Filiera olivo-olio

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Le autorità spagnole hanno confermato il primo rilevamento del batterio Xylella fastidiosa nella penisola iberica, in una piantagione di mandorli nel comune di Guadalest, a circa due ore di macchina da Valencia. Nessun olivo infetto però: analisi su campioni prelevati nelle vicinanze dei mandorli hanno dato esito negativo.

Finora, in Spagna la Xylella era stata rilevata solo nell'isola di Maiorca. Ma le autorità hanno riscontrato un primo rilevamento del batterio in una piantagione di mandorli nel comune di Guadalest, a circa due ore da Valencia.
Le autorità locali applicheranno le misure di eradicazione Ue, con la distruzione delle piante infette e di quelle suscettibili di infezione nel raggio di cento metri.
Si sono effettuate inoltre analisi su campioni prelevati da olivi, poco distanti dai mandorli colpiti dal batterio, e hanno dato esito negativo. A livello europeo, una modifica della decisione con le misure di contrasto al batterio è attesa non prima di settembre.
 
Redazione

Pietro Barachini, titolare di Spo, sul modello di filiera olivicola su cui puntare in Italia. Per lui la qualità dell’olivicoltura è compatibile con gli impianti di olivi intensivi (da 400 a 600 piante ad ettaro), ma non con gli oliveti super intensivi (da 1300 per ha) che comportano sistemi di subirrigazione tali da ridurre il contenuto di polifenoli dell’olio. Ogni regione dovrà avere i suoi olivi autoctoni e gli oli prodotti dovranno essere certificati e ben riconoscibili in bottiglia.

iolive, spo, pescia, olivicoltura«L’Italia ha un milione di ettari a oliveto. Circa il 40% di questa superficie è abbandonato. A livello quantitativo delle produzioni non possiamo competere con gli altri Paesi leader dell’olivicoltura. Per cui non esisteremmo a livello di settore dell’olio d’oliva se non avessimo il patrimonio varietale che abbiamo, unico al mondo. Il nostro patrimonio varietale di 586 cultivar offre un contenuto qualitativo dal punto di vista organolettico e dei polifenoli che lo rendono il migliore in assoluto. Quindi l’opportunità è quella».
E’ quanto affermato da Pietro Barachini, titolare di Spo, la Società pesciatina di orticoltura, una delle realtà che fanno parte del Coripro, il 7 luglio al Crea-of di Pescia a latere dell’incontro “Il vivaismo olivicolo tra norme e qualità: innovazione, qualificazione e competitività della filiera olivicola” (vedi nostro servizio). Durante il suo intervento (non programmato) all’incontro aveva evidenziato che «l’Italia ha bisogno di ricostruire la base produttiva» e che «in Puglia andrà portato un milione di piante, speriamo di qualità».
Il vivaismo olivicolo ce la farà a fornire tutte queste buone piante di olivo alla Puglia? E come rispondere ai cali produttivi di olio extravergine di oliva in Italia dovuti alle superfici di oliveti abbandonate?
«L’importante – dice Barachini - è gettare le basi per ricostruire il materiale vegetale autoctono della Puglia o di altre regioni con un sistema di certificazione collaudato o anche innovazioni. Chiaramente, sul fronte produttivo, si tratta anche di restringere il sesto, arrivare a 500, 600 piante a ettaro, ma non certo arrivare a 1300 o 1400».
Ma questo modello da 500 o 600 piante a ettaro non lo definirebbe intensivo o almeno più intensivo?
«Il modello intensivo è stato già classificato. Da non confondere con il super intensivo. Un modello intensivo va da 400 a 600 piante a ettaro, è meccanizzabile e a risparmio idrico».
Dunque questo modello di olivicoltura le sta bene?
«Certo, l’importante è mantenere il panorama olivicolo italiano unico al mondo creando reddito. Ricordiamoci che un impianto a intensità maggiore comporta una fertirrigazione ed una subirrigazione. E ciò a sua volta comporta un livello di attenzione elevato con rischi altissimi di mancata produzione e, se non controllato, si avrà una discesa drastica di livello dei polifenoli dell’olio prodotto, indipendentemente dalla cultivar, perché con quei sistemi di irrigazione si va a dilavare il contenuto dei polifenoli..»
..invece con quel modello intensivo..
«..con quel modello si riesce a mantenere l’autenticità e il livello salutistico dell’olio extravergine».
Su quali cultivar converrebbe puntare in tale ottica?
«Sto portando avanti anche quel discorso lì. Ora è il momento di ricostruire le cultivar. Il progetto per cui ci stiamo adoperando, anche con il Ministero delle politiche agricole, è quello di ridonare ad ogni regione olivicola le proprie cultivar autoctone e in qualche modo tenerle lì dentro».
Ma non mancano le piante madri per farlo?
«Le piante madri ci sono. Ci sono più di 1000 cloni».
Ma con ricostruire che cosa intende? Si riferisce alla necessità di fare ordine di cui ha parlato Tommaso Ganino (vedi nostro servizio)?
«C’è bisogno di fare ordine. Il punto di partenza è fitosanitario. C’è bisogno di lavorare insieme (con il Cnr, i campi di ricerca e campi-collezione) a una certificazione di filiera che riguarderà la pianta e anche l’olio. Per ricostruire quel patrimonio vegetale che poi, spero, andremo a ridonare ad ogni regione. Si immagini che in questo modo potremo poi andare in qualsiasi regione italiana e trovarci davvero un vero olio autoctono..».
..comunque ricostruire vuol dire fare ordine e far sì che nei campi di piante madri, tipo quello del Coripro, ci siano ancora più piante e classificate meglio? o sbaglio?
«Sì, però questo lavoro va fatto tutti insieme».
Ma voi qui in Toscana con il Coripro siete già a buon punto?
«Siamo già a buonissimo punto..»
..ne avete 5 di cultivar già a posto con la certificazione virus esente?
«Sì, 5 cultivar già certificate virus esenti e ne stanno arrivando altre 8…»
…al momento sono ancora nel campo di premoltiplicazione queste otto?
«Sì, certo. Ma più che altro vorremmo dare l’input, speriamo tutti assieme, perché siamo aperti a tutti, di costruire un modello di certificazione, perché abbiamo scoperto che lo stesso modello di certificazione che vale per la pianta può essere applicato anche all’olio. E questo con vantaggi di sicurezza sia a livello agronomico sia a livello salutistico del consumatore».
Questo è un passo successivo..
«..partire da un modello esistente di certificazione è importante perché poi dopo lo possiamo abbinare a un modello successivo e creare una tracciabilità di filiera, perché il consumatore deve poter capire che cosa ha davanti dalla bottiglia: non siamo purtroppo tutti esperti, non capiamo ancora la qualità dell’olio, e c’è quindi bisogno di fornire conoscenze in proposito, dobbiamo comunicarla e certificarla la qualità».
 
Redazione

Alla presentazione del pif di Coldiretti “Extra vergine di oliva: dal vivaio alla tavola” un confronto sui contributi della ricerca (dai substrati di compost verde ad hoc sino alle nanotecnologie per la radicazione delle talee) e sul ruolo delle politiche di filiera, a partire dalla produzione di olivi, per lo sviluppo del settore olivicolo. Scambio di battute fra Del Ministro dei Vivai di Pescia, il direttore di Ivalsi-Cnr e Natali per Coripro sulle piante di olivo certificate virus esenti.

Le più che promettenti prospettive dell’uso su larga scala del compost verde in sostituzione della torba come substrato eco-compatibile ed economico per la coltivazione di ulivi (e non solo), la diffusione e il miglioramento della tecnica di propagazione per talea grazie all’ausilio delle nanotecnologie per favorire la radicazione, le tecniche per un’irrigazione efficiente e quelle per la caratterizzazione del germoplasma. Ma anche le certificazioni ambientali delle produzioni vivaistiche per guadagnare l’accesso a mercati di sbocco dove è necessario averle e i modelli produttivi a cui puntare.
Sono alcuni dei risultati e spunti di discussione affrontati nella giornata di studio del 7 luglio scorso al Centro di ricerca di orticoltura e florovivaismo (Crea-of) di Pescia sul tema “Il vivaismo olivicolo tra norme e qualità: innovazione, qualificazione e competitività della filiera olivicola”. Incontro durante il quale, oltre all’illustrazione dello stato di avanzamento del progetto integrato di filiera (pif) “3S ECO-nursery – Smart Specialisation Strategy” coordinato da Coldiretti con capofila l’azienda Marco Romiti Vivai, è stato descritto anche un nuovo progetto integrato di filiera (pif) dedicato specificamente alla filiera olivicola e intitolato “EVO (Extra vergine di oliva: dal vivaio alla tavola”, che Coldiretti intende presentare al prossimo bando regionale sui pif (vedi nostro articolo-intervista sul pif e il modello di olivicoltura a cui si ispira).
A moderare i lavori, Gianluca Burchi, responsabile del Crea-of di Pescia, che ha prima portato il saluto dell’assessore all’agricoltura della Regione Toscana Marco Remaschi e ha poi passato la parola al consigliere regionale Marco Niccolai. «Un progetto sul vivaismo olivicolo che ha il proprio cuore a Pescia, territorio storicamente vocato a tale comparto, spero irradiandosi in tutto il territorio provinciale, è un segnale importante» ha detto Niccolai. Dopo di lui è intervenuto Mauro Centritto, direttore di Ivalsa-Cnr (Istituto per la valorizzazione del legno e delle specie arboree del Consiglio nazionale delle ricerche), che ha ricordato le attività del suo istituto sul fronte dell’olivicoltura (la collezione di più di 1000 genotipi di olivo, con le oltre 80 varietà del germoplasma olivicolo toscano, tutte caratterizzate dal punto di vista genetico; la selezione fra questi ultimi genotipi di 13 cloni superiori dal punto di vista qualitativo sotto il controllo del Servizio fitosanitario regionale; e tanti filoni di ricerca) e ha sostenuto che «dobbiamo fare un salto tecnologico: dobbiamo pensare a nuove tecniche per rendere più economici e veloci i meccanismi di moltiplicazione e recuperare il ritardo di 30 anni rispetto alla Spagna». Michela Nieri, presidente di Coldiretti Pistoia, ha spiegato che il Pif “EVO” «nasce da un’esigenza dei nostri produttori di riqualificare la produzione dandogli più valore aggiunto». «Abbiamo oro, ma i produttori faticano a reggere economicamente - ha dichiarato -. Gli hobbisti si ritirano, troppa burocrazia e costi. E all'orizzonte accordi come il Ceta potrebbero dare il colpo di grazia, prevedendo l'indifferenziazione delle produzioni, annullando la territorialità. È, quindi, ancora più indispensabile fortificare il nostro sistema produttivo: ed è quello che si propone il nostro progetto».
Poi è toccato a Nicola Del Ministro, vice presidente dell’associazione Vivai di Pescia, che ha ringraziato per l’opportunità di questo «incontro fra chi produce conoscenza e gli imprenditori che la trasformano in business. Un’occasione importante di dialogo, anche perché non ce ne sono molte, un po’ per mancanza di tempo un po’ perché esistono dei compartimenti stagni fra ricerca e imprese». Del Ministro ha aggiunto che «sicuramente è importante l’attività di creazione di conoscenza, tuttavia la conoscenza va diffusa in un modo più ampio, anche sul web» e ha sostenuto che la conoscenza scientifica non dovrebbe essere «veicolata in esclusiva» e che tutti dovrebbero «poter accedere in condizioni di uguaglianza alle certificazioni» degli olivi virus esenti (alludendo a quelle del Coripro). Gli ha replicato Burchi affermando che la ricerca pubblica si fa in due modi: tramite bandi oppure «per conto di privati» che fanno richiesta. A sua volta Centritto ha risposto: «le piante commercializzate come virus esenti sono del Coripro; noi le abbiamo in gestione nel campo di premoltiplicazione e si tratta di 13 varietà. Più in generale, noi sviluppiamo attività di ricerca con tutti i soggetti del territorio. Precisato questo, sono d’accordo che la ricerca debba ricadere sul territorio».
Marco Romiti ha parlato dell’esperienza del suo pif “3S ECO-Nursery”, che è iniziato nell’aprile del 2016 e terminerà nell’aprile del 2018, il quale prevede un totale di oltre 5 milioni e 300 mila euro di investimenti (di cui 2 milioni e 260 mila euro coperti da contributi a fondo perduto della Regione Toscana) diretti a innovare e rendere più ecosostenibile la produzione e tutta la filiera vivaistica (non olivicola in questo caso). Uno degli aspetti caratterizzanti di questo pif, ha spiegato Romiti, è consentire alle aziende partecipanti di ottenere certificazioni ambientali quali Emas e Mps che consentono di accedere a mercati di sbocco per i quali sono necessarie, come ad esempio quelli olandese, tedesco e svizzero.
Sono poi iniziati gli interventi scientifici. Raffaella Petruccelli, ricercatore dell’Ivalsa-Cnr, presentando alcune sperimentazioni applicate al vivaismo olivicolo (nei tre filoni principali dei substrati, dei sistemi di propagazione e degli stimolanti), si è soffermata sulle buone prospettive del compost come substrato sostitutivo privilegiato, fra i vari possibili, della torba. Quest’ultima infatti non è eco-compatibile e «incide sul costo di produzione delle piante fra il 12% e il 22%». La normativa sui fertilizzanti distingue tre tipi di ammendanti compostati: il compostato verde (da residui organici solo vegetali), il compostato misto (derivante anche dalla frazione organica di residui solidi urbani, rifiuti di origine animale ecc.) e il torboso composto (miscela di torba con compostati verdi o misti). Il compost ha il grande vantaggio di costare pochissimo e di essere facilmente reperibile, ma bisogna essere in grado di determinarne precisamente le caratteristiche chimico-fisiche, che possono differire molto da un prodotto all’altro anche della stessa categoria di ammendante. In ogni caso le verifiche fatte, anche all’interno del pif “3S ECO-Nursery”, sono risultate positive, soprattutto con «compost maturi e stabili, di color scuro e senza cattivi odori». «Per quanto riguarda la propagazione – ha spiegato Raffaella Petruccelli a Floraviva al termine dell’incontro - l’olivo viene propagato per innesto o per talea e c’è anche la micropropagazione, ma in realtà le due tecniche principali sono l’innesto e la talea e la produzione di piante innestate è superiore a quella per talea (circa 60 contro 40 per cento)». Tuttavia «con la talea in un anno hai la piantina, mentre per l’innesto sono necessari 2 anni». La talea, ha aggiunto, «è una tecnica che consente di ottenere materiale in diversi periodi dell’anno e non richiede maestranze specialistiche ed è una tecnica molto più semplice da portare avanti». Soprattutto in alcune regioni, ha proseguito, «si preferiscono le piante innestate, perché dicono che la pianta auto radicata ha un apparato radicale più superficiale, con problemi dove c’è vento, ecc. Però in realtà le piante auto radicate vanno benissimo per l’olivicoltura, anche perché non si vendono più piante alte 2 metri ma piantine di praticamente meno di 1 anno e che non hanno nessun problema al trapianto in campo». Quindi, per Raffaella Petruccelli, «è su quella tecnica che bisogna lavorare e ci stiamo lavorando nel pif utilizzando le nanotecnologie […] con i liposomi per veicolare l’ormone nella base della talea per favorire l’emissione di radici, cioè cerchiamo di vedere come il rilascio controllato dell’ormone influenza l’emissione di radici nella talea». Il riferimento è agli studi presentati in una delle relazioni successive, “Le nanotecnologie come strategia ‘verde’ nella radicazione dell’olivo: tecniche in via di sperimentazione” di Ilaria Clemente (Università di Firenze), dai quali risulta che il trattamento delle talee con i liposomi è molto efficace nell’indurre la formazione di radici.
Daniele Massa, ricercatore del Crea-of di Pescia, ha trattato invece le “Tecniche e tecnologie per aumentare l’efficienza irrigua nel vivaismo olivicolo”. Innanzi tutto ha ricordato che nella coltivazione intensiva in vaso si verificano spesso drenaggi eccessivi di acqua (con conseguenti ripercussioni sui fertilizzanti che possono diventare inquinanti). Poi ha sostenuto che, in base alle sue sperimentazioni, l’approccio migliore all’irrigazione è un sistema integrato che combina l’uso di modelli di simulazione dell’evapotraspirazione in base a vari parametri ambientali e di veri e propri sensori che misurano l’umidità delle piante e del suolo. Tommaso Ganino (Università di Parma), nella sua relazione “Tecniche genetiche per la caratterizzazione del germoplasma”, ha parlato dei vari marcatori molecolari che possono essere utilizzati per determinare l’impronta genetica delle cultivar di olivo, in particolare degli ssr (simple sequence repeats, cioè sequenze ripetute di dna) o microsatelliti. «Purtroppo – ha osservato Ganino - nel germoplasma italiano ci sono molti problemi di identificazione varietale. Però è importante rimettere ordine all’interno del germoplasma italiano, cosa che purtroppo, nonostante innumerevoli progetti, ancora non si è riusciti a fare». Questa la sua conclusione: la certificazione è importante nel campo vivaistico, ma per fare questo ci vogliono schede varietali, uno standard varietale e delle tecniche condivise e poi conservare in un campo-collezione tutte le piante madri ed usare tecnologie Rfid per evitare le confusioni di cartellino. Giorgio Bartolini (Ivalsa-Cnr), nel suo excursus “Olivicoltura tra tradizione e modernità”, ha fra l’altro toccato i seguenti due argomenti: 1) la difficoltà di scegliere la varietà giusta di pianta quando si vogliono fare nuovi impianti di olivi, magari intensivi o super intensivi, considerando anche il fatto che «se prendo una cultivar e la sposto in un altro ambiente ci saranno molti cambiamenti dal punto di vista qualitativo»; 2) una maggiore prudenza nel parlare degli effetti benefici sulla salute dell’olio extravergine, effetti positivi che indubbiamente esistono, ma che non sarebbe corretto gonfiare a dismisura.
Infine Roberto Natali, consulente di Coripro, ha ripercorso la storia del consorzio, che è nato nel 1993 per garantire la moltiplicazione del materiale vegetale sotto il controllo del Servizio fitosanitario, e ha ricordato che dal 2000 è iniziata una terza fase focalizzata sul «compito di portare avanti i progetti di certificazione delle piante». Il Coripro, ha detto Natali, partecipa a vari progetti: sui substrati, per il miglioramento delle tecniche di riproduzione e sulla «tracciabilità mediante microchip dal campo fino alla vendita». «Siamo disposti – ha aggiunto - a lavorare con tutti i vivaisti pesciatini». Più in generale, Natali ha sostenuto che «l’olio toscano può mantenere dei prezzi elevati. Noi abbiamo business plan basati su costi di produzione da 4,5 euro al kg di olio prodotto, perché adesso si vende a un prezzo da 10 euro fino a 20: c’è mercato, in tutto il mondo, per l’olio toscano». La ricerca, per Natali, può dare una mano a identificare anche olivi autoctoni adatti a sistemi più intensivi di coltivazione.
A concludere l’incontro è stato il direttore di Coldiretti Pistoia Simone Ciampoli (vedi nostro articolo-intervista) che ha sottolineato alcuni dati: «nonostante olio toscano e varietà toscane di piante di olivi siano molto richieste dal mercato, calano vistosamente gli ettari di uliveto in Toscana: rispetto al 2000, la superficie nel 2010 era calata del 4,1%, percentuale più che quadruplicata nel 2015 (meno 17,7%). La frammentazione della proprietà degli uliveti condotti da persone anziane e gli elevati costi di mantenimento ne sono la causa. Di contro aumentano le superfici certificate Igp». «Certamente – ha commentato Gianluca Burchi dopo la fine dell’incontro - aver riunito in una sola mattinata e in una sola sala le eccellenze del settore della ricerca, le associazioni principali del vivaismo olivicolo e le principali aziende che producono piante di olivo qui a Pescia e in tutto il comprensorio di Pistoia è stato un grosso risultato. Quindi l’interesse è stato elevato. Un po’ è mancata forse nel dibattito finale qualche proposta da parte delle aziende, ma speriamo che comunque gli elementi forniti dai ricercatori, che hanno presentato diversi aspetti, e dalla Coldiretti che ha proposto il progetto, siano serviti per rielaborare le loro esigenze nei prossimi giorni e presentare qualche loro proposta». Al fine anche di «definire ulteriormente il progetto di Pif».
 
Lorenzo Sandiford

Il direttore di Coldiretti Pistoia Ciampoli, al Crea-of di Pescia per illustrare un pif sull’olivicoltura, ha detto che «se si perde l’identità anche culturale e territoriale, si è perso tutto». Il piano, che intende aumentare il valore aggiunto dell’olio ma anche i livelli produttivi, è aperto a tutte le imprese della filiera. Si potrà partecipare anche con un investimento minimo ad azienda di 12 mila 500 euro, di cui 5 mila erogati dalla Regione.

Si intitola “EVO (Extra Vergine di Oliva): dal vivaio alla tavola” ed è un piano integrato di filiera (pif) con i seguenti obiettivi: mantenere le aziende olivicole sulle nostre colline, in funzione anche di tutela del paesaggio e idrogeologica; ristrutturare i vecchi oliveti e realizzarne di nuovi; introdurre nuove tecniche di coltivazione nel rispetto dell’ambiente e tracciabilità; aumentare il valore aggiunto dell’olio legato alla tracciabilità a partire dalla giovane pianta; migliorare gli standard di trasformazione. 
Coldiretti Pistoia, che lo promuove in collaborazione con centri di ricerca quali Crea-of, Ivalsa-Cnr e le università di Firenze e della Tuscia, lo ha presentato oggi al Centro di ricerca di orticoltura e florovivaismo (Crea-of) di Pescia durante un incontro sul tema “Il vivaismo olivicolo tra norme e qualità: innovazione, qualificazione e competitività della filiera olivicola”. Questo «progetto monofiliera» parte dalla constatazione, da un lato, che l’olivicoltura toscana, spesso ubicata «in aree collinari e pedecollinari con elevate pendenze e presenza di ciglioni/terrazze» e dai costi di gestione elevati «sia per la coltivazione che per la raccolta», ha visto ridurre considerevolmente gli ettari coltivati dal 2000 al 2015. Ma, dall’altro, fa leva pure sulla consapevolezza della disponibilità del «maggior centro di produzione di giovani piante di olivo» (a Pescia), di un’ampia gamma varietale autoctona (oltre 80 varietà), di varietà certificate virus esenti e di un sistema di certificazione dell’olio Igp. 
Vi potranno partecipare aziende vivaistiche, aziende agricole produttrici, impianti di trasformazione (frantoi), associazioni e reti aggregative, soggetti specializzati nel marketing e la comunicazione del prodotto. Insomma, come ha detto il direttore di Coldiretti Pistoia Simone Ciampoli durante l’incontro, «è un vero e proprio progetto integrato di filiera». Il bando non è ancora uscito, ma il contributo del pif, è stato spiegato, sarà tra un minimo di 150 mila euro e un massimo di 2 milioni e 250 mila euro. Dal punto di vista della singola impresa partecipante, come ci ha detto Michele Bellandi, il contributo minimo regionale sarà di 5 mila euro e pari al 40% dell’investimento, per cui quest’ultimo dovrà ammontare ad almeno 12 mila 500 euro. Si tratta di vedere adesso come risponderanno all’appello le imprese della filiera olivicolo-olearia del territorio pesciatino e più in generale pistoiese.  
«E’ un piano integrato di filiera che Coldiretti propone – ha detto a Floraviva il direttore di Coldiretti Pistoia Ciampoli al termine dell’incontro - sulla scorta anche di una collaborazione ormai consolidata con gli enti di ricerca, Crea, Cnr, Università di Firenze ma anche della Tuscia: un gruppo di lavoro che si è già costituito in precedenza con l’esperienza di altri pif vivaistici e che ha dato buone risposte. Oggi per raccogliere un’esigenza che nasce principalmente dagli olivicoltori, proprio dai produttori di olive e di olio, si rende necessario creare questo pif, che ovviamente, parlando di filiera, inizia dalla parte vivaistica, dalla qualità della piantina di olivo, perché, come hanno detto anche i relatori nel convegno di questa mattina, è proprio dal vivaio che parte la qualità della produzione dell’olio. Per cui si educa in vivaio la pianta che poi sarà una buona produttrice di olive e conseguentemente di olio. Il pif è aperto a tutti gli olivicoltori interessati, Coldiretti e non solo…».
…avete già un capofila o ancora è presto?
«Lo stiamo discutendo. Saremo noi che seguiremo questo progetto, ma è solo un tecnicismo che poi valuteremo».
Ecco, prendendo spunto da questo progetto, ci può illustrare un po’ l’idea di olivicoltura che avete in mente?
«La nostra olivicoltura si basa esclusivamente sulla distintività. L’olivicoltura toscana non può essere altro che ancorata certamente a una base tradizionale, legata ai territori, al nostro ambiente, alle nostre colline, a quella che è l’immagine del made in Tuscany, che chiaramente dovrà essere qualificata anche con il supporto del miglioramento delle tecniche di coltivazione che la scienza ci offre, ma che comunque si dovrà porre come obiettivo un alto standard qualitativo. E questo si ottiene lavorando bene con le varietà autoctone ben tenute. Bisogna anche pensare ad aumentare la produzione, perché uno dei grossi problemi che noi abbiamo è quello di crescere in termini di livelli produttivi. La Toscana ha una grande richiesta di olio, di olio toscano, che però spesso e volentieri non riesce a soddisfare. E allora si innescano tutte quelle vicende che possono essere legate alle imitazioni, all’Italian sounding o alle piraterie, se non di peggio».
Dunque mi par di capire che la qualità per voi non sia scontata e vada perseguita, ma questo si può fare anche con impianti un po’ più intensivi oppure no? Quale è la vostra posizione nel merito?
«Noi siamo per un’olivicoltura tendenzialmente tradizionale, perché comunque olio toscano vuol dire anche salvaguardia di un territorio e di un paesaggio toscano. Se noi si perde l’identità anche culturale e territoriale, si è perso tutto».
Quindi volete che si produca anche a costi magari un po’ più alti vendendo però a prezzi maggiori, questo è il vostro modello?
«Sicuramente è quello. Anche perché la sfida dei costi di produzione per l’Italia è perdente in ogni caso, quindi bisogna unire questo valore della qualità dell’olio - che per l’amor di Dio allo stato attuale c’è, ma è sempre migliorabile e incrementabile -  a una qualità che è data anche dai territori che lo esprimono. Non a caso si ricerca l’olio toscano dop o igp, perché non è che si vende esclusivamente il sapore di quell’olio, ma si vende anche il territorio che c’è dietro, l’immagine per il cliente-consumatore che vuole olio toscano perché pensa all’immagine della Toscana. Noi questo dobbiamo salvaguardarlo, perché c’è anche un valore ambientale e di tutela dei territori in questo percorso».
 
Lorenzo Sandiford

innesto, olivi, floraviva, ricerca, vivaismo

Una giornata di studio dedicata a innovazione, qualificazione e competitività della filiera olivicola: questo venerdì 7 luglio al CREA-OF di Pescia. Un'occasione di incontro tra il mondo della ricerca e il settore del vivaismo olivicolo per stimolare un dibattito sulle problematiche di settore e cercare possibili soluzioni.

Il settore vivaistico è il punto di partenza per una olivicoltura di qualità. La competitività delle produzioni è strettamente collegata alle scelte operate in pre-impianto, tenendo presente l’ambiente di coltivazione e la selezione di materiale vivaistico di qualità. Partire da piante qualificate è il passaggio fondamentale per creare una filiera produttiva in linea con la qualità, con la sostenibilità ambientale e con la sicurezza alimentare.
L’adozione di tecniche e tecnologie innovative per la gestione degli impianti di coltivazione è determinante per garantire una elevata sostenibilità ambientale ed economica nell’olivicoltura moderna.
La giornata di studio vuole essere occasione per un incontro fra il mondo della ricerca e il settore del vivaismo olivicolo al fine di stimolare un dibattito sulle complesse problematiche del settore, confrontarsi e approfondire le possibili soluzioni.
Il programma dettagliato della giornata:
8.30 Iscrizione.
9.00 Saluti: Assessore Regionale all’Agricoltura Marco Remaschi; Direttore IVALSA-CNR Mauro Centritto; Responsabile CREA-OF Pescia Gianluca Burchi; Presidente Coldiretti Pistoia Michela Nieri; Presidente Consorzio Olio Toscano IGP Fabrizio Filippi.
9.30 Inizio lavori, moderatore Gianluca Burchi- CREA-OF Pescia.
9.30 L’esperienza del Progetto Integrato di Filiera “3S Eco-nursery Smart Specialisation Strategy", capofila Marco Romiti Vivai.
9.45 Il progetto Eco-Nursery: Il vivaismo olivicolo. Raffaella Petruccelli, IVALSA-CNR.
10.00 Le nanotecnologie come strategia “verde” nella radicazione dell’olivo: tecniche in via di sperimentazione. Sandra Ristori, Cristina Gonnelli, Ilaria Clemente (Università di Firenze).
10.20 Tecniche e tecnologie per aumentare l’efficienza irrigua nel vivaismo olivicolo. Daniele Massa, CREA-OF.
10.35 – 10.50 Coffee break.
10.50 Certificazione genetico-sanitaria: tecniche genetiche. Tommaso Ganino, Università di Parma
11.05 Certificazione genetico-sanitaria: Le procedure regionali per la certificazione delle piante di olivo. Nella Oggiano, Servizio Fitosanitario Regionale-Regione Toscana.
11.25 Scelte varietali per una nuova olivicoltura. Giorgio Bartolini, IVALSA-CNR.
11.40 Progetto Integrato di Filiera 2017 “Olio Toscano in Filiera”. Michele Bellandi, Coldiretti Pistoia.
11.55 Progetti Integrati di Filiera. Dirigente Regione Toscana, Gennaro Giliberti.
12.00 Dibattito sulle principali problematiche del settore olivicolo. Modera Direttore Coldiretti Pistoia, Simone Ciampoli.
13.30 Chiusura lavori.
 
Redazione

olio, produzione mondiale, COI, floraviva

Per il Consiglio Olivicolo Internazionale si profila uno scenario mondiale da scarsità dell'offerta di settore, viste le produzioni e le scorte in calo, complici le flessioni produttive di Spagna e soprattutto Italia. La nuova Interprofessione punta allora ad un maggior impegno di tutta la filiera.

Il Coi, in base alle proprie stime prevede per la campagna 2016-2017 una produzione mondiale «in sofferenza», in particolare nei Paesi con una storica tradizione olivicola. 
Il bilancio dell'Italia è infatti negativo: perso quasi il 60% rispetto al 2015 con una produzione attestata sulle 190 mila tonnellate. Anche la Grecia con 180 mila tonnellate subirà un taglio del 43%, mentre il Portogallo con 76 mila tonnellate registrerà una flessione del 32%. Decisamente meno drastico il caso della Spagna, che conta su quasi un milione e 300 mila tonnellate, ma ha comunque riportato un calo dell'8,5%.
La situazione non è migliore sull'altra sponda del mar Mediterraneo, dove Tunisia e Marocco, rispettivamente con 100 mila e 110 mila tonnellate, hanno assistito ad una netta riduzione delle loro produzioni.
Il ridimensionamento della quantità di materia prima ha provocato un generale aumento dei prezzi, deprimendo così anche i consumi (-4,3%). I dati del Coi sul settore rappresentano un campanello d'allarme per Angelo Cremonini, presidente del Gruppo olio d'oliva di Assitol, che sottolinea come l'intera filiera sia chiamata ad un maggiore impegno per rivitalizzare il settore. Il riferimento è innanzitutto alla nuova organizzazione interprofessionale che, costituita da qualche settimana, deve far sentire la propria voce e chiamare a un maggiore impegno tutta la filiera dell'olio made in Italy. 
La nuova Interprofessione punta alla costruzione di una strategia comune, capace di dare finalmente voce alle proposte e alle esigenze del mondo olivicolo-oleario. Assitol intende fare la propria parte e si augura che il ministero delle Politiche agricole possa dare il proprio via libera al riconoscimento della struttura. L'Associazione confida inoltre in un rapido ed oculato utilizzo dei fondi del Piano olivicolo nazionale, la cui operatività è frenata dalle complesse procedure burocratiche. 
 
Redazione