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Il Mipaaf annuncia che l’obbligo d’indicare nell’etichetta degli alimenti lo stabilimento di produzione o confezionamento è in vigore da oggi. All’Ispettorato repressione frodi (Icqrf) il controllo e l’applicazione delle sanzioni: da 2 mila a 15 mila euro. Il vice ministro Olivero: «il nostro impegno si rivolge alla tutela del consumatore».

 
Da oggi, giovedì 5 aprile 2018, è scattato l’obbligo di indicare in etichetta la sede e l’indirizzo dello stabilimento di produzione o di confezionamento degli alimenti, secondo quanto previsto dal decreto legislativo 145/2017.
A comunicarlo è il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (Mipaaf) ricordando che tale indicazione «si aggiunge a quelle obbligatoriamente previste dal regolamento europeo (denominazione, ingredienti, presenza di allergeni, quantità, scadenza, nome del responsabile delle informazioni, paese di origine, istruzioni per l’uso, titolo alcolometrico e dichiarazione nutrizionale)».
Gli operatori dovranno, pertanto, indicare la località e l’indirizzo dello stabilimento (o solo la località se questa consente l’immediata identificazione dello stabilimento) di produzione o di confezionamento, se l’alimento è confezionato in uno stabilimento diverso da quello dove è stato prodotto. E l’obbligo riguarda gli alimenti prodotti in Italia e destinati al mercato italiano. In questo modo vengono garantite una corretta e completa informazione ai consumatori, una migliore e immediata rintracciabilità degli alimenti da parte degli organi di controllo e, di conseguenza, una più efficace tutela della salute.
«Il nostro impegno si rivolge alla tutela del consumatore – afferma il Vice Ministro Andrea Olivero - assicurando un’informazione piena che consenta di poter scegliere la qualità che si desidera. Sono certo che le nostre imprese agroalimentari sapranno cogliere appieno questa opportunità, andando incontro alle esigenze di un consumatore sempre più attento».
In caso di mancato rispetto dell’obbligo, l’operatore che non indicherà in etichetta lo stabilimento di produzione o di confezionamento sarà sottoposto a una sanzione amministrativa pecuniaria che varia da 2.000 euro a 15.000 euro. Sono previste sanzioni dello stesso importo anche per il caso in cui l’impresa che disponga di più stabilimenti non evidenzi quello effettivo mediante punzonatura o altro segno e sanzioni da 1.000 euro a 8.000 euro se non vengono rispettate le modalità di presentazione.
La legge di delega affida la competenza per il controllo del rispetto della norma e l'applicazione delle eventuali sanzioni all'Ispettorato repressione frodi (Icqrf).

Redazione

Il 23 marzo inaugurazione, a ingresso libero, della nuova serra tropicale dell’Orto e museo botanico di Pisa. Porte aperte anche il 24 e 25 marzo, Giornate Fai. Collezione di 150 specie vegetali divise in aiuole distinte per ogni continente. Uno spazio dedicato a epifite tropicali, fra cui begli esemplari di orchidee. [Immagine da foto di Federigo Federighi su Wikipedia]

 
Domani, venerdì 23 marzo, alle 15, si inaugura la nuova serra tropicale dell’Orto e museo botanico dell’Università di Pisa (Via Luca Ghini 5), il primo orto botanico universitario al mondo (vedi nostro giardino da intervista), se non si adotta il criterio della permanenza nell'identico luogo (con il quale il primato passa all'Orto botanico di Padova). Dopo i saluti istituzionali delle autorità accademiche sono previsti gli interventi della professoressa Chiara Bodei, presidente del Sistema museale di Ateneo, e del professore Lorenzo Peruzzi, direttore dell’Orto e museo botanico di Pisa. Al termine della cerimonia seguirà una visita guidata della serra che sarà aperta e visitabile gratuitamente, come tutto l’Orto botanico, anche sabato 24 e domenica 25 marzo dalle 9 alle 17 (ultimo ingresso alle 16) in occasione delle “Giornate Fai di Primavera”.
«La serra tropicale è stata ristrutturata dal punto di vista edilizio durante il triennio 2012-2014 – spiega Lorenzo Peruzzi - successivamente è iniziata la progettazione per il nuovo allestimento, che ora comprende 150 specie vegetali arbustive ed arboree provenienti dalle aree tropicali del pianeta, quelle cioè comprese tra i tropici del Cancro e del Capricorno e caratterizzate da temperature elevate durante tutto l'anno».
L’allestimento segue un criterio geografico e ogni aiuola rappresenta un continente per riunire assieme il maggior numero possibile di specie della medesima provenienza, sia di ambienti forestali che di savana. Inoltre un piccolo spazio vicino all’ingresso è dedicato specificatamente a una collezione di epifite tropicali, tra le quali spiccano alcuni bellissimi esemplari di orchidee.
Tra le altre piante presenti ci sono poi specie rare o a rischio di estinzione, come Cycas circinalis e Cycas taiwaniana, esclusive, rispettivamente, dell’India meridionale e della Cina meridionale. 
Ma la scelta è stata anche quella di ospitare specie molto conosciute, perché coltivate come piante d’appartamento, che in natura però assumono portamenti imponenti, ben diversi da quelli che siamo abituati a vedere nelle nostre abitazioni. Ne sono esempi Chamaedorea elegans, il ben noto Ficus benjamina e la Kenzia, Howea forsteriana, specie esclusiva dell’Isola di Lord Howe, nell’Oceano Pacifico.
Per quanto riguarda l’allestimento, i lavori sono stati coordinati e realizzati sotto la supervisione del direttore Peruzzi, del curatore dell’Orto, Giuseppe Pistolesi, e del conservatore del Museo, Lucia Amadei. Hanno collaborato i giardinieri dell’Orto Luca Ciampi, Andrea Giannotti e Otello Malfatti. 
 
Redazione

Dal Salon du Végétal le indicazioni di Brand Wagenaar per il rilancio della filiera dell’orto-florovivaismo francese a partire dal 2018. Fra queste, «assicurare la continuità delle aziende di produzione (in difficoltà nelle successioni aziendali, anche per poche vocazioni giovanili) e raggruppare l’offerta e i talenti delle principali regioni».

 
Come rilanciare la filiera dell’orto-florovivaismo in Francia? Una sfida di grande interesse anche per il florovivaismo italiano, accomunato a quello d’Oltralpe per aver dovuto attraversare le conseguenze della tempesta finanziaria del 2008 e le problematiche economiche dell’Unione europea. 
Dagli organizzatori del Salon du Végétal sono state diffuse nei giorni scorsi alcune indicazioni dell’analista di settore Brand Wagenaar, che ha identificato alcune priorità sul breve e medio termine, a partire dal 2018. Il punto di partenza del ragionamento di Wagenaar è che nel 2017 si sono moltiplicati in tutta Europa i segnali di ripresa dell’orto-florovivaismo: dipesi dall’andamento climatico complessivamente favorevole e dallo stabilizzarsi della situazione economica, ma soprattutto dal fatto che «le tendenze strutturali che emergono e si rafforzano favoriranno il verde: aspirazione a una vita sana, al benessere domestico in un ambiente di prossimità verde, naturale e preservato». D’altra parte i modelli di business sono stati rovesciati dall’affermazione del digitale e delle tecnologie dell’informazione e comunicazione e per chi è sopravvissuto adattandosi è il momento di puntare su alcune linee di azione prioritarie, fra cui le seguenti due. 
 
Assicurare la continuità delle aziende di produzione
Tutti i paesi dell'Europa occidentale sono stati toccati da una forte riduzione del numero di aziende di produttori. I primi a gettare la spugna, spiega Brand Wagenaar, sono stati i produttori di fiori recisi, seguiti dai produttori di piante da fiore in serra, e ora molti vivai chiudono per mancanza di redditività, di acquirenti e di manodopera. Finora il calo delle superfici coltivate, aggiunge, non è stato correlato alla riduzione del numero di produttori, perché le fusioni tra aziende e il costante miglioramento della produttività per metro quadrato hanno compensato le chiusure definitive. Ma dal 2015 le superfici produttive sono in calo in Europa occidentale e in tutti i segmenti.
Una cessione d'azienda, continua Wagenaar, richiede da due a tre anni tra l'intenzione di vendere e la firma di un accordo con l’acquirente, e, guardando l'età media dei produttori, attualmente la cessione aziendale è una vera sfida, tanto demografica che economica e territoriale. «Demografica – precisa - poiché quasi il 20% dei dirigenti d’azienda ha più di 60 anni e più del 60% di loro ha tra i 50 e i 55 anni». Inoltre, le aziende «non sempre trovano acquirenti e, quando li trovano, questi possono essere tentati di operare economie di scala realizzando fusioni o cambiamenti radicali, trasformando l’azienda di produzione in una commerciale». (Con conseguenze nefaste per la bilancia commerciale dell’orto-florovivaismo, già pesantemente deficitario). D'altra parte, le difficoltà a trovare manodopera qualificata sono in aumento. 
Dunque la sfida è duplice: rendere più fluido il trasferimento/cessione delle aziende e aumentare le vocazioni florovivaistiche fra i giovani. 
 
Raggruppare le forze e i talenti delle principali regioni
Tra le nuove tendenze strutturali che favoriscono le piante ornamentali e il verde, sostiene Wagenaar, quella del “local pour local” (il locale per il locale) ha tutta l'attenzione dei consumatori, così come quella dei committenti, quando trovano a livello locale una soluzione che soddisfi le loro aspettative. 
Ma per lui è sorprendente constatare quanto la produzione florovivaistica francese sia frammentata, con appena il 10/12% della produzione francese offerta attraverso canali mutualistici. Poiché, a suo avviso, solo una aggregazione totale dell’offerta, dei buoni servizi capaci di dare visibilità a tale offerta e dei mezzi logistici d’area vasta possono soddisfare le aspettative dei nuovi modelli di business, che richiedono strumenti di centralizzazione e di comunicazione dei dati che siano super performanti.
«Il contesto è molto favorevole a temi quali prossimità, logistica, clima, economia, sociale – conclude Wagenaar - ma deve essere messo in condizione di soddisfare altre esigenze come la larghezza e profondità di gamma, la reattività logistica, l’innovazione dei servizi. Un dialogo aperto e costruttivo tra allevatori, produttori, distributori, dettaglianti e consumatori attorno a questa logica del “locale per il locale” non può che andare nella direzione di un vero sviluppo sostenibile».
 
Redazione

Con un prologo il 22 marzo sulla «ricerca per l’agricoltura biologica», al via la mostra mercato dei prodotti biologici e biodinamici Firenze Bio (23-25 marzo, Fortezza da Basso, ingresso libero). Il comparto continua a crescere in Italia: nel 2016 +13,4% di prodotti bio venduti ed ettari coltivati col metodo biologico saliti di 300 mila ettari a 1,8 milioni di ha. Marcelli (Coldiretti): le aziende agricole bio in Toscana sopra 5000 e gli ettari 130 mila. Il 23 marzo avvio di una campagna nazionale contro i pesticidi e l’assemblea delle "città del bio", il 24 incontro sui biodistretti. Un dibattito a cura di Coldiretti sul futuro dell’agricoltura bio e Cia presenta la Rete Qualità Toscana.

Una mostra mercato, aperta a tutti, sui prodotti biologici e biodinamici, soprattutto agroalimentari ovviamente, ma con spazio anche per la «cosmesi eco-bio». E arricchita da tanti eventi divulgativi e di intrattenimento, dai cooking show ai corsi di agrichef o di «cucina naturale» fino agli incontri su cibo e salute, ma costellata pure da alcuni momenti di riflessione più approfondita e per addetti ai lavori.
E’ la kermesse Firenze Bio, che si svolgerà dal 23 al 25 marzo alla Fortezza da Basso di Firenze (ingresso libero, orario 10-19), con un prologo il 22 al Teatrino Lorenese della Fortezza organizzato dall’Accademia dei Georgofili e Federbio sul tema “Ricerca e trasferimento dell’innovazione per l’agricoltura biologica”, a cui parteciperanno fra gli altri i presidenti del Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria) Salvatore Parlato, di Federbio Paolo Carnemolla e importanti esponenti del comparto e del mondo accademico con interventi sui vari aspetti della ricerca applicata all’agricoltura biologica, a cominciare dal fabbisogno stesso di ricerca e innovazione in tale ambito.
Un comparto, quello dell’agricoltura biologica, che è in continua crescita sia da noi che in altri Paesi del mondo. Visto che, stando ai dati forniti dagli organizzatori dell’incontro del 22 marzo, in Italia «le vendite dei prodotti certificati biologici sono cresciute del 10,3% nei primi sei mesi del 2017, dato che conferma il 13,4% registrato nei dodici mesi precedenti» e «il valore delle vendite del settore è quintuplicato rispetto al 2000 e nel 2016 l’export del bio italiano è aumentato del 15% ed è risultato pari al 5% dell’intero export agroalimentare nazionale». Tendenze di mercato a cui corrispondono anche «le scelte degli agricoltori che, nel 2016, hanno convertito al biologico 300 mila ettari portando a quota 1,8 milioni gli ettari coltivati con il metodo biologico (erano 1,5 milioni nel 2015)», con i produttori bio «passati da 45.200 nel 2015 a 55.600 nel 2016». Del resto i consumatori hanno accresciuto la «coscienza ecologica», tanto che nel 2017 ben il 78% delle famiglie italiane ha acquistato almeno un prodotto biologico (contro il 53% del 2012), per cui il trend sembra duraturo e consistente, anche se dovrà essere supportato dall’innovazione e dalla ricerca.
«Anche il mondo agricolo toscano è pienamente coinvolto nella prima edizione di Firenze Bio – ha dichiarato presentando la manifestazione Tulio Marcelli, presidente di Coldiretti Toscana - in un momento in cui le aziende agricole biologiche crescono ed hanno superato la soglia di 5.000 e la superficie destinata a biologico (e in conversione) in Toscana è di oltre 130 mila ettari. Le aziende biologiche e biodinamiche sono la punta di diamante della nostra agricoltura, in termini di sintesi tra tradizione ed innovazione spesso condotte da giovani, con livelli di formazione medio-alti ed attenti a declinare in chiave moderna i prodotti agroalimentari tradizionali».
Fra gli appuntamenti dei tre giorni di FirenzeBio di maggiore interesse per agricoltori e addetti ai lavori, sono da segnalare il 23 marzo, dalle 10 alle 13 nella Sala Verde, il convegno di apertura curato dalla Regione Toscana “Agricoltura biologica modello di sviluppo rurale”, poi dalle 14 alle 16 nello stesso luogo, l’assemblea nazionale delle “Città del bio” e alle 16, nel Teatrino Lorenese, il convegno “Cambia la terra, no ai pesticidi. Sì al biologico”, che rappresenta il lancio di una campagna nazionale contro i pesticidi. Infine, alle 17,45 nella Sala Verde, la Rete Qualità Toscana di Cia Toscana presenta il proprio “agroalimentare toscano di qualità”: un’aggregazione di imprese nata attorno al Pif (Progetto integrato di filiera) Agr-Eat. E poi, il 24 marzo, alle 10 nel Teatrino Lorenese, l’incontro “Il futuro dell’agricoltura biologica e biodinamica. Opinioni a confronto”, a cura di Apab e Coldiretti, mentre alla Sala Verde, dalle 10,30 alle 12,30, l’appuntamento con “I biodistretti della Toscana” e, alle 14,30 nella Sala Gialla, “Come si legge l’etichetta dei prodotti biologici” a cura di QCertificazioni.

L.S.

A mettere in luce questa esigenza Antonella Pontrandolfi, del Centro Agricoltura e Ambiente di Roma del Crea, sentita a Firenze a metà febbraio. La ricercatrice ha chiesto anche previsioni stagionali per l’agricoltura: benché non precisissime, danno punti di riferimento per programmare.

 
Il Governo ha stanziato nei giorni scorsi circa 10,5 milioni di euro da investire nella ricerca in agricoltura. Tra gli scopi dei progetti di ricerca che si vogliono sostenere è compresa la mitigazione dell’impatto dei cambiamenti climatici (vedi).
Riguardo a tale obiettivo, alcune indicazioni di ricerche utili da intraprendere sono state date a Floraviva da Antonella Pontrandolfi, ricercatrice del Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (Crea), e precisamente del Centro di ricerca Agricoltura e Ambiente di Roma, sentita il 15 febbraio a Firenze all’Accademia dei Georgofili a margine del convegno “La gestione del rischio in agricoltura” (vedi). Pontrandolfi, che è intervenuta con una relazione intitolata “Ricerca e innovazione per la gestione del rischio in agricoltura: sviluppi metodologici e strumenti di supporto” e preparata insieme a Giovanni Cappelli e Fabrizio Giuntoli, ha ricordato che il concetto di calamità naturale è collegato alla gravità degli impatti, che non dipendono solo dagli estremi climatici (eventi con frequenza e/o intensità nettamente superiori alle medie), ma anche dalla esposizione e vulnerabilità dei sistemi agricoli colpiti. Pertanto il rischio climatico, inteso come rischio di calamità naturale, va gestito sia attraverso la riduzione dell’esposizione (parti soggette a impatti avversi) e della vulnerabilità (predisposizione ad essere danneggiati dagli impatti) dei sistemi, sia attraverso la risposta che viene data subito dopo che è avvenuta la calamità.
«Tengo molto al concetto di esposizione e vulnerabilità – ha detto a Floraviva Antonella Pontrandolfi -. Cioè se non si fa un’analisi dei sistemi agricoli, come si fa a proporre una soluzione piuttosto che un’altra? La vulnerabilità è dei sistemi, non del tempo atmosferico. Il tempo incide sull’esposizione delle aree a certi eventi, ma poi è il sistema ad essere più o meno in grado di reagire. Le faccio l’esempio della siccità: se si hanno adeguati strumenti di programmazione dell’uso dell’acqua e impianti irrigui, si è meno vulnerabili alla siccità, indipendentemente che la siccità ci sia o meno». Dunque per la ricercatrice del Crea ci vogliono più dati sulle condizioni di esposizione e vulnerabilità dei sistemi agricoli. In particolare, bisogna «approfondire l’impatto degli eventi estremi su colture che a noi interessano di più, oltre ai cereali, e che sono la vite e l’olivo e in generale le arboree da frutta, perché sono fondamentali per la nostra economia agricola nazionale» e «a parità di evento, ci sono produzioni che, proprio perché hanno un alto valore aggiunto, perdono di più, ad esempio a parità di pioggia il vigneto subisce un danno molto maggiore rispetto ad un campo di frumento, per cui è fondamentale mettere a disposizione di questi settori degli studi che consentano di simulare come si comporterebbe la produzione in caso di eventi estremi».
Un’altra esigenza prioritaria messa in evidenza da Antonella Pontrandolfi «è riuscire ad arrivare a previsioni stagionali per l’agricoltura, perché le previsioni a 10/15 giorni non sono sufficienti per programmare bene o per prevedere i problemi. Sulle previsioni stagionali non c’è tantissimo in giro: le fanno un po’ i francesi, c’è il Consorzio Lamma in Toscana che se ne occupa. Naturalmente non sono come le previsioni a 5 giorni. Però averle per tutto il territorio nazionale, almeno sulle aree agricole principali, sarebbe importante».
 
Lorenzo Sandiford