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Il decreto competitivita', oggi in discussione alla Camera, riconosce all'agricoltura una funzione strategica per l'economia del nostro Paese, grazie all'opera del presidente Renzi e del ministro Martina, il cui merito e' quello di avere posto l'agroalimentare tra le priorita' del Paese". Lo afferma il capogruppo del Pd in commissione Agricoltura alla Camera, Nicodemo Olive
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Solo il 30% di vegetale nelle bottiglie definite PlantBottle. coca cola ne distribuisce in fase test 2.5 miliardi. Forse un'operazione di comunicazione?? Legambiente avverte di esser cauti.
Parte la corsa delle bioplastiche. E la Coca Cola entra in pista con 2,5 miliardi di bottiglie già distribuite in nove paesi (in una sperimentazione partita nel 2009) e l'obiettivo di completare la sostituzione entro il 2020. Il nuovo contenitore in Pet riciclabile si chiama PlantBottle ed è realizzato usando fino al 30% di materiali di origine vegetale - in larga parte canna da zucchero brasiliana - anziché fossile.
In questo modo, sostiene la multinazionale americana, si dà un contributo all'abbattimento dell'impatto ambientale del packaging: "Pensiamo che produrre bottiglie di plastica riciclabile con una percentuale sempre maggiore di materiale vegetale significhi fare un ulteriore passo avanti nella conservazione delle risorse e nella riduzione dei rifiuti". Ma quante bottiglie si riescono effettivamente a riciclare e quante vanno disperse, finendo anche a galleggiare in mare per decenni? In molti mercati, secondo i dati della multinazionale americana, il tasso di riciclo delle bottiglie in Pet sta sopra alla soglia del 50%, in altri sotto. L'obiettivo è "recuperare direttamente metà delle bottiglie e delle lattine che metteremo sugli scaffali entro il 2015".
"Che aziende globali come la Coca Cola comincino a inserire nella plastica una quota di materiali di origine vegetale è un passo avanti, ma attenzione a non scivolare sulle parole: il termine biobottiglia è pericoloso perché parliamo di un oggetto che non è biodegradabile e che, se abbandonato, diventa fonte di inquinamento per un periodo molto lungo", avverte Stefano Ciafani, vicepresidente di Legambiente. "E' positivo che sia scattata la competizione per la chimica verde ma bisogna distinguere. In Italia, ad esempio, ci sono due bioraffinerie molto avanzate che utilizzano scarti o prodotti locali, una a Porto Torres di Eni Versalis e Novamont, l'altra a Crescentino di Mossi e Ghisolfi. La terza struttura, a Marghera, dell'Eni, usa invece olio di palma: una materia prima ricavata molto spesso dalla deforestazione e trasportata per migliaia di chilometri. Queste due filiere, una locale a basso impatto ambientale, e una globalizzata ad alto impatto ambientale, non vanno confuse".
Il settore delle bioplastiche sembra comunque destinato a una crescita molto veloce. Secondo gli ultimi dati elaborati dall'Institute for Bioplastics and Biocomposites dell'Università di Hannover, il mercato globale è destinato a crescere nei prossimi anni a ritmi sostenuti, per arrivare a una capacità produttiva installata intorno a 6,2 milioni di tonnellate nel 2017, contro gli attuali 1,4 milioni di tonnellate. Gran parte della produzione, circa 5,1 milioni di tonnellate, sarà però costituita da plastiche non biodegradabili. Ad esempio Tetra Pak nel 2013 ha prodotto un miliardo di tappi in plastica riciclabile, ma non biodegradabile.
"C'è comunque una forte spinta anche nel settore delle plastiche biodegradabili", aggiunge Beppe Croce, direttore di Chimica Verde Bionet. "Oltre agli shopper in Mater-Bi che hanno fatto scuola in Europa, c'è la Sant'Anna che ha messo in commercio la prima bottiglia al mondo di acqua minerale realizzata in Pla prodotto da Natureworks e derivato dalla fermentazione dell'amido di mais: si biodegrada in meno di 80 giorni senza lasciare traccia nell'ambiente. La Polycart di Assisi, partner di Novamont, ha invece realizzato buste biodegradabili e compostabili per prendere l'ortofrutta nei supermercati. E poi ci sono le cassette refrigeranti per la pesca in Pla espanso. Sono biodegradabili e compostabili e quindi se abbandonate in mare si degradano in tempi brevi: un grande vantaggio visto che le cassette in polistirolo espanso, difficili da pulire, spesso vengono buttate via senza troppi scrupoli".
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Le aziende e le attività agrituristiche saranno presto identificate dal marchio "Agriturismo Italia", registrato dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali.
Questo marchio, che verrà concesso in licenza d'uso alle Regioni ed assegnato alle aziende agricole entro il prossimo avvio di Expo 2015, introduce per la prima volta un sistema nazionale di classificazione degli agriturismi, caratterizzato da una simbologia comune ed omogenea sull'intero territorio italiano.
Sarà dunque più semplice per gli ospiti individuare le caratteristiche dei singoli agriturismi e di conseguenza scegliere al meglio la struttura dove soggiornare. La classificazione introdotta infatti, è affine a quella in vigore per hotel e campeggi, e attraverso la simbologia del girasole, prevede cinque categorie di riferimento.
Tra i criteri di valutazione, dove cinque girasoli stanno ad indicare il livello qualitativo più alto, troviamo le attrezzature e i servizi offerti, la cura del comfort, il contesto paesaggistico - ambientale e soprattutto la caratterizzazione agricola e naturalistica dell'accoglienza, che rappresenta l'attesa più importante da parte di chi decide di trascorrere le vacanze in agriturismo.
Il nuovo sistema di classificazione verrà adottato anche dal portale Agriturismi.it, al fine di permettere agli utenti una più immediata ed accurata scelta della struttura più idonea a soddisfare le proprie specifiche esigenze.
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- Scritto da Andrea Vitali
Se lo chiedono le Associazioni dopo la lettera della Commissione Europea che chiarisce l'illegittimità della cattura degli uccelli.
“Cambiare la legge, scrivendo chiaramente che la cattura degli uccelli selvatici con le reti è definitivamente vietata. E’ l’unica cosa sensata che il Governo può ora decidere, per chiudere il contenzioso comunitario e una lunga storia di illegalità ambientale”.
Lo dichiarano le associazioni Lipu, Enpa, Animalisti Italiani, Cabs, Lac, Lav, Oipa, Wwf Italia dopo la lettera inviata nei giorni scorsi dalla Commissione europea alle autorità italiane che boccia il nostro Paese in tema di cattura degli uccelli a fini di richiamo e rimette in discussione il tentativo di sanatoria in atto con il Decreto 91.
“La novità della lettera della Commissione europea – scrivono le associazioni - sta nel fatto che la cattura degli uccelli selvatici a fini di richiamo è giudicata illegittima ai sensi sia dell’articolo 8 della direttiva Uccelli, che vieta l’utilizzo delle reti per catturare uccelli, sia dell’articolo 9, che prevede la possibilità di deroga. Questo significa che è vietato catturare uccelli selvatici a fini di richiamo anche in deroga, perché esistono molte soluzioni alternative alla cattura degli uccelli per farne richiami vivi per la caccia.
La Commissione europea aveva già esposto questo concetto, nella lettera di messa in mora dell’Italia del 21 febbraio scorso, ma ora lo ha affermato in modo perentorio, chiarendo che le eventuali autorizzazioni degli impianti di cattura degli uccelli con le reti “sarebbero illegittime in quanto violerebbero gli Articoli 8 e 9 della Direttiva”.
Non solo: la Commissione chiede inoltre all’Italia di intervenire sugli eventuali provvedimenti regionali in modo “costante, tempestivo e rigoroso” per impedire che l’illegittimità delle catture regionali si verifichi ancora.
Fondamentale è inoltre considerare che la bocciatura della Commissione non riguarda un testo specifico elaborato dall’Italia ma l’intera politica italiana sui richiami vivi, “una posizione – scrive la Commissione – già nota alle autorità italiane alla luce della Lettera di Messa in Mora notificata al Governo italiano in data 21 febbraio 2014”.
Cosa può fare dunque, a questo punto, il Governo? La cosa più saggia è quella di modificare l’articolo sui richiami vivi presente nel decreto 91 Competitività, formulando in modo chiaro il divieto di cattura, con le reti e ogni altro mezzo proibito, degli uccelli selvatici a fini di richiamo, considerando che l’attuale testo rimanda tale divieto a un Dpcm che vedrà la luce in teoria fra un anno e che anzi, nei fatti, non sarà emanato mai.
Ci attendiamo dal Governo e dai Ministeri interessati un atto di sensatezza ma anche autotutela, per non restare con il cerino in mano, evitare ulteriori forzature e dichiarare finalmente chiusa la penosissima pagina italiana dei richiami vivi.
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- Scritto da Andrea Vitali
Il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali rende noto che è stata presentata l’anteprima del rapporto “Bio in cifre 2014”, elaborato dal Sinab - Sistema d’Informazione Nazionale sull’Agricoltura Biologica e da Ismea.
Secondo lo studio i consumi nel mercato italiano del biologico sono cresciuti del 17,3% nei primi cinque mesi del 2014 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Si tratta dell’aumento di consumi nel comparto più elevato dal 2002.
Le uova risultano essere il prodotto bio più acquistato, con un’incidenza del 9,5% sulla spesa totale.
Gli operatori del settore biologico, al 31 dicembre 2013, risultano essere 52.383, con un aumento complessivo del 5,4% rispetto al 2012.
I produttori esclusivi sono 41.513; 6.154 i preparatori esclusivi (comprese le aziende che effettuano attività di vendita al dettaglio); 4.456 che effettuano sia attività di produzione che di preparazione; 260 operatori che effettuano attività di importazione.
È in aumento rispetto al 2012 anche la superficie coltivata secondo il metodo biologico, che al 31 dicembre 2013 risulta pari a 1.317.177 ettari (circa il 10% del totale della superficie coltivata nazionale) con un aumento complessivo annuale del 12,8%.
I principali orientamenti produttivi sono i pascoli, il foraggio e i cereali. Segue, in ordine di estensione, la superficie investita ad olivicoltura.
Per le produzioni animali, distinte sulla base delle principali specie allevate, i dati evidenziano rispetto allo scorso anno un aumento consistente, in particolare per gli equini (+38,7% del numero di capi, che tuttavia registrano in termini assoluti valori naturalmente contenuti) e per la categoria “altri animali” (+31,4% del numero di capi), nella quale rientrano ad esempio i conigli.
“Siamo leader in Europa nel settore bio – ha commentato il Ministro Martina – e il trend positivo di crescita del comparto sotto il profilo produttivo e dei consumi ne è la conferma. Parliamo di un settore che vale 3 miliardi di euro nel nostro Paese e che riguarda oltre il 10% della superficie agricola nazionale. Durante il semestre italiano di Presidenza dell’Ue lavoreremo sulla riforma della normativa europea sul biologico, sulla quale già nel primo Consiglio dei Ministri dell’agricoltura a Bruxelles si è aperto un positivo dibattito”.
“Il quadro del bio delineato dal Sinab – ha aggiunto il Viceministro Andrea Olivero, che ha la delega all'agricoltura biologica – è positivo e incoraggiante, soprattutto per quella parte di agricoltura ‘green’. La sostenibilità premia: mentre il trend dei consumi alimentari decresce, la domanda del bio risulta in totale controtendenza. Puntare su prodotti eco, innovare i processi produttivi in chiave sostenibile sono i fattori di successo della nostra agricoltura e su questi obiettivi è indirizzata la nostra azione politica”.