Filiera olivo-olio

«L’apertura dell’Unione Europea alla possibilità di reimpianto di nuovi uliveti resistenti nell'area affetta da Xylella fastidiosa è una risposta all’ impegno nella sperimentazione per dare un futuro agli olivicoltori che ormai da tre anni sono senza reddito» così il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo.

Moncalvo ha espresso apprezzamento per la richiesta avanzata dal Ministro delle Politiche AgricoleMaurizio Martina, e per la risposta del Commissario europeo alla salute Andriukaitis. «Un segnale importante che - sottolinea Moncalvo - ci auguriamo possa diventare presto operativo con l’abrogazione dell’art 5 della Decisione di Esecuzione n. 789 del 2015 assunta dall’Unione Europea che vieta ai coltivatori salentini, vale a dire delle provincie di Lecce e parte di Taranto e Brindisi, di impiantare piante nelle zone già infette».
«L’apertura dell’UE rappresenta una speranza di ripresa economica e produttiva proprio dove la patologia ha azzerato un intero patrimonio olivicolo, ma la volontà di mettere a dimora nuove piante è anche il sintomoprecisa la Coldiretti - di una voglia di riscatto e di recuperare un giusto rapporto con l'ambiente e il territorio da parte del popolo salentino
 
Redazione
xylella

Durante un accertamento del Corpo forestale dello Stato, nell’ambito dei controlli atti al contrasto alla diffusione del batterio Xylella fastidiosa, un vivaista di Ostuni (Ss) è stato sanzionato e denunciato: esponeva in vendita piante non accompagnate dall'obbligatorio passaporto.

Il vivaista, durante un mercatino, aveva esposto per la vendita, quarantacinque piante (di cui quindici di ulivo, oltre ad oleandri, ciliegi, amarena e rosmarino), non accompagnate dal prescritto “passaporto”, obbligatorio per le specie potenziali portatrici di patogeni da infezione. Il rivenditore non poteva in realtà ottenere il rilascio di suddetto passaporto, in quanto non iscritto quale esercente per l’attività vivaistica presso la Regione Puglia. Per questo, oltre ad essere sanzionato al pagamento di una somma di 5.000 euro, è stato denunciato alla Procura della Repubblica di Brindisi per diffusione colposa di malattie delle piante (art. 500 del codice penale). 
 
Redazione
remaschiincerpi

Si è tenuta ieri, mercoledì 11 gennaio, la conferenza stampa per fare il punto sulla situazione olivicola toscana, alla presenza dell’Assessore Regionale all’agricoltura, Marco Remaschi, e del Co.Ri.Pro., Consorzio per la certificazione volontaria delle piante di olivo, per cui è intervenuto il portavoce Giuliano Incerpi. L’olivicoltura toscana, da tempo attenta ai controlli necessari per garantire la sua nota qualità, affronta oggi nuove sfide fra innovazione e storia.

La sfida dell'olio d'oliva di qualità passa per i vivai di Pescia: qui, da oltre duecento anni, si producono gli olivi che hanno dato e danno un'impronta inconfondibile all'olivicoltura moderna in tutto il mondo. Basti pensare che a Pescia si producono tre milioni di piante all’anno e che circa un terzo della produzione italiana proviene da questa area, che esporta per un terzo all’estero, per un terzo sul territorio regionale e per un altro terzo in Italia, fra sud e nord. Co.Ri.Pro. informa inoltre che, di questa produzione pesciatina, il 60% è delle sue aziendeda tale dato sembra dunque che il restante 40% appartenga alle aziende aderenti all'Associazione Vivaisti Pesciatini.
Regione Toscana segue da sempre l’evoluzione del vivaismo pesciatino e più in generale di quello italiano, promuovendo iniziative e progetti anche in collaborazione con il Co.Ri.Pro., Consorzio per la certificazione volontaria delle piante di olivo.
Per l’assessore Marco Remaschi si tratta di una collaborazione fondamentale per conoscere la realtà olivicola toscana e capire come aiutarla a svilupparsi. Il lavoro che la Regione sta facendo va proprio verso una valorizzazione del prodotto olio e più in generale dell’olivicoltura. Oltre ad essere uno dei focus del Piano di Sviluppo Rurale 2014/2020, l’olio, ricorda Remaschi, possiede un pregio internazionale e a livello storico-paesaggistico.
Per mantenere dunque una produzione di qualità e non rinunciare all’identità toscana la Regione mette a supporto delle Aziende risorse specifiche e «un’ottima organizzazione con controllo capillare: la nostra Regione è infatti leader per i controlli qualità» come ha ricordato Remaschi.
Il Co.Ri.Pro., consorzio volontario no-profit, che si dichiara già operante sotto altro nome fin dagli anni settanta a Pescia, si inserisce in questo scenario per la produzione di piante di olivo, in particolare di cinque varietà: Frantoio, Leccino, Moraiolo, Maurino e Pendolino, che sono anche garantite “Virus Esente”, ovvero certificate esenti da tutti i virus conosciuti. Questa pregiata caratteristica è per Co.Ri.Pro. una garanzia della sanità della pianta, ma anche del suo valore identitario, collegato all’origine varietale. Nel 2014, inoltre, il Consorzio ha registrato un marchio, “Olivi di Pescia”, a cui è stato collegato un regolamento che impegna i vivaisti associati a garantire la tracciabilità.
Oltre a questo percorso già affermato da circa quattro anni, il Co.Ri.Pro., ricorda Giuliano Incerpi, suo portavoce: «Si sta ponendo di fronte nuove sfide: verificando nuove pratiche di produzione, testando l’impiego di substrati diversi dalla torba, un sistema di marcatura e la tecnica della micropropagazione utile per velocizzare la produzione e ridurre i costi
Interessante, in particolare, la sperimentazione in collaborazione con il CNR di compost provenienti da rifiuti di potatura, in sostituzione della torba, e la ricerca per sostituire la pomice (il substrato usato a Pescia è fatto per metà da torba e per l’altra metà da pomice) con il biochar, carbone biologico, che possiede una maggiore capacità di trattenere acqua.
Non solo dunque un’antica tradizione per il vivaismo olivicolo toscano, ma anche uno sguardo attento al futuro, soprattutto nell’ottica di recuperare le superfici abbandonate, come ha ricordato Remaschi, che rappresentano oggi oltre il 25% del territorio. Innovazione e storia sono dunque il fiore all’occhiello di quello che l’assessore stesso definisce «un prodotto di grandissima qualità, spesso anche duplicato, che ci permette di essere conosciuti in tutto il mondo».
 
Redazione

olioscaffale

Così il presidente di Federolio, Francesco Tabano, fa emergere la necessità di allargare il tavolo di filiera anche ai rappresentanti della grande distribuzione. È impensabile per Tabano mettere in piedi qualsiasi strategia di rilancio dell'olio d'oliva senza coinvolgere la Gdo che veicola oltre il 70% delle vendite del comparto in Italia.

Francesco Tabano, direttore della business unit “olio” della De Cecco e da pochi mesi anche nuovo presidente della Federazione delle industrie e del commercio oleario, commenta l'ottimo risultato della nascita dell'associazione interprofessionale, spiegando come poter dare adesso contenuto a questo nuovo organismo.
Per uscire dal complesso rapporto fra Gdo e produttori di olio d'oliva, Tabano propone un accordo verso un prezzo medio stabile o con poche oscillazioni
Oggi oltre l'80% delle vendite in Gdo (che rappresenta il 70% del totale del comparto) è in promozione: il risultato è duplice, con prezzi a scaffale troppo alti e, allo stesso tempo, prezzi in promozione troppo bassi. Questa forte divaricazione dei prezzi porta il consumatore ad essere disorientato, anche a causa di una mancata comunicazione diretta. Per Tabano infatti si deve comunicare di più e meglio col consumatore finale, spiegando le differenze fra le diverse categorie e i differenti usi
Alcuni produttori dovrebbero poi cominciare ad accettare l'idea di essere estromessi da qualche catena per evitare il classico sovraffollamento negli scaffali d'olio d'oliva, rifiutando così la logica della promozione ad ogni costo. Tabano affronta poi anche l'annosa questione della quantità: l'olio italiano è un ottimo prodotto, ma che presenta un enorme difetto, non basta al fabbisogno. La soluzione è investire negli impianti di nuova generazione, intensivi, che secondo molte ricerche possono adattarsi alle varietà italiane. Per Tabano si deve anche lavorare per recuperare quella produzione olivicola che oggi realizza olio lampante, ma che potrebbe benissimo fare extravergine
Il presidente di Federolio si dichiara infine disponibile a riconoscere ai produttori una premialità per l'olio Made in Italy, ma questi devono impegnarsi a investirla nel miglioramento quantitativo e qualitativo delle proprie produzioni. 
 
Redazione

oliveto

Si chiama Fooi la società consortile che aggrega produttori olivicoli, industria, commercio e frantoi: dopo il varo del Piano Olivicolo Nazionale, atteso da anni, e le aperture del mondo agricolo ai blend cade così un altro tabù. È stata infatti recentemente istituita l'Associazione interprofessionale dell'olio d'oliva.

La nuova società consortile Fooi (Filiera olivicola olearia italiana) rappresenta un decisivo passo che finora era stato impossibile realizzare per le divisioni tra mondo dell'industria e produttori olivicoli, e tra questi ultimi. Il nuovo organismo rappresenterà dunque le istanze del comparto presso tutte le istituzioni nazionali, europee ed intergovernative
Fooi è formata dai produttori di Aipo, Cno, Unapol, Unaprol e Unasco, dall'associazione dell'industria olearia Assitol, dalla federazione nazionale del commercio oleario Federolio e dai frantoiani di Aifo e Assofrantoi.  In altri paesi e in altre produzioni agricole l'associazione interprofessionale è stata ed è strumento chiave, in Italia invece il gioco di squadra tra produttori, trasformatori e industria finora si era registrato solo per singole produzioni, spesso a Denominazione d'origine. Solo nell'ortofrutta e per i comparti cereali e latte si sono creati accordi di questo tipo.
La società consortile può invece svolgere compiti di rilievo, come definire contratti tipo (ad esempio per ciò che riguarda la cessione della materia prima dagli agricoltori all'industria), migliorare la commercializzazione, promuovere la trasparenza e la conoscenza del mercato.
Per Assitol questo importante accordo può contribuire al miglioramento del settore, offrendo anche una chance in più per rilanciare il Piano Olivicolo Nazionale verso un aumento delle quantità prodotte nei prossimi cinque anni
Per il ministro Martina si tratta di un passo decisivo per il futuro del settore, un vero e proprio risultato storico che può portare ad un reale sviluppo della produzione e dei mercati di una delle eccellenze del Paese.
 
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olio

L'olio spagnolo supera quello italiano e registra un picco di vendite sul mercato Usa, con un aumento di circa il 40%. Ma il primato nei valori è ancora italiano, la Spagna infatti non ha mai sorpassato l'Italia in questo senso. Resta da riflettere dunque sulla necessità di una politica di valorizzazione del nostro olio più attenta e innovativa sul versante dei contenuti identitari, legati al Made in Italy. 

Un vero e proprio boom degli oli spagnoli negli Usa con vendite aumentate di circa il 40%, anche se il primato nei valori resta ancora italiano. Il dato è stato certificato nei giorni scorsi dal Consiglio oleicolo internazionale che ha anche rilevato come la Spagna lo scorso anno abbia registrato progressi a doppia cifra in quasi tutti gli sbocchi commerciali. Il sorpasso spagnolo si era comunque già verificato anche nel 2014.
Tra ottobre 2015 e agosto scorso le spedizioni di oli di oliva spagnoli sul mercato Usa hanno registrato un progresso del 43% in un anno (fonte Coi). L'ufficio statistico americano nei suoi prospetti da gennaio a settembre 2016 riporta un incremento di quasi il 60% delle importazioni Usa di oli di oliva spagnoli, rispetto ai primi nove mesi dell'anno precedente. In termini assoluti si è arrivati a un quantitativo di 110mila tonnellate abbondanti, che si confronta con un volume di importazioni di oli italiani di poco più di 100mila tonnellate (+5%) su base annua.
Agli extravergini italiani non è però stato strappato dalla Spagna il primato in valuta: sarebbe dunque da riflettere sulla necessità di una politica di valorizzazione più efficace. Per quanto attiene ai flussi monetari, i dati dell'Us Census Bureau attestano infatti a poco meno di 430 milioni di dollari (+8%) la spesa per le importazioni di oli di oliva italiani; mentre per i prodotti spagnoli è risultata inferiore ai 420 milioni a tutto il mese di settembre (importo comunque lievitato in un anno di quasi il 70%).
La Spagna può vantare i suoi successi anche nel resto dei mercati extra-Ue: nel complesso ha infatti spedito un quantitativo di oli di oliva superiore del 20% rispetto a quello della precedente campagna, realizzando ottimi risultati anche in Cina con un +30%. Qui anche l'Italia è cresciuta, anche se a un passo più lento, con circa un +5%. 
 
Redazione