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Migliaia di ettari di verdure pronte per la raccolta bruciate dal gelo, serre danneggiate o distrutte sotto il peso della neve, animali morti, dispersi e senz’acqua perché sono gelate le condutture, ma anche aziende e stalle isolate che non riescono a consegnare il latte quotidiano e le verdure. Questo il primo bilancio elaborato dalla Coldiretti.

Il maltempo ha colpito pesantemente le campagne delle regioni del centro sud e si contano già milioni di euro di danni, ma anche un forte aumento dei costi per il riscaldamento delle serre. Il gelo ha colpito più duramente in regioni come la Puglia e la Basilicata dalle quali provengono una buona parte degli ortaggi consumati dagli italiani con le forniture che sono ora a rischio
«Non sono solo colpiti però gli ortaggi invernali in campo, come piselli e carciofi bruciati dal gelo, ma anchesottolinea la Coldiretti - gravi i danni si sono verificati sugli agrumeti così come per i vigneti di uva da tavola che hanno ceduto sotto il peso della neve. Preoccupano le condizioni degli animali allevati allo stato brado che si trovano senza alimentazione e non possono essere raggiunti. Drammatica è la situazione nelle zone terremotate dove con l’arrivo della neve e del freddo occorre assolutamente accelerare le procedure per garantire l’arrivo dei moduli abitativi e delle stalle a tutte le aziende e agli allevamenti danneggiati».
«La neve – conclude la Coldiretti - va, infatti, ad aggravare la situazione degli animali, che hanno bisogno di ricoveri con le stalle distrutte o inagibili». Ma secondo Coldiretti serve anche garantire in tempi brevi una sistemazione a quegli agricoltori e allevatori che hanno avuto le case crollate o lesionate.
 
Redazione

Cia – Agricoltori Italiani sui dati diffusi dall’Istat, che certificano l’Italia in deflazione nel 2016, per la prima volta dal 1959: «Le famiglie continuano a ridurre gli acquisti di beni alimentari primari come carne, pesce, frutta e sui campi i produttori spesso non riescono nemmeno a rientrare dei costi di produzione».

La deflazione registrata nel 2016, che porta l’Italia indietro di oltre mezzo secolo, è la conseguenza diretta della caduta costante dei consumi domestici, con oltre 16 milioni di cittadini che solo nell’ultimo anno hanno ridotto gli acquisti di carne; più di 10 milioni quelli di pesce e 3,5 milioni quelli di ortofrutta. Lo afferma l’Ufficio Studi della Cia-Agricoltori Italiani, sulla base dei dati Ismea, in occasione del report sui prezzi al consumo diffuso oggi dall’Istat.
Ma l’andamento negativo si fa sentire anche all’origine, dove i prezzi spuntati dagli agricoltori sui campi non riescono, in molti settori, a coprire neanche i costi di produzione. Per fare qualche esempio -spiega la Cia- soltanto a ottobre (ultimi dati disponibili) i cereali hanno ceduto il 14% sul 2015, gli ortaggi il 18%, gli avicoli il 9%. Facendo una media tra i principali prodotti, si può stimare che per ogni euro speso dal consumatore finale, solo 15 centesimi sono andati nelle tasche dell’agricoltore. E questo nonostante, nel complesso del 2016, i prezzi degli alimentari al supermercato siano cresciuti dello 0,2% e quelli di vino e altre bevande alcoliche dell’1,5%.
«E’ chiaro, quindi, che c’è ancora tanta strada da fare per tornare ai livelli pre-crisi e che anche nell’anno appena passato i consumi delle famiglie sono rimasti deboli -osserva il presidente nazionale della Cia Dino Scanavino-. Ma il 2016 certifica anche la sofferenza delle imprese agricole che, con i prezzi di vendita dei loro prodotti, sempre più raramente riescono a coprire le spese. Bisogna colmare con urgenza il divario di prezzo nei vari passaggi della filiera -aggiunge Scanavino- e, per farlo, serve un progetto che, da un lato, riduca le distanze tra gli attori con l’agricoltura più centrale, e dall’altro preveda nuovi orizzonti e favorisca la nascita di nuove relazioni e forme di dialogo con le rappresentanze d’impresa, come abbiamo proposto nella nostra Assemblea nazionale con il lancio dei ‘Network dei Valori’ per dare vita ad accordi quadro che tengano assieme agricoltura, artigianato, commercio, logistica ed enti locali».
 
Redazione
 

Il sito specializzato “World’s Top Exports” riporta un’importante indagine sulle esportazioni di mazzi di fiori a livello internazionale. Emerge un settore in cui l’Europa detiene il valore più alto in dollari (per il 2015 possiede il 46,4% del totale delle esportazioni internazionali), seguono l’America Latina, i Caraibi, l’Africa, l’Asia e il Nord America. In generale si assiste a un deprezzamento del prodotto: dal 2014 al 2015 si parla di un -12,8% sul valore.

floravivaIl totale delle esportazioni di ogni paese per i mazzi di fiori per il 2015 è stato di 7,9 miliardi di dollari, cifra che è scesa del 6,5% negli ultimi cinque anni per tutti i venditori. Nel 2011 infatti il settore era stato valutato per 8,4 miliardi di dollari. Anno dopo anno, il valore a livello mondiale delle esportazioni di mazzi di fiori ha così subito un deprezzamento del -12,8% (dal 2014 al 2015).
Fra i vari continenti, i paesi europei si aggiudicano il valore più alto per le esportazioni nel 2015, con un giro di affari che si attesta attorno ai 3,6 miliardi di euro (il 46,4% del totale delle esportazioni internazionali). L’America Latina, escluso il Messico, e i Caraibi hanno gestito il 27,8% delle esportazioni, l’Africa il 17,9%, l’Asia il 6,3% e il Nord America l’1,4%.
I dieci paesi che hanno esportato il più alto valore in dollari per mazzi di fiori nel 2015 sono: Paesi Bassi (3,2 miliardi di dollari – 40,3% sul totale); Colombia (1,3 miliardi – 16,5%); Ecuador (819.900.000 dollari – 10,4%); Etiopia (662.400.000 dollari – 8,4%); Kenya (661.900.000 dollari – 8,4%); Malesia (98.100.000 dollari – 1,2%); Cina (87,2 milioni – 1,1%); Belgio (85 milioni – 1,1%); Italia (84,2 milioni – 1,1%); Germania (82,9 milioni – 1,1%). In generale sono quindici paesi a detenere il 93,4% delle esportazioni totali a livello internazionale, registrate nel 2015.
I paesi che hanno registrato una più rapida crescita nel settore dal 2011 sono la Lituania, fino al +552,1%, l’Etiopia, fino a +292,1%, il Kenya, fino a +45,7%, e la Cina con +21,9%. I paesi che hanno invece visto scendere le loro esportazioni sono Belgio (-67,1%), Israele (-26,3%), Paesi Bassi (-26,1%), Thailandia (-17,2%).
 
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Il Ministro Martina proseguirà la sua azione grazie alla conferma ricevuta dall'esecutivo Gentiloni. L'agenda Europa prevede un primo importante appuntamento con la revisione di medio termine della Pac e quella italiana, invece, gioca una partita di grande rilievo per Agea.

Sul tavolo nazionale non sono molti i dossier aperti per l'agricoltura, mentre a livello europeo si aprono i cantieri per la revisione di medio termine della Pac: si decideranno infatti le sorti della seconda parte della programmazione e si getteranno le basi per la riforma post 2020. 
A livello nazionale da segnalare la necessità di una riforma per Agea: nonostante gli altri enti vigilati siano stati razionalizzati (creazione del Crea e accorpamento in Ismea di Isa), ancora niente di fatto per l'Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura
Il bilancio dell'operato Mipaaf per il 2016 è positivo, si è infatti riusciti a pagare gli anticipi, in particolare per le 33mila aziende agricole che operano nelle zone colpite dal terremoto. Tutti gli impegni assunti dal Ministro Martina sono stati rispettati con la Legge di Bilancio. Restano da rendere operative alcune misure contenute nel Collegato e che richiedono decreti attuativi. Ad esempio la Banca della Terra che dovrebbe agevolare l'accesso dei giovani agricoltori ai terreni agricoli. Ormai incompiuto dalla fine degli anni Novanta resta il testo unico dell'agricoltura, che ancora non riesce a vedere realizzazione.
 
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Lo studio-denuncia della Cia-Agricoltori Italiani sugli effetti della politica europea nell'agricoltura italiana fa emergere un dato importante: in Italia il 20% dei beneficiari dell'attuale Pac riceve l'85,7% delle risorse, mentre i fondi rimanenti (14,3%) sono da distribuirsi all'80% degli agricoltori.

Lo squilibrio evidente muove da una serie di scelte strategiche sbagliate alla base dell'attuale riforma, che accompagnerà i produttori fino al 2020. Per il presidente di CiaAgricoltori Italiani, Dino Scanavino, la burocrazia continua a pesare sulla gestione aziendale del settore e determina una situazione allarmante che frena gli investimenti e rallenta i processi di ammodernamento
Per Cia nella regolamentazione post 2020 si dovrà riorganizzare anche la politica di sviluppo rurale, dato che gli agricoltori non hanno la forza per sfruttare le potenzialità delle misure del secondo pilastro della Pac: gli interventi hanno infatti riguardato solo 162mila progetti.
La sopravvivenza delle imprese è però funzionale all'utilizzo delle risorse del primo pilastro, di cui hanno beneficiato oltre 1,2 milioni di aziende (secondo lo studio Cia). Gli unici strumenti che assicurano il mantenimento e lo sviluppo delle attività produttive sono spesso il pagamento unico, gli interventi per piccoli agricoltori e il sostegno accoppiato
Per Scanavino dunque servirebbe una Pac ex novo che possa essere elemento unificante dei popoli europei, mitigando il diffondersi dei populismi e assumendo un ruolo centrale nella gestione e nell'occupazione dei migranti. Questa è per il presidente Cia l'ultima possibilità di tornare a crescere e garantire benessere alla collettività.
 
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