Il Paesaggista

Cecil Pinsent nasce a Montevideo, in Uruguay nel 1884 e, sebbene sia cresciuto in Inghilterra, un qualcosa di “espatriato” gli resta addosso per tutta la vita. Della sua carriera fa un percorso ammirevole, sebbene abbia dovuto vivere due guerre mondiali. I suoi studi di progettazione furono molto apprezzati e si svolsero principalmente a Firenze e dintorni. In precedenza fu studente illustre sia alla scuola dell’Associazione di Architettura, dove nel 1906 vinse la medaglia Banisten e la borsa di studio, sia alla Royal Academy, finché un contatto personale gli permise di trasferirsi in Italia.
Per Pinsent non fu certo il periodo storico ideale per muovere i primi passi della sua professione visto che, di lì a poco, scoppiò la Prima Guerra Mondiale, nonostante questo lo storico d’arte Bernard Berenson e sua moglie furono suoi clienti e, il loro amico, Geoffrey Scott, teorico dell’architettura e autore di “The Architecture of Humanism”, per un certo periodo fu suo collaboratore.

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Negli anni ’20, nell’immediato dopo guerra, i progetti arrivarono numerosi. Pinsent si trovò al centro di una fitta rete di anglo-fiorentini, in molti avevano acquistato ville sulle colline tra Settignano e Fiesole. Ci fu inoltre un notevole interesse popolare per il giardinaggio paesaggistico, influenzato dal sondaggio “I giardini Italiani del Rinascimento” che Geoffrey Jellicoe pubblicò nel 1925.  
Jellicoe dichiarò che Pinsent fu il suo primo maestro nell’arte di posizionare gli edifici nel paesaggio. I due si incontrarono casualmente nel 1923 a Villa Papiniano, dove Pinsent aveva ricevuto l’incarico da Hugh Sartorius Whitaker di progettare un ripido pendio sotto l'abitazione, un superbo giardino formale e un “bosco” informale a circondare una piscina.
Tra i progetti che Cecil Pinsent realizza in Toscana, possiamo citare Villa i Tetti commissionatagli dai Berenson, Villa Le Balze per conto del filosofo americano Charles. Strong e La Foce per il Marchese della Val d’Orcia e sua moglie, la scrittrice Iris Origo. Questo progetto portò, tra gli altri, miglioramenti sociali e un’infinità di grazie nella combinazione tra giardini formali, informali e paesaggio circostante.

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Furono numerosi i lavori che Jellicoe realizzò in Inghilterra, aiutato soprattutto dai lavori pubblici, si può affermare invece che Cecil Pinsent avesse la Toscana in pugno. Durante la Seconda Guerra Mondiale si occupò perfino della protezione del patrimonio italiano danneggiato dalle truppe naziste. Di Pinsent si dice anche che fosse un uomo attraente, con molte corteggiatrici ma che, non si sposò mai. “L’architettura è un amante gelosa”. Così sia!

Il paesaggista è una rubrica curata da Anne Claire Budin

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Uno dei più grandi paesaggisti inglesi del ‘900 è stato Russell Page (1906-1985), nato nel Lincoshire inizia a dedicarsi al giardinaggio fin da bambino, da adolescente, durante le vacanze estive, lavora in molti giardini.
S’iscrive a una scuola d’arte e riceve un’istruzione come pittore, questo in futuro gli sarà molto utile. Si trasferisce poi a Parigi per completare gli studi e, in questo periodo, conosce André de Vilmarin, la cui famiglia commerciava in semenze e piante da circa 200 anni, tra i due nasce una collaborazione e iniziano a dedicarsi all’arte dei giardini.
Nel 1932 Page torna in Inghilterra, dove si dedicherà completamente alla progettazione di giardini, collaborando per un periodo con un altro famoso paesaggista inglese, Jeoffrey Jellicoe, dopodiché prosegue la sua carriera da solo.

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Russell Page ha disegnato centinaia di giardini in tutto il mondo: Francia, Inghilterra, Belgio, Svizzera, Olanda, Spagna, Italia, Sudamerica, Stati Uniti.
Non è semplice trovare nei progetti da lui realizzati un motivo comune, uno stile facilmente rintracciabile.

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Page è celebre per i disegni formali e simmetrici e le piante potate, in realtà, ha sempre adattato i suoi giardini alla peculiarità del luogo, al carattere dell’edificio e all’ambiente. Molteplici le sue influenze, ha ammesso di essere stato ispirato dal giardino di Hidcote visitato in gioventù, dai suoi viaggi in Oriente, dalla tradizione francese.
Russell Page ha scritto un solo libro, un vero tesoro d’idee, informazioni e consigli pratici, che s’intitola “The Education of a gardener”, libro che chiunque si interessi di giardini dovrebbe leggere.

Il paesaggista è una rubrica curata da Anne Claire Budin

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Alex Hanazaki architetto del paesaggio e non semplicemente uno dei tanti discepoli di Roberto Burle Marx, bensì uno dei più grandi nomi del paesaggio brasiliano contemporaneo.
Il suo studio, a San Paolo, è uno dei pochi in Brasile ad essere specializzato nei progetti architettonici per aree esterne.
Hanazaki afferma “Il paesaggio è qualità della vita e mi piace trattare questa qualità come arte”, come dargli torto?
La maggior parte delle sue proposte sono incentrate sulla costruzione di paesaggi naturali, che hanno il merito di richiedere poche risorse e manutenzione.



Il suo team ha progettato soluzioni senza tempo, mescolando idee moderniste, brutalismo brasiliano e tropicalismo, ma è dalla natura che arriva l’ispirazione per tutte le forme, i colori, le texture degli ambienti creati dai progetti di Alex Hanazaki, che infatti confessa: “come paesaggista, cerco sempre di copiare la natura”.
Durante la sua formazione in Architettura e Urbanistica ha conciliato il lavoro in vari uffici di settore, questo ha aiutato Hanazaki a sviluppare la sua conoscenza 335x135 giardinierepratica in diverse aree, fino a che non ha scoperto la sua vera vocazione. Attraverso un percorso complementare agli studi ufficiali ha ottenuto la sua risposta, ovvero: il paesaggio.
Il suo nome appare in diverse pubblicazioni di architettura ma, recentemente, Alex Hanazaki ha realizzato un’impresa che nessun altro designer brasiliano aveva raggiunto prima: per ben due anni consecutivi, nel 2014 e nel 2017, ha ricevuto i Professional Award dall’ASLA – American Society of Landscape Architects. È stato nominato uno dei migliori giardinieri del mondo.
Hanazaki progetta ambienti ricchi di diversità, sia negli elementi vegetali che nelle forme geometriche. Il suo è un rigore estetico sommo, che potremmo definire al limite del perfezionismo estremo ma, allo stesso tempo, esplora e fa esplorare esperienze sensoriali insolite.



La sua sfida? Creare giardini come opere d’arte.
I suoi giardini sono molto architettonici, la caratteristica principale dei suoi progetti è domandare ad alcuni materiali artificiali di unirsi in modo armonioso, esattamente come potrebbe accadere nell’ambiente naturale.
I volumi, con i loro diversi colori e trame, a volte generando movimenti o suoni, rappresentano come attori sul palcoscenico tutti e 5 gli elementi: terra, fuoco, legno, metallo, acqua.
Questo è più evidente nell’inserimento dei giardini verticali, camini e cascate.
La vegetazione è un elemento che integra e completa la sua architettura esterna. Ogni piccolo elemento e carico di memoria emotiva, una testimonianza della storia dell’architetto, di cui è così orgoglioso.
Con i toni della terra rappresenta, negli interni, la sua giovinezza, dalla sottile incidenza della luce naturale e da elementi di sostenibilità.
La sua fase urbana e cosmopolita è legata ai toni più grigi e all’impiego di alta tecnologia, come illuminazione a LED.

Il paesaggista è una rubrica curata da Anne Claire Budin

Roberto Burle nasce a San Paolo, in Brasile, il 4 agosto 1909 e muore a Rio de Janeiro il 4 giugno 1994. Cresce in una famiglia benestante. Sua madre, fin da piccolo, gli insegna a prendersi cura del giardino e a coltivare rose, begonie e gladioli.
Nel 1928 Burle Marx è in Germania, qui entra in contatto con le avanguardie artistiche e rimane affascinato dalla serra del giardino botanico di Dahlem, dove si coltiva la vegetazione brasiliana.



Agli inizi degli anni ’30 fa i suoi primi progetti di giardini, incorpora colori primari, forme organiche, design grafico, motivi indigeni e cubismo.
Nel 1930 s’iscrive all’Escola Nacional de Belas Artes, concentrandosi sulle arti visive, sotto le ali di Leo Putz e Candido Portinari ma Burle Marx non finirà mai li studi.
Nel frattempo si avvicina a molti futuri architetti e botanici brasiliani, che avranno molta influenza sulla sua vita personale e professionale.  Tra questi il professor Lucio Costa, esponente del modernismo brasiliano.
Sempre negli anni ’30, Burle Marx diventa direttore del Dipartimento Parchi e Giardini di Pernambuco, dove fa uso intenso di vegetazione autoctona nazionale e inizia a guadagnare una certa notorietà. 
Nei progetti di Roberto Burle Marx le specie autoctone sono sempre state presenti, nonostante che fino a quel momento le piante conosciute e utilizzate dai paesaggisti e giardinieri brasiliani fossero di origine europea. Le poche piante brasiliane impiegate frequentemente erano state prima importate in Europa, dove erano diventate popolari.
In Brasile cerca di continuare i suoi studi botanici, trovando però notevoli difficoltà. Si rende conto che, per conoscere la flora del suo paese, avrebbe dovuto fare il lavoro direttamente sul campo. Inizia così a svolgere ricerche approfondite che porterà avanti per tutta la vita. Burle Marx scopre e classifica molte specie, alcune delle quali prenderanno il suo nome. Le sue spedizioni attraverso il paese alla ricerca di nuove piante divennero molto famose tra gli esperti.
Quando decide di introdurre queste piante nei suoi lavori, s’imbatte in un altro inconveniente. Essendo specie sconosciute non c’è richiesta e quindi i vivai non le coltivano. Così decide di allestire lui stesso delle serre e, proprio grazie a questo, crea habitat perfetti per la convivenza delle specie. Per questo motivo nel 1949 acquistò con il fratello Siegfried la fattoria di oltre 30 ettari a Barra de Guaratiba nel sud-ovest di Rio de Janeiro. Quello che era chiamato Sítío Santo Antonio da Bica oggi è conosciuto come Sítio Roberto Burle Marx.


 
Nella sua fattoria coltivava le piante tropicali raccolte durante le sue spedizioni, da utilizzare come piante da giardino. Sono presenti Anthurium, Dracaena e Pachypodium ,piante della famiglia delle Bromeliaceae e delle Heliconiaceae o dell’ordine delle Cycadales.
Il giardino della casa è costituito da un prato circondato da aiuole con un laghetto. Usa architravi di porte e finestre di case demolite a Rio e blocchi di granito della zona esposti alle intemperie come elementi di design. Nel 1985 questa proprietà è stata donata al governo brasiliano. Oggi è gestita dall’Istituto Nazionale per il Patrimonio Storico e Artistico. Nel 2021 è diventata patrimonio mondiale dell’UNESCO grazie al suo design modernista ma anche per la sua importanza per la conservazione ambientale e culturale.
Tra i suoi progetti più importanti c’è la residenza privata degli architetti Lucio Costa e Gregori Warchavchik, nel 1932. Qui pone le basi per una collaborazione duratura con Costa che fu poi arricchita dall’architetto Oscar Niemeyer. Per quest’ultimo Burle Marx progetterà il giardino del complesso di Pampulha nel 1942. Burle Marx, nel 1937, ottiene fama internazionale per il progetto astratto del giardino pensile per l’edificio del Ministero dell’Istruzione.
Dal 1934 al 1937 lavorò nell’amministrazione del parco e del giardino di Recife e nel 1935 allestì la piazza Casa Forte, progettata principalmente con piante della foresta pluviale brasiliana, cosa mai successa all’epoca. Ha progettato anche Piazza Euclides da Cunha nella stessa città che è, invece, dominata da piante della caatinga locale, principalmente cactus.



Nel 1955 Burle Marx fondò uno studio paesaggistico e nello stesso anno una società di paesaggisti chiamata Burle Marx & Cia. Ltda.
L’anno seguente apre uno studio a Caracas in Venezuela, iniziando, nel 1968, a lavorare con gli architetti Jose Tabacow e Haruyoshi Ono.
I progetti di Roberto Burle Marx si trovano in Brasile, Argentina, Cile e molti altri paesi sudamericani.
Ha anche lavorato in Sud Africa, in Francia, a Washington DC, a Los Angeles. All’inizio degli anni ’90 Roberto Burle Marx torna a Berlino per ridisegnare la Rosa-Luxemburg-Platz. Progettò una visione colorata che, però, non è mai stata realizzata.
Le opere di Burle Marx sono moderne e all’avanguardia. Si basano sull’atemporalità e la perfezione. L’arte popolare brasiliana, insieme al cubismo e all’astrattismo conosciuto in Germania, hanno influenzato i suoi disegni rendendo l’estetica modernista in chiave brasiliana.
La sua estetica è basata sulla natura. Non mescolava i colori dei fuori usando grandi gruppi della stessa specie. Con l’uso quasi esclusivo di piante autoctone è stato in grado di trasformare un ambiente aspro e roccioso in un giardino rilassante.
Grazie al suo profondo studio delle piante riusciva a capire l’effetto di ognuna di esse all’interno del giardino, cercando anche di comprendere l’interazione tra piante e animali.
Burle Marx è stato in grado di estendere l’architettura di un edificio nel giardino sfruttando al massimo le grandi dimensioni, l’illuminazione e giocando con il potere dei riflessi dell’acqua.

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Fin da bambina Patrizia ha avuto un’attenzione spontanea e profonda nei confronti della natura. Si è avvicinata a tutti gli elementi del mondo naturale senza pregiudizi e con la curiosità tipica dei bambini che poi, di solito, dimenticano da adulti.
I suoi primi anni di studio all’università di Milano sono stati alimentati dalla sua osservazione e dal contatto con gli elementi naturali. La sua passione è stata incoraggiata da persone di grande rilievo che ha incontrato durante il suo percorso formativo; questi incontri l’hanno poi guidata verso la sua professione, poco nota in Italia, ovvero l’architetto paesaggista. Patrizia Pozzi dichiara che conoscendo e amando la natura in tutte le sue forme e attraverso l’uso di tutti e 5 i sensi è riuscita a imparare molto e ora si sente libera di spaziare tra aspetti trasversali e interdisciplinari, può guardare il futuro verso “Nuove visioni”.
Il suo studio si trova a Porta Venezia, uno dei quartieri più vivaci di Milano, e più che uno studio è uno spazio aperto verso la strada, in cui è possibile un continuo scambio con il mondo esterno, grazie anche alla presenza della Biblioteca Venezia, in stile liberty, un luogo di ritrovo per giovani, studenti e famiglie. Lo studio di Patrizia assorbe quello che viene dall’esterno e lo trasforma in un’energia vibrante, capace di trasformare l’ambiente in un paesaggio in continua evoluzione.
Nell’isola di Schoinoussa, per una casa immersa nella natura e nel silenzio del Mediterraneo, Patrizia ha creato un progetto che unisce in un dialogo armonioso il mare e la campagna, mantenendo la semplicità tipica del luogo e dei suoi abitanti.
Mentre a Milano, per la zona di San Siro, ha portato un effetto boscoso negli spazi pubblici e nei diversi percorsi, aggiungendo alle direzioni urbane dei viali alberati con leggere essenze a forma libera.
Per il ripristino ambientale di un resort sul lago di Como, Patrizia ha ideato il prato partendo dal dettaglio delle foglie dei graffiti della Villa Principale, creando percorsi per permettere di cogliere in modo nuovo le bellezze paesaggistiche del lago di Como. In autunno e primavera sorprenderà la varietà di fiori, foglie e colori inoltre, come un sipario, ha creato un muro verde alto 15 metri, ispirato a motivi barocchi.
Patrizia Pozzi riesce perfettamente a ricamare la semplicità della natura valorizzando la sua bellezza forse perché, diventando adulta, non ha dimenticato lo sguardo curioso e attento con cui si guardava intorno da bambina.

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