Filiera vite-vino

Vino toscano con BuyWine e PrimAnteprima 2023

A BuyWine, vetrina internazionale del vino toscano, 47 denominazioni, 1400 etichette di 230 aziende per 160 buyer da 39 Paesi. Apre la Settimana delle Anteprime

 
«Quest’anno abbiamo 230 aziende che fra oggi e domani si presentano a 160 compratori provenienti da 39 paesi diversi di tutto il mondo. Quasi il 75 per cento dei contatti si trasforma in contratti, che è una cosa molto importante per aziende come quelle che noi ospitiamo, che sono anche aziende medio piccole che non sempre hanno la possibilità di incontrare mercati internazionali rilevanti».
Lo ha dichiarato oggi l’assessora all’agroalimentare della Regione Toscana Stefania Saccardi intervenendo, insieme al presidente Eugenio Giani, alla giornata di apertura della rassegna BuyWine alla Fortezza da Basso di Firenze, la vetrina internazionale del vino made in Tuscany promossa da Regione e Camera di Commercio di Firenze che ogni anno fa incontrare a Firenze domanda e offerta. Con oggetto del contendere, secondo i dati del luglio 2022 di Artea, oltre 2 milioni di ettolitri di produzione, di cui il 97% DOP o IGP, da circa 60mila ettari di superficie vitata: una parte consistente della quale è riconducibile alle denominazioni Chianti (oltre 17mila) e Chianti Classico (quasi 8mila); con il 95,8% della superficie dedicata a vini DOP (DOC e DOCG). E su 10.600 aziende vitivinicole esistenti, 2.191 si trovano in provincia di Siena, quasi altrettante in provincia di Grosseto, mentre Arezzo e Firenze seguono con circa 2000 aziende a testa. Senza dimenticare la presenza di 16 cantine sociali. Riguardo poi ai vitigni, il più coltivato in Toscana è il Sangiovese, che copre quasi il 60% delle colline vitate, seguito dagli internazionali Merlot (8,3%) e Cabernet Sauvignon (6,4%); sotto al podio Trebbiano Toscano (3,8%) e Vermentino (3,3%), seguiti da Syrah, Cabernet Franc, Vernaccia di San Gimignano, Petit Verdot, Chardonnay, Canaiolo Nero e Ciliegiolo.
Una maratona di due giorni, organizzata da PromoFirenze, che vedrà oltre 3000 incontri e più di 23mila degustazioni. E che quest’anno registra il ritorno dei compratori asiatici dopo il lungo stop del Covid e un aumento di interesse per il vino toscano dell’America latina, anche se i principali mercati di riferimento restano Usa, Canada, Paesi scandinavi, Svizzera e Regno Unito. Ben 47 le denominazioni toscane presenti all’evento e 1400 le etichette che i produttori hanno caricato nel catalogo online visibile ai buyer. Il catalogo, strumento chiave nella costruzione delle agende di incontri, permette ai buyer di vedere i dati tecnici di ogni referenza e scegliere in maniera più consapevole quale produttore incontrare.
Nel frattempo, domani 11 febbraio, presso il Cinema La Compagnia di Firenze, la manifestazione raddoppia con PrimAnteprima, giornata evento dedicata alla stampa specializzata in cui si svelano i dati su trend ed export del settore vitivinicolo regionale oltre alle novità in tema di enoturismo. Ospite d’onore sarà Dario Dainelli, ex calciatore di Fiorentina e Chievo Verona e adesso viticoltore. Interverranno alla tavola rotonda: Eugenio Giani, presidente della Regione Toscana, Stefania Saccardi, vicepresidente e assessora all’Agricoltura della Regione Toscana, Leonardo Bassilichi, presidente della Camera di Commercio di Firenze, Francesco Palumbo, direttore di Fondazione Sistema Toscana, Tiziana Sarnari, Analista di mercato Direzione Servizi per lo Sviluppo Rurale – ISMEA, Roberta Garibaldi, professore di Tourism Management all’Università degli Studi di Bergamo, Francesco Mazzei, presidente di AVITO - Associazione dei vini toscani DOP e IGP. 
La settimana prosegue con il ricco calendario delle “Anteprime di Toscana”: domenica 12 febbraio Chianti Lovers & Rosso Morellino, lunedì 13 e martedì 14 febbraio Chianti Classico Collection, mercoledì 15 Anteprima Vino Nobile di Montepulciano, giovedì 16 febbraio Anteprima Vernaccia di San Gimignano, venerdì 17 febbraio Anteprima L’Altra Toscana. Ulteriori informazioni sul programma si trovano qua.
Come sintetizzato nel comunicato di presentazione delle due manifestazioni, la vendemmia 2022 ha prodotto oltre 2,3 milioni di ettolitri di vino: a farla da padrona sono i rossi (87% della produzione) e tra le denominazioni più prolifiche troviamo Chianti Classico (269mila ettolitri), Maremma Toscana (124mila), Brunello di Montalcino (91mila), Morellino di Scansano (72mila), Vino Nobile di Montepulciano (quasi 57mila), Bolgheri (47mila). Il Chianti con le varie sottozone arriva a quota 769mila ettolitri. Tra i bianchi solo la Vernaccia di San Gimignano regge il confronto in termini di quantitativi prodotti, con 38mila ettolitri. Le DOCG superano di gran lunga le DOC (1,3 milioni di ettolitri contro 279mila circa). I vini IGP rappresentano una fetta di 655mila ettolitri circa e il 28% della produzione totale.
 

Redazione

Dalla presidente di Federvini Pallini, in audizione alla Camera, 7 proposte per sostenere nel difficile scenario il comparto vino (12 mld) in primis all’estero.

«Aumento dei costi energetici e delle materie prime, scenario geopolitico incandescente, attacco al consumo moderato», da ultimo con la notifica da parte dell’Irlanda all’Organizzazione mondiale del commercio (World Trade Organization) della sua nuova normativa che prevede etichette con alert simili a quelli delle sigarette anche sui vini. È una «fase di difficoltà per le imprese italiane del vino e degli spiriti», per cui «diventa imprescindibile un intervento per agevolarne l’attività, soprattutto sui mercati esteri».
Lo ha sottolineato il 7 febbraio la presidente di Federvini Micaela Pallini durante un’audizione presso la Commissione Attività produttive, commercio e turismo della Camera dei deputati, in cui ha esposto anche una serie di proposte operative.
Lo scenario attuale è così tratteggiato da Federvini, con riferimento ai settori da essa rappresentati. I comparti del vino (12,2 miliardi di euro), degli spiriti (4 miliardi di euro) e degli aceti (1 miliardo di euro) valgono complessivamente l’11% del fatturato totale dell’industria alimentare italiana. I vini, gli aperitivi, i liquori, i distillati e gli aceti, in particolare l’Aceto Balsamico di Modena IGP, rappresentano delle vere e proprie eccellenze nel panorama agroalimentare Made in Italy. Nel 2022 il vino ha toccato il record di 8 miliardi di euro di export (+12% rispetto all’anno precedente), così come gli spirits (1,7 miliardi di euro). Positivo anche il risultato per gli aceti, in particolare balsamici, che vedono chiudere l’anno con una crescita delle esportazioni (a valore) del 15%.
Però, spiega Federvini, «l’attuale scenario geopolitico, segnato dal conflitto russo-ucraino, sta mettendo a dura prova le aziende che sono costrette a diversificare strategie di mercato e destinazioni». «Le maggiori difficoltà – viene spiegato - risiedono nelle barriere di accesso ai mercati (certificati onerosi, parametri analitici diversi da quelli previsti dalla legislazione UE, procedure di registrazione - ad esempio in Cina - complesse) e nella necessaria tutela delle nostre indicazioni geografiche (basta ricordare il caso Prosek con la Croazia e l’uso improprio del termine balsamico per gli aceti in Slovenia e Cipro)».
A fronte di tutto ciò, questi sono i sette interventi auspicati dalla presidente di Federvini Micaela Pallini:
1) attivare forme di defiscalizzazione dei fatturati derivanti dall’export;
2) prevedere la facoltà di esporre in bilancio come spese pubblicitarie e promozionali i costi di ospitalità, tanto più se collegate a manifestazioni ed eventi in Italia e all’estero con la presenza di giornalisti e/o operatori professionali;
3) incentivare le aggregazioni e le fusioni per accrescere la forza dimensionale e finanziaria delle nostre aziende;
4) semplificare e sburocratizzare una serie di adempimenti di natura amministrativa e fiscale. Per esempio, le vendite a distanza, o intervenire sul collegamento dello schedario viticolo al registro vitivinicolo;
5) rafforzare le forti relazioni di collaborazione con Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI) e Istituto per il Commercio Estero (ICE) e organizzare specifiche missioni basate su una forte strategia di diplomazia economica;
6) avviare un progetto promozionale coordinato tra le diverse Camere di Commercio all’estero che rappresentano un utile strumento di valorizzazione delle nostre eccellenze;
7) contrastare la contraffazione di prodotti italiani all’estero e il fenomeno dell’Italian Sounding, non solo perseguendo nelle opportune sedi le realtà coinvolte, ma anche tramite specifiche iniziative di promozione del Made in Italy nei Paesi di destinazione, nonché attraverso il coinvolgimento delle comunità italiane residenti all’estero.

Redazione

Oss. UIV-Vinitaly: vendite -9% in quantità e -5% in euro per il vino italiano nel circuito retail e gdo dei 3 maggiori mercati esteri. Vinitaly: +40% top buyer.

È stato un 2022 negativo, soprattutto in termini di quantità vendute, per il vino italiano nel circuito retail e grande distribuzione organizzata (gdo) di Stati Uniti, Germania e Regno Unito, che da soli valgono circa la metà delle esportazioni italiane.
Nei tre maggiori mercati di sbocco esteri, secondo i dati elaborati dall’Osservatorio del Vino UIV-Vinitaly su base Nielsen-IQ, lo scorso anno sono stati venduti 4,85 milioni di ettolitri di vino, equivalenti a un calo del 9% rispetto al 2021, per valori in riduzione del 5%, a 4,7 miliardi di euro. Rispetto alle vendite del 2021, manca all’appello l’equivalente di 63 milioni di bottiglie e un controvalore di 253 milioni di euro. Fra i tre mercati, le performance generali peggiori si registrano in UK (-11% volume e -8% valore), mentre gli Usa smorzano a -2% l’erosione in valore (2,1 miliardi di euro), limitando il calo in quantità a -5%. La Germania al -7% valoriale affianca una perdita del 10% di volume (1,66 milioni di ettolitri).

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«Il bicchiere è però mezzo pieno – ha affermato nei giorni scorsi l’Osservatorio del vino - se si considera che alla dinamica discendente sul canale della grande distribuzione corrisponde la riapertura del “fuori casa”, con un mercato della ristorazione dato in crescita consistente. In sintesi, un ritorno alle normalità del pre-Covid, crisi economica permettendo. In tutti e tre i mercati, per diverse denominazioni si riscontra infatti un ritorno più o meno soft ai livelli del 2019, con il Prosecco che gioca una partita a parte, con incrementi in doppia cifra sul periodo».
Per il presidente di Unione italiana vini (Uiv), Lamberto Frescobaldi, «queste contrazioni ci riportano ai numeri pre-Covid del comparto retail; in un certo senso stiamo tornando a una condizione di normalità, a patto che la domanda del “fuori casa” (ristoranti e locali) regga di fronte a una congiuntura difficile». «Ciò che non è normale – aggiunge Frescobaldi - è invece il surplus di costi (a partire da energia e materie prime secche) che il settore sta scontando e che pesa ancora di più in un contesto di riduzione della domanda in un canale importante come quello della grande distribuzione. Quest’anno sarà fondamentale riuscire a non deprimere l’offerta sul fronte del valore e, oltre a presidiare i mercati di sbocco, aprire alle piazze emergenti contando sull’appoggio delle istituzioni».
«Siamo convinti, ancor più in questo particolare momento storico - dichiara l’amministratore delegato di Veronafiere Maurizio Danese - che il settore non possa permettersi di allentare la presa sui suoi principali mercati di sbocco. Per questo da 20 giorni siamo impegnati con Vinitaly in un Road Show di promozione del vino italiano e di selezione dei migliori buyer da invitare a Verona; una campagna senza precedenti in 9 Paesi di 3 Continenti che prevede un’ampia presenza sulle tre piazze principali ma anche sui target emergenti. L’azione riflette un potenziamento del 30-40% degli investimenti sull’estero che, grazie anche al supporto di Ice-Agenzia, garantirà per il prossimo Vinitaly una crescita dei top buyer nell’ordine del 40%, per arrivare al raddoppio nel 2024».
Quanto all’andamento dei vari vini italiani, nell’ultimo anno forti erosioni dei volumi venduti negli Usa per Chianti (-9%), Lambrusco (-13%), Montepulciano d’Abruzzo (-12%), e Rossi piemontesi (escluso Barolo, -10%), mentre prosegue in scia positiva la corsa del Prosecco, a +4% (+41% sul 2019) e sul versante Rossi cresce del 5% il Brunello di Montalcino. In Germania, situazione complicata per il Primitivo (-8%) e contrazioni volumiche in doppia cifra per Pinot Grigio e Nero d’Avola, oltre a Lambrusco e Prosecco (-14,5%) anche nella sua versione frizzante (-26%). Prosecco giù anche nella storica piazza britannica (-15%), assieme a gran parte dei vini fermi (-10%), con l’eccezione dei Rosati, che aumentano le vendite del 40%.

Redazione

Mo.Vi.To - vini toscani Dop e Igp - sul mercato

Presentato il progetto di Monitoraggio dei Vini Toscani a denominazione d’origine con partner i 7 maggiori consorzi. Saccardi: risposta a volatilità dei prezzi.

 
«Le fluttuazioni dei prezzi rappresentano un elemento destabilizzante per le filiere dei vini DO [a Denominazione d’Origine, ndr]: indeboliscono l’anello primario della catena produttiva e riducono le risorse per far crescere e innovare le imprese vitivinicole. Per questo, a fronte della volatilità dei prezzi, il progetto Mo.Vi.To fornisce uno strumento innovativo ai Consorzi ovvero l’utilizzo dei dati per prevedere la formazione della domanda di mercato, che è uno degli elementi fondamentali per poter adeguare l’offerta e mantenere il mercato in condizioni di stabilità».
Così l’assessora regionale all’agroalimentare della Toscana Stefania Saccardi ha presentato, in occasione del workshop del 25 gennaio scorso in Regione, il progetto “Mo.Vi.To (Monitoraggio Vini Toscani)” finanziato dal PSR 2014-2020 (nell’ambito di Giovanisì) e realizzato dal Go Pei (Gruppo operativo del Partenariato europeo per l'innovazione), che ha visto come partner i sette maggiori consorzi toscani dei vini a denominazione di origine: Brunello di Montalcino, Chianti, Chianti Classico, Maremma, Morellino di Scansano, Nobile di Montepulciano, Vernaccia di San Gimignano; e con loro le aziende agricole Conte Guicciardini di Ferdinando Guicciardini e Fattoria dei Barbi srl. Mentre il partner scientifico era PIN scrl - Polo universitario Città di Prato – che ha trasferito l’innovazione conducendo le attività di formazione e divulgazione in collaborazione con i partner.
Inoltre Mo.Vi.To - ha continuato la vicepresidente Saccardi - «contribuisce a contrastare le eccessive fluttuazioni dei prezzi all’origine, migliorare la conoscenza della produzione e del mercato e dare maggiore forza all’azione dei dati stessi. Uno strumento utile, che ci dimostra quanto sia efficace coniugare innovazione e logica di sistema: quando si fa sistema le soluzioni sono più vicine».
La peculiarità di Mo.Vi.To, che si è focalizzato sul monitoraggio dell’andamento di mercato dei principali vini toscani a denominazione di origine e sul benchmarking di filiera per la gestione delle politiche di mercato, è quella di aver introdotto una specifica innovazione organizzativa che va dal monitoraggio della filiera all’organizzazione interprofessionale.
Grazie a tale innovazione organizzativa, ha spiegato Francesco Mazzei, presidente di Avito - Associazione Vini Toscani Dop e Igp, «i sette Consorzi di tutela partecipanti hanno potuto dotarsi degli strumenti idonei per poter rispondere adeguatamente ai nuovi importanti compiti che la recente PAC gli ha assegnato quali Organizzazioni Interprofessionali [OI]. La possibilità di conoscere in tempo reale gli andamenti congiunturali e le principali dinamiche - in termini di prezzo e posizionamento dei vini nei diversi mercati - delle singole Denominazioni tutelate dai Consorzi coinvolti, consente di disporre di elementi fondamentali per poter adeguare l'offerta e mantenere il mercato in condizioni di stabilità, attivando, se necessario, tutte le misure di cui i Consorzi possono disporre come OI».
Alto il numero dei potenziali soggetti che potranno essere coinvolti dal processo di innovazione avviato, che si aggira attorno alle 4700 aziende riferendosi ai soli Consorzi partner.
 

Redazione

Osservatorio Uiv-Ismea sul vino: nel 2022 la categoria “Altri spumanti Charmat” in Gdo a +13% in volume, mentre i vini in generale -6% in volume e -2% in valore

Il 2022 è stato «un anno di riposizionamento per le vendite dei vini in grande distribuzione (e retail) in Italia». A farlo sapere ieri è stato l’Osservatorio Unione italiana vini-Ismea, su base dati dell’Osservatorio Ismea-Nielsen IQ, con una nota in cui è stato messo in luce che l’anno scorso «l’unica voce chiaramente positiva è relativa alla categoria “Altri spumanti Charmat” (diversi dal Prosecco), che ha archiviato il 2022 con una crescita tendenziale in volume del 13% (+22% nei discount)». Ciò «a fronte di un calo generale degli acquisti allo scaffale che supera il 6% con perdite sopra la media per la tipologia dei vini fermi (-7%) e in particolare per le Doc rosse che scendono in doppia cifra (-11%)». E con un saldo 2022 delle vendite nella grande distribuzione «in passivo anche sul fronte dei valori: -2%, a 2,94 miliardi di euro».
«L’exploit degli spumanti low cost (il cui prezzo medio a 4,4 euro/litro registra un aumento molto più contenuto dei listini rispetto ai competitor) – sottolinea la nota di Uiv-Ismea - è lo specchio del limitato potere di acquisto degli italiani nell’ultimo anno (i più costosi spumanti a Metodo classico chiudono – dopo un 2021 da incorniciare – a -9%, gli Champagne a -25%, anche per effetto delle limitate disponibilità) ma allo stesso tempo evidenzia tutta l’ormai irrinunciabile centralità raggiunta dalle bollicine anche tra le mura domestiche».

Raffronto 2022 versus 2019
Secondo l’Osservatorio Uiv-Ismea dal 2019 al 2022 le bollicine hanno registrato un incremento nei volumi commercializzati in gdo del 17%, con crescite ancora più nette per il Prosecco (+31%) e per gli “Altri spumanti Charmat”, che chiudono il triennio a +32% (34 milioni di bottiglie nel 2022). «Il divario tra le performance degli spumanti e il resto del mercato – dichiara il segretario generale di Uiv Paolo Castelletti - è sempre più evidente e l’effetto non è stato affatto neutro. A pagare le spese di un carrello che vede gli spumanti protagonisti dei consumi quotidiani, è probabilmente il vino fermo e in particolare i rossi, che nel periodo considerato scontano una contrazione dell’11%». «Quello che osserviamo dall’immediato pre-Covid a oggi – afferma il responsabile Direzione Servizi per lo Sviluppo Rurale di Ismea Fabio Del Bravo - è un cambiamento con pochi precedenti delle abitudini al consumo degli italiani, che considerano ormai gli spumanti un vino a tutto pasto, svincolato da ricorrenze e festività e a cui non si è disposti a rinunciare neanche di fronte all’erosione del potere d’acquisto».

L’andamento dei vini Dop e Igt
Il saldo dell’ultimo anno delle principali denominazioni e indicazioni geografiche segue l’andamento generale negativo, ma «uno sguardo in prospettiva di medio termine – si legge nella nota congiunta - aiuta a inquadrare meglio quali sono i vini che strutturalmente hanno imboccato una fase involutiva e quali invece stanno ripiegando sui valori pre-Covid dopo la fiammata 2020/21». Fra i primi rientrano «alcuni rossi Igt, sia che provengano da vitigni autoctoni che da vitigni internazionali». Mentre «tra le Dop le battute d’arresto sono numerose e spaziano dal Piemonte alla Sicilia. Quelli in fase di rientro verso la “normalità” sono invece Montepulciano d’Abruzzo, Chianti, Salento (quindi Negroamaro), Lambrusco Emilia e Rubicone Trebbiano. Poi ci sono anche quelli (pochi a dir la verità fra i big seller) in fase positiva, nonostante volumi negativi nell’ultimo anno: Sangiovese Rubicone, Vermentino di Sardegna, Verdicchio, Castelli Romani, Valpolicella».

Male l’e-commerce
Comunque, come viene precisato nel comunicato, «il saldo negativo in volume più pesante (2022 vs 2021) lo si ritrova nell’e-commerce, con -15% cumulato tra vini e spumanti e picchi maggiori per le tipologie più pregiate, come per esempio gli spumanti metodo classico (-21%)». Questo canale, «al contrario del retail fisico, ha sperimentato diffusi segni negativi sui prezzi, con listini in media a -10%. Dopo aver sperimentato un vero e proprio boom delle vendite nel 2020 (da 2,6 a 8 milioni di litri) e un ulteriore incremento nel 2021 (9 milioni), il segmento pare destinato ad assestarsi sui livelli dell’anno pandemico, e quindi aver interrotto la crescita».

Redazione

etichette allarmistiche sul vino

Le filiere del vino italiana e toscana dicono no a ok europeo alla norma irlandese che introduce sulle bevande alcoliche alert sanitari come per le sigarette.

 
Una delle ultime reazioni indignate al via libera per silenzio assenso della Commissione europea alla norma irlandese che introdurrà alert sanitari o health warning (avvertenze sui danni alla salute) sulle etichette di tutte le bevande alcoliche, dai superalcolici ai vini, è quella di oggi pomeriggio del ministro dell’agricoltura Francesco Lollobrigida all’Ansa Terra & Gusto. «Scelta gravissima per condizionare i mercati» ha detto il ministro all’agenzia stampa nazionale, aggiungendo fra l’altro: «si vuole equiparare il vino ai superalcolici», ma il vino «utilizzato in modo moderato è alimento sano».
Ma fra ieri e oggi c’è stato un vero e proprio diluvio di reazioni preoccupate e di critiche serrate di più o meno tutti i soggetti protagonisti della filiera del vino italiana e delle nostre associazioni agricole alla notizia che l’Irlanda è a un passo dall’attuazione di tale norma. Manca al via libera definitivo, infatti, come riferito oggi da Paolo De Castro, membro della commissione Agricoltura e sviluppo rurale del Parlamento europeo, in una nota pubblicata dal notiziario di Federvini, l’autorizzazione dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto), perché tale norma rappresenta una barriera commerciale a livello internazionale. E De Castro è sorpreso che «la Commissione europea non prenda minimamente in considerazione la posizione approvata a larghissima maggioranza dal Parlamento Ue che, nella risoluzione sulla lotta contro il cancro del febbraio scorso, ha categoricamente escluso l’introduzione di sistemi di etichettatura sanitari, come quelli presenti sui pacchetti di sigarette».
 
Le reazioni delle associazioni del comparto vinicolo
Per l’Unione italiana vini (Uiv) il via libera europeo, nonostante il parere contrario di Francia, Italia e Spagna (i tre principali produttori di vino) e di altri 6 Paesi, a health warning tipo “il consumo di alcol provoca malattie del fegato” su vino, birra e liquori in Irlanda mette a rischio il principio stesso della libera circolazione delle merci. «Una pericolosa fuga in avanti da parte di un Paese membro – ha dichiarato il presidente di Uiv Lamberto Frescobaldi -. Secondo Uiv, il mancato intervento della Commissione europea mette a repentaglio il principio di libera circolazione delle merci in ambito comunitario e segna un precedente estremamente pericoloso in tema di etichettatura di messaggi allarmistici sul consumo di vino. Temiamo che la Direzione generale per la Salute voglia adottare nei prossimi mesi questo approccio a livello europeo lasciando nel frattempo libera iniziativa ai singoli Paesi membri, al fine di sdoganare sistemi adottati senza un previo dibattito pubblico a livello europeo». «I fatti di oggi – ha concluso Frescobaldi – segnano uno scenario paradossale e ingovernabile, fatto di una babele di etichette all’interno dell’Unione europea che purtroppo non risolvono il problema dell’alcolismo, che dovrebbe essere basato su un approccio responsabile nei consumi di prodotti molto diversi tra loro».
Toni ancora più duri da parte della presidente di Federvini Micaela Pallini, che, preoccupata per i pesanti accostamenti delle bevande alcoliche a rischi di tumori e malattie al fegato, ha parlato ieri di «sistema unilaterale che spacca il mercato unico europeo, una modalità discriminatoria perché non distingue tra abuso e consumo e criminalizza prodotti della nostra civiltà mediterranea senza apportare misurabili ed effettivi benefici nella lotta contro il consumo irresponsabile». «Chiediamo che il Governo Italiano – ha tuonato la presidente di Federvini - si attivi quanto prima per studiare ogni azione possibile, nessuna esclusa, per osteggiare una norma che contrasta con il buon senso e la realtà. Forse è giunta l’ora che il tema venga trattato a livello politico in ambito UE, non da soli ma con i partner europei che hanno già manifestato gravi perplessità su questo tipo di normativa. È necessario una presa di posizione di fronte al mutismo della Commissione Europea».
Altrettanto preoccupata l’associazione nazionale Città del Vino, che ieri per bocca del proprio presidente Angelo Radica ha affermato che questo via libera va «a colpire in modo diretto l’export delle produzioni enologiche in quel Paese», ma di fatto apre allo stesso principio in tutta Europa, lasciando libertà di decisione agli Stati membri. «Si tratta – ha continuato - di un precedente pericoloso per il mercato unico e che va a creare disinformazione ed allarmismo fra i consumatori, non tenendo conto delle differenze fra consumo consapevole e abuso di alcol». «Come Città del Vino, all’interno del Patto di Spello, - ha aggiunto Radica – ci stiamo battendo su tutti i fronti per scongiurare questa semplificazione superficiale perché etichette in bottiglia mettono in stretta relazione il consumo di alcol a malattie del fegato (o tumori) sono fuorvianti verso il consumatore e demonizzano un prodotto come il vino al centro della Dieta Mediterranea. Chiediamo un intervento deciso e tempestivo da parte del Governo italiano nei confronti delle istituzioni europee, è necessario bloccare questa norma e fare chiarezza una volta per tutte per tutelare un comparto che rappresenta il Made in Italy nel mondo. Auspichiamo inoltre che il Governo investa risorse ed attenzioni su attività di educazione per far comprendere cosa sia il consumo consapevole di vino e cosa sia l’abuso indiscriminato di alcol, iniziando dalle scuole». Intanto nei prossimi giorni il presidente di Città del Vino Radica ed il direttore Paolo Corbini, interverranno al Simposio 2023 di Assoenologi, a Napoli, dedicato proprio alla tematica “Vino e salute tra alimentazione e benessere” (vedi).
 
Critiche delle associazioni di categoria agricole e prime stime dell'impatto
«Siamo particolarmente preoccupati per la deriva proibizionistica che il settore vitivinicolo europeo sta affrontando. La Commissione non ha ascoltato le riserve che l’Italia, con altri numerosi Stati membri, ha manifestato per opporsi alle misure introdotte dalla normativa irlandese creando un grave precedente e un potenziale ostacolo al commercio interno». Questo ieri il commento del presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti, alla notizia della non opposizione della Commissione europea allo schema di regolamento irlandese inerente l’etichettatura delle bevande alcoliche, che era stata notificato dall’Irlanda alla Commissione lo scorso mese di giugno. Il progetto di regolamento, evidenzia Confagricoltura, introduce l’obbligo di riportare messaggi sanitari relativi al cancro, alle malattie del fegato, alle donne in gravidanza nell’etichettatura e presentazione di tutte le bevande alcoliche, vini inclusi, immesse nel mercato domestico. «Occorre contrapporre a queste decisioni – ha concluso Giansanti - l’evidenza che è solo l’abuso di alcol, e non il consumo moderato, a poter determinare effetti nocivi sulla salute».
Sulla stessa linea d’onda Cia – Agricoltori Italiani, che parla di disincentivo di fatto al consumo di vino e di «pericoloso via libera ad allarmismi e disinformazione, nonché un precedente rischioso per l’Europa, andando contro la definizione dell’etichettatura comune». Per Cia «è sconcertante lo scenario che si va ora delineando, con una mossa che sdogana l’autonomia decisionale dei singoli Paesi Ue e compromette il lavoro fatto fino ad ora a livello comunitario nell’ambito del Cancer Plan, proprio a tutela della salute dei cittadini, ma senza demonizzare il consumo, moderato e responsabile, di vino, da distinguere nettamente dall’abuso». Al Governo italiano viene indirizzata quindi la richiesta di «tornare a sollecitare l’Europa sugli impegni già presi per promuovere uno stile di vita sano e una corretta informazione».
Parole di fuoco da Coldiretti, che ha parlato ieri di «attacco diretto all’Italia che è il principale produttore ed esportatore mondiale con oltre 14 miliardi di fatturato, di cui più della metà all’estero». Come affermato dal presidente Ettore Prandini «è del tutto improprio assimilare l’eccessivo consumo di superalcolici tipico dei Paesi nordici al consumo moderato e consapevole di prodotti di qualità e a più bassa gradazione come la birra e il vino che in Italia è diventato l’emblema di uno stile di vita lento, attento all’equilibrio psico-fisico che aiuta a stare bene con se stessi, da contrapporre all’assunzione sregolata di alcol». Coldiretti non si è limitata alle argomentazioni sopra richiamate dalle varie rappresentanze di categoria, ma ha tentato di formulare alcune stime del possibile impatto di questa scelta europea «che metterebbe a rischio una filiera che in Italia dal campo alla tavola garantisce 1,3 milioni di posti di lavoro ed è la principale voce dell’export agroalimentare» e che «rischia di alimentare paure ingiustificate nei consumatori come dimostra il fatto che quasi un italiano su quattro (23%) smetterebbe di bere vino o ne consumerebbe di meno se in etichetta trovasse scritte allarmistiche come quelle apposte sui pacchetti di sigarette, secondo un sondaggio on line sul sito www.coldiretti.it». Per Coldiretti bisogna «difendere un settore del Made in Italy che ha scelto da tempo la strada della qualità con le bottiglie che sono destinate per circa il 70% a Docg, Doc e Igt con 332 vini a denominazione di origine controllata (Doc), 76 vini a denominazione di origine controllata e garantita (Docg), e 118 vini a indicazione geografica tipica (Igt) riconosciuti in Italia e il restante 30% per i vini da tavola». Con un consumo pro capite che in Italia si attesta sui 33 litri all’anno e con una sempre maggiore attenzione alla qualità, alla storia del vino, ai legami con i territori che spingono italiani e stranieri anche alla scoperta di cantine e aziende.
 
L’impatto nella regione toscana
Riguardo all’impatto sull’agroalimentare toscano, Coldiretti Toscana ha ricordato oggi che il vino è il simbolo più venduto e conosciuto all’estero del Made in Tuscany. «In pericolo – viene specificato - ci sono oltre 4 milioni di esportazioni di sole bevande, un quarto del totale dell’export che vola ogni anno verso l’Irlanda (fonte Istat)». Per questa via si potrebbero «aprire le porte a una normativa comunitaria che metterebbe a rischio la sopravvivenza di quasi 13 mila aziende regionali insieme ad oltre 1 miliardo di euro di esportazioni di vini oltre confini». E in Toscana questo comparto conta 58 produzioni a denominazione (52 DOP e 6 IGP), di cui 4 tra le principali 20 italiane (Chianti Dop, Chianti Classico, Brunello di Montalcino Dop e Toscano Igp) con 1.183 milioni di euro di impatto economico e 5.839 operatori coinvolti. Qualità confermata anche nel 2021 con la Toscana che è stata la regione che più di altre ha investito in superfici a vino DOP (57 mila ettari) secondo il rapporto Qualivita – Ismea. 
«Il vino – ha commentato il presidente del Consorzio Vino Chianti Giovanni Busi - è il prodotto dell'agroalimentare italiano più conosciuto e apprezzato al mondo, etichette simili sulle bottiglie provocherebbero un gravissimo danno di immagine al Paese ed economico a tutto il settore, senza peraltro basi scientifiche: che il vino di qualità bevuto in giuste quantità faccia male e provochi tumori e malattie non è affatto dimostrato. L'Irlanda non è uno dei più grandi importatori di vino, ma il rischio è che la Comunità Europea faccia sua una tesi del genere, prendendo una strada irragionevole e dannosa».
 
Redazione