Notizie

Venerdì 30 novembre sarà l'ultima data per il versamento del secondo, o unico, acconto Irpef/Ires e Irap. Sono interessati tutti i contribuenti che sono a debito di imposta per un importo superiore a 51,65 €.

Anche per gli agricoltori sono rimasti pochi giorni per il versamento del secondo (o unico) acconto Irpef/Ires e Irap. L’acconto di novembre è pari al 60% dell’imposta a debito per l’anno precedente, a meno che, essendo l’importo inferiore a 257,72 €, non sia stato versato l’acconto a giugno nella misura del 40%, per cui è dovuto interamente in questa occasione.
Non hanno acconti da versare, ai fini Irpef, le persone fisiche compresi i soci delle società semplici, iscritti negli elenchi previdenziali dei coltivatori diretti o imprenditori agricoli professionali, essendo esenti per gli anni 2017/2018 e 2019. Non si genereranno eventuali errori nella determinazione dell’acconto Irpef visto che l’esenzione è già stata applicata anche per i redditi dello scorso anno e quindi, procedendo con il metodo storico, l’imposta presa a base per il calcolo dell’acconto è corretta.
Lo scorso anno molti titolari dei redditi dei terreni hanno versato l’acconto inutilmente se determinato su base storica, infatti per l’anno 2016 i redditi dei terreni comparivano nella dichiarazione dei redditi. Invece se gli stessi terreni sono posseduti da una persona fisica (anche se coltivatore diretto, imprenditore agricolo professionale, socio di snc o sas), i medesimi redditi dei terreni devono comunque essere assoggettati a Irpef. Nella stessa situazione si trovano i soci delle società agricole a responsabilità limitata che hanno optato oltre che per il reddito agrario anche per la trasparenza fiscale (articolo 116 del Tuir). Essi dichiarano la quota loro spettante di redditi dominicale ed agrario dei terreni.
Gli imprenditori agricoli anche individuali o costituiti in società semplice possono invece essere tenuti al versamento dell’acconto ai fini Irap qualora svolgano attività agricole non rientranti in tutto o in parte nel reddito agrario.
Si tratta di sei tipologie di reddito e cioè:
• agriturismo;
• allevamento di animali con mangimi ottenibili per meno di un quarto dai propri terreni;
• cessione di prodotti trasformati o manipolati ancorché ottenuti prevalentemente sul fondo o nell'allevamento, non compresi nell'elenco di cui al decreto ministeriale 15 febbraio 2015;
• prestazioni di servizi fornite utilizzando prevalentemente risorse ed attrezzature utilizzate prevalentemente nella propria azienda agricola;
• coltivazione di vegetali su strutture a più piani per quelle svolte oltre il secondo piano;
• produzione di energia elettrica.
Queste attività hanno natura agricola, ma non essendo interamente comprese nel reddito agrario, scontano l’Irap nella misura del 3,9% e quindi richiedono il versamento dell’acconto entro il prossimo 30 novembre.
L’esenzione da Irap delle sole attività agricole rientranti nel reddito agrario si applica a tutti i soggetti operanti in agricoltura indipendentemente dalla natura giuridica. Qualora l’attività agricola rientri nel reddito agrario è esclusa da Irap, pur essendo obbligatoria la presentazione della dichiarazione per le società diverse dalle società semplici, in quanto la base imponibile Irap è rilevante per la determinazione del diritto dovuto alla Camera di commercio.

Redazione

In confronto con altri paesi l'Italia risulta essere una tra le più forti nel riciclo dei rifiuti: 56,4 milioni di tonnellate di rifiuti riciclati, per quantità la seconda in Europa dopo i 72,4 milioni della Germania.

In Italia circa un terzo della spazzatura viene ricuperato, rigenerato e più di due terzi dei circa 130 milioni di tonnellate di rifiuti prodotti dalle attività economiche sono per la maggior parte calcinacci di demolizioni e immondizia comune.
Nel mondo si producono ogni anno 2,01 miliardi di tonnellate di rifiuti, con una previsione che secondo la World Bank arriverà a 3,4 miliardi di tonnellate nel 2050. Il 4% degli scarti è formato da metalli (come la banda stagnata della latta o l’alluminio), il 5% vetro, il 12% plastica, il 17% carta e cartoncino, il 44% residui di cibo e di vegetali e il 18% rifiuti diversi.
I più forti produttori di spazzatura risultano essere l’Asia Orientale e Pacifica e l’Europa allargata all’Asia Centrale dei Paesi ex Urss. Ogni anno l’Asia Orientale e Pacifica produce 468 milioni di tonnellate di spazzatura, l’Europa e l’Asia europea 392 milioni. L’Asia Meridionale produce 334 milioni di tonnellate, 289 l’America del Nord, le Americhe Centrale e Meridionale 231 milioni, l’Africa Nera 174 milioni e l’Africa Settentrionale e il Vicino Oriente 129 milioni di tonnellate l’anno. Un terzo di questa immondizia è abbandonata nell’ambiente o bruciata all’aperto. La raccolta dei rifiuti è pari al 96% nei Paesi ricchi, all’82% nei Paesi a media ricchezza, al 51 nei Paesi di nuova economia e al 39% nei Paesi poveri.
In Italia sono sempre aperte le discussioni sul tema degli inceneritori a ricupero di energia, mentre nel resto dell'Europa vediamo i Paesi nordici che riciclano e bruciano mentre i Paesi del Sud Europa usano le discariche.
I dati generali sugli altri Paesi rilevano che il Nord America predilige la discarica classica (54,3% dei rifiuti) e il riciclo (33,3%), l’Asia meridionale come l’India abusa dell’abbandono a cielo aperto (75%), l’Africa Settentrionale e il Vicino Oriente ricorrono soprattutto all’abbandono all’aperto (52,7%) o in discariche (34%). L’Europa e l’Asia Centrale ricorrono in misura equilibrata a tutte le modalità (25,6% abbandono irregolare, 25,9% discarica, 30,7% riciclo e compost, 17,8% incenerimento); l’Africa Nera abbandona la spazzatura (69% e un altro 24% in discariche regolari), le Americhe del Sud e Centrale prediligono le discariche (68,5%) ma non è raro l’abbandono (26,8%). L’Asia Orientale e Pacifica è forte nelle discariche (46%) ma anche fa un ricorso generoso all’incenerimento (24% dei rifiuti prodotti).
Mentre sul riciclo in Europa sono in testa con il 67% le minuscole isole Faroe (49mila abitanti) che però hanno il 73,4% di raccolta differenziata. Dopo le isole artiche segue per tasso di riciclo con il 64% il principato del Liechtenstein (37mila abitanti). La Svezia brucia tanto e ricicla un più modesto 32% dei rifiuti.
Nessun Paese europeo dubita sul ruolo del riciclo, che tra l'altro è imposto anche dagli obiettivi di Bruxelles, ma restano forti incertezze su quale tra le due modalità più comuni di smaltimento sia la migliore: termovalorizzatori o discarica.
I dati vedono in Svezia e Danimarca impianti di termovalorizzazione pari (nell’ordine) a 591 e 587 chili di rifiuti per cittadino, seguono Olanda, Svizzera, Austria e Finlandia. La media dei maggiori Paesi europei come Francia e Germania si aggira sulla capacità di incenerire 250 chili per cittadino. In Italia ci si ferma a 104 chili. Il ricorso alla discarica va dallo 0,2% dei rifiuti per la Germania, seguita da Svezia, Belgio, Danimarca e Olanda, al 92,7% di Malta. Sopra l’80% anche Cipro, Croazia, Romania e Grecia. L’Italia smaltisce in discarica il 29% dei rifiuti urbani.
Per quanto riguarda, invece, il riciclo, la media Ue è del 29,4% dei rifiuti urbani, con circa 69,3 milioni di tonnellate ricuperate con una media di 136 chili annui per abitante. Il 16,8% viene compostato per l’agricoltura e per la digestione anaerobica, mentre il 27,5% viene incenerito e il 26,3% finisce gettato in discarica.
Giovedì il Kyoto Club presenterà a Roma un rapporto sull’economia circolare (con i consorzi di riciclo imballaggi Conai, Cial e Comieco) e il 10 dicembre l’Ispra presenterà la nuova edizione del Rapporto Rifiuti Urbani, un caposaldo dell’analisi ambientale. Di questi studi, non ancora disponibili, si può anticipare che in Italia l’economia circolare generi un fatturato di ben 88 miliardi, di cui la metà dal solo riciclo.

Redazione

Novel Farm ospita la finale del Challenge Internazionale sull'agricoltura urbana aperta a studenti universitari di tutto il mondo, la competizione riguarda la progettazione di un sistema di agricoltura urbana che integri le migliori innovazioni architettoniche e tecnologiche per la produzione di piante in ambiente urbano.  Hanno già aderito team provenienti dall'Italia, Cina, Polonia e India. La cerimonia di premiazione sarà il 14 febbraio a Pordenone Fiere.

Si terrà il 13 e 14 febbraio 2019, nel quartiere fieristico di Pordenone, Novel Farm, la mostra-convegno internazionale completamente dedicata all’innovazione nell’agritech: nuove tecniche di coltivazione, fuori suolo e vertical farming. Uno dei punti forti sarà la selezione finale e la premiazione dei vincitori della Challenge UrbanFarm 2019, organizzata dall’Alma Mater Studiorum di Bologna e dall’Università di Firenze.
La sfida è rivolta agli studenti di agraria, biologia, architettura, design, economia, ingegneria e studi umanistici di tutto il mondo: si cercano idee innovative per progettare sistemi di agricoltura urbana che integrino le migliori innovazioni architettoniche e tecnologiche per la produzione alimentare in ambiente urbano.
I progetti degli studenti dovranno basarsi su costruzioni esistenti inoccupate presenti a Bologna, Belluno e Conegliano, rispettivamente una ex-scuola elementare, una cascina in disuso ed una fabbrica dismessa, che presentano caratteristiche differenti.  Sarà data nuova vita alle strutture abbandonate che verranno riconvertite in luoghi di socialità, studio, produzione e innovazione agricola, sviluppando così trasversalmente il concetto di agricoltura urbana. Il loro design, inoltre, dovrà avere una forte connotazione imprenditoriale, promuovendo la generazione di nuove forme di occupazione per gli utenti svantaggiati.
I progetti saranno valutati da una giuria interazionale di sei membri. UrbanFarm2019 è infatti un’iniziativa con una fortissima impronta internazionale: con Bologna e Firenze lavorano università e centri ricerca di Barcellona, Cartagena, Napoli, Pernambuco, Smirne, Budapest e ricercatori di Wageningen, Berlino, Ostrava, Roma La Sapienza, Città del Capo, Il Cairo, Catania, Tucson, Antalya, Montpellier ed Angers.

Redazione

A gennaio i bandi. E’ stato deciso ieri a Bruxelles dove sono stati stanziati 191,6 milioni per il 2019. 12,5 milioni in più rispetto all’attuale pianificazione. Forse uno dei pochi capitoli dove l’Italia può recuperare solo pare dei tagli ai quali sarà sottoposta con la nuova PAC.

La Commissione europea ha deciso di finanziare con 191,6 milioni di euro i programmi di promozione dei marchi europei nel settore agroalimentare nel 2019, con un aumento di 12,5 milioni rispetto al 2018. In particolare 89 milioni saranno indirizzati ad aprire mercati ad alta crescita come Canada, Cina, Colombia, Giappone, Corea del Sud, Messico e Stati Uniti.
Nell’Unione Europea invece le campagne di promozione per i marchi europei è cenrato sulle indicazioni di origine protetta e geografiche, sulle specialità tradizionali garantite e sui prodotti organici o bio. Infine, una parte dei fondi servirà per settori specifici come riso, frutta e legumi. I bandi per le vare campagne saranno pubblicati a gennaio e saranno aperti alle organizzazioni del commercio, ai produttori, ai gruppi agroalimentari responsabili delle attività di promozione. Forse l’unica strada, come annuncia il presidente dell’euro partendo Antonio Tajani, per recuperare in parte gli imminenti taglia al bilancio agricolo europeo, destinati a colpire pesantemente l’agricoltura italiana.

AV

Soddisfazione di Cia Toscana Centro, la Commissione tributaria di Pistoia ha accolto il ricorso di un floricoltore di Cia contro le cartelle Tari (esosissime) del Comune di Pescia in provincia di Pistoia.

Stop quindi alla Tari sulle serre dei floricoltori e vivaisti. Questo il messaggio che arriva al Comune di Pescia da una sentenza della Commissione tributaria provinciale di Pistoia, emanata il 12 giugno scorso ma depositata in cancelleria l’8 novembre, che ha accolto i ricorsi di un importante floricoltore pesciatino socio di Cia Toscana Centro (Firenze – Pistoia – Prato) contro sei avvisi di accertamento Tari emessi dal Comune nel novembre 2017. Il Comune, fra tasse e sanzioni, aveva avanzato richieste di pagamento esorbitanti, capaci di mettere in crisi un’azienda floricola in piena salute. La sentenza ha annullato gli avvisi impugnati e ha condannato il Comune al pagamento delle spese legali.
Nella sentenza sono stati accolti i ricorsi dell’azienda floricola associata a Cia Toscana Centro sia sotto il profilo procedurale, in quanto non era stato attivato alcun confronto con il contribuente, sia sul piano sostanziale, in quanto è stata esclusa nel caso di specie l’assoggettabilità alla Tari delle superfici dedicate alla produzione agricola. Più in generale, il testo della sentenza afferma il principio che le superfici coltivate, sia in campo che in serra, generano rifiuti speciali (che l’agricoltore tratta in conformità alla normativa vigente) e non rifiuti urbani o assimilabili soggetti a Tari.
«Aspettavamo con trepidazione questa pronuncia – ha commentato il presidente di Cia Toscana Centro Sandro Orlandini – per tranquillizzare i nostri florovivaisti, che fibrillavano su questa questione, da quando si era diffusa la notizia delle cartelle esorbitanti emesse dal Comune di Pescia nei confronti di alcune aziende floricole del territorio, fra cui una nostra azienda di tutto rispetto. Il nostro Gruppo floricoltura mi aveva chiesto a più riprese incontri sull’argomento con l’amministrazione comunale. Auspicavamo ed eravamo convinti della giustizia di un esito di questo tipo: alle serre florovivaistiche non va applicata la Tari».

Redazione