Arte Verde
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- Scritto da Andrea Vitali
La fotografa finlandese che crea fantasie floreali contemporanee
Kreetta Järvenpää, nata in Finlandia nel 1974, è un'artista specializzata nella fotografia di fiori e piante. Si è laureata in un master presso l'Università della Lapponia a Rovaniemi, in Finlandia, e dal 2017 espone le sue fotografie ispirate all'età dell'oro olandese.
Immagini perfette per una finestra di fuga dalla realtà
"I fiori sono i miei materiali", afferma Järvenpää. "Sono espressivi e plasmati dal tempo. Creo composizioni floreali e le fotografo per catturare ogni dettaglio in una cornice. Tutto deve essere perfetto prima di scattare lo scatto finale e voglio che la mia fotografia non assomigli affatto a una fotografia. Creo una finestra di fuga dalla realtà con la mia macchina fotografica: una fantasia floreale".
Connessione con la bellezza dei fiori
Järvenpää ha scoperto il suo amore per i fiori e la pittura astratta dopo la morte della madre. "Amo la mia libertà di creare il mondo che voglio; la realtà e il tempo non hanno significato per me. Trovo il mio spazio meditativo attraverso la bellezza dei fiori mutevoli e in decomposizione, e nelle mie opere durano per sempre". Sceglie i suoi fiori con cura e cerca di lavorare in modo il più ecologico possibile. Dipinge i suoi fondali e costruisce arrangiamenti sotto l'albero di aranci coltivato da sua madre.
Viaggio con il suo linguaggio dei fiori
"Ora sono in viaggio con il mio linguaggio dei fiori", conclude Järvenpää. La sua arte cattura la bellezza e la poesia dei fiori, creando un mondo immaginario dove la realtà e il tempo non hanno più significato.
Arte verde è una rubrica curata da Anne Claire Budin
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- Scritto da Andrea Vitali
Scopri come l'artista Paul Yore utilizza materiali trovati e scartati per esplorare storie di identità queer, capitalismo neoliberista e cultura pop, creando opere tessili provocatorie che celebrano l'ibridità e la fluidità.
Paul Yore è un artista multidisciplinare australiano di grande talento e rilievo. Nato a Melbourne nel 1987, vive e lavora a Gippsland, Victoria, dove ha conseguito una laurea in Pittura, Archeologia e Antropologia presso la Monash University nel 2010. Il suo lavoro esplora questioni religiose, identità queer, cultura pop e capitalismo neoliberista, ricostruendo una vasta gamma di immagini, materiali e testi trovati in tableaux e assemblaggi provocatori che celebrano identità ibride e fluide, significati ambigui e l'orizzonte luminoso del mondo queer.
Yore lavora con materiali di scarto, compresi progetti artigianali abbandonati da altri. Filati per cucire, trecce, campioni di punto croce e pezzi di quilt, una volta simboli di speranza e attesa, vengono dimenticati negli scaffali delle scatole da cucito e nei fondi dei cassetti. Questi resti di progetti mai realizzati offrono a Yore materiali e storie immaginarie.
L'artista unisce questi scarti con testi e immagini trovati per creare opere tessili stravaganti che esprimono la fluidità e le contraddizioni della vita contemporanea. La cultura queer, l'avidità corporativa, l'iperconsumo, il cristianesimo e lo stato di polizia sono affrontati senza esitazioni.
Arte verde è una rubrica curata da Anne Claire Budin
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- Scritto da Andrea Vitali
“Segui il thread e guarda dove ti porta” questo è il motto su cui l’artista Sheila Hicks scherza. Crea sculture tessili e a 87 anni per il grande pubblico è ancora poco conosciuta. Con Sheila Hicks devi buttarti e non aver paura delle emozioni forti e della stravaganza.
Per anni si è portata dietro piccoli pezzi di tessuto, per lei era come avere un taccuino in tasca che poi ha dato vita ai lavori che traducono “momenti di meditazione” e ore di tranquilla ricerca, con la mente errante, compiuta da Sheila Hicks nel corso del tempo.
Nata nel Nebraska, ha vissuto a Detroit, a 9 anni ha iniziato a seguire lezioni d’arte settimanali che l’hanno introdotta soprattutto agli affreschi monumentali di Diego Rivera. Suo padre l’aveva lasciata libera di dipingere la sua stanza con i colori che preferiva, era un suo diritto! Così usò un rosso vivo per le pareti e un blu elettrico per le tende ma, i vicini che videro queste scelta decorativa ritenuta “eccessiva”, protestarono con i genitori così, alla giovane Hicks fu vietato di dipingere il resto della casa.
Anni dopo, presso l’importante Università di Yale la studentessa segue lezioni di design da Josef Albers, uno dei più grandi nomi del Bauhaus. Si manterrà per tutta la vita vicina ai principi di questa corrente modernista: mescolare l’arte con la vita. Alcune delle opere della Hicks sono state realizzate utilizzando brandelli di vestiti dei suoi parenti (anche i pigiami del marito che ha integrato in una installazione).
Per i suoi lavori usa di tutto, dalle fibre tessili: lana mohair, vigogna, cotone ma anche materiali come piume di uccelli, fibre di ananas, conchiglie, aculei di porcospino apprezzati anche dagli indiani delle pianure, o biancheria di neonati...
“Mi piace prendere oggetti umili, della vita quotidiana e dare loro un’altra vita, per abbellirli”, dice. Le sue sculture, sono vive e si evolvono adattandosi ai luoghi in cui sono dispiegate, cadendo diversamente a terra, prendendo la luce in un modo nuovo. Nel suo studio Sheila ha sempre lasciato che i suoi due figli giocassero e parlassero con lei della scuola e della loro vita, mentre la aiutavano con i fili.
Dopo gli studi nel 1957 partì per il Cile grazie a una borsa di studio e viaggiò in Venezuela, Colombia, Ecuador e Perù. Si appassiona al modo di tessere delle donne indiane ai tessuti precolombiani, proprio questo sarà l’argomento della sua tesi. Incontra artisti come Jesus Rafael Soto, visual artist venezuelano, famoso per i suoi Penetrables, sipari a strisce in cui il pubblico si perde. La giovane Hicks arriverà persino ai confini del mondo americano, fino alle terre desolate e tormentate della Patagonia, in compagnia del grande fotografo cileno Sergio Lorrain (esposto in particolare ai Rencontres d’Arles nel 2013). In queste terre lontane incontrerà gli ultimi testimoni di questi popoli sterminati all’inizio del Novecento, “che fanno sacchi con erba e canne”, come racconterà nei primi anni ’70 a Monique Levy-Strauss.
All'inizio degli anni '60, Sheila Hicks insegnava design all'università di Città del Messico e viveva in un ranch dedicato all'apicoltura con il suo primo marito. Pur continuando a viaggiare e andando a creare nella regione di Kerala in India, a Rabat in Marocco, in Svezia, ecc., scelse di stabilirsi in Francia a metà degli anni 60. "I miei amici mi consigliarono la Francia, perché in Messico, io era un pesce grosso in un acquario piccolo, ed era meglio diventare un pesce piccolo in un acquario grande…".
"I fili sono elastici, anche nel senso che rendono la mente elastica, fantasiosa".
Sheila Hicks non ha mai fatto una classificazione tra discipline, scultura, design o decorazione. Ha realizzato cuscini per la famosa sedia Tulip di Eero Saarinen, grandi pezzi tessili decorativi come per la Ford Foundation a Manhattan a New York, una collezione di disegni tessili per la ditta Knoll, bassorilievi in seta selvatica da adornare all'interno dei Boeing 74. Nel film “Shining” di Stanley Kubrick, i tappeti dell'hotel sono opera di Sheila Hicks.
Sheila Hicks è sempre stata affascinata dall'"intelligenza della mano".
Aggiunge “Gioco molto con i colori e con i materiali, costruisco architetture e i fili sono elastici, anche nel senso che rendono lo spirito elastico, fantasioso”.
“Le emozioni sono nei materiali e spesso, di fronte a un'opera, lascia che ti ricordino del loro viaggio”.
Arte verde è una rubrica curata da Anne Claire Budin
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L’artista francese di Land Art, Pier Fabre da forma e colore agli agenti atmosferici attraverso le sue installazioni.
Nato a Parigi nel 1961, Pier Fabre si è diplomato Scuola Superiore di Arti Grafiche nel 1987, è stato illustratore e creatore di aquiloni originali che l’hanno reso famoso e richiesto in tutto in mondo, in questo periodo lavora tra Parigi e il suo atelier in Charente Marittima.
Dal 2000 ha utilizzato il dinamismo dell’aria per realizzare interessanti installazioni cinetiche che implementano la dinamica creata dall’aria, dall’acqua e dal vento. Molte delle sue installazioni utilizzano una moltitudine di lame ipersensibili che rendono visibile il passaggio del vento, le turbolenze e gli impercettibili movimenti dell’aria; i risultati di queste opere di Land Art sono senza dubbio spettacolari e generano affascinanti vibrazioni ottiche, accentrate sui colori caldi come il rosso e l’arancio.
Pier Fabre a proposito delle sue installazioni: "Il movimento è il centro mio lavoro di artista visivo: una pratica basata sulla pura percezione, con il tentativo di sviluppare una poetica dell'incidente attraverso l'osservazione e l'ascolto della materia stessa”.
“Nelle grandi installazioni site-specific, gli spazi a scala paesaggistica, la gravità, la danza dell'aria, il flusso dell'acqua, agiscono come forze scultorie, per creare effetti cinetici casuali e complessi da elementi molto semplici.
Moltiplicate per centinaia, queste parti in movimento ipersensibili disegnano vasti spazi di respiro, volumi sovrapposti, una combinazione di fotogrammi in cui i visitatori vengono a immergersi, immersi in campi di vibrazioni visive e sonore”.
“Che si tratti di un teatro della natura, di un deserto urbano o di uno spazio pubblico occupato per la durata di una mostra, la storia e la topografia di ogni sito innescano nuove idee in modo che l'opera sia espressiva nel luogo in cui si sta inserendo. Immerso nell'intimità del paesaggio, dispiegato o sospeso tra elementi architettonici, al di fuori di una situazione museale, ognuno potrà immaginare il motivo per cui si trova lì”.
“Una certa ambiguità è mantenuta dall'aspetto utilitaristico di alcune mie installazioni nello spazio pubblico, lasciando perplessi i passanti sulla loro possibile funzione”.
“Il lavoro preparatorio di progettazione e sperimentazione, il viaggio, la scoperta di nuovi territori, il lavoro di squadra indispensabile alla realizzazione delle installazioni più grandi, gli scambi con visitatori e altri artisti, questo è ciò che intreccia i legami memoriali ed esplorazioni attorno e oltre l'opera stessa, e contribuisce all'emergere di nuove vie di ricerca. È tutta quest’ avventura che mi motiva."
Arte verde è una rubrica curata da Anne Claire Budin
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Come Buster Keaton, il pittore americano Donald Baechler percorre con agilità il sentiero elegante sospeso tra la buccia di banana dell’ovvio e quella dell’oscuro.
Il rischio costante è scivolare, in quel caso il suo lavoro finirebbe tra lacrime comiche, ma Baechler si salva sempre; nonostante un immaginario talvolta stucchevole costruito da volti da cartone animato, giocattoli e illustrazioni da libro per bambini. Riesce anche a evitare l’imbarazzo che potrebbe nascere dal confronto tra il soggetto dell’artista e la consapevolezza dello spettatore e, infine l’opera riesce a posarsi dalla parte della raffinatezza e del tatto.
Nei primi anni ’80 Donald Baechler catalizza l’attenzione su di sé per la prima volta, fa parte del fenomeno dell’East Village, una corrente influenzata dall’arte tedesca contemporanea e lui, più degli altri, ha partecipato attivamente allo scambio culturale transatlantico, studiando dal 1978 al 1979 a Francoforte alla Staatliche Hochschule fur Bildenke Kuenste.
Pur non sciogliendo mai il suo legame con la pittura espressionista astratta, Baechler si lascia affascinare dai disegni per bambini e dalle immagini legate all’arte popolare americana, ma nel suo lavoro non c’è niente di outsider. Baechler lavora le superfici in modo posato, spesso con cupa decisione, testurizzando la tela con pezzi di spugna. Questi motivi funzionano come ampie espansioni grigiastre, indifferenti al colore, che è assente dal suo corpus.
Sembra che Baechler abbia reso le sue immagini infantili sempre più casalinghe; un disegno realizzato in modo rozzo si ripete, a volte diventando più goffo o deforme, senza mai perdere il contatto con il soggetto iniziale. Succede che le sue immagini sfiorino l’astrazione, i contorni diventano più spessi, scuri e strani ma anche più disarmanti: ecco apparire degenerazioni platoniche di animali, alberi, teste, figure simili a bambole. Qui trova il soggetto anche per le sue sculture affascinanti, ad esempio il grande “TREE” in bronzo del 1989, un susseguirsi d’imbuti incastonati uno dentro l’altro. La scultura si basa sul semplice ed espressivo “Princeless, Wordless, Loveless”, un dipinto realizzato tra il 1987 e il 1988. Interessanti anche il contorno rosso della figura in “Painting with Balls”, 1986-87 o i due alberi a forma di puzzle accanto alla testa tonsurata in “Deep North” del 1989. Del 1983 è “Root Hound”, dove il profilo anonimo si contrappone all’immagine di una candela fluttuante, l’ambiguità del dipinto suggerisce l’incontro dell’artista da giovane con una serie d’immagini senza radici di David Salle, in cui ritroviamo il rifiuto post-moderno del significato esplicito del giorno.
Sono di una commovente semplicità le nature morte scultoree di Baechler, che ritraggono fiori e foglie. Alcune ricordano la scultura di Cy Twombly, sagome di compensato a cui sono stati lanciati gesso e cartapesta, altre invece sono fusi nel bronzo e evocano gloriosi biscotti di pan di zenzero floreali.
Arte verde è una rubrica curata da Anne Claire Budin