Arte Verde
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- Scritto da Andrea Vitali
Falls sviluppa un linguaggio visivo che combina tecniche pittoriche e fotografiche, indagando temi come il trascorrere del tempo e la connessione con l’ambiente naturale.
Sam Falls crea un dialogo unico tra natura e tempo, utilizzando materiali organici e processi atmosferici come strumenti principali del suo lavoro. Le sue opere nascono spesso all’aperto, dove elementi naturali come foglie, fiori e rami vengono disposti su tele insieme a pigmenti reattivi. L’interazione con pioggia, sole e vento imprime sulla tela segni irripetibili, catturando non solo l’essenza di un luogo ma anche la sua temporaneità.
Questa metodologia, basata sulla collaborazione con gli elementi naturali, rende le opere di Falls una celebrazione della ciclicità della vita e un richiamo alla fragilità del nostro ecosistema. Ogni creazione diventa una testimonianza della relazione complessa tra uomo e ambiente, in cui il gesto artistico si unisce al processo naturale.
Nelle sue opere più recenti, Falls amplia il suo vocabolario visivo incorporando figure umane e forme scheletriche, suggerendo un legame tra la caducità dell’uomo e quella del mondo naturale. Costole, mani e altre strutture corporee si fondono con foglie e tessuti, creando composizioni che richiamano il memento mori, ma anche la rinascita e la continuità. L’uso della ceramica, con foglie impresse nell’argilla, arricchisce ulteriormente il suo lavoro, offrendo un dialogo tra materia organica e minerale.
Le opere di Falls si distinguono per la loro capacità di trasformare la semplicità dei materiali naturali in narrazioni complesse e simboliche. Ogni dettaglio, dal pigmento sfumato alle forme vegetali, racconta una storia di connessione e interdipendenza tra tutti gli esseri viventi.
Al centro del lavoro di Falls c’è una riflessione sulla spiritualità laica della natura, che invita l’osservatore a un dialogo intimo con il mondo che ci circonda. L’artista non solo rappresenta la natura, ma la rende parte integrante del processo creativo, proponendo una visione del mondo in cui arte e ambiente non sono distinti, ma profondamente interconnessi.
In un’epoca segnata dalla crisi climatica, le opere di Falls offrono una prospettiva unica e urgente. Ogni tela o scultura diventa un atto di memoria e consapevolezza, ricordando che il nostro legame con la natura è sia un privilegio che una responsabilità.
Arte verde è una rubrica curata da Anne Claire Budin
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- Scritto da Andrea Vitali
Naminapu Maymuru-White, artista senior Yolŋu, fonde tradizione e innovazione nei suoi lavori che raccontano il legame tra cielo e terra. Protagonista alla Biennale di Venezia 2024.
Naminapu Maymuru-White è un'artista senior della comunità Yolŋu, appartenente al clan Maŋgalili del nord-est di Arnhem Land, Australia. Nata nel 1952 a Djarrakpi, ha iniziato il suo percorso artistico da bambina, osservando il padre e lo zio dipingere i miny’tji, i disegni sacri del suo clan. Tra i primi membri della sua comunità a ricevere una formazione artistica tradizionale, ha reinterpretato questi disegni sacri con uno stile innovativo, mantenendo vivo il legame con la spiritualità ancestrale.
La pratica artistica di Maymuru-White si sviluppa attraverso varie tecniche, dalla pittura su corteccia all’intaglio, dal batik alla stampa, utilizzando pigmenti naturali come l'ocra bianca. I suoi lavori, estremamente dettagliati, sono realizzati con strumenti tradizionali come il marwat, un pennello di capelli umani, e raccontano il Milŋiyawuy, il fiume celeste che simboleggia la Via Lattea e il fiume terrestre. Questo tema centrale rappresenta la convergenza tra i regni fisico e spirituale, creando un dialogo tra generazioni e spazi cosmici.
I dipinti su corteccia di Maymuru-White mostrano intricati intrecci di stelle e fiumi che catturano l'energia della natura e della spiritualità. Ogni stella nei suoi dipinti simboleggia le anime del passato, del presente e del futuro, unendo simbolicamente la vita e la morte in un ciclo eterno. Questa visione cosmica rende i suoi lavori universali, pur rimanendo ancorati alla cultura Yolŋu.
Nel corso della sua carriera, Maymuru-White ha esposto in importanti mostre nazionali e internazionali. Nel 2024, rappresenta l'Australia alla Biennale di Venezia con opere che esplorano il concetto di "Stranieri Ovunque," portando la prospettiva Yolŋu su scala globale. La sua partecipazione, accompagnata dal nipote Ŋalakan, sottolinea l'importanza della trasmissione intergenerazionale delle tradizioni.
La sua arte non è solo un mezzo di espressione, ma un atto di resistenza culturale. Sin dagli anni '60, i disegni miny’tji sono stati utilizzati per sostenere le rivendicazioni territoriali degli Yolŋu, come nel caso delle storiche Bark Petitions. Maymuru-White continua questa tradizione, dimostrando come l’arte possa essere uno strumento potente per la giustizia sociale e la conservazione culturale.
Oltre al suo lavoro artistico, Maymuru-White ha contribuito alla comunità di Yirrkala come educatrice e curatrice presso il Buku-Larrŋgay Arts Centre. Grazie al suo impegno, molte opere d'arte Yolŋu sono state incluse in collezioni museali di rilievo, diffondendo la cultura del suo popolo nel mondo.
L'arte di Naminapu Maymuru-White è un viaggio tra passato e futuro, tra sacro e profano. Attraverso la sua pratica, gli spettatori sono invitati a riflettere sul significato della connessione tra l'umanità e l'universo. Alla Biennale di Venezia, il suo messaggio si estende oltre i confini culturali, portando una prospettiva unica e potente sull'interconnessione globale.
Arte Verde è una rubrica curata da Anne Claire Budin
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- Scritto da Andrea Vitali
Otobong Nkanga, artista nigeriana di fama internazionale, unisce materiali naturali, installazioni multisensoriali e riflessioni profonde su temi ambientali, identitari e umani.
Otobong Nkanga, nata nel 1974 a Kano, Nigeria, è un’artista di spicco sulla scena contemporanea, conosciuta per le sue opere che intrecciano tematiche ambientali, sociali e culturali. Cresciuta tra l’Africa e l’Europa, Nkanga ha sviluppato una sensibilità artistica che si nutre della sua esperienza interculturale, dalla Nigeria a Parigi, dove si è trasferita con la famiglia durante l’infanzia, fino ad Anversa, dove vive e lavora da molti anni. Questa esperienza di migrazione e multiculturalità è una delle chiavi interpretative della sua arte: un racconto di connessioni che supera le barriere geografiche e le differenze culturali.
L’opera di Nkanga si caratterizza per l’uso di materiali naturali e simboli tratti da diverse tradizioni e culture, che convergono in installazioni complesse, dove convivono disegni, fotografie, ceramiche e oggetti tessili, spesso accompagnati da performance e suoni che amplificano il messaggio artistico. L’artista è affascinata dalle risorse naturali e dal loro ciclo di vita, dalle origini all’estrazione, fino alla distribuzione globale. Questo interesse verso l’ambiente, le risorse e i loro impatti sociali ed ecologici si esprime nelle sue opere attraverso materiali simbolici come il carbone, la terra e la fibra naturale, elementi ricorrenti nei suoi lavori e utilizzati per sollevare questioni legate allo sfruttamento ambientale e alle conseguenze per le comunità locali.
Uno dei temi centrali nella sua ricerca è l’estrazione delle risorse naturali, un processo che Nkanga descrive come “impronta dell’umanità sulla terra” e che rappresenta il punto di partenza per esplorare temi di perdita, memoria e trasformazione. Il suo approccio non è giudicante: Nkanga usa un linguaggio poetico, capace di tradurre domande complesse in opere di rara bellezza, spesso arricchite da elementi multisensoriali come profumi, suoni e tattilità, che invitano lo spettatore a un’esperienza fisica e spirituale.
Un esempio emblematico della sua visione è l’opera "Carved to Flow", un progetto che ha attraversato vari luoghi espositivi e ha coinvolto diverse culture e materiali. Attraverso un processo collettivo e collaborativo, Nkanga ha creato mattoni di sapone utilizzando ingredienti locali provenienti dal Mediterraneo, dal Medio Oriente e dall’Africa, trasformando un semplice oggetto in simbolo di connessione tra popoli e paesi. Questo progetto ha portato alla creazione di una fondazione senza scopo di lucro che ha acquistato terreni agricoli in Nigeria e finanziato uno spazio artistico ad Atene, espandendo l’impatto dell’opera dal piano simbolico a quello concreto.
Il lavoro di Nkanga è fortemente influenzato dal pensiero secondo cui “tutto è interconnesso”: per lei, ogni materiale porta con sé storie e identità, e il suo lavoro mira a svelare queste narrazioni nascoste. Attraverso le sue opere, l’artista esplora come le risorse estratte dalla terra, una volta trasformate, possano influenzare la cultura, la bellezza e persino la salute. Questo sguardo globale e al tempo stesso intimamente umano le ha permesso di diventare una voce importante nel panorama artistico contemporaneo, aprendo nuove prospettive su come possiamo relazionarci con il mondo naturale e le nostre stesse emozioni.
Con mostre internazionali e numerosi riconoscimenti, tra cui il prestigioso Nasher Prize, Nkanga continua a ridefinire i confini della scultura e dell’arte concettuale. Le sue opere non sono mai semplici oggetti da contemplare, ma esperienze che invitano a riflettere sulla complessità delle interazioni tra l’uomo, la natura e il passato che li lega. Nkanga offre al pubblico una forma di arte sociale, intima e spirituale, che invita a riconoscere la bellezza e il valore di ciò che ci circonda, senza trascurare le sfide e le fragilità del nostro tempo.
Arte Verde è una rubrica curata da Anne Claire Budin
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La serie fotografica di Helmut Wimmer, THE LAST DAY, fonde natura e cultura per creare una potente riflessione storica sulla memoria collettiva.
La serie THE LAST DAY di Helmut Wimmer esplora il legame tra natura e storia umana, presentando dodici Tableaux fotografici che trasformano i paesaggi in testimoni silenziosi della nostra memoria collettiva. In queste immagini, la natura non è solo un elemento estetico ma diventa un “archivio” che conserva le tracce degli eventi umani, evocando storie nascoste e dimenticate.
Attraverso un dialogo visivo tra elementi naturali e motivi storici, Wimmer suggerisce che ogni paesaggio porta con sé frammenti di passato. I suoi scatti del mare, per esempio, non solo mostrano la potenza distruttiva delle onde, ma richiamano alla mente il cambiamento climatico e le tragedie delle migrazioni moderne. Così, il mare si trasforma in simbolo di forza naturale e, al contempo, di vite perse nel tentativo di cercare salvezza.
Questi paesaggi evocano memorie legate a momenti storici e culturali: tracce di antichi insediamenti, reminiscenze di conflitti e segnali di catastrofi ambientali. Wimmer invita chi osserva a riflettere sull’intersezione tra memoria culturale e ambiente, facendo emergere domande profonde sul rapporto tra uomo e natura e sulle impronte che vi lasciamo.
Con THE LAST DAY, Wimmer non racconta una storia lineare, ma crea un mosaico di immagini che invita alla riflessione personale. Ogni Tableau rappresenta un frammento di tempo che interroga il presente. Il visitatore è libero di interpretare le immagini, confrontandosi con emozioni di rabbia, ricordo e speranza. In questo modo, la natura si presenta come custode della storia umana, mentre l’arte di Wimmer ne svela il potere evocativo e stimola un dialogo tra memoria e futuro.
Arte Verde è una rubrica curata da Anne Claire Budin
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L'artista giapponese Mari Ito, nata a Tokyo e residente a Barcellona, utilizza la tecnica tradizionale del Nihonga per esplorare i desideri umani. I suoi fiori antropomorfi esprimono emozioni complesse, creando un ponte tra tradizione e contemporaneità.
Mari Ito è un’artista che riesce a far dialogare due mondi: quello della tradizione giapponese, attraverso la tecnica del Nihonga, e quello dell’arte contemporanea. Nata a Tokyo nel 1980, ha studiato pittura giapponese tradizionale, per poi trasferirsi a Barcellona nel 2006. Da quel momento, il suo percorso artistico ha trovato nuovi orizzonti espressivi, contaminando le tecniche classiche del suo Paese con influenze internazionali e una sensibilità contemporanea.
Il tratto distintivo delle opere di Mari Ito è la rappresentazione di fiori con volti umani. Queste figure, che si trovano sia nelle sue opere bidimensionali sia in quelle scultoree, sono simboli visivi del desiderio umano. Attraverso colori vivaci e linee delicate, Ito esplora i temi della felicità, del dolore e della collera, creando un linguaggio visivo che riesce a comunicare emozioni profonde senza l’uso delle parole. I fiori con volti sono una metafora potente del ciclo della vita, delle emozioni e dei desideri che, come piante, germogliano e crescono all'interno dell’essere umano.
Il suo interesse si focalizza in particolare sul desiderio, un tema centrale che l’artista analizza seguendo le teorie psicoanalitiche. I volti sui fiori esprimono l'Es, il lato più primitivo e impulsivo della psiche umana secondo Sigmund Freud. Questi volti sono a volte sorridenti, altre volte angosciati o riflessivi, incarnando la dualità del desiderio umano: da un lato il bisogno di felicità, dall'altro il peso della sofferenza e delle emozioni represse. In un certo senso, il lavoro di Ito cerca di dare forma visiva a quei sentimenti nascosti che nella cultura giapponese, in particolare negli spazi pubblici, tendono a rimanere inespressi. La sua arte diventa così un canale attraverso cui questi pensieri e sentimenti possono emergere.
Mari Ito usa i fiori antropomorfi anche per esaminare la relazione tra la cultura giapponese e il modo di esprimere emozioni. In Giappone, manifestare apertamente certe emozioni, come la rabbia o la tristezza, è spesso considerato inappropriato, specialmente in pubblico. Questo silenzio emotivo si riflette nei suoi lavori, dove i fiori sembrano soffocare i loro desideri, ma allo stesso tempo riescono a comunicarli in modo sottile e profondo. Il contrasto tra la vivacità dei colori e la delicatezza dei volti crea una tensione emotiva che invita lo spettatore a riflettere sulla complessità della psiche umana.
Il Nihonga: una tecnica antica e contemporanea
Il termine Nihonga (日本画), che significa "pittura giapponese", nasce durante l’era Meiji, alla fine del XIX secolo, per distinguere la pittura tradizionale giapponese dallo stile occidentale, o Yōga, che stava diventando popolare. Nonostante si fondi su tecniche millenarie, il Nihonga ha accolto alcune influenze occidentali grazie a intellettuali giapponesi e figure come Ernest Fenollosa, che apprezzavano il dialogo tra le due culture.
La pittura Nihonga utilizza materiali naturali come minerali, conchiglie, rocce e metalli preziosi, mescolati con colla animale. I pigmenti vengono applicati su carta di riso o seta, con una lavorazione delicata e trasparente. L’artista traccia prima i contorni con inchiostro, per poi applicare i colori. Questa tecnica richiede precisione e grande abilità tecnica.
Mari Ito ha studiato e praticato il Nihonga, portando questa tradizione nel suo linguaggio contemporaneo. Nei suoi lavori, le tecniche tradizionali si fondono con nuove idee visive, esplorando temi come il desiderio e l’emotività umana. I suoi fiori antropomorfi, delicati nei dettagli ma vibranti nei colori, sono un ponte tra la tradizione giapponese e l’arte moderna, creando un dialogo affascinante tra passato e presente.
Arte Verde è una rubrica curata da Anne Claire Budin