Arte Verde

Nel 2005 Gohar Dashti consegue il Master in Fotografia alla Tehran University of Art. Impiegando un’estetica unica, quasi teatrale, mette in campo sua personale esperienza intellettuale e culturale attraverso cui pone attenzione sul mondo che la circonda. Negli ultimi 17 anni ha realizzato foto su larga scala con una attenzione particolare alle questioni sociali, facendo riferimento alla storia, alla cultura contemporanea e alle corrispondenze di prospettive antropologiche e sociologiche.

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Nelle sue opere più recenti, Dashti ha esplorato, attraverso le sue osservazioni molto stilizzate e densamente poetiche della vita umana e vegetale, l'innata parentela tra il mondo naturale e le migrazioni umane. Affascinata dalle narrazioni umano-geografiche e dalla loro interconnessione con le proprie esperienze personali, Gohar Dashti crede che la natura sia ciò che la collega ai molteplici significati di "casa" e "spostamento", sia come astrazione concettuale, sia come realtà concrete, che tracciano la nostra esistenza. Il risultato è una serie di bizzarri paesaggi e ritratti, tanto lussureggianti quanto arcani, che incoraggiano a interrogarsi sull'immensa, variegata portata della natura che evita i confini - immune da divisioni culturali e politiche - e sui modi in cui gli immigrati necessariamente cercano per poi ricostruire topografie familiari in una nuova terra apparentemente straniera.
2022 Come progetto, "Near and Far" prende le tradizioni occidentali della fotografia naturalistica applicandole un approccio persiano di prospettiva e geometria. I risultati sono intricati collage fotografici che combinano le due filosofie e creano un dialogo visivo tra la natura di due culture, presentando nuove interpretazioni fantastiche e poetiche di ciò che può essere un paesaggio.
2019 “Land/s”, indaga sul potere che ha la natura di far sentire le persone a casa, indipendentemente da dove si trovino sulla Terra. Ogni foto della serie mostra un cartellone pubblicitario mobile situato in un diverso paesaggio scenografico in Iran. Sebbene le foto sui cartelloni assomiglino molto alle topografie cui sono state accostate, ognuna è stata scattata a più di 10.000 chilometri di distanza, negli Stati Uniti.

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Inserendo immagini americane nei paesaggi iraniani, Dashti rivela la natura selvaggia come un rifugio per le persone che desiderano "casa" mentre costruiscono una nuova vita in una terra straniera. Land/s è un promemoria di come la natura ci colleghi alle nostre terre, all'infanzia, alle culture e alle storie.
2017 Nella serie "Home", lo spettatore è invitato in set lussureggianti e onirici che modificano le attese sul reale. Una casa sopraffatta dalla natura è una casa deserta, ripulita dai suoi abitanti umani. Le persone si sono trasferite e le immagini mostrano cosa succede quando la propria casa è abbandonata. Le fotografie rivelano il potere della natura di consumare e conquistare un’abitazione.
“Quando parlo di guerra nelle mie opere, mi riferisco alla guerra nel mondo, e mi riferisco anche ai miei ricordi sulla guerra quando ero piccola. Solitamente i miei lavori iniziano come percezioni personali. Il mio recente lavoro non è solo un'esplorazione personale sulla natura, ma riguarda anche il modo in cui la natura può essere politica. Che cosa succede all'ambiente quando le popolazioni umane sono fatte sfollare o distrutte dalla guerra? Le persone sono transitorie mentre la natura è una quantità costante e immutabile. La natura sarà qui molto tempo dopo che tutti noi ce ne saremo andati”.

Arte verde è una rubrica curata da Anne Claire Budin

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L’artista giapponese Tadashi Kawamata è nato a Hakkado nel 1953, fin da giovane si fa notare nella scena artistica giapponese e internazionale.

A 28 anni, dopo la laurea all’Università di Belle Arti di Tokyo, viene invitato al padiglione giapponese della 40esima Biennale di Venezia. Dal 1999 fino al 2005 è stato professore all’Università di Belle Arti di Tokyo, dal 2007 al 2019 ha insegnato all’Accademia Nazionale di Belle Arti di Parigi. Nel 2005 è stato nominato direttore artistico della seconda triennale di Yokohama.

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Il suo è un lavoro processuale, dalla forte coscienza ambientalista, che si sviluppa dall’arte all’architettura, dall’urbanistica alla sociologia alla storia. Le sue installazioni site specific sono  appena degli schizzi nel paesaggio, con materiali poveri e semplici modalità costruttive riesce a delineare un immaginario e trasforma la percezione dell’ambiente in modo radicale. Kawamata realizza le sue opere con cascate di legni trovati, che bene rappresentano la precarietà della nostra vita. Per Tadashi Kawamata la vita dell’uomo è breve, tutto è temporaneo e la permanenza è solo un’astrazione…
Così è stato lo Tsunami ed è quello che rappresenta con la sua installazione ispirata a questa grande tragedia: un’ondata che travolge tutto quello che incontra. I materiali di legno, i detriti che galleggiano nello Tsunami raffigurano la vita quotidiana che è stata spezzata. Porte, finestre, sedie, cassetti sono tutti materiali di recupero, così come in tutte le sue opere.
A Milano fino al 23 luglio 2022 la galleria Building ospita la mostra NESTS IN MILAN, esposizione a cura di Antonella Soldaini.

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Tadashi Kawamata presenta per la prima volta installazioni concepite per quest’occasione. Interventi realizzati in legno, installati negli spazi interni di Building e sulla sua facciata e nel quartiere di Brera. Questi interventi, oltre che a una riflessione sul contesto sociale e le relazioni umane, hanno l’obiettivo di allargare l’area di intervento in modo da inglobare una porzione del tessuto urbano della città.
Il nido è un soggetto simbolico che Kawamata indaga fin dal 1998, partendo da iniziali forme astratte. L’opera di Kawamata interviene in situazioni difficili, come a Kassel nel 1987, per documenta 8, dove l’artista restituisce all’attenzione degli abitanti una chiesa distrutta durante la seconda guerra mondiale, che non è stata ricostruita.

Arte verde è una rubrica curata da Anne Claire Budin

Attraverso l’uso di fotografia, video, performance, oggetti trovati e disegni, l’artista Alberto Baraya, nato a Bogotá in Colombia nel 1968, studia lo sfruttamento coloniale di alcune culture e in modo ironico ne racconta gli echi che hanno nella cultura globalizzata contemporanea.


Alberto Baraya dal 2001 si definisce un viajero, rifacendosi apertamente ai viaggiatori europei del Settecento e dell’Ottocento che compivano esperimenti botanici in nome del progresso scientifico ma, nella realtà, sempre al servizio dei colonizzatori al potere.
Negli ultimi anni il suo lavoro si è concentrato su un progetto di ricerca che rivisita i viaggi compiuti nelle Americhe dalle società reali europee a cavallo del XIX secolo, l’Herbarium of Artificial Plants.

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Questo erbario di erbe artificiali ricrea una collezione simbolica di flora palermitana e siciliana. Baraya ha raccolto le erbe durante le sue esplorazioni in Sicilia, facendo attenzione agli omaggi floreali legati alla devozione religiosa e talvolta laica, rinvenuti nelle edicole votive presenti nelle aree urbane. La serra “Maria Carolina” è così diventata un luogo simbolico dove culture e fiori si incontrano, grazie a questa esposizione di piante artificiali possiamo comprendere gli atti quotidiani legati alle tradizioni culturali e religiose dell’isola.

Arte verde è una rubrica curata da Anne Claire Budin

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Un incontro tra la tradizione azteca e Ognissanti, la festa cristiana portata dai conquistatores spagnoli, “El dia de los muertos” in Messico è stato istituito negli anni ’20 dai governi nazionalisti risultanti dalla rivoluzione del 1910.

Questo giorno è rappresentato dai “Calaveras”, una delle figure più singolari e allo stesso tempo più diffuse e peculiari della cultura popolare messicana. Per trovare le sue origini bisogna immaginare l’incontro tra la Morte pre-ispanica e le “danze macabre” dell’Europa medioevale, un’unione che attraverso le litografie del genio di José Guadalupe Posada, inconsapevole artista del XIX secolo, crea una rappresentazione della morte completamente nuova: una morte dal volto umano, non più spaventosa o allusiva alla triste e inevitabile fine, ma assolutamente vitale e ironica.
Il pittore messicano-americano Tino Rodríguez, nato e cresciuto a Guadalajara in Messico, è stato influenzato dal simbolismo e dai temi delle chiese cattoliche della sua gioventù, oltre che dal suo aver assimilato le fiabe.

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Il suo lavoro è una ricerca di una filosofia spirituale che trascende la semplice dualità tra bene e male, unisce forme animali e umane in immagini fantastiche, con sfondi e ambientazioni da sogno, dove trionfano fiori e insetti e, proprio di questi elementi naturali sono fatti i suoi teschi, per un’ancora più surreale giorno dei morti.
Rodriguez ha studiato alla Sorbona nel 1990. Ha conseguito il Bachelor of Fine Arts presso il San Francisco Art Institute e il Master of Fine Arts presso l'Università del New Mexico.

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Tamara Obukhova ha 22 anni e fino all’età di 16 anni è vissuta in Kazakistan dov'è nata,  dopo si è trasferita in Repubblica Ceca, lì la mancanza del suo ambiente e il trasferimento hanno influenzato la sua arte.

Tamara gioca con le percezioni e introduce elementi inaspettati anche nelle situazioni più banali; la sua arte è condizionata dal mondo naturale, dalla gioia che offre l’inatteso e donare a oggetti di uso quotidiano ed elementi naturali una situazione singolare.
L’arte le è affine fin dall’infanzia, ha esplorato i suoi molteplici lati. All’università, dove si è laureata in interior designer, ha studiato vari tipi di arte. Attualmente la sua pratica artistica si basa sulla fotografia, “puoi catturare un ibrido di significati di oggetti diversi in un unico concetto”.

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Esperienza, individualità, osservazione e ovviamente anche i suoi studi sono gli ingredienti della sua creatività.
“E’ molto interessante combinare significati opposti e parlare visivamente di ciò che non si adatta a parole e forme ordinarie”.
“Un paio di oggetti bastano per lasciarmi trasportare da questo gioco, in cui posso creare qualcosa di insolito e giocare con la nostra percezione”.
Il modo principale con cui Tamara Obukhova fa conoscere e condivide la sua arte è attraverso i social media, uno strumento che ritiene importante per la sua creatività, anche come mezzo per avere ulteriori ispirazioni: interagire con le persone, con diversi tipi di arte, studiarla e trarne nuova ispirazione. Ha un rapporto molto forte anche con il mondo naturale. La natura gli dona “una calma incomparabile, qui non c’è vanità mondana”. Tornare alla natura equivale a ritrovare la propria armonia. I suoi lavori sono anche ricchi d’ironia, cerca di ridicolizzare gli stereotipi, per toglierli la serietà superflua e mostrare il senso delle cose da una prospettiva alternativa.
Nel suo percorso artistico non manca l’attenzione per la sostenibilità, uno dei suoi principi è creare più cose possibili con gli stessi oggetti e utilizzare materiale che trova in casa o all’aperto, e non poteva che essere così per chi ha nella natura la principale fonte d’ispirazione.

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