Arte Verde
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- Scritto da Andrea Vitali
L’artista francese Cyril Lancelin nasce nel 1975 a Lione, dove vive e lavora.
Cyril Lancelin crea legami tra il fisico e l’immaginario, attraverso sculture, installazioni immersive, disegni, esperienze virtuali, video.
L’artista offre un vocabolario plastico, basato sulla geometria primitiva che lega architettura e corpo umano, quotidiano e funzionale, perenne ed effimero, scienza e natura.
La carriera di Cyril Lancelin inizia a Parigi e Losa Angeles, lavorando per architetti e artisti, utilizzando tecniche di modellazione 3D e immagini virtuali sviluppate negli anni ’90.
Nella sua esplorazione della ricerca della materia tridimensionale usa Realtà Virtuale e la Realtà Aumentata.
La sua pratica è plasmata dall’immersione e dal movimento, dalla porosità dei limiti, dall'innovazione, dalla ricerca di un mondo che è metà inventato, metà reale.
Temi ricorrenti nelle sue opere sono le nozioni di ripetizione e generazione parametrica. Anticipa il nostro passaggio in un mondo di dati moltiplicati e condivisi.
Stabilisce un territorio connesso tramite un dialogo concettuale, tra le sue pratiche e l’esperienza del pubblico.
Digitali o reali le sue opere offrono una visione ottimistica, disegnando un paesaggio artificiale e esperienziale.
Arte verde è una rubrica curata da Anne Claire Budin
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- Scritto da Andrea Vitali
Gilbert Prousch (nato nel 1942 in Italia) e George Passmore (nato nel 1943 nel Devon), si sono conosciuti a Londra il 25 settembre 1967 alla St. Martin's School of Art. Il loro incontro londinese, durante il corso di scultura di Anthony Caro (artista minimalista), è un vero colpo di fulmine, da questo momento si fondono in un essere unico, tanto da firmare le loro opere solo con il loro nome.
"Siamo due individui ma un unico artista".
"Ci sono artisti che collaborano, non noi".
In primo luogo, Gilbert e George, inventano ed espongono sculture portatili e si fotografano con esse, tenendole tra le mani. In seguito abbandonano questo tipo di opera, per posare da soli. Al contrario dell’educazione formalista che hanno ricevuto, loro affermano la centralità dell’essere umano e usano il loro corpo come materia creativa.
"Volevamo inventare un'arte che piacesse a tutti".
Dal 1974 la serie di foto in bianco e nero si ricompone in un formato rettangolare e incorpora tocchi di rosso, attraverso l'interazione di bianco e nero e colore, che spesso va a disegnare una croce. A poco a poco, integrano altri colori.
Già nel 1980, le foto si fondono in un fotomontaggio rettangolare che utilizza molti colori saturi, con una griglia di linee nere sovrapposte, dando un effetto che ricorda il vetro colorato.
I fotomontaggi sono ispirati alla loro vita quotidiana, Gilbert e George restano i protagonisti delle loro produzioni.
Mostrano anche ai loro amici, l'appartamento e il quartiere in cui hanno vissuto da quando si sono conosciuti, parlano di Londra e dell'Inghilterra.
Dagli anni '90 non si presentano più solo in costume ma anche nudi, spesso in pose trash (Naked Shit Pictures, 1994), le immagini sono rafforzate dalle parole dure che le accompagnano, prendendo di mira sessualità, escrementi, e fluidi corporei, talvolta visti al microscopio.
I loro temi, ispirati da immagini di stampa e fotografie personali accuratamente classificate nel loro studio, non si limitano esclusivamente alla sessualità, ma si concentrano anche alla vita e alla morte, alla gioventù, alle questioni sociali, al denaro, al razzismo, alla violenza, alla religione.
"Raccontando la nostra vita attraverso i nostri dipinti, stabiliamo un dialogo con il pubblico (...) La nostra arte si evolve con noi poiché riflette i nostri pensieri, le nostre azioni e persino le nostre trasformazioni fisiche".
"La nostra arte trae ispirazione dalla vita e non dalla storia dell'arte".
Tuttavia, non sono sfuggiti all'influenza dell'arte della prima e della seconda metà del XX secolo, sia nella loro provocazione, nella loro performance art, nella loro fusione tra arte e vita, nel loro uso di video e fotomontaggio, nel loro uso del linguaggio, nel loro autoritratto in costume…
I loro fotomontaggi colorati, simili alle vetrate o al muro decorato, sono cresciuti di dimensioni negli ultimi decenni, raggiungendo a volte "dipinti" monumentali, immergendo lo spettatore nell'opera.
Le immagini mostrano Gilbert e George che vagano attraverso mondi naturali paradisiaci pieni di frutti, fiori, foglie e alberi per lo più dai colori espressionistici. Ognuno è un cosmo in sé; insieme formano una spettacolare visione del paradiso che è allo stesso tempo lussureggiante e fantastico, con elementi allucinatori e psichedelici.
Comune a tutte le immagini è il motivo della fioritura in natura, un evento gioioso ulteriormente enfatizzato dai colori vivaci. Eppure uno sguardo più attento rivela che i fiori sono sbiaditi; le foglie brillano in tonalità autunnali o giacciono appassite a terra; i frutti si sono seccati; le pose del duo trasudano esaurimento e fatica.
Le scene autunnali della natura possono essere interpretate come una metafora dell'autunno della vita, un ciclo eterno di passaggio e risveglio. Le opere alludono anche al processo d’invecchiamento, al confronto con la propria caducità, un tema tanto più onnipresente e palpabile sulla scia di una mortale pandemia globale.
Arte verde è una rubrica curata da Anne Claire Budin
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- Scritto da Andrea Vitali
Klaus Enrique è un fotografo che vive e lavora a New York, per la sua espressione creativa si definisce con il termine “Arcimboldist”. Per Enrique il pittore italiano Giuseppe Arcimboldo, e i suoi ritratti, rappresentano il punto di partenza.
I quadri iconici di un pittore, vissuto circa quattrocento anni fa, hanno condizionato la creatività di Enrique per tutta la vita e, quando è riuscito ad avere una comprensione profonda del lavoro del suo predecessore e di cosa ha reso le opere di Arcimboldo così grandi e, ancora oggi, così vive, Enrique ha deciso di dare forma alle sue idee creative attraverso la fotografia e, prima ancora tramite la scultura.
Infatti, se a colpo d’occhio, i suoi ritratti fotografici possono sembrare creati digitalmente, in realtà immortalano delle vere sculture, cui si dedica prima dello scatto.
Con l’uso di frutta, verdura e altri materiali organici, come carne rossa e addirittura un ragno. Realizza i suoi ritratti partendo proprio da Arcimboldo per arrivare a risultati sbalorditivi. Ritratti inquietanti, che danno alla sua arte venature gotiche e horror, ma i suoi soggetti sono anche molto divertenti e poetici.
Il suo lavoro si occupa principalmente di esprimere visivamente la condizione umana e quella del suo contesto storico artistico. Ogni fotografia è scattata in un centesimo di secondo e sarà fruibile per qualche minuto o poche ore, contemporaneamente si riallacciano al lavoro di un pittore vissuto molto tempo prima e ormai morto, ma la cui opera è invece molto viva, così come sono attuali i soggetti dei ritratti di Enrique. Per esempio un Baby Yoda composto con generose foglie di cavolo, rubato a Star Wars e due ritratti di Donald Trump, tanto angoscianti quanto dissacranti soprattutto se visti in sequenza, a causa del processo di decomposizione delle bucce di agrumi utilizzate, con cui quest’Arcimboldista contemporaneo simboleggia e rende quasi tangibile la corruttibilità umana e l’urgenza di trovare una via di salvezza.
Le fotografie di Klaus Enrique sorprendono, divertono, fanno riflettere. L’uso di materiale organico, quindi non duraturo, suggerisce agli esseri umani il loro tempo finito e forse, anche per questo, regalano inquietudine, divertimento e sorpresa.
Arte verde è una rubrica curata da Anne Claire Budin
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- Scritto da Andrea Vitali
Fiore per fiore, come facevano i vecchi maestri, questa è la tecnica che Bas Meeuws usa per le sue opere. Questo giovane artista, nato nei Paesi Bassi, vuole portare la bellezza reale e senza tempo nella vita quotidiana. Nel farlo ha ridato nuova linfa al tradizionale genere olandese delle Nature Morte.
Bas Meeuws, fotografo autodidatta, ha rinnovato il filone figurativo delle Nature Morte, sostituendo la fotografia digitale alla tavolozza e ai pennelli, il risultato lo porta al paragone diretto con i grandi esponenti di questo genere in voga dal XVII secolo, cui s’ispira.
Primo fra tutti Ambrosius Bosschaert (1573-1621), di cui ricorda i bouquet, dove ogni singolo fiore è dipinto con una precisione scientifica, oppure la ricchezza di flora ma anche di fauna che si ritrova in un altro rappresentante di questo genere, in altre parole il pittore fiammingo Roelant Savery (1576-1639).
Da molta attenzione alle tecniche che si adoperavano nel XVII secolo, Bas Meeuws vuole evocare nello spettatore moderno (e forse anche in se stesso) lo stesso stupore che persone di quel lontano periodo storico devono aver provato di fronte a quei dipinti. Davanti a fiori esotici, rari, costosi che non avevano mai visto prima, in un insieme di bellezza, lusso e splendore.
D’altra parte questo è il ruolo dei fiori: sedurre farfalle, api e altri insetti ma non solo, i fiori seducono anche noi.
La sua tecnica consiste nel fotografare singolarmente i fiori in diverse fasi della fioritura, al fine di sovrapporre le immagini e creare così qualcosa d’ideale e, nello stesso modo di fermare il tempo, poiché in Natura sarebbe impossibile ammirare a lungo un fiore al culmine del suo splendore.
Per questo possiamo accostare le sue fotografie all’antico genere delle vanitas, nature morte con allusioni alla caducità dell’esistenza.
Per le sue composizioni Bas Meeuws usa i fiori più belli ma anche quelli più comuni, come margherite e fiordalisi, e anche il sedano come elemento verde.
La sua carriera nel mondo della fotografia, iniziata nel 2010, e la sua passione per la botanica l’hanno portato a avere un archivio di oltre 13.000 immagini di singoli fiori, che usa per costruire i suoi bouquet.
Nelle sue fotografie la stratificazione di fiori, la bellezza della natura, la storia e la tecnica si uniscono perfettamente per creare opere di grande impatto visivo, vere e proprie opere d’arte che regalano grande stupore e, sicuramente, seducono.
Arte verde è una rubrica curata da Anne Claire Budin
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- Scritto da Andrea Vitali
Fabrice Hyber, l'artista visivo francese più eco-responsabile ha seminato circa 100.000 alberi nella sua città natale, Vendée, creando così una foresta artificiale progettata come "opera d'arte" e spazio creativo per giovani artisti.
“Questa foresta ci sono molte specie di alberi, sequoie che ho seminato quando ero bambino, frassini, salici, pini, acacie, castagni, noccioli, peri selvatici, ciliegi… e anche palme -racconta Hyber-. Ci sono anche querce che hanno trecento anni”
Inizialmente, l'obiettivo era quello di proteggere le terre dei suoi genitori, che erano allevatori, dall'invasione delle colture intensive vicine. Il bosco per lui è diventato un laboratorio, un “luogo di esperienza e di piacere” e alla fine ha deciso di creare proprio lì "aree da sogno per i poeti" e di farne un luogo di scambio e incontro, lanciando lì un "festival mondiale della poesia".
Fabrice Hyber è da anni appassionato del concetto di mutazione. Con Pascale Cossart, riconosciuto specialista in microbiologia cellulare, sta preparando un lavoro scientifico illustrato sui microbi unicellulari. Onnipresente nel suo lavoro è il tema del biotopo, concepito sia come utopia che come progetto di vita. L'artista collabora da dieci anni con l'Istituto Pasteur dove ha realizzato un gigantesco mosaico ceramico in collaborazione con la fabbrica di Sèvres. Nel 2015 ha lanciato il progetto Organoid volto a far dialogare gli scienziati dell'Istituto con vari artisti (Orlan, Hervé Di Rosa, Miguel Chevalier, Barthélémy Toguo, ecc.)
A differenza delle foreste monocolture convenzionali, "che tendono ad esaurire la terra", Hyber ha voluto mescolare le specie. Come il fotografo Sebastiao Salgado, che ha piantato una foresta di 800 ettari in una regione devastata dagli allevamenti di bestiame in Brasile, Fabrice Hyber ha voluto fare della sua foresta una barriera ecologica piantando circa 300.000 semi.
Quando non è nel suo studio parigino di Pantin, è qui a Vendée che disegna, scolpisce, pota, scrutando la sua foresta con stivali di gomma e un piumino smanicato verde petardo. Un verde detto "Hyber" che caratterizza l'installazione del suo "Homme de Bessines", una delle sue prime commissioni pubbliche, nella città di Deux-Sèvres alla fine del gli anni '80.
"Il verde Hyber è il colore che assume il carpino in primavera, il colore più artificiale che ci sia", ride l'artista visivo. Ma per lui “il verde non è un colore freddo, ma energizzante”.
A volte descritto come un artista “iperconcettuale”, Fabrice Hyber è un artista-ricercatore: la sua formazione scientifica lo spinge a voler sempre capire il senso nascosto delle cose", afferma Olivier Schwartz, direttore dell'unità virus e immunità dell'Institut Pasteur che con lui ha stretto una partnership.
Arte verde è una rubrica curata da Anne Claire Budin