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Ognissanti 2022 - mercati dei fiori

Prevalgono i segni meno nei principali mercati dei fiori italiani. Al Mefit di Pescia giro d’affari generale del periodo pre-Ognissanti calato del 3% rispetto al 2021, con i crisantemi che valgono il 40% del totale. Nel mercato di Sanremo continuano a diminuire i crisantemi (pari al 30% del totale del periodo), ma il giro d’affari generale cresce del +10/15% grazie all’ascesa delle fronde verdi. Al mercato di Terlizzi, il più ricco di fiori made in Italy e dove il crisantemo vale il 70% del giro d’affari in questo periodo, ulteriore accelerazione del trend negativo iniziato 2 anni fa, con molti fiori invenduti in platea. Anche a Ercolano «vendite al di sotto dell’anno scorso e degli altri anni». [Foto del mercato di Terlizzi il 29 ottobre fornita dal direttore Caputo] 

 
Come è andata quest’anno l’importante fase che precede Ognissanti e la festa dei morti per la floricoltura italiana? Mentre escono le prime valutazioni e fotografie di esponenti delle associazioni di categoria agricole, Floraviva ha provato a chiederlo ai direttori di alcuni dei maggiori mercati dei fiori italiani, vale a dire, da Sud a Nord: quello di Terlizzi in Puglia, di Ercolano in Campania, di Pescia in Toscana e di Sanremo in Liguria. 
Un’occasione per gettare uno sguardo anche oltre la contingenza prefestiva su alcuni aspetti di questi centri per il commercio all’ingrosso di fiori e piante. Ovviamente, per la prevalenza quando non l’esclusività come merce trattata, ci siamo concentrati unicamente sull’andamento delle vendite all’ingrosso di fiori recisi. Con in primo piano i crisantemi, che sono i protagonisti del periodo. 
 
Mercato di Pescia
La prima tappa è il Mercato dei fiori della Toscana – città di Pescia (Mefit), l’azienda speciale del Comune di Pescia in provincia di Pistoia che gestisce il commercio di fiori e piante all’ingrosso presso l’imponente struttura mercatale di via Salvo d’Acquisto. Ciò non solo e non tanto per prossimità geografica con l’editore, ma anche perché il Mefit ha già fornito ieri, tramite una nota alla stampa del direttore Gianluca Incerpi, un esplicito resoconto dell’andamento del mercato in questo pre-Ognissanti 2022. 
Partiamo dunque dai suoi dati principali, ricordando che al Mefit le due settimane che precedono la festa dei morti e Ognissanti valgono un giro d’affari pari a oltre il 10% del giro d’affari annuale. Ebbene Incerpi ha stimato quest’anno nelle due settimane precedenti a Ognissanti: un giro d’affari totale pari a -3% rispetto a quello del 2021, un calo del -6,7% circa delle quantità di «crisantemi multiflori» vendute (da 1.825.000 a 1.703.000 steli, per lo più della varietà spider) e un incremento dei prezzi all’ingrosso dei «crisantemi uniflora», la tipologia di fiore più utilizzata in Italia per la commemorazione dei defunti, da +5 a +15 centesimi a stelo. 
Riguardo alle altre specie di fiori, si legge ancora nella nota del direttore del Mefit, «le rose sono diminuite di 150.000 steli rispetto al 2021 con prezzi all’ingrosso pressoché stabili; i lilium (gigli) con una diminuzione di 28.000 steli; le orchidee Dendrobium con una diminuzione di 20.000 steli; le orchidee Cymbidium con un decremento delle quantità di 11.000 fiori, a causa della diminuzione delle produzioni in Olanda dovuto all’aumento dei costi energetici e con prezzi in notevole aumento; in generale con i prezzi che sono aumentati nei confronti dell’anno precedente. Da segnalare anche la diminuzione dell’offerta di gerbere, con quantità diminuite di circa 10.000 steli».
In sintesi, scrive Incerpi, «il mercato ha quindi assorbito un afflusso di merce leggermente inferiore al 2021, stazionario quello proveniente dalla Toscana, ed in diminuzione quello dal sud Italia e dall’estero; ma si conferma ancora un punto nodale importante di distribuzione per le regioni del centro nord d’Italia».
Entrando più nell’analisi delle dinamiche del periodo, la nota spiega che «quest’anno la produzione dei crisantemi ha risentito dell’aumento dei costi di coltivazione, a partire dal costo delle piantine, per arrivare a quello dei prodotti chimici. Per fortuna il clima mite e sereno di ottobre, con temperature minime quasi sempre superiori a 15 gradi e con illuminazione costante, ha fatto risparmiare in costi energetici, non essendo stato necessario riscaldare ed illuminare artificialmente le serre. La quantità di crisantemi proveniente da produzione locale toscana transitata sul nostro mercato si è mantenuta all’incirca sulle stesse posizioni dello scorso anno con piccole diminuzioni per alcune aziende, sono diminuite, invece, le quantità provenienti dal sud Italia e dalla Liguria, con un dato aggregato di circa 2.000.000 di steli». «I produttori di crisantemi che accedono al mercato – continua la nota - si sono dichiarati contenti dell’andamento delle vendite, anche se l’impegno produttivo e le varie fasi dell’attività di vendita, dalla raccolta degli ordini alla consegna del prodotto siano stati più gravosi e stancanti rispetto allo scorso anno. Questo in linea di massima vale anche per i commercianti venditori e per tutti i produttori che coltivano gli altri fiori, e tutti sono concordi nella speranza che i consumatori finali acquistino i loro prodotti floricoli da donare ai propri cari mancati».
Questo il quadro della situazione tracciato nella nota di ieri. Oltre a ciò, il direttore Gianluca Incerpi aveva riferito venerdì scorso al cronista di Floraviva qualche altro dato e fenomeno di quest’anno. Innanzi tutto, ci aveva precisato che in valore la percentuale dei crisantemi (sommando Multiflora e Uniflora) nelle vendite di queste due settimane dell’anno al Mefit è di circa il 30/40% del giro d’affari del periodo. Inoltre che la diminuzione di quantità di orchidee Dendrobium arrivate al Mefit, via Olanda, era dovuta a problemi specifici di produzione in Thailandia, da dove vengono importate. 
Rispetto poi alle conseguenze del caldo, Incerpi, dopo aver ricordato che normalmente «le consegne ai grossisti partono il 18 ottobre e si concludono il 24/25 ottobre, mentre per i dettaglianti e gli ambulanti iniziano quando finiscono quelle dei grossisti», ha spiegato che «quest’anno è successa una cosa particolare: essendo caldo, quelli che hanno il chiosco ai cimiteri e i piccoli ambulanti, privi di frigoriferi, hanno avuto il problema di stoccare la roba per via del caldo. Quindi hanno fatto le prenotazioni e hanno ritirato il prodotto da oggi (28 ottobre) perché non avevano la possibilità di tenerli in frigo». Tutto ciò ha inciso negativamente sulla qualità dei fiori? ci sono state segnalazioni in tal senso? Incerpi ha risposto di no e che l’effetto principale è stato il risparmio dei produttori per non aver dovuto riscaldare, anche se «per il maggior irraggiamento solare hanno dovuto stare attenti a ombreggiare, perché il crisantemo ha bisogno di ombra, di buio».
 
Mercato di Sanremo
Come sono andate invece le cose al Mercato dei fiori di Sanremo in provincia di Imperia? Lo abbiamo chiesto sabato scorso al direttore Franco Barbagelata, che ci ha subito rassicurato che sostanzialmente già il 29 ottobre, a tre giorni dalle festività di Ognissanti e dei Morti, «i giochi sono chiusi» riguardo all’andamento delle vendite di crisantemi al mercato di Sanremo, perché «la nostra – ha detto Barbagelata - non è una forte zona di consumo e di produzione» di crisantemi e «quello che si fa va tutto al Nord Est, quindi non è che li possiamo mandare lunedì mattina: sarebbe tardi».
Chiarito questo, Franco Barbagelata ha spiegato anche che «la produzione di crisantemi per Ognissanti su Sanremo si è molto ridotta. Dal Covid in avanti c’è stato un fortissimo calo, in quanto era un po’ un appannaggio delle persone anziane e dei vecchi coltivatori, che continuavano la tradizione del crisantemo, che poi spesso viene venduto direttamente sul campo, neanche sul mercato». «Adesso – ha ribadito il direttore del mercato dei fiori di Sanremo - la produzione è molto ridotta e grossa parte di quella che viene prodotta si concentra appunto su acquisti sul campo, qualcosa va sui magazzini, pochissimo sul plateatico per non dire niente e una parte da noi in deposito». 
Quanto pesa percentualmente il crisantemo sulle vendite del periodo precedente a Ognissanti a Sanremo? «Può essere un 30% - ci ha risposto il direttore Barbagelata -, perché tenga conto che Sanremo ormai è quasi tutta votata all’esportazione, avendo trovato degli articoli che funzionano molto bene. Per noi questo è un po’ l’inizio della stagione: cominciano ad arrivare i primi ranuncoli, i primi anemoni e siamo concentrati su quella che sarà la stagione invernale». Tra l’altro, ha aggiunto, «io vedo anche che c’è la tendenza a non comprare più i crisantemi per Ognissanti», si comprano sempre di più altri fiori. 
Ma, al di là del fatto che non contano più tantissimo, i crisantemi sono diminuiti quest’anno nel mercato dei fiori di Sanremo rispetto all’anno scorso? «Sì, sì dal Covid in avanti il discorso della coltivazione del crisantemo si è ridotto di molto. I produttori sono passati a colture di maggior reddito. E quindi hanno abbandonato il crisantemo. Perché da noi era prodotto solamente per la vendita di una settimana: da noi mediamente veniva venduto dal 23/24 di ottobre al 28/29 ottobre, quindi capisce che il rischio che qualcosa vada male è elevatissimo e i produttori si sono orientati su colture che diano un respiro commerciale un pochino più ampio». Il crisantemo che viene commercializzato a Sanremo è tutto italiano o anche importato? «Mediamente quello che arriva sulla piazza di Sanremo e sul deposito è tutto italiano – ci ha risposto Barbagelata -. Le zone di produzione ormai sono Toscana, Liguria, Puglia e Campania. Direi che siano queste. Qualcosa comincia ad arrivare da Paesi come la Spagna, ma per adesso è ancora molto molto poco». 
Riguardo al fatto che questo periodo ormai non è quindi più così essenziale per il mercato dei fiori di Sanremo, il direttore ci ha spiegato che «ormai la produzione si è orientata sulle produzioni di pregio destinate all’esportazione. E non solamente di fiore reciso, ma soprattutto di fronda verde». Esportano «principalmente ranuncoli, papaveri e anemoni. E poi ci sono almeno 30/40 tipi di fronda verde fra cui la mimosa, la ginestra e gli eucalipti che vendono molto e che negli ultimi anni hanno avuto un incremento di prezzo notevole portando parecchi floricoltori a riprendere la coltivazione e piantarne di nuove. Quindi è un momento abbastanza positivo per noi, al di là dei costi elevati di produzione, che sono aumentati per tutti». 
Se teniamo conto di queste ultime produzioni, ha spiegato il direttore del Mercato dei fiori di Sanremo, l’andamento anche in questo periodo è stato positivo: «direi 10/15% in più di contrattazione sulla spinta dell’esportazione. Abbiamo avuto un’estate molto positiva e ora ci sono già i primi ordini sulla stagione invernale che fanno ben sperare in quella che potrebbe essere una stagione buona nonostante il periodo». Questo riferimento è alle fronde verdi, che hanno prezzi in un trend al rialzo e «questo consente ai produttori di recuperare qualcosa al di là dei costi generali che sono aumentati». 
 
Mercato di Terlizzi
Con riferimento al Mercato dei fiori di Terlizzi in provincia di Bari, «ormai il più importante d’Italia» per la quantità e varietà di fiori made in Italy (pugliesi ma anche di altre regioni del Sud Italia) commercializzati, come ha rivendicato con orgoglio il responsabile Filippo Caputo, Floraviva ha sentito sabato 29 ottobre sia l’assessore comunale alle attività produttive, comprese agricoltura e floricoltura e mercato dei fiori, di Terlizzi Michelangelo De Palma, sia appunto Filippo Caputo, direttore de facto del mercato. Lì, come ci ha spiegato quest’ultimo, la risposta definitiva sull’andamento di quest’anno non era possibile darla di sabato, perché contano anche i tre giorni finali. Ma ieri non siamo riusciti a ottenere ulteriori aggiornamenti. È comunque interessante riportare quanto ci è stato riferito sabato scorso prima dall’assessore De Palma la mattina sul presto e poi un po’ più tardi, con in mente anche l’andamento del 29 ottobre, dal direttore Caputo. 
«Confrontando i dati con quelli dello scorso anno, anche se non sono del tutto confrontabili perché lo scorso anno c’era comunque un clima particolare, subito dopo il periodo del Covid, per cui in qualche modo i dati erano un pochettino falsati – ha detto l’assessore all’agricoltura Michelangelo De Palma -, quest’anno in termini di volumi c’è una chiara riduzione rispetto all’anno scorso». E anche l’anno scorso non era stato positivo, per cui si può parlare di «trend decrescente negli ultimi 2 anni». L’assessore non ci ha specificato la percentuale di decremento e ha ricordato che bisognava aspettare l’andamento degli ultimi 2/3 giorni per una risposta definitiva. Ha inoltre segnalato che i prezzi dei fiori in vendita erano più alti dello scorso anno, ma «senza un arricchimento dei produttori di base, perché è tutto chiaramente collegato ai rincari di energia e delle materie prime» e questi ultimi sono aumentati «più che proporzionalmente». 
«Ho sentito in questi giorni anche il parere degli acquirenti – ha aggiunto De Palma -, perché sono loro il termometro della situazione e anche loro mi hanno raccontato che nei pressi dei cimiteri stanno avendo difficoltà, nel senso che la merce si vende poco e chi la compra avverte l’impatto del prezzo maggiorato».
L’assessore all’agricoltura del Comune di Terlizzi ha concluso sostenendo che: «è l’intero settore florovivaistico che vive una fase di contrazione importante. Il Covid ha determinato la contrazione dei consumi. Poi subito dopo il Covid c’è stato un nuovo entusiasmo e tutto ciò che non si era celebrato prima si è celebrato in un periodo che è stato una vera e propria bolla, tra eventi, battesimi, matrimoni e comunioni e così via. Dopo di che il mercato si è stabilizzato e purtroppo si è stabilizzato al ribasso. Poi l’incremento dei costi di energia ha fatto sì che al ribasso si associasse anche un aumento dei costi di produzione. Quindi il momento non è per niente facile».
Ancora più nere le valutazioni del direttore Filippo Caputo, sentito mentre si trovava al mercato di Terlizzi. Ha esordito ricordando che il crisantemo vale in questo periodo circa il 70% delle contrattazioni del mercato: «vengono trascurati in questa settimana, o meglio diciamo da metà ottobre, gli altri fiori: le rose o magari altri tipi di fiori che servono per eventi come matrimoni o compleanni. Ci si concentra sul crisantemo oppure sul Lilium, che è un classico fiore che si porta al cimitero». 
Come stanno andando le cose? Quest’anno, ci ha spiegato, c’è molto più invenduto. A fine contrattazioni nella platea del mercato ci sono ancora molti crisantemi. E poi si verificano episodi come quelli di fiorai abituati a prendere la merce qui al mercato per poi pagare i produttori solo dopo aver venduto i fiori ai consumatori finali, che non sono in grado di pagare i produttori perché non sono riusciti a vendere. Caputo non sa dare una percentuale precisa del calo delle vendite rispetto all’anno scorso, ma azzarda: «è drasticamente peggio, anche un -50%». E i prezzi che erano leggermente aumentati quest’anno, in realtà sabato scorso hanno incominciato a calare per la difficoltà di vendere e l’avvicinarsi della festività. Fenomeno che succede ogni anno, ma in proporzioni minori. 
La causa principale del calo di vendite, ha osservato Caputo, è il carovita: «il fiore non è un bene primario quindi sta succedendo che nei cimiteri la maggior parte delle persone preferisce comprare fiori finti ed è una cosa bruttissima da vedere». Unica consolazione la qualità: «è ottima – dice - ma il crisantemo non ha mai avuto grossi problemi». Riguardo poi alle tipologie, Caputo sottolinea che a Terlizzi ci sono tutte le varietà e non ce n’è una prevalente sulle altre.
I fiori venduti sono per la maggior parte italiani, pugliesi in primis ma anche provenienti da altre regioni vicine del Sud Italia, ma vengono commercializzati a Terlizzi anche piccole percentuali di fiori stranieri. «Abbiamo una platea fatta di 2500 mq tutta destinata a produzione locale – spiega Caputo -, ma poi abbiamo alcuni box coi prodotti d’importazione: saranno 600/700 mq di superficie di commercializzazione all’ingrosso che viene dall’estero».
 
Mercato di Ercolano
Molto più sintetiche le risposte di Salvatore Colonna, il direttore del Mercato dei fiori di Ercolano, sentito il 28 ottobre. «Non abbiamo ancora i dati – ci ha subito detto -. Posso dirle che c’era una grossa incognita per i Santi e non ci sono stati grandi risultati. In linea di massima è un “ni”». In che senso? «Nel senso che i consumi si sono comunque ridotti e la provincia ha tirato perché le tradizioni del cimitero sono rimaste un po’ in provincia. Qualcosa all’estero, inteso come Francia e altri Paesi europei, ha tirato: hanno comprato qualcosa, perché l’Olanda ha i suoi problemi e quindi di riflesso si sono approvvigionati al Sud, in Campania o in altre regioni dove c’è la produzione di fiori recisi. Questo è il quadro». Colonna ha aggiunto che «la qualità c’è, perché la luce c’è stata, le temperature sono state buone. Quindi la qualità del fiore reciso è stata buona. C’è stato qualche impatto del clima sulle programmazioni: alcune colture ne hanno risentito, fra chi ha avuto crisantemi molto più precoci e chi non riesce a produrre in tempo per i Santi e i Morti, insomma il clima ha condizionato un poco questi programmi». Però nonostante questo la qualità è buona? «Sì, in generale la qualità è buona». E le vendite come sono andate? Sono state un po’ inferiori a quelle dell’anno scorso? «Sì: al di sotto dell’anno scorso e degli altri anni».
 

Lorenzo Sandiford

All’incontro “Sanremo è floricoltura” uno spaccato del comparto florovivaistico ligure d’interesse nazionale. Gianfranco Croese: «i prezzi delle fronde dal 2019 sono cresciuti dal +15% al +60/70% a seconda delle varietà». Anna Asseretto sul progetto sull’Echeveria da fiore reciso e sul mercato delle piante in vaso. Stefano Alì su come ha innovato la coltivazione di ranuncolo. Andrea Mansuino sull’importanza dell’ibridazione. Paolo di Massa sui «rumors» di riduzioni produttive olandesi del 30% per il caro-energia che potrebbero aprire spazi ai liguri e sul campo sperimentale di lavanda. Il direttore del Mercato dei fiori di Sanremo Barbagelata: nostro fatturato salito del 40% dalla pandemia; ma il presidente di Amaie Gorlero: bolletta elettrica da 35 mila euro di luglio 2021 a 130 mila di luglio 2022. Riccardo Jannone (IRF): avremo laboratorio sulla Xylella e studiamo l’impatto dei cambiamenti climatici sulle piante nei prossimi anni. Marco Savona sulla nuova piattaforma biotecnologica del CREA OF di Sanremo e sulle vie della sostenibilità in floricoltura. Il presidente del Distretto florovivaistico della Liguria De Michelis sull’attuale impossibilità di fare totalmente a meno della chimica.

«La floricoltura non è assolutamente finita. Me lo dicono da quando sono bambino, ma io vedo ancora un lungo percorso: per renderlo più solido dobbiamo fare qualcosa di diverso da quanto abbiamo fatto fino a ieri, con scelte coraggiose».
Con questa dichiarazione finale nel segno del bicchiere mezzo pieno del sindaco di Sanremo Alberto Biancheri, noto imprenditore del settore florovivaistico, si è concluso l’incontro “Sanremo è floricoltura – workshop sul presente e il futuro del fiore alla luce delle nuove sfide economiche ed ambientali” tenutosi lunedì scorso al Museo Civico di Sanremo con diretta streaming. Un appuntamento articolato in una prima parte di testimonianze di aziende del settore floricolo ligure e in particolare della provincia di Imperia, in un focus sul mercato dei fiori di Sanremo, in una finestra sui principali soggetti deputati alla ricerca e alla sperimentazione (l’IRF – Istituto Regionale per la Floricoltura e il CREA Orticoltura e Florovivaismo di Sanremo) e in una tavola rotonda finale. Ecco alcuni dei temi emersi durante l’incontro d’interesse non strettamente ligure.

Cinque testimonianze aziendali dalla provincia di Imperia
Ad aprire le testimonianze delle imprese florovivaistiche di Sanremo è stato Gianfranco Croese di Florcoop Sanremo, che ha oggi più di 1500 soci e 130 dipendenti, 18 ettari coltivati direttamente, 15 mila mq dedicati alla logistica. Una realtà economica che nel 2021 ha raggiunto un fatturato di 28,3 milioni di euro così ripartito: 18,3 mln per fiori e fronde, 4,9 mln per le piante in vaso, 4,3 mln per mezzi tecnici per l’agricoltura e il resto per agroalimentare e altro.
Croese, dopo aver sinteticamente ricordato come nacque la cooperativa e i suoi dati principali, ha parlato della “riscoperta delle fronde” scattando una fotografia dell’evoluzione di questo comparto dal 2019 a oggi (30 di settembre 2022), con riferimento in particolare alle quantità e i prezzi delle varietà principali per la sua cooperativa. «Buona parte del nostro fatturato – ha esordito – è dato proprio dalle fronde». I prodotti principali sono Eucalyptus cinerea, Eucalyptus parvifolia, Eucalyptus stuartiana, Ginestra, Ruscus, Pittosforo e la Mimosa. «Questi prodotti – ha reso noto Croese – dal 2019 a oggi hanno avuto un incremento di prezzo dal +15% al +60/70% e per la quantità abbiamo avuto una notevole richiesta ma l’andamento è stato meno lineare per la difficoltà del reperimento del prodotto, perché la richiesta è sempre molto forte, ma in base alla reperibilità non sempre si riesce ad assolvere alla domanda. E i prezzi sono la prova dell’alta domanda».
Croese si è poi soffermato sulla questione dell’età media alta dei produttori e di come sono intervenuti per favorire il ricambio generazionale dei soci attirando nuove leve fra i giovani in cerca di lavoro. Grazie anche a misure ad hoc del Psr dal 2018 a oggi c’è stata una lieve tendenza al miglioramento con l’insediamento di diversi giovani. Croese ha poi descritto le modalità di istruzione (tramite coppie tecnico - floricoltore esperto) dei nuovi soci per favorire una produzione il più possibile di qualità e uniforme all’interno della cooperativa. Infine, ha anticipato che sul fronte dello sviluppo, c’è un progetto riguardante la coltivazione di piante in vaso per il fiore reciso di Viburno opulus (palla di neve) che prevede la programmazione di protocolli di condizionamento per mezzo di stress caldo/freddo al fine di anticipare la produzione. «Stiamo cercando di anticipare la raccolta – ha spiegato Croese – in periodi di alta richiesta del mercato», cioè di raggiungere il mercato in momenti in cui la produzione attraverso meccanismi normali non ce la farebbe.
sanremosucculenta2La seconda testimonianza, su “Le succulente in vaso e da reciso”, è stata di Anna Asseretto di AG Sanremo, vivaio specializzato in cactus e succulente, con oltre 200 varietà di piante grasse e un intero settore dedicato alle piante da collezione e i cactus rari. Dopo aver tracciato la storia aziendale e aver ricordato di rappresentare la 4^ generazione dell’impresa familiare ma che è già presente in azienda anche la 5^, ha raccontato che 2 anni fa è stata coinvolta dall’Istituto Regionale per la Floricoltura (IRF) di Sanremo per un progetto sull’Echeveria da fiore recisosia per bouquet che per altre composizioni floreali. Il Distretto florovivaistico della Liguria ha seguito la parte commerciale, ha spiegato Anna Asseretto, mentre lei la produzione e l’IRF una ricerca sulla durata del prodotto dopo la raccolta. «L’idea era che i coltivatori seguissero anche questo prodotto che non comporta la pressione di altri prodotti floricoli nel momento della raccolta – ha aggiunto -. Siamo oltre un centinaio di aziende sul territorio della provincia. C’è molta collaborazione fra noi e abbiamo potuto ampliare la produzione sul territorio. Le aziende più grandi esportano in Europa e al di fuori dell’Europa, ma senza l’aiuto di alcuni floricoltori specializzati in alcune varietà particolari non potrebbero farlo. Abbiamo una collaborazione con programmazione del prodotto sul territorio e questo è un vantaggio importantissimo».
Riguardo all’andamento di mercato, Anna Asseretto ha detto fra l’altro che «quest’anno per il settore delle piante in vaso c’è stato un momento difficile perché è venuta a mancare l’esportazione dell’Olanda, che è nostro cliente importatore, nei paesi dell’Est, a seguito del conflitto. E anche in altre zone hanno ridotto le coltivazioni perché è rimasto molto prodotto invenduto. Questo a primavera, ma poi è arrivato il caldo e il ridotto consumo di acqua per cui le nostre piante sono state ricercate perché hanno meno bisogno di acqua».
Poi è stata la volta del floricoltore Stefano Alì, che ha parlato della sua specializzazione, “Il re dei fiori di Sanremo: il ranuncolo”. Alì ha ricordato come ha trasformato la sua azienda familiare da old style, con 1000 piante a terra da cui se ne raccoglievano 500, in un vivaio con un «sistema di coltivazione tutto in fuori suolo, distaccato da terra, in pochissimo substrato, con limitazione di acqua e pesticidi». Con questi metodi, ha detto, oggi di ranuncoli ne producono molti di più e di maggiore qualità: «conferisco tutta la merce al mercato dei fiori di Sanremo, così mi concentro solo sulla coltivazione e sul portare il prodotto migliore possibile al mercato». Con le nuove tecniche di coltivazione, ha aggiunto Alì, «le irrigazioni si gestiscono col telefono e abbiamo diverse avversità del ranuncolo che possono essere combattute anche con insetti antagonisti o funghi, senza chimica». Insomma è coltivare ranuncoli così è diventato «un lavoro appassionante» e «non solo sacrificio» come un tempo.
È seguita la relazione di Andrea Mansuino, dell’omonima azienda, sul tema “Ibridazione e innovazione varietale: l’importanza della nostra floricoltura”, in cui ha ricordato che la floricoltura italiana e ligure sono apprezzate all’estero, tant’è che ad esempio è invitato a parlare della ibridazione italiana a un appuntamento internazionale a Bogotà la prossima settimana. «Il miglioramento genetico non arricchisce solo gli ibridatori ma crea economia e sviluppo per tutta la filiera – ha concluso Mansuino dopo aver illustrato un albero genealogico degli ibridatori italiani di garofano -, perché per i produttori avere prodotti innovativi e protetti da brevetti ecc. è fondamentale».
L’ultima testimonianza imprenditoriale è stata di Paolo di Massa, uno dei titolari dell’azienda Diemme Fiori specializzata nell’import-export di piante ornamentali, fiori freschi verdi e freschi recisi e fiori secchi, nonché presidente di Ancef (Associazione nazionale commercianti esportatori di fiori). Il titolo del suo intervento era “Nuovi prodotti, logistica e sostenibilità”. «L’azienda è divisa in due settori – ha detto Paolo di Massa -: un’azienda tradizionale di export e una per la grande distribuzione. La parte export vende i prodotti di Sanremo, che sono ranuncoli, anemoni, fronde, papaveri e molto altro e hanno sempre una presa internazionale incredibile. Si prospetta un inverno positivo, se rispecchia l’estate, ancor più perché ci sono dei rumors secondo i quali in Olanda non verranno piantati i quantitativi di una volta, causa spese esagerate legate ai costi dell’energia (si ipotizza un 30% in meno, se non una riduzione ancora maggiore). Questo potrebbe andare a nostro vantaggio perché producendo in un clima più caldo siamo favoriti. Speriamo che ci sia questa ricaduta positiva in Italia». «Negli ultimi 3, 4 anni – ha aggiunto - abbiamo aggiunto il fiore secco che ci ha dato la possibilità di aumentare i fatturati, di rendere la stagione un po’ più lunga. Fortunatamente i floral designer ritengono interessanti anche le composizioni miste con fiori secchi e fiori freschi». Riguardo alla grande distribuzione, ha detto, «ci siamo concentrati su commercializzare 3 prodotti totalmente naturali: un profumatore alla lavanda, un profumatore alla menta e i mazzi di lavanda secca». Sono bio e in un paio di anni anche il packaging sarà riciclabile nel compostabile. Dopo aver richiamato tutte le azioni intraprese sul fronte della sostenibilità, Paolo di Massa ha parlato anche del lato produzione della sua azienda e della decisione di fare un campo sperimentale di lavanda con l’obiettivo di capire in 3 anni esattamente la resa. Divulgheranno i risultati e, se sarà interessante, realizzeranno un profumatore alla lavanda a km 0. E la lavanda, ha osservato, richiede poca acqua per la lavanda e consente la riqualifica di alcuni terreni in discesa dove potrebbe essere piantata.

Il punto sul mercato dei fiori di Sanremo
Un importante contributo alla filiera del fiore ligure, accanto a quello dei floricoltori e dei commercianti, arriva dal mercato dei fiori di Sanremo. Sullo stato di salute di questo mercato hanno parlato il direttore Franco Barbagelata e Andrea Gorlero, presidente di AMAIE Energia. «Questa mattina del 17 ottobre comincia il periodo dei santi e dei morti e sul plateatico c’erano 2 persone, uno che esponeva la merce e uno che consegnava – ha esordito il direttore Franco Barbagelata -. Quindi il lavoro fatto negli ultimi 20 anni per il deposito fiori è stato fondamentale, perché senza quello ci sarebbe poca floricoltura sul mercato. In questi anni siamo riusciti a creare una rete di servizi, puntando alla qualità del prodotto, alla fatturazione diretta e alla garanzia dei pagamenti, che ci ha permesso di essere competitivi e di riuscire a lavorare con circa 200 articoli sul deposito. E avere un’asta con anemoni e ranuncoli che ci consente di guardare al futuro in modo positivo». «I dati – ha proseguito Barbagelata – sono incoraggianti: dagli anni della pandemia a oggi abbiamo aumentato il nostro fatturato del 40% arrivando a 10 milioni di euro di fatturato. Abbiamo passato un’estate positiva, con aumento delle vendite e abbiamo ora un autunno che si sta prospettando interessante, perché c’è molta richiesta dal mondo del commercio, c’è una buona produzione, c’è un andamento quindi molto positivo, anche se resta l’incognita dei costi, che sono aumentati molto, soprattutto per le aziende piccole. Aumenti che calcoliamo intorno al 30%. La bolletta energetica sta diventando un incubo, come sappiamo anche noi del mercato con i costi dei frigoriferi». In ogni caso, ribadisce, «siamo riusciti a uniformare il mercato: parlo soprattutto dei pagamenti e della qualità dei prodotti», visto che «noi paghiamo a 30 giorni e ogni soggetto che voglia entrare in questo settore del fiore reciso deve stare ai nostri termini se vuole accaparrarsi una quota di mercato». Sul futuro del mercato dei fiori di Sanremo si è espresso invece l’Avv. Andrea Gorlero, che si è soffermato tra l’altro sulle problematiche della struttura mercatale, un edificio di 35 anni, e su quelle dei costi energetici legati ai frigoriferi. «A luglio del 2021 – ha detto – abbiamo pagato 35 mila euro più Iva, quest’anno siamo a 130 mila euro al mese e a settembre siamo scesi a 95 mila. A questi livelli di costi non si regge. Tanto è vero che nel piano che stiamo presentando ipotizziamo un intervento fotovoltaico di 1300 kw, altrimenti non ci si fa». E per il futuro saranno necessari investimenti cospicui sulla struttura che necessiteranno del supporto pubblico e quindi del PNRR: «dove noi contiamo di partecipare a 3 bandi – ha precisato Gorlero –, oltre a quello del sisma bonus».

Strutture per la ricerca in floricoltura
Riccardo Jannone, direttore reggente dell’Istituto Regionale per la Floricoltura (IRF), che promuove, realizza e coordina le attività di ricerca e sperimentazione nel comparto floricolo ligure, ha innanzi tutto illustrato la storia e le funzioni dell’IRF, fra le quali in primo piano l’attività diagnostica e di micropropagazione. A questo proposito, ha annunciato che è stato «attivato il percorso per diventare laboratorio certificato sulla Xylella».
Sul fronte del PNRR, l’IRF ha presentato domande di finanziamenti per il recupero di varietà storiche di margherite da taglio e di lavanda. Inoltre sarà presentato nei prossimi giorni un progetto sulla sostenibilità, cioè per un’agricoltura di precisione o 4.0 in cui tramite il controllo di software ad hoc si riducono gli input chimici delle coltivazioni e anche la quantità di acqua utilizzata.
Oltre al problema ricorrente della diffusione di organismi patogeni, per contrastare la quale sono cruciali diagnostica e monitoraggio, ha fatto sapere Jannone, si lavorerà alla genetica pensando agli scenari del clima nei prossimi 20 anni: «collaboriamo con un istituto a Savona che fa scenari climatici e lavoriamo con loro per capire su che tipi di specie dovremo puntare nei prossimi anni – ha detto Jannone -. Abbiamo già verificato ad esempio che l’aumento delle temperature ha inciso sull’Eucaliptus cinerea che si è essiccata in qualche caso, cioè le piante non avevano malattia ma sono morte di caldo».
Infine, il dott. Marco Savona, ricercatore del CREA Orticoltura e Florovivaismo di Sanremo intervenuto in sostituzione di Barbara Ruffoni su “La sostenibilità in floricoltura: il ruolo della ricerca”, ha innanzi tutto illustrato come è strutturato il Centro di Ricerca Orticoltura e Florovivaismo, che ha a livello nazionale 123 dipendenti di cui 31% ricercatori tecnologi e 29% personale tecnico, e quali sono le specializzazioni delle sue 4 sedi, con quello di Sanremo dedicato principalmente allo sviluppo di nuovi materiali genetici attraverso approcci convenzionali e innovativi (biotecnologie, tecniche di evoluzione assistita) per il miglioramento di qualità e produttività, nonché della resistenza/tolleranza agli stress biotici e abiotici; al recupero, mantenimento e valorizzazione di specie e varietà autoctone; all’innovazione di prodotto mediante selezione dei genotipi più adatti a filiere innovative. Nel maggio di quest’anno, ha ricordato Savona, sono stati inaugurati i nuovi laboratori potenziati di biologia molecolare e biochimica e per la coltura di tessuti in vitro del CREA OF di Sanremo: una «piattaforma biotecnologica per implementare la ricerca nel settore della floricoltura e delle aromatiche» (vedi) che è stata illustrata in dettaglio.
Come farà la floricoltura e più in generale l’agricoltura a vincere la sfida della sostenibilità? Le strade sono sostanzialmente due, ha spiegato Savona: a) una floricoltura molto specializzata e tecnologica oppure b) una floricoltura molto “naturale”, cioè biologica. Questo significherà diffondere «tecniche di coltivazione aggiornate e/o naturali», produrre «fiori multifunzionali», «nuove filiere da gestire in modo sostenibile», «recupero degli scarti«» ed «economia circolare». E Savona si è soffermato con un’apposita slide sulle «innovazioni che permettono di coltivare ovunque»: serre con luci LED, idroponica, sensori a controllo da remoto.



L’incontro si è chiuso con una tavola rotonda a cui sono intervenuti, fra gli altri, il sindaco di Sanremo Alberto Biancheri, l’assessore all’agricoltura della Regione Liguria Alessandro Piana, il presidente dell’IRF Gianluca Boeri e il presidente del Distretto florovivaistico della Liguria Luca De Michelis. Quest’ultimo, con riferimento alle politiche europee del Green Deal, ha detto che gli agricoltori e i floricoltori avranno necessità di sostegno, perché pur essendo abbastanza avanti sulla via della sostenibilità hanno ancora bisogno di un po’ di chimica. Farne completamente a meno sarebbe «come andare in guerra con la racchetta da tennis».

Lorenzo Sandiford

Al convegno dei Georgofili del 29 settembre su “Olivicoltura oggi e domani: tradizionale, intensiva, superintensiva” dati sull’olivicoltura italiana e spunti dalla ricerca e dai professionisti su che cosa fare per aumentare la produzione di olio di oliva made in Italy. L'intervento di inquadramento dello stato dell'arte dell'olivicoltura italiana del prof. Riccardo Gucci, il prof. Franco Famiani su alcune ricerche su come accorciare i tempi per arrivare alla piena produzione degli impianti intensivi, le sperimentazioni di impianti ad alta densità in Sicilia del prof. Tiziano Caruso con gli ottimi risultati della cultivar Calatina, l'appello di Aleandro Ottanelli a insistere nella ricerca di cultivar italiane adatte alla raccolta meccanica in continuo, l'invito di Alessandro Tincani a non trascurare l'importanza della valorizzazione degli impianti esistenti e la visione del rilancio dell'olivicoltura nazionale di Vincenzo Nisio a partire anche da alcune esperienze in Campania.    


L’uso di piante di olivo di 2 anni per l’impianto e la combinazione di diversi trattamenti (irrigazione, fertirrigazione, biostimolanti) riduce significativamente il tempo per raggiungere la piena produzione di un uliveto intensivo: da 7/10 anni a 5/7 anni. Una risposta significativa a una delle principali criticità per l’olivicoltore che intende puntare sull’olivicoltura intensiva: il tempo necessario perché l’investimento dia i suoi frutti.
nativeolea2È uno dei risultati che sono stati presentati il 29 settembre a Firenze al convegno organizzato dall’Accademia dei Georgofili sul tema “Olivicoltura oggi e domani: tradizionale, intensiva, superintensiva. Opportunità e criticità a confronto nei vari contesti” (vedi). Risultato non ancora definitivo che è stato illustrato dal prof. Franco Famiani, docente di Arboricoltura generale e coltivazioni arboree all’Università di Perugia, nella sua relazione intitolata “Scelte e tecniche per massimizzare l’efficienza dei nuovi oliveti”. Un intervento nel corso del quale, trattando il capitolo del rinnovamento/ampliamento degli oliveti - che per Famiani vede in lizza tre modelli prevalenti: intensivo con 280-400 piante a ettaro, superintensivo più di 1500 piante/ha, intensivo ad alta densità 800/1200 piante/ha -, ha affrontato anche la principale problematica dell’olivicoltura superintensiva o ad alta densità: il fatto che per adesso le cultivar di olivo più adatte siano straniere, vale a dire le spagnole Arbequina e Arbosana e la greca Koroneiki. Ebbene dalle sperimentazioni in Italia illustrate da Famiani è emerso che le cultivar italiane che paiono migliori, secondo vari parametri, per l’olivicoltura superintensiva e intensiva ad alta densità sono il Leccio del Corno, il Maurino, il Piantone di Mogliano e la FS17, le quali comunque «sembrano soprattutto adatte a impianti ad alta densità». La relazione di Famiani si è conclusa con l’affermazione della prospettiva futura di un’olivicoltura italiana «definita al plurale», con diversi modelli olivicoli che devono coesistere tra loro, che darebbe «più flessibilità» al comparto. E con l’osservazione che attraverso pratiche agronomiche ad hoc, basate su ripensamento della potatura e sulla meccanizzazione, si possono ottenere recuperi di produzione altissimi anche negli oliveti tradizionali.
Ma sono stati tantissimi gli spunti venuti fuori durante il convegno, che è stato introdotto dal saluto in remoto del presidente del Collegio nazionale dei Periti agrari Mario Braga e moderato dalla consigliera dell’Accademia dei Georgofili Federica Rossi (Istituto per la Bioeconomia del CNR) e dal delegato del Collegio dei periti ai rapporti coi Georgofili, Lorenzo Venturini.
A cominciare dalla relazione introduttiva del prof. Riccardo Gucci, georgofilo, ordinario di Coltivazioni arboree dell’Università di Pisa e presidente dell’Accademia Nazionale dell’Olivo e dell’Olio, che ha inquadrato le problematiche dell’incontro. Gucci ha fra l'altro ricordato che la produzione di olio a livello mondiale negli ultimi 30 anni è raddoppiata perché altrettanto ha fatto il consumo di olio. Solo che l’Italia non ha saputo sfruttare questo trend di lungo termine, visto che negli ultimi anni è in una tendenza lievemente calante e difficilmente riesce a superare il livello di 350 mila tonnellate di olio di oliva annuali. Come fare per cambiare rotta e mettere meglio a frutto il quasi milione di ettari di oliveti che abbiamo? «Una delle cose da fare – ha detto Gucci – è aumentare la densità degli impianti». Bisogna passare da situazioni di 50/100 piante a ettaro a densità molto maggiori, anche se, come ha specificato, «densità di impianto non è sinonimo di intensificazione colturale», che dipende anche dalla forma di allevamento, dalla meccanizzazione e l’irrigazione ecc. Per Gucci negli oliveti tradizionali possiamo migliorare la situazione tramite rinfittimenti, irrigazione e sistemazioni agrarie, ma non è possibile rilanciare la produzione nazionale solo agendo sugli oliveti tradizionali: è necessario anche «pensare ad altri modelli e passare alla meccanizzazione della raccolta». Tra l’oliveto tradizionale e il superintensivo ci sono tante possibilità intermedie da valutare a seconda dei contesti che Gucci ha passato in rassegna: l’oliveto intensivo, che ha una densità tra 280 e 550 alberi ad ettaro, nessuna limitazione varietale, raccolta meccanica con vibro-scuotitori del tronco e buona produttività; l’oliveto intensivo ad alta densità, con 550/1000 alberi/ha, forme in parete, elevato investimento iniziale, raccolta meccanica laterale e alta produttività; l’oliveto superintensivo, con densità di oltre 1000 alberi a ettaro, limitazioni varietali e di pendenza del terreno, raccolta meccanica in continuo con scavallatrici, investimento elevato di durata inferiore, forme di allevamento a parete o siepe, elevata produttività. Gucci si è anche soffermato anche su altre esigenze dell’olivicoltura di oggi, oltre a quella della produttività, fra cui ad esempio la riduzione dell’impatto ambientale e la resistenza ai cambiamenti climatici e alle nuove emergenze fitosanitarie. Dopo aver riassunto le criticità e i punti di forza della nostra olivicoltura e aver evidenziato l’importanza, spesso trascurata, della qualità del suolo anche in questo comparto, ha concluso sostenendo che «bisogna produrre di più con meno» o «meglio con più conoscenza e consapevolezza» e che «nel rinnovo dell’olivicoltura è prioritario il mantenimento della identità e tipicità delle nostre produzioni, pur garantendo alle aziende di effettuare in piena libertà le proprie scelte» (vedi anche nostra intervista).
Aleandro Ottanelli, perito che opera presso l’Università di Firenze, nella sua relazione “Modelli colturali e adattabilità delle cultivar alla raccolta meccanica in continuo, esperienze in Toscana, ha esordito ricordando che la raccolta delle olive incide per il 52% nei costi di produzione dell’olivicoltura tradizionale delle colline fiorentine. Non solo, la raccolta incide anche nella qualità del prodotto finale, soprattutto con riferimento alla tempistica. Per questo la raccolta meccanica in continuo è da sempre una delle massime aspirazioni e sono stati fatti molti tentativi negli ultimi decenni anche in Toscana. Sono state fatte verifiche sull’adattabilità delle cultivar toscane al sistema di raccolta in continuo, ad esempio a Siena. Le cultivar toscane che hanno dato risultati migliori, in un oliveto da 1.094 piante a ettaro, sono state Maurino con quasi 70 quintali di olive a ettaro e Leccio del Corno con circa 60 quintali, dati inferiori agli oltre 80 quintali a ettaro di un impianto di Arbequina da 1600 piante/ha. Ulteriori sviluppi sono in corso di analisi in relazione a nuove macchine raccoglitrici e «probabilmente delle risposte arriveranno dal miglioramento genetico» delle cultivar, ha detto Ottanelli, che ha chiuso con un appello a insistere nella ricerca di nuove varietà di olivi italiane adatte alla raccolta meccanica in continuo.
“Sistemi di impianto, cultivar e macchine: interazione imprescindibile per il rilancio dell’olivicoltura” era il titolo dell’intervento del prof. Tiziano Caruso, ordinario di Coltivazioni arboree e docente di Olivicoltura presso l’Università di Palermo. Dopo aver sottolineato che, nonostante la sintonia fra gli studiosi di olivicoltura per molti aspetti, non mancano alcune piccole differenze legate alle caratteristiche dei territori e delle rispettive olivicolture, ha esordito dicendo che per sviluppare nuovi modelli d’impianto bisogna partire da un’analisi dei destinatari, cioè degli olivicoltori italiani. In Italia, ha ricordato Caruso, attualmente prevale la piccola proprietà (da 1 a 3 ettari) e c’è un’ampia base varietale («noi abbiamo certificato 199 varietà»), anche se il 70% dell’olio è circoscritto a circa 15 cultivar principali, mentre il restante 30% da circa 30 cultivar minori. Inoltre abbiamo 40 marchi di riconoscimento Ue: Dop/Igp/Biologico. L’attuale modello di riferimento di oliveto è rappresentato da impianti intensivi a bassa densità fino a 250 alberi/ha, con alberi di grandi dimensioni dalla chioma superiore a 100 mc. Su quali oliveti puntare per rilanciare l’olivicoltura italiana? Vie d’innovazione possibili che sta sperimentando da tempo in Sicilia puntano sull’alta densità (400/700 piante/ha, con altezza di 3,5 m e architettura della chioma 2D, cioè a parallelepipedo) e sull’altissima densità (700/1000 alberi/ha, con altezza di 3 m, architettura della chioma 2D) e sulla raccolta in continuo con macchine scavallatrici di nuova generazione che agiscono per bacchiatura/flagellazione della chioma su piante in 2D. Il punto è che all’aumentare della densità di piantagione si riduce il numero di cultivar adatte. Da varie sperimentazioni condotte in Sicilia, come illustrato da Caruso nel suo intervento, è emerso che la cultivar Calatina, una varietà minore di Caltagirone, è quella su cui puntare per impianti intensivi di tali generi nel territorio siciliano. Il prof. Caruso ha concluso con una slide sugli oliveti del futuro: dovranno essere basati su «cultivar deboli, a fruttificazione precoce, altamente produttive, con rami flessibili, procombenti» e dovranno essere gestiti «in sistemi di impianto intensivi a media/alta/altissima densità, pedonali e possibilmente a 2 dimensioni» (parallelepipedi). 
La relazione del perito agrario Alessandro Tincani, “Prospettive future: la valorizzazione degli impianti esistenti”, ha messo in discussione l’idea che la realizzazione di impianti ad alta densità sia la strada da privilegiare per il rilancio dell’olivicoltura italiana. A suo parere «i nostri territori non sono facilmente adattabili a certi impianti» e gli oliveti ad alta densità presentano diverse criticità: il numero limitato di varietà adattabili, la riduzione della biodiversità, la maggiore sensibilità ai ristagni idrici e alle gelate primaverili, i più elevati fabbisogni idrici e la maggiore suscettibilità ad alcune patologie (ad esempio la formazione di rogne), oltre alla sottrazione di terreni agricoli destinati ad altre coltivazioni. Tincani ha tra l’altro affermato che in Spagna solo l’1% dei terreni olivicoli hanno impianti da 2.000 e più piante/ha e solo il 4% superano le 1.000 piante/ha, quindi è ben lungi dal vero che lì prevalga l’alta densità. Per Tincani è dunque essenziale valorizzare gli impianti esistenti sia attraverso il recupero degli oliveti abbandonati sia attraverso una più corretta gestione agronomica che preveda: razionale potatura a intervalli regolari, corretta gestione del suolo, tecniche di microirrigazione localizzata e la meccanizzazione della raccolta. Per lui l’olivicoltura di domani si baserà su una coesistenza ed equilibrio fra alta densità e impianti classici.
Infine, dopo la relazione di Famiani già richiamata, è intervenuto in remoto, il perito agrario Vincenzo Nisio, sul tema “Esperienze su nuovi impianti e valorizzazione dei vecchi impianti olivicoli – Campania e non solo”. Nisio, dopo aver riferito la curiosità che la Puglia ha un patrimonio di circa 60 milioni di olivi cioè uno per ogni cittadino italiano, ha riassunto in queste cifre l’olivicoltura italiana: l’olivo è presente in 18 regioni d’Italia per un totale di 250 milioni di piante su una superficie di 1 milione di ettari. La produzione media di olio di oliva negli ultimi anni è stata di circa 300 mila tonnellate all’anno, con un export pari a 200 mila tonnellate e un consumo di 800 mila tonnellate. A caratterizzare la nostra olivicoltura, ha aggiunto, è la «presenza di impianti tradizionali, con elevata età delle piante, coltivazione prevalentemente in asciutto, scarsa meccanizzazione della raccolta», e quindi «costi di gestione elevati» e «impianti non più sostenibili economicamente». Come rilanciare la nostra olivicoltura? Innovazione del sistema produttivo, qualità del prodotto, promozione e comunicazione al consumatore, dice Nisio, che richiama le seguenti necessità agronomiche: «cultivar con breve periodo improduttivo, elevata e costante produttività, resistenza alle principali fitopatie, meccanizzazione integrale della raccolta, buone caratteristiche qualitative dei prodotti». Riguardo alle prospettive dell’impianto super intensivo, ha riferito un esempio di impianto intensivo di 3 ettari nella zona di Caserta con cultivar spagnole da 2 mila euro a ettaro di costo di produzione e 1,5 euro al kg di olio. Tuttavia la qualità non è eccelsa e queste varietà straniere potrebbero portare alla diminuzione della biodiversità italiana. Per Nisio in Italia dobbiamo puntare all’eccellenza. Abbiamo un patrimonio genetico di oltre 500 cultivar di olivo, dalle quali si potrebbero ricavare potenzialmente 500 extravergini diversi certificati. «Abbiamo la necessità di accrescere il valore aggiunto dei prodotti oleari di eccellenza che produciamo in Italia», dice Nisio, che conclude indicando comunque la possibile strada di «procedere a un processo di intensificazione dell’olivicoltura (intensivo) soprattutto nei distretti olivicoli che ricadono in aree fertili e irrigue e dove la giacitura permette la raccolta meccanizzata».

Lorenzo Sandiford

In primo piano al Memorial Vannucci  2022 a Pistoia, sia nell’intervento di Emanuele Sacerdote che nell’intervista di Luca Telese ad Albiera Antinori, il tema del buon ricambio generazionale nelle imprese familiari (agricole e non solo). Sacerdote: il rapporto fra senior e junior da top-down a top-to-top. Antinori sulla presenza simultanea di 3 generazioni in azienda, sulla scelta del trust, sulla possibilità di accogliere in azienda le differenti vocazioni individuali e sui percorsi di carriera pianificati coi consulenti.

Il tema sempreverde del buon passaggio di testimone da padri a figli in seno alle imprese familiari, agricole e non solo, in evidenza all’ultimo Memorial Vannucci, tenutosi al Pistoia Nursery Campus sabato scorso. È stato il filo rosso dell’intervista di Luca Telese ad Albiera Antinori, presidente di Marchesi Antinori, impresa leader del settore vitivinicolo, ma è emerso con forza anche nella relazione introduttiva dello scrittore e imprenditore Emanuele Sacerdote del 9° Forum “Grandi imprese familiari italiane”, su cui era centrata la prima parte del Memorial Vannucci. Alla quale sono intervenuti, sempre intervistati da Telese, due imprenditori che hanno saputo fare innovazione quali Enrico Loccioni e Gianfausto Ferrari.
Ma il tema è in parte affiorato anche nel saluto iniziale del “padrone di casa” Vannino Vannucci, titolare della principale azienda del Distretto vivaistico ornamentale di Pistoia. Il quale ha ricordato che dai suoi genitori Franca e Moreno Vannucci, che insieme al nonno Vannino hanno dato vita alla Vannucci Piante e ai quali è intitolato il Memorial, «abbiamo ereditato molto» io e mia sorella Monica. «Abbiamo ereditato un’azienda sana e solida – ha proseguito Vannino Vannucci - ma soprattutto valori che quotidianamente cerchiamo di estendere a tutti i nostri collaboratori. Su questi valori di “famiglia”, onestà, umiltà e sincerità, abbiamo sempre basato le nostre scelte e fino ad ora non ce ne siamo mai pentiti». E ciò senza rinunciare ad allargare lo sguardo a una dimensione che va oltre i confini familiari e abbracciando la dimensione della “comunità aziendale” olivettiana, che «significa partecipare ad un percorso di crescita, dove sono coinvolti i dipendenti, i collaboratori, i gruppi di lavoro, i fornitori ed anche le rispettive famiglie» e a cui «sono chiamate a partecipare anche le istituzioni, le associazioni e le organizzazioni di vario tipo».
Ma che cosa ha detto Emanuele Sacerdote, fondatore della boutique di consulenza strategica Soulside, sul ricambio generazionale nel suo discorso dedicato ai concetti di «family business e futuro»? Il punto chiave per Sacerdote, che è stato invitato al Forum anche in quanto autore di un suo libro proprio sui passaggi generazionali intitolato Il futuro erede – conversazione sulla continuità dell’azienda familiare (Il Sole 24 Ore 2022), è stato ben espresso parlando della questione fondamentale delle «prossime generazioni». Per Sacerdote deve cambiare «il rapporto che c’è fra i senior e i junior» nelle aziende familiari. «Oggi questo rapporto – ha detto – è un rapporto top-down: i senior dicono ai junior più o meno quello che devono fare. In futuro ci dovrà essere un rapporto più livellato, un rapporto di top-to-top. E questo sostanzialmente appagherà quello che è il cambiamento inevitabile di un passaggio generazionale, perché, sembra banale da dire, se non c’è un passaggio generazionale l’azienda non continua. E quindi nella logica della capacità dell’azienda italiana di essere molto longeva questo sarà un fattore molto importante».
Di passaggi generazionali e longevità se ne intende la famiglia Antinori, la cui storia nel settore del vino risale al 1385, ha ricordato Luca Telese, ma quella familiare risale «ad ancora un po’ prima, al 1180», come puntualizzato da Albiera Antinori, ospite d’onore e vincitrice del premio principale del Memorial Vannucci 2022. «Io rappresento la 26esima generazione – ha aggiunto la presidente di Marchesi Antinori – e oggi abbiamo tre generazioni che lavorano in azienda: quella di mio padre, che ha 84 anni, quella nostra, siamo tre sorelle, e quella dei ragazzi che stanno piano piano entrando in azienda ora. È molto bella questa cosa delle tre generazioni insieme, perché i nonni passano ai nipoti qualcosa che i genitori fanno più fatica a trasmettere. Sono dinamiche interessanti. E poi c’è tanto da fare per cui è bene che incomincino a correre in giro per il mondo ad aiutare quelli che incominciano ad essere un pochino più stanchi».



Per Telese la famiglia Antinori «è l’archetipo del modo in cui una famiglia si può rinnovare ed evitare quel difetto che hanno spesso alcune famiglie, che perdono la scintilla». Un primo aspetto, ha sottolineato il giornalista, è questo appena descritto della «simultaneità» e «trasmissione della memoria per via diretta». Un altro è «la continua volontà di fare il salto evolutivo». E da questo punto di vista un’altra data importante è il 1971, quando si incominciò a produrre un vino diverso: «un vino adatto al gusto del tempo». Il riferimento è al Tignanello, che è stato il primo Sangiovese ad essere affinato in barriques, il primo vino rosso moderno assemblato con varietà non tradizionali (quali il Cabernet), e tra i primi vini rossi nel Chianti Classico a non usare uve bianche.
Ma, tornando alla trasmissione familiare dei valori aziendali, Albiera Antinori ha risposto a Telese che la prima volta che ha percepito qualcosa del genere è stato a 6 anni. «Le parole famiglia e azienda – ha spiegato – sono molto mescolate per me. I valori ti vengono trasmessi fin da piccolo e senza pensare al fatto che poi il figlio andrà in azienda. Sono dei fondamenti che fanno parte dell’educazione che poi si trasformano in temi più aziendali». E quale è il primo di questi insegnamenti? «Che tu riceverai questa terra – ha risposto – ma che non sarà mai tua, che dovrai occupartene, migliorarla e soprattutto passarla alla generazione successiva, che nel frattempo deve essere formata».
Ma, ha chiesto Telese, non c’è il rischio di essere schiacciati da questi padri forti, potenti capitani d’industria? Avere un uomo di 84 anni che ancora oggi tutti i giorni va in azienda e comanda come si fa? «Assolutamente sì – dice Albiera Antinori – ci rimette in riga tutti i giorni guardando con attenzione quello che succede… Come si fa? Sono delle dinamiche che si devono digerire. Noi siamo tre femmine, quindi abbiamo avuto il vantaggio di non avere un prescelto per principio, abbiamo avuto la possibilità come donne di metterci in gioco, lavorare e portare il nostro contributo. Ogni generazione porta il suo contributo, che non può e non deve essere uguale a quella precedente. Ma bisogna avere chiaro dove l’azienda deve andare a lungo termine, l’obiettivo deve essere chiaro e tutti devono lavorare in quella direzione».
Ma, ha spiegato Telese, non c’è solo trasmissione ereditaria di conoscenze e valori, perché la famiglia Antinori a un certo punto ha deciso di creare una struttura in grado di garantire la prosecuzione della missione, se fosse necessario, anche contro i desideri della famiglia: vale a dire un trust che stabilisce la missione per i prossimi anni. «Questo – ha chiosato Telese - è stato davvero un salto di modernità incredibile. Come ci siete arrivati?». Nel 2012, ha risposto Albiera Antinori, in contemporanea con l’inaugurazione della cantina innovativa del Bargino, che apriva le porte ai visitatori di tutto il mondo con una nuova formula, «ci siamo posti il problema, o meglio il ragionamento, di come fare per essere sicuri che la direzione, la solidità e tutti quei valori non potessero essere messi in discussione. Abbiamo scelto, dopo lunghe riflessioni, la formula del trust, un trust a 90 anni appunto. Una scelta forte, perché per una famiglia di lunga tradizione, latina, lo spossessarsi completamente… è stata presa in un momento in cui non avevamo bisogno di prenderla e più facile perché eravamo noi tre e i ragazzi erano giovani e quindi sono cresciuti sapendo che così era. Ma la cosa che ci ha permesso di prendere questa decisione è il senso di stewardship che si diceva prima. Siamo cresciuti sapendo che così doveva essere: prendo, miglioro e passo, e il trust ha anche questa funzione».
Altro aspetto delicato posto da Telese è quello della libertà dei figli, che magari desiderano fare qualche altra cosa. «Le aziende familiari – ha detto Albiera Antinori – se impostate in un certo modo hanno la possibilità di prendere le passioni e le caratteristiche particolari dei membri che ci lavorano dentro e metterle ad uso dell’azienda. Quindi, faccio un esempio, a me è sempre piaciuta l’architettura e l’arte contemporanea e negli ultimi 15 anni abbiamo costruito mi sembra 11 o 12 cantine, alcune molto innovative» e sostenibili.
con l’ultima generazione, i giovani di 20, 30 anni, così diversi da voi e appartenenti all’epoca digitale, come viene gestito il rapporto? «Hanno tra i 25 e 29 anni – ha spiegato la presidente di Marchesi Antinori -. Sull’inserimento dei giovani in azienda ci sono molte teorie e ogni famiglia deve trovare la sua strada. Sono andati a studiare fuori, hanno lavorato fuori. Noi abbiamo come regola che almeno 2 anni o 3 devono poter lavorare fuori in aziende che non sono legate alla nostra famiglia. Quindi hanno fatto la loro esperienza». Una figlia si occupa di viticoltura ed enologia, un altro figlio di marketing in un’azienda familiare in Cile, e il figlio di una sorella ha studiato a Milano e ora si occupa della parte logistica. «Piano piano entrano – ha aggiunto -. Abbiamo fatto tutto uno studio, un percorso con loro, con dei consulenti ovviamente, di condivisione sulle strade da percorrere. Loro sono una generazione che vogliono avere chiaro dove si va, non è più: entro e boh, si vede che succede. Adesso ognuno sa quale è il suo percorso. Poi, saranno in grado di farlo? Hanno dei percorsi di valutazione e si prova. La formula perfetta non c’è mai. Però ci sono delle buone chance di avere un buon team di ragazzi entusiasti, perché è fantastico vedere l’energia e l’approccio al mondo basato anche sul digitale. Sono veloci, sono sensibili, sono giramondo. Quindi è bello ed entusiasmante. Ed è bello che ci sia anche mio padre, come generazione di esperienza, di tranquillità e solidità, che dà le dritte nei momenti difficili».
L’intervista di Telese si è conclusa con la seguente domanda finale: l’impresa familiare, di tradizione artigianale, ha una possibilità di competere nel mondo moderno, diciamo nei prossimi 100 anni? «Io penso di sì – ha risposto Albiera Antinori - perché l’artigianalità, la coltivazione della terra, sono valori fondamentali… il mondo è globale ma nello stesso tempo è sempre più attento alle nicchie e al locale. Quindi le chance ci sono e valori come questi, soprattutto nella nostra regione ma in tutta Italia, sono degli asset che non sono nemmeno misurabili. Quindi credo che abbiamo un futuro roseo a patto che ci organizziamo, studiamo, innoviamo e continuiamo a rimanere solidi sulla strada della qualità».

Lorenzo Sandiford

In evidenza al doppio convegno di Assoverde, Confagricoltura, Società Toscana di Orticultura e Anci Toscana del 7 luglio a Firenze percorsi di certificazione come il nuovo standard di “Gestione sostenibile del verde urbano” e i “Parchi della salute”, ma anche proposte quali il ricorso dei Comuni a manager del verde (prof. Ferrini). L’aggiornamento della vicepresidente della Commissione Agricoltura del Senato Biti sull’iter del ddl Liuni e la fotografia dello stato del vivaismo di Magazzini (Confagricoltura). Il bilancio della giornata di Alberto Giuntoli e di Rosi Sgaravatti.
 

I Comuni dovrebbero dotarsi di manager del verde. È la proposta avanzata da Francesco Ferrini, docente di Arboricoltura dell’Università di Firenze e presidente del Distretto vivaistico di Pistoia, al termine della giornata di confronto interamente dedicata al verde, e soprattutto al verde pubblico urbano e ai suoi benefici per la salute, organizzata il 7 luglio a Firenze presso Villa Bardini da Assoverde, Confagricoltura, Società Toscana di Orticultura e ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani) Toscana (vedi). Un’idea lanciata da Ferrini in risposta all’appello finale ai relatori di fare qualche proposta concreta del presidente della Società ferrinifirenze.jpgToscana di Orticultura Alberto Giuntoli, che moderava la sessione pomeridiana sulla “Gestione sostenibile del verde pubblico”. E che Ferrini ha ribadito e precisato a Floraviva, al termine dell’incontro in cui era intervenuto sia la mattina spiegando in che senso le spese per il verde siano investimenti e non costi, sia il pomeriggio con una relazione sui benefici del verde (vedi la sua analisi sullo stesso tema su Floraviva), con queste parole: «il manager non è necessariamente il responsabile, ma uno che dà le idee, dà gli indirizzi, dà le priorità e che coordina». Serve una figura simile, ha spiegato Ferrini, perché «la ricerca ci dà delle indicazioni precise, che vanno però messe a sistema. Cioè è inutile fare interventi spot uno qua e uno là e non proseguirli, come spesso succede, perché purtroppo non porta i risultati sperati. I risultati si possono ottenere se si mette tutto il verde a sistema: in quel momento si possono vedere realmente i cambiamenti».
Ma tutta la giornata è stata ricca di spunti, a partire dalla prima sessione, a cura di Assoverde e Confagricoltura, che era focalizzata sul tema “La salute e il verde – Il verde e la salute” e sulla presentazione del Libro bianco del verde, la cui prossima edizione, in preparazione, sarà dedicata al progetto “Parchi della salute”. Una sessione a cui sono intervenuti fra gli altri, l’assessore regionale all’agroalimentare Stefania Saccardi (vedi), l’assessore comunale di Firenze Cecilia Del Re, che ha avuto la delega sul verde urbano fino a qualche giorno fa e ha spinto molto bititavorticoltural’acceleratore sull’inverdimento di Firenze (vedi), e la senatrice fiorentina Caterina Biti, vicepresidente della 9^ Commissione permanente (Agricoltura e produzione agroalimentare). A quest’ultima, che nel suo intervento ha sottolineato il cambiamento di mentalità avvenuto a Firenze negli ultimi anni riguardo al verde, adesso «visto come un investimento per il futuro», Floraviva ha chiesto a che punto è l’iter del ddl Liuni di riforma del settore florovivaistico (vedi). «La Commissione ha lavorato molto in fase di istruttoria – ha risposto – con un buon clima, come accade su tanti provvedimenti in cui riusciamo davvero a lavorare al di là delle posizioni politiche e partitiche al servizio dei temi. Il florovivaismo è un ambito importante per il nostro Paese e la nostra Regione è un’eccellenza in questo. Gli emendamenti sono stati presentati e aspettiamo il parere del Governo, per poi riprendere…». Quindi dipende dal Governo? «In realtà dipende anche dal relatore e dalla Commissione – ha replicato - perché è ovvio che i pareri del Governo sono importanti per avere cognizione di causa su cosa è più fattibile e su cosa è meno fattibile. Dopo di che l’indirizzo politico è del Parlamento e quindi sta anche al relatore insieme alla Commissione, perché il senatore La Pietra sicuramente ha queste capacità di collaborazione, di portare a casa un risultato che tenga tutto insieme». Quando arriverà il responso del Governo? «Continuiamo a sollecitare, perché siamo pronti e vogliamo dare entro la fine della legislatura una risposta a questo settore così importante».
Al centro della sessione della mattina è stato comunque il progetto Libro bianco del verde, che, come sottolineato da Confagricoltura, è nato per promuovere un cambiamento nei modi di intervenire nel settore del verde, rendendo la natura protagonista delle città e creando una rete tra tutti gli operatori (pubblici e privati) per condividere obiettivi, individuare priorità e criticità, trovare soluzioni: una rete che costituisca una piattaforma permanente a supporto delle amministrazioni, per ottimizzare le risorse, indirizzare la programmazione e gli investimenti. Ma rappresenta anche un’occasione per accrescere la consapevolezza del valore che parchi, giardini, aree verdi, pubbliche e private, hanno per la qualità della vita e il benessere psico-fisico dei cittadini. E investire nel verde porterebbe indubbi vantaggi all’economia e all’occupazione del Paese, permettendo di rilanciare un settore come quello del florovivaismo, in cui l’Italia, e in particolare la Toscana, è assolutamente protagonista e ha tutte le caratteristiche per giocare un ruolo da leader, se adeguatamente sostenuta. neritavorticoltura«Sono convinto del ruolo da protagonisti che devono avere boschi, foreste e aree verdi nel nostro futuro – ha commentato Marco Neri, presidente di Confagricoltura Toscana –. Sono orgoglioso perché penso che siamo riusciti a dare delle risposte esaurienti alle tante attese che oggi ruotano attorno ai temi della sostenibilità, a partire dal ruolo strategico del verde urbano, dell’abbattimento della CO2, degli effetti che il verde pubblico e privato hanno sul benessere e sulla salute di tutti noi. Sosteniamo quindi con convinzione l’importante messaggio che scaturisce dal Libro bianco: assegnare sempre più attenzione al settore del verde, diventare pionieri del cambiamento».
Scendendo più nel cuore tecnico del lavoro dietro al Libro bianco di Assoverde, Davide Troncon, responsabile Schemi forestali e Biodiversità dell’organismo di certificazione CSQA, ha parlato di quanto si sta facendo sul fronte della certificazione del verde urbano: dal nuovo standard PEFCtm ITA 1001-6 “Gestione sostenibile del verde urbano”, che è nella fase finale della consultazione pubblica sul sito pefc.it, al progetto avviato sui “Parchi della salute”, che sarà anche il prossimo focus del Libro bianco, dopo il primo dedicato ai pini dell’anno scorso (vedi). sistemacertificazioniCome ci ha spiegato a latere del convegno, al nuovo standard sulla gestione sostenibile del verde urbano «manca solo l’accettazione da parte del PFC International, perché questo è un progetto che ha portato avanti PFC Italia, che ha coinvolto varie istituzioni che sono qui presenti e il prof. Francesco Ferrini. Dopo un confronto che è durato circa 2 anni è venuto fuori questo documento [Criteri e indicatori per la certificazione individuale e di gruppo di Gestione Sostenibile del Verde Urbano], che adesso è in consultazione pubblica per cui chiunque può fare commenti» e richieste di correzioni (per ancora pochi giorni). Si tratta di uno standard focalizzato sulla componente arborea degli spazi verdi urbani che è basato su «6 criteri che sono linee guida molto generali, che poi vengono articolate in vari indicatori», ha spiegato Troncon. Ad esempio, il criterio 2 “Mantenimento della salute e vitalità degli ecosistemi” prevede 2.1.a il “Piano di monitoraggio”, 2.2.a la “Programmazione degli interventi di potatura”, 2.2.b la “Pratica degli interventi di potatura” e così via per tantissimi indicatori, che poi gli organismi certificatori potranno controllare. Lo standard “Parchi della salute”, invece, è ancora in fase di costruzione: «stiamo iniziando adesso a raccogliere i requisiti dei vari stakeholder», ci ha riferito Troncon. L’obiettivo è «andare a evidenziare la connessione fra il verde e la salute» con una serie di indicatori misurabili e alla fine avremo uno standard che definirà come si deve fare un parco della salute. Per cui ad esempio avremo che «la casa di cura che ha un terreno agricolo vicino o che magari ha già un parco ma lo vuole modificare, e lo vuole fare secondo determinati criteri che sono quelli del parco della salute, può prendere questo schema, studiarselo e metterlo in pratica, e poi chiamare un ente terzo che lo certifica».
Fra i molti interventi citiamo qui quello in collegamento web del presidente del Comitato per lo Sviluppo del Verde Pubblico e vice capo gabinetto del Ministero della Transizione Ecologica Raffaello Sestini, che ha annunciato un sondaggio fra gli operatori per individuare le principali criticità del settore verde per impostare meglio nuove strategie, e quello di Paolo Bellocci, responsabile della delegazione toscana dell’Associazione Italiana Direttori e Tecnici Pubblici Giardini (40 membri nella nostra regione), che ha sottolineato che in media l’incidenza percentuale delle spese per il verde nei Comuni italiani è solo dello 0,8% dei bilanci comunali e che va fatta salire ad almeno il 2% se vogliamo dare gambe ai piani di forestazione incentivati dal PNRR.
Inoltre vanno richiamati i due interventi della voce dei vivaisti a questo appuntamento. Vale a dire Luca Magazzini, intervenuto in questa occasione nei panni di presidente della Federazione di prodotto “Florovivaismo” di Confagricoltura Toscana e vice presidente della stessa a livello nazionale. magazzinitavorticoltura Nella relazione della mattina, Magazzini ha sostenuto la necessità di mettere le aziende florovivaistiche nelle condizioni di dare una risposta efficace alla domanda di verde implicita in questi piani di inverdimento delle città incentivati dal PNRR. E questo ha a che fare, ad esempio, con l’aiutarle a restare competitive nonostante «il 60% delle molecole in meno a disposizione per trattare i patogeni, che sono aumentati» e nonostante i molti costi che hanno dovuto sostenere per investimenti nel risparmio idrico. Per produrre un albero ci vogliono almeno 5 anni e noi al momento «siamo in grado di garantire il consumo medio privato europeo», per dare una risposta alla nuova domanda di piante legata al PNRR c’è bisogno di forti investimenti da parte delle aziende agricole, a cominciare da quelli in personale qualificato, che scarseggia. Quindi ci vuole un sostegno a tali investimenti. Mentre nel secondo intervento, il pomeriggio, Luca Magazzini ha fra le altre cose descritto l’ultima fase di mercato per il settore vivaistico, che ha siglato di recente il rinnovo del contratto nazionale dei lavoratori del comparto con un aumento medio dei salari del 4,5% e poco prima aveva siglato quello provinciale (e a Pistoia «c’è il costo orario della manodopera più alto d’Italia» in questo comparto, ha osservato Magazzini). Se a questi aumenti aggiungiamo l’incremento dei costi energetici e «l’esplosione dei costi del materiale per la cura delle piante» (con ad esempio i tutori aumentati da «3/4 mila euro a 18 mila euro a container» e difficili da reperire e a prezzi sempre mutevoli) e le difficoltà a trovare trasportatori ecc., è chiaro che l’attività vivaistica sta attraversando una fase complessa. Anche perché, d’altro canto, «l’inflazione rappresenterà un freno per il consumo privato di piante e già ora questo si percepisce nei rapporti con i garden center a livello europeo». E però è vero che il PNRR spingerà repentinamente la domanda di piante delle amministrazioni pubbliche, per cui dovremmo aumentare le produzioni di piante con nuovi investimenti. Insomma il vivaismo si trova «in una condizione difficile», a un punto di svolta in cui è facile sbagliare. Pertanto sarebbe molto positiva una «sintonia» fra tutti gli attori della filiera del verde.
giuntolitavorticolturaTema, quest’ultimo, toccato anche dal moderatore della sessione pomeridiana dell’incontro, il presidente della Società Toscana di Orticultura Alberto Giuntoli, che in uno dei suoi interventi durante la giornata aveva richiamato un esempio interessante di forestazione urbana dall’impatto molto positivo: il parco del termovalorizzatore di Parma, capace di abbattere il doppio delle polveri emesse dal termovalorizzatore. Giuntoli, sentito da Floraviva dopo la fine dell’incontro pomeridiano per un bilancio sugli aspetti più meritevoli d'attenzione venuti fuori, ha dichiarato: «emerge sicuramente che è necessario un confronto. Un confronto fra le aziende che producono, le aziende che realizzano, i professionisti, ma anche gli enti, perché sono poi gli enti i regolatori di questo mercato, sono gli enti che poi fanno i prezzi, che decidono le regole del gioco. Quindi è necessaria la collaborazione fra tutti per arrivare a un verde di qualità, che è l’obiettivo condiviso da tutti e che renderà, speriamo da subito, le nostre città più vivibili, migliori per noi e per le future generazioni. Credo che questo tipo di incontri siano proficui per questo, cioè se da giornate come queste nascono dei confronti reali, dei tavoli di supporto, se nascono delle collaborazioni, delle convenzioni fra associazioni, enti ecc.».
Ma per il bilancio conclusivo di tutta la giornata, Floraviva si è rivolta a Rosi Sgaravatti, presidente di Assoverde. «È stato un convegno interessante, un po’ lungo – ha commentato -. Ce ne sarebbero voluti due per riuscire a sviscerare tutte le problematiche del settore, però è stato molto interessante perché sgaravattifinalmente abbiamo messo dei punti precisi sulla cooperazione, sul miglioramento di tutte le tecniche florovivaistiche, soprattutto sul PNRR e quello che si dovrà fare. Per cui è stata un’iniziativa secondo me positiva: bisogna riflettere adesso e cercare di portare avanti tutti insieme, in modo interdisciplinare, queste nostre istanze e davvero essere uniti per portarle davanti a chi deve decidere». E riguardo alla necessità di trovare spazi per aumentare le produzioni vivaistiche? «In tantissime aree dell’Italia ci sono luoghi abbandonati e di conseguenza aree che possono essere recuperate alla coltivazione, in modo tale che possano inserirsi nella produzione». Ma si riferisce solo al vivaismo forestale o anche a quello cosiddetto ornamentale? «Io direi anche quello ornamentale. Dalla forestale possono venire i semi e le piantine per poterlo fare, scegliendo le specie giuste per il verde urbano e questo è molto importante. Ma poi queste aree abbandonate devono essere coltivate perché questa è la virtù dell’uomo: coltivare vuol dire abitare».

Lorenzo Sandiford

La Commissione Europea ha adottato il 22 giugno una proposta legislativa per ripristinare gli habitat danneggiati e (ri)portare natura in tutti gli ambienti, anche urbani, per contrastare i cambiamenti climatici e la perdita di biodiversità. Budget 100 miliardi di euro. Previsti vincoli per gli Stati UE e misure quali rinaturalizzazione, reimpianto di alberi, rinverdimento delle città, eliminazione dell'inquinamento. Tra gli obiettivi, 0 perdite di spazi verdi urbani entro il 2030 e poi aumento del 5% entro il 2050, copertura arborea minima del 10% in ogni città e guadagno di verde integrato in edifici e infrastrutture; stop al declino degli impollinatori entro il 2030.


Una proposta legislativa «pionieristica» per «ripristinare gli ecosistemi danneggiati e riportare la natura in tutta Europa, dai terreni agricoli e i mari alla foreste e agli ambienti urbani» entro il 2050. Ciò al fine di «evitare il collasso degli ecosistemi e prevenire i peggiori impatti dei cambiamenti climatici e della perdita di biodiversità».
È stata sintetizzata così nel comunicato stampa ufficiale della Commissione Europea (CE) una delle due proposte adottate mercoledì 22 giugno scorso per attuare le strategie cardine del Green deal europeo. (Dell’altra proposta legislativa, riguardante la riduzione dei fitofarmaci, abbiamo già scritto qua).
Questa proposta di ripristino della natura in Europa è particolarmente urgente, fa sapere la CE, dal momento che nel territorio europeo «oltre l'80% degli habitat [sono] in cattive condizioni» e «tra il 1997 e il 2011 la perdita di biodiversità ha rappresentato una perdita annua stimata tra 3.500 e 18.500 miliardi di €». E la valutazione d'impatto della normativa sul ripristino della natura ha dimostrato che i benefici del ripristino superano di gran lunga i costi: «si stima che i benefici economici del ripristino di torbiere, paludi, foreste, brughiere e sottobosco, prati, fiumi, laghi, habitat marini e alluvionali e zone umide costiere siano otto volte superiori ai costi».
Si tratta del primo atto legislativo della Commissione Europea, specifica il comunicato della CE, che «mira esplicitamente a ripristinare la natura in Europa, a riparare l'80% degli habitat europei che versano in cattive condizioni e a riportare la natura in tutti gli ecosistemi, dalle foreste e dai terreni agricoli agli ecosistemi marini, di acqua dolce e urbani. In base alla presente proposta sul ripristino della natura, saranno assegnati a tutti gli Stati membri obiettivi giuridicamente vincolanti per il ripristino della natura in vari ecosistemi, a integrazione delle normative esistenti. L'obiettivo è far sì che le misure di ripristino coprano almeno il 20% delle superfici terrestri e marine dell'UE entro il 2030 e si estendano infine a tutti gli ecosistemi che necessitano di ripristino entro il 2050».  
«La normativa – si legge nel comunicato - porterà ad un livello superiore le esperienze maturate in materia di misure di ripristino della natura, quali la rinaturalizzazione, il reimpianto di alberi, il rinverdimento delle città o l'eliminazione dell'inquinamento per consentire il recupero della natura». E «il ripristino della natura – viene spiegato - non equivale alla protezione della natura e non comporta automaticamente un aumento delle aree protette. Il ripristino della natura è necessario anche nelle zone protette a causa delle loro condizioni sempre più precarie, ma non tutte le aree ripristinate devono diventare zone protette. La maggior parte di esse non lo diventerà, in quanto il ripristino non preclude l'attività economica. Il ripristino consiste nel vivere e produrre insieme alla natura, riportando una maggiore biodiversità ovunque, anche nelle zone in cui si svolge un'attività economica, come ad esempio le foreste gestite, i terreni agricoli e le città».
Il ripristino deve essere realizzato attraverso un processo inclusivo e «avrà un impatto particolarmente positivo su coloro che dipendono direttamente da una natura sana per il proprio sostentamento, compresi gli agricoltori, i silvicoltori e i pescatori». «Gli investimenti per il ripristino della natura – specifica il testo della CE - apportano un valore economico compreso tra 8 e 38 € per ogni 1 € spesograzie ai servizi ecosistemici che favoriscono la sicurezza alimentare, la resilienza degli ecosistemi e l'attenuazione dei cambiamenti climatici, nonché la salute umana. Aumenta inoltre la presenza della natura nei nostri paesaggi e nella nostra vita quotidiana, con benefici dimostrabili per la salute e il benessere nonché un valore culturale e ricreativo».
Verranno fissati obiettivi e obblighi di ripristino in un'ampia gamma di ecosistemi terrestri e marini. La massima priorità va agli «ecosistemi con il maggiore potenziale di rimozione e stoccaggio del carbonio e di prevenzione o riduzione dell'impatto delle catastrofi naturali (come le inondazioni) rivestono la massima priorità». E «la nuova normativa – precisa il comunicato - si basa sulla legislazione esistente, ma riguarda tutti gli ecosistemi senza limitarsi alle zone protette della direttiva Habitat e di Natura 2000, con l'obiettivo di avviare il percorso di recupero di tutti gli ecosistemi naturali e semi naturali entro il 2030. Beneficerà di ingenti finanziamenti dell'UE: nell'ambito del quadro finanziario pluriennale circa 100 miliardi di € sono destinati alla biodiversità e al ripristino».

Gli obiettivi proposti includono:
l'inversione del declino delle popolazioni di impollinatori entro il 2030 e, successivamente, l'aumento di queste popolazioni;
nessuna perdita netta di spazi verdi urbani entro il 2030, un aumento del 5% entro il 2050, una copertura arborea minima del 10% in ogni città, piccola città e periferia europea e un guadagno netto di spazi verdi integrati negli edifici e nelle infrastrutture;
- negli ecosistemi agricoli, l'aumento complessivo della biodiversità e una tendenza positiva per le farfalle comuni, per l'avifauna nelle aree agricole, per il carbonio organico nei suoli minerali coltivati e per gli elementi caratteristici del paesaggio ad alta diversità sui terreni agricoli;
- il ripristino e la riumidificazione delle torbiere drenate a uso agricolo e nei siti di estrazione della torba;
- negli ecosistemi forestali, l'aumento complessivo della biodiversità e una tendenza positiva per quanto riguarda la connettività delle foreste, il legno morto, la percentuale di foreste disetanee, l'avifauna forestale e le riserve di carbonio organico;
- il ripristino degli habitat marini quali le colture marine o i fondali di sedimenti e il ripristino degli habitat di specie marine emblematiche quali delfini e focene, squali e uccelli marini;
- l'eliminazione delle barriere fluviali in modo che almeno 25.000 km di fiumi siano trasformati in fiumi a flusso libero entro il 2030.
Per contribuire al conseguimento degli obiettivi, mantenendo nel contempo una certa flessibilità in funzione delle circostanze nazionali, la normativa imporrebbe agli Stati membri di elaborare piani nazionali di ripristino, in stretta collaborazione con i ricercatori, i portatori di interessi e i cittadini. Esistono norme specifiche in materia di governance (monitoraggio, valutazione, pianificazione, rendicontazione e applicazione), che migliorerebbero anche l'elaborazione delle politiche a livello nazionale ed europeo, garantendo che le autorità considerino congiuntamente le questioni connesse della biodiversità, del clima e dei mezzi di sussistenza.
La proposta concretizza un elemento chiave del Green Deal europeo: l'impegno dell'Europa, assunto nell'ambito della strategia sulla biodiversità per il 2030, di dare l'esempio per invertire la perdita di biodiversità e ripristinare la natura. Si tratta del contributo fondamentale dell'UE ai negoziati in corso su un quadro globale per la biodiversità post-2020 che sarà adottato nell'ambito della Convenzione sulla diversità biologica COP15 di Montreal (dal 7 al 15 dicembre di quest'anno).
Come dichiarato da Virginijus Sinkevičius, Commissario responsabile per l'Ambiente, gli oceani e la pesca, alla conferenza stampa del 22 giugno scorso, «i cittadini europei sono stati chiari: esigono che l'UE agisca a favore della tutela della natura e la riportino nella loro vita. Gli scienziati sono stati chiari: non c'è tempo da perdere. Altrettanto chiara è la motivazione economica: ogni euro speso per il ripristino frutterà un utile di almeno otto euro. Questa proposta storica riguarda il ripristino della biodiversità e degli ecosistemi, in modo da poter vivere e prosperare insieme alla natura. Si tratta di una normativa per tutti i cittadini europei e per le generazioni future, per un pianeta sano e per un'economia sana. È un atto normativo senza precedenti a livello mondiale e ci auguriamo che possa ispirare un forte impegno internazionale per la protezione della biodiversità nella prossima COP15».
La proposta sarà esaminata dal Parlamento europeo e dal Consiglio, nell'ambito della procedura legislativa ordinaria. Dopo l’adozione, l'impatto sul terreno sarà graduale: le misure di ripristino della natura dovranno essere attuate entro il 2030.

L.S.

Green Deal - uso di pesticidi

Adottata dalla Commissione Europea una proposta legislativa per sostituire la Direttiva 128 del 2009 per l’uso sostenibile dei pesticidi con un regolamento con obiettivi vincolanti: ridurre del 50% l'uso e i rischi dei pesticidi chimici entro il 2030 e divieto assoluto di tutti i pesticidi nei parchi e giardini. Le reazioni critiche di alcune associazioni di agricoltori europee e italiane come Copa-Cogeca, Confagricoltura e Cia-Agricoltori Italiani. Le prossime tappe dell’iter di approvazione.

 
La Commissione Europea vuole ridurre l’uso e il rischio dei «pesticidi chimici» del 50% entro il 2030. 
La decisione è stata sancita mercoledì 22 giugno scorso quando sono state adottate due proposte legislative finalizzate all’attuazione del Green Deal: una tesa appunto a dimezzare l’uso dei fitofarmaci da qui a 8 anni circa trasformando la direttiva vigente sull’uso sostenibile dei fitofarmaci nell’Unione Europea in un regolamento che direttamente applicabile in tutti gli Stati membri; l’altra mirata al ripristino degli ecosistemi naturali danneggiati e a rischio di collasso (sulla quale vedi qua). 
Due proposte molto delicate e significative che sono state presentate in conferenza stampa da Frans Timmermans, vicepresidente esecutivo per il Green Deal europeo, per il quale «anche la riduzione dell'uso dei pesticidi contribuisce al ripristino della natura e protegge gli esseri umani che lavorano con queste sostanze chimiche», da Virginijus Sinkevičius, Commissario responsabile per l'Ambiente, gli oceani e la pesca, e dalla Commissaria per la Salute e la sicurezza alimentare Stella Kyriakides, che ha dichiarato: «dobbiamo ridurre l'uso di pesticidi chimici per proteggere il suolo, l'aria e i prodotti alimentari e, in ultima analisi, la salute dei nostri cittadini. Per la prima volta, vieteremo l'uso di pesticidi nei giardini pubblici e nei parchi giochi, facendo in modo che si riduca drasticamente la nostra esposizione a questi prodotti nella vita quotidiana. La politica agricola comune sosterrà finanziariamente gli agricoltori per coprire tutti i costi delle nuove norme per un periodo di 5 anni. Nessuno sarà lasciato indietro». 
«Le nuove norme sui pesticidi chimici – si legge nell’approfondito comunicato stampa ufficiale della Commissione Europea - ridurranno l'impronta ambientale del sistema alimentare dell'UE, proteggeranno la salute e il benessere dei cittadini e dei lavoratori agricoli e contribuiranno ad attenuare le perdite economiche che stiamo già subendo a causa del degrado del suolo e della perdita di impollinatori dovuti ai pesticidi». Per realizzare tali scopi, questa nuova «proposta sull'utilizzo sostenibile dei pesticidi – si legge ancora - sostituisce la direttiva 2009/128/CE che mirava a conseguire un uso sostenibile dei pesticidi nell'UE riducendo i rischi e gli impatti dell'uso dei pesticidi sulla salute umana e sull'ambiente e promuovendo l'uso della difesa integrata. Le principali azioni della direttiva riguardavano la formazione degli utilizzatori e dei distributori, l'ispezione delle attrezzature per l'applicazione di pesticidi, il divieto di irrorazione aerea e la limitazione dell'uso di pesticidi in aree sensibili. Varie relazioni hanno evidenziato carenze nell'attuazione della direttiva, che hanno determinato una riduzione insufficiente dell'uso e del rischio dei pesticidi».
 
Entrando più nel dettaglio «la proposta odierna di ridurre l'uso di pesticidi chimici – aggiunge il comunicato della Commissione Europea - concretizza il nostro impegno ad arrestare la perdita di biodiversità in Europa. La proposta contribuirà a creare sistemi alimentari sostenibili in linea con il Green Deal europeo e la strategia “Dal produttore al consumatore”, garantendo nel contempo una sicurezza alimentare duratura e proteggendo la nostra salute». «Gli scienziati e i cittadini – continua il comunicato - sono sempre più preoccupati per l'uso dei pesticidi e per l'accumulo dei loro residui e metaboliti nell'ambiente. Nella relazione finale della “Conferenza sul futuro dell'Europa” i cittadini hanno chiesto specificamente di affrontare la questione dell'uso e del rischio dei pesticidi. Tuttavia, le norme vigenti della direttiva sull'utilizzo sostenibile dei pesticidi si sono rivelate troppo deboli e sono state attuate in modo disomogeneo. Inoltre, sono stati compiuti progressi insufficienti nell'uso della difesa integrata e di altri approcci alternativi. I pesticidi chimici danneggiano la salute umana e causano il declino della biodiversità nelle aree agricole. Contaminano l'aria, l'acqua e l'ambiente in generale». 
Ecco le «norme chiare e vincolanti» che propone la Commissione: 
- Obiettivi giuridicamente vincolanti a livello dell'UE e nazionale per ridurre del 50% l'uso e i rischi dei pesticidi chimici e l'uso dei pesticidi più pericolosi entro il 2030. Gli Stati membri fisseranno i propri obiettivi nazionali di riduzione entro parametri stabiliti per garantire il conseguimento degli obiettivi a livello dell'UE. Nuove norme rigorose concernenti un controllo degli organismi nocivi rispettoso dell'ambiente: nuove misure garantiranno che tutti gli agricoltori e altri utilizzatori professionali di pesticidi pratichino la difesa integrata, nel cui ambito, prima di poter utilizzare pesticidi chimici come misura di ultima istanza, si esaminano metodi ecologici alternativi di prevenzione e controllo degli organismi nocivi. Le misure comprendono anche l'obbligo per gli agricoltori e altri utilizzatori professionali di tenere dei registri. Inoltre, gli Stati membri devono stabilire norme specifiche per coltura che individuino le alternative da utilizzare al posto dei pesticidi chimici. 
- Divieto di tutti i pesticidi nelle aree sensibili. L'uso di tutti i pesticidi sarà vietato in luoghi quali le aree verdi urbane, compresi i parchi o giardini pubblici, i parchi gioco, le scuole, i campi ricreativi o sportivi, i sentieri pubblici e le zone protette nel rispetto delle prescrizioni di “Natura 2000” e qualsiasi area ecologicamente sensibile da preservare per gli impollinatori in pericolo. Queste nuove norme elimineranno i pesticidi chimici presenti nella nostra vita quotidiana.
Come anticipato, questa proposta della Commissione Europea trasforma la direttiva vigente in un regolamento che sarà direttamente applicabile in tutti gli Stati membri. E «ciò consentirà di affrontare i problemi persistenti dovuti a un'attuazione carente e disomogenea delle norme vigenti nell'ultimo decennio. Gli Stati membri dovranno presentare alla Commissione relazioni annuali dettagliate sui progressi compiuti e sull'attuazione».
 
Supporto alla transizione 
Un pacchetto di politiche fondamentali sosterrà gli agricoltori e altri utilizzatori nella transizione verso sistemi di produzione alimentare più sostenibili. Tra queste vengono ricordate le seguenti:
- nuove norme della Politica agricola comune (Pac) per garantire che gli agricoltori ricevano una compensazione per tutti i costi connessi all'attuazione delle nuove norme per un periodo transitorio di 5 anni;
- interventi più incisivi per ampliare la gamma di opzioni biologiche e a basso rischio sul mercato;
- attività di ricerca e sviluppo nell'ambito dei programmi Horizon dell'UE a sostegno delle nuove tecnologie e tecniche, compresa l'agricoltura di precisione;
- un piano d'azione per la produzione biologica, per conseguire gli obiettivi in materia di pesticidi della strategia "Dal produttore al consumatore".
La transizione sarà sostenuta anche dalla proposta di una rete d'informazione sulla sostenibilità agricola e dagli sviluppi del mercato legati all'agricoltura di precisione, come gli irroratori con geo-localizzazione e le tecniche di riconoscimento degli organismi nocivi.
 
Azioni sul fronte internazionale globale
La Commissione Europea «proporrà a breve, per la prima volta in assoluto, una misura che dia seguito al suo impegno di tenere conto di considerazioni ambientali a livello mondiale al momento di decidere in merito ai livelli massimi di residui negli alimenti». In altri termini, «gli alimenti importati contenenti residui misurabili di sostanze vietate dovrebbero essere gradualmente banditi nell'UE. Ciò contribuirà a creare un circolo virtuoso e incoraggerà i paesi terzi a limitare o vietare l'uso di questi pesticidi, già vietati nell'UE».
Inoltre la Commissione Europea «consulterà a breve gli Stati membri e i paesi terzi su una misura volta a ridurre a zero i residui di tiametoxam e clotianidin, due sostanze che notoriamente contribuiscono in misura significativa al declino mondiale degli impollinatori» e che non sono più autorizzate nell'UE. Una volta adottata la misura, gli alimenti importati contenenti residui misurabili di queste due sostanze potranno, dopo un determinato periodo transitorio, non essere più commercializzati nell'UE.
 
Le prossime tappe dell’iter di approvazione della proposta 
La proposta sarà esaminata dal Parlamento Europeo e dal Consiglio secondo la procedura legislativa ordinaria. Dopo l’adozione, l'impatto sul terreno sarà graduale in quanto gli obiettivi in materia di pesticidi dovrebbero essere conseguiti entro il 2030.
 
 
Le reazioni critiche di alcune associazioni degli agricoltori
 
Copa-Cogeca
La rappresentanza unitaria degli agricoltori e delle cooperative agricole in seno all’Unione Europea, Copa-Cogeca, ha sintetizzato la critica alla proposta della Commissione Europea con questo titolo: «obiettivi di riduzione obbligatori ma con limitate risposte sui modi per raggiungerli sul campo». «La revisione della direttiva sull'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari (SU - 2009/128/CE) – si legge nel comunicato diffuso in inglese il 22 giugno - era molto attesa dalla comunità agricola dell'UE» e Copa-Cogeca «si aspettava un approccio equilibrato che presentasse non solo obiettivi già noti ma anche soluzioni e alternative precise per raggiungere questi obiettivi. Ma la proposta pubblicata oggi, che si è trasformata da direttiva in regolamento, ancora non risponde a tali istanze, e ciò in un contesto internazionale sempre più pressante di fronte alla sfida globale della sicurezza alimentare».
«La comunità agricola europea – aggiunge il comunicato - sostiene l'obiettivo globale di ridurre i prodotti fitosanitari. Per fare ciò, agli agricoltori e alle cooperative agricole europee devono essere messi a disposizione strumenti sicuri, efficaci e convenienti» che ancora non sono stati sviluppati dalla scienza. «È essenziale che agli agricoltori europei siano concessi periodi transitori ragionevoli durante i quali possano essere introdotti sul mercato nuovi prodotti alternativi, con speciale riguardo per le coltivazioni minori».
Più nello specifico, Copa-Cogeca afferma che «gli agricoltori attualmente applicano la gestione integrata degli organismi nocivi nei loro campi e accolgono favorevolmente l’armonizzazione del quadro proposta dalla Commissione nella sua revisione normativa, nonostante l’onere amministrativo che può generare. Tuttavia, la mancanza di alternative adeguate ai prodotti chimici di sintesi per la protezione delle piante sta spingendo gli agricoltori a fare affidamento su autorizzazioni di emergenza che, sebbene incoraggiate dalla Commissione Europea, non sono sempre concesse dalle autorità nazionali in modo tempestivo». 
«Mancano solo 8 anni alla scadenza del 2030 – prosegue Copa-Cogeca - e ci vogliono in media dai 10 ai 15 anni per alcuni dei mezzi a basso rischio previsti (ad esempio il biocontrollo) per raggiungere il mercato. In questo contesto, è della massima importanza attuare una reale semplificazione, accelerazione e differenziazione della registrazione dei PPP (Prodotti per la Protezione delle Piante) a basso impatto e delle soluzioni di controllo dei parassiti alternative alle procedure chimiche. Il Copa e la Cogeca prendono atto dell'intenzione della Commissione europea di integrare gli obiettivi per lo sviluppo di metodi fitosanitari alternativi alla chimica di sintesi entro il 2030 nei loro piani d'azione nazionali. Ciò può aumentare la disponibilità in modo tempestivo e conveniente per gli agricoltori di soluzioni per la protezione delle colture a basso impatto ed efficaci».
«Tuttavia – afferma Copa-Cogeca - questa proposta manca gravemente di una cornice che neutralizzi gli effetti collaterali negativi e garantisca la competitività e resilienza del settore agricolo dell'UE prima di fissare un obiettivo giuridicamente vincolante. Ciò non è realistico e potrebbe essere molto dannoso per la continuità delle attività agricole nell'UE. A maggior ragione perché in altri continenti alle comunità agricole non verranno imposte le stesse regole».
 
Confagricoltura
È una sonora bocciatura quella del presidente di Confagricoltura Massimiliano Giansanti alla proposta della Commissione Europea «per ridurre l’uso di prodotti fitosanitari nella UE fino ad una percentuale del 50% rispetto alla media del periodo 2015-2017» con «a livello di singoli Stati membri, una riduzione minima del 35%».
«Per quanto riguarda l’agricoltura – ha dichiarato il 22 giugno Giansanti - l’agenda strategica della Commissione Europea dovrebbe essere aggiornata. La pandemia e la guerra in Ucraina hanno chiaramente indicato che la salvaguardia del potenziale produttivo è un fattore strategico».
«La proposta della Commissione – ha detto Giansanti – si basa sulla strategia delineata nella comunicazione ‘From Farm to Fork’. Una strategia che, secondo tutte le valutazioni indipendenti effettuate, porterà ad una riduzione delle produzioni agricole, ad un aumento delle importazioni e dei prezzi al consumo». «Nella sua proposta – ha aggiunto - la Commissione riconosce che ci saranno conseguenze sotto il profilo dei costi di produzione e dei prezzi al consumo che dovrebbero essere compensate con i fondi della politica agricola comune (PAC). Un ulteriore taglio, quindi, alle risorse finanziarie per la competitività e l’efficienza delle imprese agricole che producono per il mercato».
Il progetto legislativo della Commissione europea passa ora all’esame del Parlamento europeo e del Consiglio. «Lavoreremo – ha concluso Giansanti - per ottenere tutti i profondi adattamenti necessari per continuare a garantire, grazie alle più avanzate soluzioni tecnologiche, produzioni sicure e di qualità. E sostenibili sotto il profilo ambientale e della protezione delle risorse naturali».
 
Cia – Agricoltori Italiani
Sulla stessa linea d’onda, il comunicato stampa del 23 giugno di Cia – Agricoltori Italiani, in cui si parla di tagli degli agrofarmaci «poco realistici» e di «mancanza di alternative efficaci» e di «transizione troppo veloce» che «mette a rischio la sostenibilità economica delle aziende». Per cui si chiede di «accelerare gli iter autorizzativi dei prodotti alternativi agli agrofarmaci, che ancora scontano eccessive lentezze burocratiche».
Cia sottolinea il forte stress del sistema agroalimentare in un momento di grave crisi geopolitica, in cui gli agricoltori sono anche alle prese con gli effetti drammatici del climate change. Ed è importante per Cia che la Commissione Ue abbia come obiettivo prioritario la resilienza del settore agricolo imponendo un principio di reciprocità sulle regole fitosanitarie ai Paesi terzi, per evitare dumping commerciali e garantire trasparenza al consumatore. 
Tuttavia Cia ribadisce di sostenere l'obiettivo globale di riduzione degli agrofarmaci, come testimoniato dal progetto con Ibma mirato ad ampliare la diffusione e la sperimentazione delle tecniche di biocontrollo per la difesa integrata delle colture. Lo scopo è costruire un nuovo modello operativo funzionale a tutto il mondo agricolo, che risponda in maniera incisiva agli obiettivi di sostenibilità richiesti dal Green Deal. Infine si chiede a Bruxelles un maggior sostegno all’innovazione e la celere definizione di una proposta legislativa sulle nuove tecniche genomiche finalizzate alla maggiore resistenza ai parassiti e agli effetti del climate change.
 

Lorenzo Sandiford

mercato dei fiori di Pescia

Il presidente della Regione Toscana Giani: con questo contributo straordinario «veniamo incontro alla richiesta di aiuto del commissario prefettizio di Pescia De Cristofaro, perché è un’attività economica importante», ma non è proprietà regionale e «in futuro alla manutenzione dell’immobile dovrà pensarci il Comune». De Cristofaro: «i soldi della Regione indispensabili per avviare la messa in sicurezza ed evitare il possibile sequestro», un altro milione lo metterà il Comune. Il consigliere regionale Niccolai, membro della Commissione Agricoltura, «il Mefit sembrava spacciato, in soli 2 mesi grazie al progetto credibile di De Cristofaro e all’impegno di Giani ha una seconda possibilità» e sul futuro del Mefit dice: è necessario definire un piano «con impegni precisi» e che sia «credibile».

 
«Stamani nell’approvazione della Variazione di Bilancio, che ha come oggetto principale la sistemazione dei conti della sanità, abbiamo previsto anche altri interventi fra cui lo stanziamento di 2 milioni di euro per realizzare interventi strutturali urgenti al mercato di Pescia. È una necessità che mi è stata fatta presente dal Commissario De Cristofaro e dal consigliere Niccolai. Ne abbiamo parlato in Giunta e nonostante il sacrificio, perché si tratta di un immobile che è di proprietà comunale e non regionale, abbiamo previsto questo contributo, perché è indubbio che altrimenti il mercato dei fiori sarebbe a rischio di chiusura e non potevamo sottrarci a questo sforzo».
È quanto dichiarato oggi a Firenze dal presidente della Regione Toscana Eugenio Giani, nella sede della Giunta regionale di Palazzo Strozzi Sacrati poco prima che iniziasse la sua conferenza stampa insieme al vice prefetto Vittorio De Cristofaro, commissario a Pescia dal 1° febbraio 2022, e al consigliere regionale pesciatino Marco Niccolai, membro della commissione Agricoltura, per illustrare le ragioni di questo contributo straordinario a favore del Mercato dei fiori di Pescia, uno dei mercati all’ingrosso di piante e fiori più grandi d’Italia, ma anche opera ingegneristica di rilevante interesse storico-artistico. 
L’odierno finanziamento di 2 milioni si somma ai 3 milioni di euro già messi a disposizione dalla Regione nel 2016. Un altro milione ce lo metterà il Comune, come assicurato dal vice prefetto Vittorio De Cristofaro, che ha ringraziato il presidente Giani e il consigliere regionale Marco Niccolai per la disponibilità e quanto fatto in soccorso di questa struttura mercatale - detta Mefit dal nome dell’azienda speciale comunale che la gestisce: "Mercato dei fiori della Toscana" – che è stata progettata negli anni Settanta e sorge vicino alla stazione ferroviaria, contraddistinguendosi architettonicamente per sei maestosi doppi pennoni posti su due lati opposti e sostenuti da tiranti in acciaio e grandi vetrate. Un mercato che conta la superficie coperta senza pilastri più ampia d’Italia, un quadrato di oltre un ettaro che ospita il salone delle contrattazioni, a cui si aggiungono lateralmente 89 magazzini per una superficie quasi identica, 55 box per 1900 metri quadrati, serre per 1.875 e un’area a verde per 25.500, oltre agli uffici, i parcheggi e l’area di carico e scarico. Una struttura attivissima, ma che necessitava di un adeguamento strutturale, non più rinviabile. 
«I soldi messi dalla Regione sono indispensabili – ha spiegato il viceprefetto Vittorio De Cristofaro - per avviare la messa in sicurezza dello stabile e quindi evitare il possibile sequestro da parte dell’autorità giudiziaria per pericolo». Il termine ultimo imposto dalla procedura già avviata è il 22 giugno: dopo quella data i vigili del fuoco avranno 60 giorni per fare un sopralluogo ed altri 30 per riferire all’autorità giudiziaria. Ma se i lavori saranno già partiti – i tempi ci sono – sequestro e chiusura potranno essere evitati. Come poi precisato a margine della conferenza stampa da De Cristofaro a Floraviva, il progetto complessivo di adeguamento strutturale del mercato dei fiori, oltre ai 3,5 milioni già spesi in passato (3 milioni della Regione e 500 mila euro del Comune di Pescia), è di circa ulteriori 8,8 milioni di euro. Con i tecnici e con l’avallo dei vigili del fuoco erano state concordate le misure minime per arrivare alla messa in sicurezza e a norma per quanto riguarda l’antincendio: ammontano a una spesa di 4,8 milioni di euro. Adesso, grazie al contributo della Regione e all’ulteriore milione del Comune, si hanno a disposizione 3,1 milioni di euro che consentono di fare gli interventi di messa in sicurezza e di avviare i lavori dell’anti-incendio. Cosa che dovrebbe evitare un sequestro da parte dell’autorità giudiziaria e quindi la chiusura del mercato. Sui successivi passi non si è espresso, visto che il suo incarico terminerà il 7 luglio prossimo.
«Si tratta di un’attività economica importante per il territorio pesciatino ma non solo per Pescia – ha sottolineato il presidente Giani in conferenza – e per questo abbiamo deciso di intervenire prontamente al fine di scongiurarne la chiusura anche se, lo voglio ricordare, la Regione non ha alcuna competenza o titolarità oramai sulla struttura. La sua chiusura sarebbe stata però un danno economico e sociale di rilievo regionale». Il mercato all’ingrosso è infatti un punto di riferimento per centinaia di produttori di piante e fiori, di commercianti e trasportatori: in tutto circa quattromila addetti. L’intervento sull’edificio, che sarà realizzato grazie al contributo della Regione, servirà a renderlo da subito di nuovo sicuro e quindi successivamente idoneo rispetto alle mutate norme in materia di sicurezza ed antincendio, oltre a supplire alla manutenzione ordinaria straordinaria che negli ultimi anni non è stata realizzata. 
«Due mesi fa - ha commentato il consigliere Marco Niccolai, presidente della Commissione Aree interne e membro della Commissione Agricoltura, che si è speso molto come intermediario fra De Cristofaro e Giani -  il mercato era spacciato, oggi può guardare al futuro: grazie al lavoro che in soli due mesi dall’insediamento ha fatto il commissario prefettizio, che ha definito il progetto in modo serio e credibile e ce l’ha presentato, evitiamo uno shock e un disastro economico e sociale che avrebbe riguardato tutto il territorio della provincia di Pistoia, colpendo peraltro un hub fondamentale per il commercio dei fiori in Italia». «Ringrazio il presidente Giani e la giunta – ha continuato Niccolai - che, in un momento non certo semplice per i bilanci delle Regioni, al primo momento utile, sono riusciti a mettere in campo le risorse necessarie in questa corsa contro il tempo per consentire al Comune guidato dal dottor De Cristofaro di potersi presentare in modo credibile agli organi di controllo dello Stato che dovranno verificare la situazione». «Dal provvedimento dei vigili del fuoco, che c’è stato a giugno 2021, a Pescia si sono persi sette mesi inutilmente – ha detto Niccolai -: in due mesi siamo riusciti a mettere in campo un intervento, grazie alla serietà e alla credibilità delle proposte che il dottor De Cristofaro ha avanzato e che la Regione ha concretamente recepito».   
Ma, come ha rimarcato più di una volta il presidente Eugenio Giani, «in futuro alla manutenzione dell’immobile dovrà pensarci l’amministrazione comunale».
 
Quali prospettive di rilancio dopo il salvataggio della struttura?
Al termine della conferenza stampa, abbiamo posto a Marco Niccolai la questione delle due principali sfide che attendono comunque il Mercato dei fiori di Pescia, una volta scongiurata la chiusura grazie all’impegno del Commissario De Cristofaro e della Giunta regionale: il piano di valorizzazione e/o business plan della struttura del mercato dei fiori e l’eventuale accesso a fondi nazionali, alla luce anche della valenza interregionale del mercato.
Come muoversi per avviare il piano di valorizzazione? «È centrale innanzi tutto – ha risposto Niccolai - che il Comune definisca, assieme alle forze del territorio, un progetto che dia sostenibilità economica a questa struttura nel futuro». Un progetto multifunzionale? «Mi pare inevitabile – ha detto – ma deve essere elaborato un business plan che preveda impegni precisi». Nell’accordo di programma del 2016 era previsto che la Regione desse un supporto nella realizzazione del piano di valorizzazione: lo farà? «La Regione, come ha dimostrato anche oggi con questo contributo, di fronte a proposte serie e credibili fa la sua parte. La qualità e credibilità delle proposte sono fondamentali per gli interventi della Regione, che amministra soldi di tutti i cittadini. Dopo questo intervento di soccorso c’è un’altra opportunità per il mercato: il Comune non dovrà sprecarla».
Il mercato dei fiori di Pescia può ambire ad ottenere sostegni economici anche di livello governativo, visto il ruolo che gioca nel commercio di piante e fiori nazionale? Fra i tanti bandi legati al PNRR non si potranno individuare opportunità? «Il tema secondo me è definire prima le funzioni e definire dei progetti correlati alle funzioni. Le risorse si individuano in rapporto a quello che ci vuoi fare, non viceversa».
 

L.S.

Il 24 marzo in un convegno presso l’Accademia dei Georgofili di Firenze il bilancio del progetto “Autofitoviv”, che ha avuto come capofila l’Associazione Vivaisti Italiani. Sono stati sperimentati, sotto la guida di ricercatori di Cnr, Crea e Università di Firenze e di Pisa, nei vivai di due aziende leader del distretto vivaistico di Pistoia i migliori metodi di autocontrollo fitosanitario per identificare tempestivamente organismi nocivi e le più aggiornate strategie di difesa fitosanitaria alternative all’uso di prodotti chimici di sintesi. Fra i risultati alcuni spiragli per la lotta alle infestanti senza erbicidi anche nelle coltivazioni in pieno campo tramite colture di copertura fra i filari analoghe a quelle spesso adottate in olivicoltura e viticoltura. Il presidente di AVI Magazzini: «un percorso avviato molto importante e le soluzioni sperimentate saranno affinate e riproposte, ma c’è bisogno di ulteriori verifiche e adattamenti al quotidiano aziendale». La sintesi di tutte le relazioni dei ricercatori protagonisti del progetto e l’elenco delle attività svolte nei vivai di Vannucci Piante e Innocenti e Mangoni Piante. [Nella foto in alto visita aziendale: tappa davanti a una trappola Cross-vane]

L’impiego di trappole posizionate nei piazzali di carico per il rilevamento tempestivo di insetti - da cui non sono emerse presenze di organismi nocivi da quarantena - quale metodo di autocontrollo per rispondere al problema del possibile arrivo di organismi nocivi alieni nei vivai pistoiesi attraverso gli scambi commerciali. Il metodo della confusione sessuale (mating disruption) contro la tignola orientale del pesco (Grapholita molesta) che ha consentito di ridurre da 7 a 1 i trattamenti chimici per evitarne i danni.
Sono soltanto due esempi delle varie sperimentazioni e dei risultati del progetto del Gruppo Operativo Autofitoviv sulle “Buone pratiche per l’autocontrollo e la gestione fitosanitaria sostenibile nel vivaismo ornamentale” presentati ieri all’Accademia dei Georgofili di Firenze nel convegno conclusivo dell’iniziativa. Un progetto, avviato nel 2019 e giunto a conclusione ora, che è stato finanziato dalla Regione Toscana nell’ambito del PSR 2014-2020 e che ha visto come capofila l’Associazione Vivaisti Italiani (AVI), come partner aziendali due imprese leader del distretto vivaistico pistoiese socie di AVI quali Vannucci Piante e Innocenti e Mangoni Piante, come partner scientifici l’Istituto per la Protezione Sostenibile delle Piante (CNR-IPSP), il CREA Difesa e Certificazione, il CREA Orticoltura e Florovivaismo, il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agrarie, Alimentari, Ambientali e Forestali dell’Università di Firenze e il Dipartimento in Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali dell’Università di Pisa, con il Lab Center for Generative Communication del PIN - Polo Universitario Città di Prato impegnato nella formazione e comunicazione e l’Accademia dei Georgofili nell’attività convegnistica e d’informazione.
russumagazzini«Il progetto – ha spiegato aprendo i lavori Riccardo Russu, già direttore del Servizio Fitosanitario Regionale - ha avuto origine da un'intuizione maturata negli anni 2014-2015, in cui si avvertiva la necessità di un coinvolgimento diretto delle imprese vivaistiche nelle azioni di monitoraggio, controllo e sorveglianza delle loro produzioni, al fine di evitare o limitare la diffusione di organismi nocivi sul territorio del distretto vivaistico pistoiese. Nel 2015 veniva siglato un protocollo d’intesa tra la Regione Toscana ed il Distretto vivaistico pistoiese con la partecipazione dell'Associazione Vivaisti Italiani, allo scopo di avviare un processo di partecipazione delle imprese vivaistiche all'attività di autocontrollo fitosanitario sia nelle fasi di coltivazione, che di importazione di vegetali da ricoltivare in azienda. Tenuto conto dell'esperienza di autocontrollo, avviata nell'anno 2015 in fase sperimentale ed autogestita dai vivaisti, il progetto Autofitoviv ha permesso il coinvolgimento sia delle imprese già consapevoli degli effetti positivi di questa attività, che del  mondo scientifico toscano, per collaudare nuove metodologie e verificarne i risultati».

giuranna marchionne
Come ricordato dalla coordinatrice di Autofitoviv Francesca Giurranna e poi illustrato da Ilaria Marchionne del Lab Center diretto dal Prof. Luca Toschi, il progetto prevedeva tra l’altro 2 corsi di formazione tecnici e 1 di comunicazione, oltre ad alcune visite nelle aziende coinvolte nella sperimentazione, per fare conoscere ad altri vivaisti i metodi e le tecniche applicati. In tutto 42 ore per 52 partecipanti nelle tre edizioni di ciascuno dei due corsi tecnici e 24 ore per 23 partecipanti nelle due edizioni di quello di comunicazione, mentre i partecipanti alle 4 visite sono stati 38 per 12 ore di attività.
A tirare le somme del progetto e del convegno di ieri, dopo le relazioni di tutti i ricercatori coinvolti nel progetto [vedi sotto una sintesi delle relazioni], è stato il Dott. Emilio Resta, responsabile scientifico di Autofitoviv per AVI. Resta ha innanzi tutto ricordato che il progetto aveva due finalità principali: A) contenere e gestire il problema della «introduzione inconsapevole di organismi alloctoni con lo scambio commerciale di materiale vivaistico», che significa «ridurre l’impatto ecologico sull’ecosistema, economico a carico della comunità, ma anche sanitario visto che generalmente questo comporta una maggiore necessità dell’utilizzo del mezzo chimico»; B) proporre «metodi alternativi di provata efficacia scientifica» alla gestione fitosanitaria dei vivai basata su «strategie di difesa con formulati di sintesi», in modo da ridurre l’impatto sull’ambiente.
restaEmilio Resta ha poi riferito alcuni risultati delle sperimentazioni effettuate, che si aggiungono ai due citati all’inizio di questo testo. A proposito del problema nematodi, ha sottolineato che nell’analisi effettuata sui substrati più utilizzati nelle coltivazioni in contenitore del distretto vivaistico pistoiese non sono stati rilevati nematodi fitoparassiti (dannosi), ma nematodi saprofiti (innocui) in abbondanza e predatori utili a controllare i nematodi fitoparassiti; mentre invece dall’analisi del suolo nelle coltivazioni in pieno campo è risultata una discreta incidenza di nematodi fitoparassiti. Un altro risultato riferito da Resta riguarda i metodi di monitoraggio adottati per oidi e ruggini, che hanno consentito di identificare i relativi picchi: per l’oidio a maggio e giugno, per le ruggini nei mesi di luglio, settembre e marzo. «Queste indicazioni – ha detto – sono utili per collocare in modo corretto i trattamenti fitoterapici preventivi tesi a contrastare l’infezione primaria». Infine, riguardo a quella che è la problematica maggiore del vivaismo ornamentale, cioè la presenza di piante infestanti che richiedono l’uso di erbicidi come il glifosate, sono stati innanzi tutto studiati metodi e prodotti naturali in grado di rendere ancora più efficaci i pacciamanti legnosi già utilizzati nelle coltivazioni in vaso. Inoltre si è capito che una strada per risolvere il problema dell’eliminazione delle infestanti nelle coltivazioni in pieno campo potrebbe essere quella dell’utilizzo di colture di copertura (cover crops) «in grado di limitare lo sviluppo delle infestazioni», che possono essere utili «anche come casa per gli impollinatori e per tanti antagonisti di parassiti delle piante».
magazziniautofitoviv«Il percorso avviato con Autofitoviv – ha commentato il presidente di AVI Luca Magazzini - è molto importante dal punto di vista tecnico e le sperimentazioni e le soluzioni che sono emerse avranno modo di essere affinate e riproposte all’interno delle aziende, ma non è una cosa che si possa fare dall’oggi al domani. C’è bisogno di riflettere sui metodi, ottimizzarli, farli stare in piedi sia dal punto di vista dei risultati che della sostenibilità economica. Quindi un giudizio positivo, ma c’è bisogno di un ulteriore percorso di verifica e ottimizzazione nel quotidiano aziendale».
Al convegno era presente anche il Prof. Francesco Ferrini, attuale presidente del Distretto vivaistico-ornamentale di Pistoia, che ha evidenziato «l’importanza di questi progetti, perché se l’imprenditoria è supportata dal sistema pubblico e dalla ricerca allora diventa davvero vincente».
Per ulteriori informazioni sul progetto visitare il sito web autofitoviv.eu

Sintesi delle relazioni dei ricercatori protagonisti di Autofitoviv

garganiElisabetta Gargani (CREA DC) nella sua relazione “Ottimizzazione gestione fitosanitaria: Alien Pest, dopo aver ricordato che il precoce ritrovamento di insetti esotici è una priorità assoluta, ha illustrato le trappole installate nei piazzali di carico e scarico dei vivai delle aziende partner per il monitoraggio: «Theysohn, Multi-funnel e Cross-vane, innescate con attrattivi generici (alfa pinene e alcool) e specifici (feromoni per Ips) e controllate una volta al mese». Le sue conclusioni sono che i sistemi di monitoraggio impiegati, tramite l’uso della tecnica del multi-lure trapping (combinazione di differenti attrattivi generici e feromoni specifici), hanno consentito di intercettare tempestivamente fitofagi (di 18 identità tassonomiche) presenti anche solo sporadicamente. Ma nessuna specie aliena è stata rinvenuta. Infine ha ricordato che sono state elaborate per i vivaisti delle schede puntuali per identificare e gestire gli organismi esotici, con particolare riguardo per gli insetti dannosi.
Nella successiva relazione, su “Ottimizzazione gestione fitosanitaria: Acari”, Sauro Simoni (CREA DC) ha spiegato di essersi concentrato, fra gli acari che possono creare problemi ai vivai, sugli eriofidi, che «hanno sviluppato un’alta specificità e complesse relazioni con le piante ospiti: le conifere, il cipresso in particolare»; e nello specifico soprattutto su Trisetacus juniperinus, che ha gravemente colpito cipressi in vivaio in varie parti del Paese. Tra i risultati, la conferma che la varietà di cipresso Cupressus sempervirens ‘Totem’ è meno suscettibile agli eriofidi rispetto a Cupressus sempervirens ‘Pyramidalis’ e, come indicazione sullo status dei vivai studiati, il riscontro di una positiva presenza di gruppi di acari diversi (biodiversità). 
landiPoi Silvia Landi, che ha lavorato con Beatrice Carletti, (CREA DC), ha trattato la “Definizione di protocolli adeguati di campionamento di suolo e terricci per l’individuazione dei nematodi fitoparassiti e la messa a punto di metodi di controllo con prodotti a basso impatto ambientale”. Riguardo al monitoraggio dei terricci e del suolo, è risultato che i terricci più utilizzati nei vivai pistoiesi non costituiscono un fattore di rischio di introduzione di nematodi fitoparassiti (dannosi) e che le piante coltivate per l’intero ciclo produttivo nei substrati hanno mostrato una bassa infestazione. Però l’incidenza di nematodi fitoparassiti è risultata più alta nelle piante coltivate in terreno e ancor più quando le stesse, una volta zollate, sono state trasferite per la definitiva coltivazione in contenitore. Ha raccomandato, pertanto, riguardo ai metodi di difesa (cioè contenimento) in vaso dei nematodi fitoparassiti su piante provenienti da zolla, di campionare sempre i suoli prima dell’impianto e in caso di alta presenza di nematodi fitoparassiti di ricorrere alla biofumigazione con brassicacee (sovescio o interramento delle loro farine). «I prodotti naturali ad oggi sul mercato – ha detto - sono risultati poco efficaci» e fra di essi l’unico con qualche prospettiva pare l’Azadiractina.
haegiNella relazione su “La gestione fitosanitaria in vivaio: rilevamento di Phytophthora spp. nel suolo e nelle acque di irrigazione” Anita Haegi (CREA DC) ha prima spiegato che la «prevenzione di marciumi radicali e del colletto causati da Phytophthora spp. deve partire dall’utilizzo di materiali esenti da questo patogeno» e poi ha reso noto che nei vivai analizzati «i terricci a base di torba sono risultati esenti da Phytophthora spp., quelli di cocco in un caso ne hanno manifestato presenza. Tuttavia, è da verificare se la contaminazione possa essere avvenuta con l’acqua utilizzata per reidratare i panetti di cocco disidratati». Rispetto all’analisi delle acque irrigue, il fatto che la presenza sia stata riscontrata all’interno del circuito idrico di un vivaio solo in alcuni punti dovrebbe stimolare le aziende a fare prevenzione.
luchiIl lavoro “Messa a punto di metodi speditivi per il controllo di organismi nocivi in ingresso e monitoraggio per oidi e ruggini” di Nicola Luchi, Alberto Santini e la collaborazione di Giorgio Incrocci (CNR-IPSP) è stato presentato da Luchi. A proposito di metodi molecolari per diagnosticare precocemente la presenza di organismi nocivi sulle piante in ingresso nei vivai, sono stati ottimizzati alcuni protocolli diagnostici basati sull’amplificazione isotermica del DNA (LAMP) attraverso appositi strumenti portatili e sulla PCR quantitativa per alcune specie nocive tra cui Phytophthora ramorum, Xylella fastidiosa e Ceratocystis platani su piante ospiti. Riguardo al monitoraggio di oidi e ruggini, sono state usate trappole captaspore in vari punti dei vivai e poi si sono effettuate analisi del DNA, attraverso nuovi protocolli in grado di quantificare simultaneamente l’oidio (genere Erysiphe) e ruggini (genere Tranzschelia) nello stesso campione (duplex real-time PCR). Questi metodi hanno permesso l’identificazione dei periodi di maggiore sporulazione di tali patogeni, che consentono di limitare l’uso di antiparassitari ai periodi in cui sono davvero necessari.
sacchetti“Controllo di fitofagi chiave delle colture ornamentali mediante l’impiego di mezzi sostenibili” era il titolo del lavoro svolto da Patrizia Sacchetti con Marzia Cristiana Rosi (Università di Firenze – DAGRI). Come illustrato dalla Prof.ssa Sacchetti, due attività svolte nei vivai partner sono state particolarmente interessanti: 1) L’applicazione sperimentale nei confronti della Grapholita molesta della tecnica del Mating Disruption (confusione sessuale) per la protezione di Prunus laurocerasus e Photinia, accompagnata da un numero di trattamenti insetticidi ridotto al minimo, ha dato ottimi risultati, con una percentuale di piante infestate inferiore rispetto alle aree di controllo trattate nel modo tradizionale coi mezzi chimici di sintesi. 2) L’impiego di nematodi o funghi entomopatogeni contro gli attacchi di Otiorhynchus spp. alle radici di Prunus laurocerasus ha permesso la totale eliminazione dei trattamenti chimici diretti contro quest’insetto.  
caciniSonia Cacini (CREA OF) ha tenuto una relazione sulla “Messa a punto di sistemi di monitoraggio dedicati alla gestione fitosanitaria del vivaio”, lavoro svolto con Beatrice Nesi e Daniele Massa (CREA OF). Due le azioni in cui si è articolata la sua attività: 1) installazione di sensori per la verifica delle condizioni climatiche al fine di correlarle ai picchi di sporulazione per oidi e ruggini, oltre ai cicli di afidi e tignola del pesco; 2) caratterizzazione fisica e chimica dei substrati colturali e dell’acqua irrigua. Grazie all’azione 1 e alle correlazioni ricavate si sono potuti mettere a punto dei sistemi di alert ad hoc per i patogeni fungini da un lato e per gli insetti dall’altro. Come spiegato da Sonia Cacini, queste reti di monitoraggio microclimatico sono un ottimo supporto al controllo fitosanitario  del vivaio e consentono una gestione razionale di acqua e fitofarmaci. Tuttavia, soprattutto a fronte della convivenza di sistemi colturali diversi e specie vegetali con esigenze differenti, sono costosi sia per l’acquisto e manutenzione della sensoristica che per la gestione dei servizi di raccolta ed elaborazione dei dati. Forse potrebbero essere adottate a livello di consorzi aziendali a seguito di apposite progettazioni di reti di stazioni meteo condivise.
benvenutiInfine Stefano Benvenuti (Università di Pisa-DiSAAA-a) è intervenuto sulla “Gestione sostenibile della flora infestante nell’attività vivaistica”. Dopo aver ricordato fra l’altro che contro le malerbe l’erbicida chiave, oggetto di particolari criticità ambientali, è ancora il glifosate, ha spiegato che «le prospettive di valorizzazione agronomica del fenomeno dell’allelopatia [la competizione chimica o antagonismo radicale fra piante tramite il rilascio nel terreno di sostanze che inibiscono la crescita delle piante concorrenti vicine, ndr] hanno ispirato alcune sperimentazioni dedicate al contesto vivaistico. L’idea di utilizzare un materiale pacciamante con tale attitudine è stata intrapresa con diversificate sostanze allelopatiche. Risultati promettenti sono stati inoltre ottenuti con acido acetico e/o oli essenziali utilizzati come erbicidi naturali».
Per ulteriori approfondimenti, le relazioni delle attività di Autofitoviv si trovano in un opuscolo scaricabile pubblicato nella pagina dedicata ad Autofitoviv del sito dei Georgofili qua. E un report di presentazione delle linee di ricerca all’inzio del progetto era stato pubblicato qua.

L.S. 

Elenco delle prove condotte presso le due aziende partner:

autofitovivcampo2

Vannucci Piante
- prove per la caratterizzazione fisica dei terricci prelevati nella sede operativa di Piuvica (Quarrata), ma comuni a tutti i vivai esterni della stessa azienda;
- prove tese a indagare la presenza di nematodi fitoparassiti nei terricci di invasatura;
- prove tese a indagare la presenza di nematodi fitoparassiti nel pacciamante, a base di scaglie di legno di latifoglie, utilizzato a copertura della superficie dei vasi per il contenimento delle infestanti;
trappola Multifunnel- installazione nei piazzali di carico, presso la sede operativa di Piuvica, di trappole “Multifunnel” [nella foto accanto], “Theysohn” e “Cross-vane” per l’individuazione di insetti alieni;
- installazione, presso la sede operativa di Piuvica, di n° 3 captaspore per il monitoraggio dell’evoluzione di spore di oidio e ruggini durante l’anno;
- verifiche floristiche, tese a verificare la tipologia delle infestanti presenti nei contenitori e nelle aiuole di coltivazione, presso la sede operativa di Piuvica e il vivaio di Valenzatico (Quarrata);
- prove di monitoraggio di acari, condotte dal partner CREA DC, su conifere presso i vivai di Valenzatico (Quarrata) e Pontelungo (Pistoia);
- prove sperimentali sulla lotta a Grapholita molesta con la tecnica della mating disruption nei vivai di San Biagio (Pistoia), Ferruccia (Agliana) e S. Pantaleo (Pistoia);
- prove sperimentali sull’adozione della mating disruption contro Zeuzera pyrina, nel vivaio di San Pantaleo (Pistoia);
- prove sperimentali di formulati con effetto nematocida nei vivai di Bonelle (Pistoia) e Ponte Stella (Serravalle Pistoiese);
- prove sperimentali tese a individuare l’efficacia di formulati a base di nematodi entomopatogeni per la lotta a Otiorhynchus, su piante in contenitore nei vivai di San Biagio (Pistoia) e Piuvica (Quarrata);
- prove sperimentali nel vivaio di Piuvica (Quarrata), su piante di palme, tese al monitoraggio dello sfarfallamento di Paysandisia archon attraverso trappole adesive, formate da strisce colorate che simulano la struttura cromatica delle ali dell’altro sesso.

Innocenti e Mangoni Piante
- prove per la caratterizzazione fisica dei terricci utilizzati nel vivaio di Pistoia per la propagazione e successiva invasatura delle giovani piante e presso la sede di Chiazzano per la coltivazione della tipologia standard;
- prove tese a indagare la presenza di nematodi fitoparassiti nei vari terricci di invasatura;
- prove tese a indagare la presenza di Phytophthora spp. nei terricci di radicazione delle talee presso il vivaio di Pistoia;
- prove tese a indagare la presenza di Phytophthora spp. nell’acqua utilizzata per la radicazione delle talee che per quella destinata all’intera irrigazione del vivaio di Pistoia e presente nel lago di stoccaggio;
- prove tese a indagare la presenza di Phytophthora spp. nell’acqua proveniente dai pozzi che in quella proveniente dal torrente Brana, entrambe destinate al riempimento del lago di stoccaggio nel vivaio di Pistoia;
- prove sperimentali applicando la tecnica del mating disruption su Zeuzera pyrina, nel vivaio di piena terra, in località Oste, nel comune di Montemurlo;
trappola Theysohn- installazione nei piazzali di carico di trappole “Multifunnel” e “Theysohn” [in foto] per l’individuazione di insetti alieni presso la sede di Chiazzano;
- installazione di n° 2 captaspore, per il monitoraggio dell’evoluzione delle spore di oidio durante l’anno, presso il vivaio di piena terra in località Oste, nel comune di Montemurlo;
- prove sperimentali di impiego di olii essenziali per il contenimento delle malerbe su strato pacciamante, distribuito sulla superficie dei contenitori, destinati alla coltivazione di giovani piante, presso il vivaio di Pistoia;
- prove di monitoraggio sull’eriofide del cipresso, condotte dal partner CREA DC nel vivaio di Pistoia e nel vivaio di Chiazzano.

Tarlo asiatico eradicazione focoloaio

Il Servizio Fitosanitario Regionale, con il sostegno scientifico del CREA e in collaborazione con l’Associazione Vivaisti Italiani, ha definitivamente eradicato il focolaio dell’Anoplophora chinensis identificato nel 2017 in 10 vivai e 40 giardini privati dell’area distrettuale pistoiese. Successo convalidato dagli ispettori della Commissione Europea a gennaio. Circa 15 mila piante distrutte e danni per 1 milione di euro indennizzati dalla Regione. La storia e l’aiuto degli Sniffer Dog svizzeri.

 
La piana pistoiese è tornata ad essere a tutti gli effetti un’area indenne da uno degli insetti alieni più dannosi per le piante: il tarlo asiatico.
Il focolaio dell’Anoplophora chinensis, questo il suo nome scientifico, è stato eradicato dopo quattro anni di intenso lavoro del Servizio Fitosanitario della Regione Toscana, con il sostegno scientifico del CREA (Consiglio per la Ricerca in agricoltura e l'analisi della Economia Agraria) sostenuto anche dai vivaisti.
Il successo, il primo di questa portata in Italia, è stato convalidato anche dagli ispettori della Commissione Europea che a gennaio, dopo aver visitato il territorio colpito, hanno comunicato ufficialmente l’approvazione delle procedure attivate e confermato di fatto la validità delle azioni intraprese dal Servizio Fitosanitario Regionale.
A vincere questa battaglia hanno contribuito gli “Sniffer dog”, cani da fiuto debitamente addestrati per il rilevamento di larve di Anoplophora chinensis all’interno delle piante ospiti.
«L’eradicazione di questo pericoloso insetto – ha dichiarato l’assessora toscana all’agroalimentare Stefania Saccardi - è sicuramente un evento di grande soddisfazione raggiunto con un enorme impegno e coinvolgimento della Regione Toscana, in particolare del Servizio Fitosanitario Regionale, di CREA, del Distretto vivaistico-ornamentale pistoiese e delle associazioni dei vivaisti pistoiesi oltre che della popolazione locale. Un successo riconosciuto anche dalla Commissione Europea che, testimoniando la validità e la cura tenace che abbiamo impiegato, riconosce l’impegno e la qualità dell’intervento che risulta per la sua portata unico in Italia. La battaglia non finisce qua. Abbiamo al momento messo al sicuro il distretto vivaistico ma l’attenzione rimane alta e il lavoro di controllo costante e intenso».
«Sono ormai 5 anni che le aziende del distretto si sono occupate del problema – ha detto Luca Magazzini, presidente dell’Associazione Vivaisti Italiani, soggetto referente del Distretto vivaistico di Pistoia -. Io ricordo ancora i primi giorni in cui erano stati fatti questi ritrovamenti e c’è stata per fortuna una forte comunicazione fra le aziende e l’apparato del Servizio Fitosanitario Regionale. E sostanzialmente tutti a tappeto, veramente a tappeto, abbiamo perlustrato non solo le nostre superfici aziendali ma anche quelle di coloro che non erano in grado di farlo e che erano in stato di mezzo abbandono. E questo ha consentito già all’inizio un primo controllo massivo delle superfici interessate e quindi credo di poter affermare che anche gli operatori non sono stati con le mani in mano e questo è importante».

«In un primo momento – ha aggiunto Magazzini - c’è stato un danno d’immagine. E a livello europeo c’erano stati dei dubbi sulla nostra capacità dal punto di vista qualitativo delle produzioni. Però è stato un primo periodo, poi alla prova dei fatti, vedendo che noi facevamo i controlli quotidiani sulle nostre produzioni grazie anche al Servizio Fitosanitario che sistematicamente certifica ogni singola pianta prima che lasci le nostre aziende è andata discretamente bene. Tra l’altro l’Associazione Vivaisti Italiani si è fatta carico anche di integrare i giardini dei privati interessati dal problema: i privati non si rendevano conto di avere il problema, noi invece vedendolo abbiamo eradicato le piante e le abbiamo sostituite. C’è stato anche questo impegno non da poco nel corso del tempo».
«L’Anoplophora è arrivata da noi probabilmente nei tronchi, perché colpisce nel tronco – ha spiegato il prof. Francesco Ferrini, presidente del Distretto vivaistico-ornamentale di Pistoia dall’anno scorso -. Ma c’è un’altra specie di Anoplophora che colpisce invece le branche ed è quella che adesso hanno in America e che ci auguriamo tutti che non arrivi da noi. Per cui si tratta di continuare a controllare non solo il materiale legnoso che arriva direttamente, ma anche i pallet che vengono fatti proprio a partire dalle branche. Questo lavoro del Servizio Fitosanitario in collaborazione con il Distretto e l’Associazione Vivaisti Italiani è stato importantissimo anche per impedire che il tarlo si diffondesse nel patrimonio arboreo delle nostre città, fuori dei vivai».
 
Che cosa è il tarlo asiatico
Indicato dall’Unione Europea tra i 20 organismi nocivi più pericolosi proprio a causa del potenziale impatto ambientale ed economico, contrariamente ai “parenti” autoctoni, questo insetto è capace di aggredire piante sane.
Buca la corteccia degli alberi per deporvi le uova (di solito una settantina) da cui si sviluppano larve lunghe sino a 5 centimetri che scavano vere e proprie gallerie dentro tronchi, rami e radici, divorando le piante dall'interno.
Proprio per questa sua pericolosità, la normativa europea prevede che, in caso di rinvenimento di un focolaio, debbano essere distrutte tutte le piante infette e le altre presenti entro 100 metri. Deve inoltre essere bloccata  la movimentazione di tutte le piante presenti nel raggio di due chilometri dal focolaio.
La sua presenza è dunque particolarmente temuta nei comprensori vivaistici, dove può provocare danni ingenti per gli attacchi sulle piante e la conseguente limitazione al commercio.
 
I danni che ha procurato a Pistoia
Sono state oltre 15mila le piante distrutte nel pistoiese dal 2017. Si trattava di aceri, ma anche di carpini, platani, rose e lauroceraso, queste perlopiù le specie che il tarlo ha colpito.
Le piante erano presenti in 10 vivai  e in 40 giardini. Ingenti i danni, che la Regione Toscana ha indennizzato con uno stanziamento di quasi 1 milione di euro (su cui sarà fatta domanda di rimborso alla Commissione Europea), mentre parte delle piante rimosse nei giardini privati sono state sostituite a titolo gratuito dalle associazioni dei vivaisti pistoiesi.
 
La storia
L’insetto fu rinvenuto nell’ottobre del 2017, durante le ordinarie attività di controllo presso uno dei 930 vivai presenti nel territorio pistoiese, distante appena cinque chilometri dal centro di Pistoia.
Immediatamente dopo aver avuto la conferma ufficiale che si trattava proprio di questo pericolosissimo patogeno, Il Servizio Fitosanitario Regionale ha adottato all’interno dell’area delimitata (ovvero l’area dove l’insetto è stato fisicamente trovato) e nella adiacente area di sorveglianza, tutte le misure fitosanitarie necessarie alla sua totale eliminazione. Il primo passo è stata la distruzione delle piante infette e di quelle presenti nei cento metri da queste ed il blocco della movimentazione di tutte le piante sensibili a carico di ben 127 vivai presenti nella zona circostante il focolaio, dell’estensione di quasi 500 ettari.
Successivamente è iniziata una fase che tecnicamente viene definita di “monitoraggio”. Le attività sono state realizzate secondo quanto previsto dalla normativa fitosanitaria (Decisione 2012/138/UE), ed hanno comportato per tutto il Servizio Fitosanitario un enorme impegno lavorativo.
A partire dal 2018 fino al 2021, su un’area di 1.200 ettari, gli ispettori fitosanitari hanno effettuato un controllo intensivo delle piante sensibili, affiancando alle ispezioni visive, trappole con feromoni per la cattura degli insetti adulti e cani appositamente addestrati per il rilevamento di larve di Anoplophora chinensis all’interno delle piante ospiti. Fortunatamente non è stato rinvenuto nessun altro insetto.
 
Gli "Sniffer dog"
Tra Austria, Germania e Svizzera, ci sono circa un centinaio di cani che hanno ottenuto la certificazione per riconoscere l'Anoplophora. Di questi, circa una trentina lavora e solo una decina lo fa a livello internazionale. Il loro servizio è molto richiesto in Svizzera, Germania, Francia e appunto Italia.
In Italia, oltre che a Pistoia, hanno lavorato in Piemonte, dove sono stati scoperti due nuovi focolai di tarlo asiatico.
 

L.S.