei settori in dialogo con esso fuori dai confini regionali e nazionali, oltre a cercare notizie stimolanti nell’universo del web per veicolarle in Toscana. Inoltre abbiamo aperto un focus sul nostro territorio, la Valdinievole, che abbiamo chiamato Valdinievole+, per provare a fornire un servizio informativo con una visione più aperta, non limitata alla pur centrale e dominante dimensione rurale.
I nostri inserzionisti pubblicitari, unica fonte di guadagno di Floraviva, ci confermano la loro fiducia e comprendono il valore di avere un pubblico nazionale e non solo di lettori interessati all’agroambientale e noi, senza timore, abbiamo inserito il contatore delle visite per ogni notizia pubblicata. Vogliamo che il nostro lettore e il nostro inserzionista possano misurare il lavoro che facciamo e il suo riscontro fra i navigatori della rete.
Abbiamo inserito da gennaio i consigli utili del mese in agricoltura e pubblicato diversi servizi internazionali realizzati da noi in prima persona, raccontando anche le nostre eccellenze che esportano i prodotti locali e l’immagine del nostro territorio: a Essen, Angers, in Olanda (quattro volte tra fine 2014 e l’inizio del 2015), scrivendo di produttori e di commercianti che operano in tali aree geografiche.
Mi pare di poter affermare senza rischio di smentite che nel comune sentire degli operatori professionali una delle differenze principali (a nostro svantaggio) fra noi e i mercati esteri sia la meritocrazia, o meglio la sua assenza in questi lidi. Ed è una grave penalizzazione, perché nel mondo del business i tempi deve dettarli l’operatore professionale, l’esperto, o al massimo le politica di settore intesa come policy, non la politica politicante e partitocentrica. E più in generale sarebbe molto utile per la nostra comunità se ciascuno di noi tornasse a fare solo ed esclusivamente il proprio mestiere.
Così, per stare nel campo della comunicazione, c’è chi crede che esistano solo le iperboli televisive e che queste siano il toccasana per vendere di più e meglio in ogni ambito, anche nel settore florovivaistico e persino per quelle imprese che non si rivolgono all’utente finale. Ma le cose non stanno così, soprattutto sotto certi livelli di investimento, e c’è bisogno di ben altro, a maggior ragione (ma non solo) quando si promuovono i prodotti del nostro florovivaismo fra fioristi, garden center, grande distribuzione e altri canali.
Tocco l’argomento comunicazione e pubblicità non solo perché è il mio mestiere, ma anche per far capire che il modo di comunicare si è rivoluzionato - sebbene alcuni facciano ancora finta di non vederlo - e ha stravolto tutto, anche il funzionamento stesso dei mercati. Soprattutto in quest’ultima fase di profondo cambiamento socio-economico e culturale in Italia. L’avvento di internet è stato una vera rivoluzione. Quella guerra rivoluzionaria che uno dei migliori libri di strategia di sempre definisce “perfetta”: quella guerra che per Sun Tzu, nell’Arte della Guerra appunto, è il fare la guerra senza farla. Il risultato è che oggi, grazie al web, la meritocrazia dei contenuti rende la comunicazione, anche pubblicitaria, misurabile. Ma soprattutto condanna senza appello coloro che non fanno comunicazione rilevante per il ricevente. La “fuffa” ormai non funziona più.
Lucas Vos, boss delle strategie di FloraHolland, in questi giorni ha comunicato al mercato l’apertura di una nuova piattaforma che mette al centro il cliente: www.floraholland.com. Questa piattaforma permetterà, almeno quattro volte all’anno, di recuperare dal cliente i suoi bisogni, in modo poi da direzionare l’offerta. Ebbene, il leader mondiale della floricoltura, FloraHolland, sente la necessità di scambiare informazioni con i clienti e con tutta la catena produttiva e distributiva praticamente in modo costante. Ovvio che, se riuscirà nell’impresa, il suo potere e controllo del mercato, che è già adesso egemonico, non potrà che rafforzarsi.
Ma l’altro aspetto, ancor più interessante, è che FloraHolland, la grande cooperativa olandese del fiore e delle piante, sta avviando quella operazione di scorciamento della filiera che aveva peraltro già annunciato a inizio anno. L’operazione serve a comprimere i costi e a redistribuirli al produttore, a scapito di tutti i commercianti. La cooperativa si porrebbe infatti come base distributivo-logistica unica, facendo in un colpo solo un bel “delete” (“cancella”) di una grande fetta di coloro che adesso distribuiscono il prodotto senza avere contatto con l’utente finale. L’idea è che il gestore dei punti retail abbia ancora una sua storia fatta di competenze, ma che colui che compra e rivende semplicemente non abbia più senso, o almeno sia destinato ad avere gradualmente sempre meno spazio nel mercato. Gli esempi più virtuosi di questa tendenza sono, senza parlare di fenomeni internazionali quali Macintosh e restando in Europa, la catena di gelati italiana Grom oppure la francese Aquarelle per i fiori, o Plantes et Jardins, con milioni di fatturato fatti solo sul web.
Insomma uno scenario futuribile, agli occhi di noi italiani, che siamo i secondi produttori europei di piante e fiori, ma non riusciamo a metterci d’accordo su una, due o tre fiere di settore e non sappiamo sfruttare appieno la Pac 2014/2020 e ad attivare dei Pif all’altezza né nella floricoltura in senso stretto né nell’intero ambito dell’orto-florovivaismo, anche perché condizionati dai tempi della politica. Come diADE a luglio del 2014 abbiamo presentato un Pif intitolato “La filiera orto-florovivaistica: come innovare e vendere meglio”. Si sono susseguiti diversi incontri a cui hanno preso parte molti attori della filiera, a cominciare dal Mefit e il Distretto floricolo interprovinciale Lucca Pistoia, ma ad oggi non è venuto fuori niente di concreto.
Ciò accadeva quasi un anno fa, prima che FloraHolland annunciasse le sue nuove strategie e che venisse pubblicato il libro sulla floricoltura italiana di Arturo Croci e Giovanni Serra, i due decani del comparto, che avanza legittime critiche alla situazione attuale, anche se da un punto di vista poco innovativo. L’operosità delle genti di Pescia che Franco Scaramuzzi richiama nella sua presentazione del bel libro ‘Floricoltura e vivaismo a Pescia’ di Leonardo Magnani nel 2001 non trova riscontro, ahimè, nello scenario contemporaneo pesciatino, se non in rarissimi e isolati casi.
Riscrivere la favola dell’agricoltura, il settore primario, vuol dire anche non fossilizzarsi in vuote e fuorvianti celebrazioni simboliche e pensare piuttosto a riconvertire secondo nuovi parametri ambientali, fiscali e strategici, e quindi competitivi, il settore orto-florovivaistico. Il quale, come diADE ha spiegato nel suo progetto di Pif, deve urgentemente ripensarsi culturalmente. Marketing, innovazione, logistica, comunicazione e studio, questo ci vuole, non pulsioni e fiuto politico-elettorali. Nessuno è riuscito per ora a dare una risposta complessiva e convincente al fatto che in Toscana abbiamo una domanda di circa 900 milioni d’euro all’anno di ortaggi e frutta, il doppio di quanta ne produciamo. Potremmo incominciare a dare un contributo in tale direzione dalla Valdinievole e dalla Versilia, rilanciando nel contempo, i comparti sani o comunque ancora ricchi di prospettive del florovivaismo, non vi pare?
Andrea Vitali