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Intervista a Sandro Orlandini, a capo della Confederazione italiana agricoltori della provincia pistoiese. Sentito a margine dell’assemblea organizzata da Mefit il 18 novembre all’ex Comicent, illustra la posizione sul mercato dei fiori pesciatino della Cia, che si mette anche a disposizione per dare una mano a risolvere la questione degli ex dipendenti Comicent e ricucire i rapporti con la Regione Toscana.
Tra gli intervenuti all’assemblea del 18 novembre sul tema “Quale futuro per il mercato dei fiori di Pescia dopo il 31 dicembre 2013?” c’era anche Sandro Orlandini, presidente della Confederazione italiana agricoltori di Pistoia e rappresentante del settore agricolo alla Camera di commercio di Pistoia. Floraviva l’ha intervistato al termine dell’incontro per capire meglio la posizione di Cia Pistoia sui temi caldi dell’incontro e più in generale sulle prospettive del mercato dei fiori di Pescia.
Quali sono i problemi principali da risolvere per far funzionare bene il mercato dei fiori?
«Oggi si è parlato delle cose fatte ultimamente, in particolare il miglioramento sul piano dei regolamenti, ché sicuramente è importante avere dei regolamenti più puntuali per gli operatori del mercato. Ma, secondo noi, si dovrebbe migliorare innanzi tutto la struttura, perché è evidente, si è detto stasera un po’ tutti, che se non si riesce a metterla a norma non c’è futuro da nessun punto di vista. Un altro aspetto è la vendita: va bene anche la contrattazione all’araba, ma bisogna studiare anche nuove forme, ad esempio quelle telematiche. E la borsa telematica delle merci può essere un’idea, come è emerso nel dibattito. Allo stesso tempo, riteniamo molto utile anche un lavoro sulla promozione, che purtroppo negli ultimi tempi, per evidenti motivi, presi dall’emergenza della struttura, è mancata totalmente. Quel segnale dato rispetto all’apertura gratuita ai commercianti può essere una base di partenza. Però dobbiamo fare cose anche più strutturate: degli eventi, possibilmente, sul genere della vecchia Biennale del fiore, oppure studiare un marchio per valorizzare la qualità delle nostre produzioni».
La disponibilità pluriennale dell’immobile è così importante?
«E’ chiaro che senza quella non si può neanche fare un minimo di programmazione e quindi è assolutamente fondamentale riprendere questo ragionamento con la Regione Toscana. Poi, dal nostro punto di vista, che sia il Comune o che sia la Regione, l’importante è che ci sia comunque una sicurezza, una certezza su tale aspetto, se no ogni investimento è tagliato in partenza».
E sulla questione del collegamento con le esigenze di tutto il distretto qual è la vostra posizione?
«Noi siamo dentro al distretto. Nel dibattito è stato fatto un riferimento a questo finanziamento che ci era stato richiesto per uno studio sulla logistica (vedi affermazione di Vincenzo Tropiano nel nostro articolo sull’assemblea). Noi, non io personalmente, ma la Giunta della “Camera” di Pistoia non se l’è sentita di finanziare uno studio che dal nostro punto di vista in gran parte era già stato realizzato. Il momento economico difficile ci ha portato a dire: cerchiamo di puntare su qualcosa di più concreto. A nome della Camera di commercio di Pistoia, dico che non ci tiriamo indietro ad investire anche sulla floricoltura, ma su questioni un pochino più concrete. Quello lì a noi pareva che significasse finanziare con cifre importanti una cosa che poi rischiava di rimanere, come altre volte è successo, un bel malloppo di carta. C’era tra l’altro lo studio di Lucense sul distretto, già abbastanza soddisfacente, per cui intervenire con altri 30 mila euro ci sembrava eccessivo».
Sempre a proposito di distretto floricolo interprovinciale, glielo chiedo direttamente: qual è secondo lei la sede giusta per il mercato unico dei fiori?
«Non abbiamo nessun problema a rivendicarlo: non vediamo Pescia senza questa struttura [del mercato dei fiori, ndr]. Per noi questo rimane un punto fondamentale. Poi se servono altre piattaforme logistiche a Capannori o a Viareggio, nessun problema, ma come sede principale noi vediamo questa»
E sul problema dei dipendenti ex Comicent licenziati, che ha indispettito l’assessore regionale all’agricoltura Gianni Salvadori, cosa pensate come Cia pistoiese?
«Oggettivamente questa vicenda, a nostro modo di vedere, ha un po’ incrinato i rapporti e ostacolato il percorso che era stato avviato. Quindi una ricucitura è quanto mai auspicabile, anche proprio per risolvere concretamente la situazione degli ex dipendenti del Comicent. Noi ci mettiamo a disposizione per quanto possiamo fare».
Lorenzo Sandiford
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Il sindaco di Pescia fa sapere che sono già iniziati, ma non terminati, i colloqui per la selezione del direttore dell’A.S. MeFiT, e proseguiranno la prossima settimana. Fra gli aspiranti, dice, «il direttore del mercato dei fiori di Sanremo». Roberta Marchi spiega che A.S. MeFit si occupa solo del servizio di mercato all’ingrosso nel Comicent, ma le altre attività previste dal progetto multifunzionale, già avviate con il consenso della Regione, saranno fatte realizzare dal Comune con modalità ancora da definire una volta avvenuto il passaggio di proprietà.
Rimangono ancora diversi scogli da superare prima del fatidico passaggio di proprietà al Comune di Pescia del complesso del Comicent. Anzitutto la questione dei dipendenti, resa complicatissima dalla legge di spending review che rende impossibile transitarli nella nuova Azienda Speciale Mercato dei Fiori della Toscana, in sigla A.S. MeFiT, l’ente strumentale del Comune di Pescia che da inizio anno ha in gestione il servizio di mercato all’ingrosso di fiori e piante all’interno della struttura del Comicent. Ma il cammino verso la meta non si ferma e oggi sono iniziati i colloqui con i candidati all’incarico di direttore di A.S. MeFiT.
E’ quanto spiega a Floraviva il sindaco di Pescia Roberta Marchi, che ricorda che i colloqui e la selezione saranno gestiti – in accordo con il sindaco - da Elena Lorenzi, ancora liquidatore del Consorzio Comicent e da inizio anno amministratore unico del “Mercato dei fiori della Toscana”, come riportato da questa testata (vedi articolo “Comicent: la prossima settimana verrà scelto il direttore”).
Come ci ha fatto sapere il sindaco Marchi, i colloqui sono iniziati ieri mattina, ma proseguiranno la prossima settimana, anche perché uno degli aspiranti direttori, che non risiede in Toscana, non è ancora potuto venire perché si è ammalato. Roberta Marchi ha tra l’altro sottolineato, con una punta di ironica malizia, che «fra i candidati c’è il direttore del mercato dei fiori di Sanremo: segno che ci crede nelle prospettive del nostro mercato e che magari da noi c’è meno crisi, ma sarò forse un’inguaribile ottimista».
Alla domanda sul perché nello statuto di A. S. MeFiT si faccia cenno alla sola funzione di gestione del servizio del mercato all’ingrosso di fiori e piante, e non alla multifunzionalità che è un elemento caratterizzante del progetto a lungo termine di rilancio del complesso del Comicent, il sindaco ha così risposto: «l’azienda speciale gestirà esclusivamente il mercato all’ingrosso di fiori, che è la cosa più importante. Un servizio pubblico di rilevanza economica, perché, va ricordato, l’azienda speciale è un ente strumentale del Comune, non un soggetto privato». Poi, siccome «l’immobile è sovradimensionato, e già da ben prima della crisi, rispetto alle necessità del mercato all’ingrosso», il Comune si farà carico di «creare una gestione distinta» per le altre attività, secondo modalità ancora da definire.
Ma di fatto «la multifunzionalità c’è già», aggiunge il sindaco, visto che «con il consenso della Regione abbiamo già organizzato alcune manifestazioni nella struttura e altre stanno per essere organizzate, a cominciare dalla mostra mercato del cioccolato in calendario nel fine-settimana del 19-20 gennaio. La Regione Toscana sa che c’è questo aspetto multifunzionale, perché altrimenti la struttura non è in grado di mantenersi».
Lorenzo Sandiford
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A colloquio sul mercato degli alberi di Natale con Alfio Marchini, produttore di abeti di Castelvecchio in Valleriana (comune di Pescia), che ha registrato un +5% circa di vendite sul 2011 con le sue piante di Abies nordmanniana. Il sistema irriguo ha fatto superare la siccità senza danni al suo vivaio. I “nemici” numeri uno, a suo parere, non sono gli abeti dell’est europeo, ma quelli di plastica.
Anno difficile per i produttori di abeti natalizi toscani, un comparto del vivaismo che vale circa 600 ettari secondo Coldiretti. Già a fine estate si è dovuto fare i conti con i danni della siccità, che ha colpito soprattutto l’area del Casentino, il principale centro di produzione di alberi di Natale con circa 1 milione e mezzo di piante in coltivazione e 300 mila commercializzate per un volume d’affari di 2 milioni. Assai meno colpita, ma non del tutto esente da danni l’area della provincia pistoiese. Poi sono arrivati nelle settimane recenti dati negativi sulle vendite, tant’è che un articolo della Nazione Pistoia del 9 dicembre parlava apertamente di «crisi», citando un dato nazionale di Coldiretti: -27% di spesa per questa voce degli acquisti natalizi e -16% gli alberi veri acquistati (sostituiti da quelli di plastica), con il resto del calo della spesa causato dalla scelta di alberi più piccoli o magari dai concorrenti più economici provenienti da Ungheria e Romania.
Ma sulle colline della Valleriana, nel territorio comunale di Pescia, c’è anche chi se l’è passata in maniera assai migliore, come il produttore di abeti di Castelvecchio (una delle Castella della cosiddetta Svizzera Pesciatina) Alfio Marchini, che da circa un anno e mezzo è il titolare del vivaio Marchiniabeti fondato nel 1958 da suo padre Renzo, fra i primi in Italia a coltivare alberi di Natale. Alfio, che lavora ormai da diverso tempo nell’azienda familiare e oltre 10 anni fa ha riconvertito la gran parte dei terreni (tra i 4 e i 5 ettari in tutto) dalla produzione di abete rosso a quella di Abies nordmanniana (abete del Caucaso), alla domanda su come è andata la stagione - che per lui che vende per il 95% ai garden center si è già conclusa anche prima del giorno dell’Immacolata Concezione – ci ha risposto così: «nel 2012 c’è stato un aumento esponenziale della domanda per me e non ho potuto soddisfarla. Mi riferisco agli abeti rossi che quest’anno mancavano a causa della siccità: avrei potuto venderne un 50% in più, se ne avessi avuti a disposizione». Mentre per gli abeti caucasici - la sua specialità, che vale l’80% della produzione - fa sapere di avere avuto un aumento delle vendite di circa il 5% sul 2011».
Qual è il segreto del buon andamento di questo vivaio?
Intanto lui non ha subito danni per la mancanza di acqua in estate. «Qualche perdita per la siccità anche nella montagna pistoiese c’è stata – dice - ma da me limitatamente, perché ho quasi tutti i terreni irrigati».
Ma soprattutto, evidentemente, la riconversione agli alberi di Natale della specie Abies nordmanniana, che ha il suo maggior centro di coltivazione in Danimarca, si è rivelata una giusta intuizione, «in quanto, anche se hanno un ciclo produttivo più lungo, sono indubbiamente più decorativi e più resistenti alla perdita degli aghi (anche se tagliati) e alla fine sono stato ripagato da questa scelta perché il mercato ha iniziato a preferirli». Si tratta, precisa Marchini, di «una specie di abete bianco più pregiata, che spunta prezzi di mercato diversi» rispetto al «classico abete rosso, che è il più usato e conosciuto, e pari a circa il 90% della produzione del Casentino».
Lungi però dal Marchini mettersi in contrapposizione con i produttori del Casentino e sentirsi in concorrenza con loro. «Abbiamo sbocchi diversi: loro per tre quarti vendono alla gdo (la grande distribuzione, ndr) e a prezzi diversi dai miei. Noi non abbiamo i numeri per la grande distribuzione, e il mio obiettivo è quello di offrire piante di pregio e di qualità superiore». Cosa che Marchiniabeti riesce a fare grazie ad un’organizzazione di vendita che consente di consegnare in tutta Italia anche piccole quantità. A prezzi diversi naturalmente. Mentre Coldiretti Toscana in un comunicato del 10 dicembre scorso riferiva che l’abete rosso nella versione «civetta», cioè alto 160 cm con radici e pane di terra, «viene pagato 8 euro ai produttori e dovrebbe salire a 10-15 euro a livello di grande distribuzione e 20-45 euro nei fiorai e nei “garden”», ecco i prezzi indicati a titolo esemplificativo da Marchini: per un abete rosso da 180 cm di prima scelta venduto in zolla all’ingrosso prende dai 13 ai 16 euro, per un abete caucasico di prima scelta tra 120 cm e 180 cm 20-25 euro, e oltre 30 euro se superiore ai 2 metri. E al cronista che chiede un parere sul lavoro di etichettatura trasparente degli abeti portato avanti dal Consorzio per la valorizzazione dell’albero di Natale del Casentino, risponde così: «il Consorzio ha fatto una bella opera di promozione dell’abete, soprattutto per contrastare l’uso dell’abete di plastica, con studi precisi sull’impatto ambientale di questi ultimi».
Sono infatti gli abeti di plastica i “nemici” numeri uno secondo Alfio Marchini. E’ ovviamente consapevole anche della concorrenza degli abeti provenienti dall’Europa dell’Est: «negli ultimi 4/5 anni in Ungheria e Romania, dove hanno grandi estensioni a disposizione – commenta – ci sono diverse società che esportano soprattutto abete rosso a prezzi concorrenziali (10-20% in meno che da noi). Anche se la qualità è a volte discutibile, ma soprattutto la preparazione della pianta per la vendita non è per lo più a regola d’arte. Ma, va detto, hanno pure sopperito al calo produttivo italiano, che c’è stato anche a prescindere dalla siccità a causa di una diminuzione degli investimenti produttivi».
Ma il problema vero è la concorrenza degli abeti di plastica, secondo Marchini. Primo, «perché inquinano». E a questo proposito ricorda che, sì, è vero che «gli abeti caucasici non sono coltivati per essere perpetuati a fini forestali o da giardino (come accade del resto per le stelle di Natale ad esempio)». Però, «a differenza degli alberi di plastica, che sono inquinanti generando anidride carbonica nella fase produttiva e diossine al momento dello smaltimento, le piante vere rilasciano ossigeno per tutto il ciclo produttivo e quando si smonta l’albero di Natale vanno a finire nella raccolta differenziata o possono essere compostate o bruciate nel camino, per cui rientrano nel normale ciclo biologico». Secondo, «perché possono avere una durata di 10-15 anni e di conseguenza per un tale periodo il consumatore non acquista alberi di Natale veri, mentre chi compra la pianta est europea oggi può tornare in futuro a comprare quella italiana».
Lorenzo Sandiford
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- Scritto da Andrea Vitali
Il tema di Olea 2012, il 7 dicembre all’Istituto agrario Anzilotti di Pescia, è la “Tracciabilità e rintracciabilità degli oli”. La preside Becattini illustra i motivi del taglio dato all’edizione di quest’anno della giornata di studi, a cominciare dalla diffusione delle frodi con finti oli extravergine. Intervengono, oltre al moderatore Franco Scaramuzzi, Oreste Gerini: direttore dell’ufficio fiorentino dell’Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari (Icqrf) del Ministero delle politiche agricole.
«E’ diventato un argomento sempre più pressante perché in Toscana si esporta più di quanto si produce e questo vuol dire che vengono utilizzate olive e oli che sono marcati “olio extravergine” ma in realtà di tracciabilità non facile. Spesso sono derivati da olivi di cultivar spagnole con caratteristiche organolettiche ben diverse da quelle autoctone, le nostre».
Viene introdotto in questo modo da Siriana Becattini, preside dell’Istituto tecnico agrario Dionisio Anzilotti di Pescia, il tema di questa edizione di Olea, giornata di studio che ogni anno la scuola – che è anche un’azienda agricola con più di mille olivi dotata di frantoio che produce olio di qualità – dedica ad argomenti riguardanti l’olivicoltura. L’appuntamento, intitolato “Tracciabilità e rintracciabilità degli oli”, è il 7 dicembre alle 9 di mattina nella sede dell’Istituto agrario (viale Ricciano 5) e affronta, come spiega la preside, due concetti complementari: il processo che segue l'olio dall'oliva alla bottiglia con le informazioni su luogo d'origine, produzione, trasformazione e conservazione (tracciabilità); e il processo inverso con cui si risale dal prodotto finito a tutte le informazioni distribuite lungo la filiera (rintracciabilità).
«Basta provare gli oli che si trovano negli scaffali dei supermercati e hanno quasi tutti sapori molto simili, per un mercato che ha perso il piacere del gusto vero del prodotto – aggiunge Siriana Becattini -. Per esempio l’olio dovrebbe avere un retrogusto amarognolo, invece questi oli sono neutri».
A rendere così attuale l’argomento, continua la preside, è il fatto che «sono sempre più frequenti le frodi. E in alcuni casi l’olio confiscato veniva venduto come extravergine mentre si trattava di olio di semi con aggiunta di clorofilla. Il problema è che il palato è stato diseducato. E’ anche per questo che sarà presente il dottor Oreste Gerini, direttore dell’ufficio fiorentino dell’Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari (Icqrf) del Ministero delle politiche agricole». Titolo della sua relazione: “Le frodi nel settore degli oli di oliva”.
«L’evento – ricorda la preside Becattini - è patrocinato dall’Accademia dei Georgofili e sarà moderato dal suo presidente, il professor Franco Scaramuzzi, la persona più competente e lucida, lo studioso che meglio conosce le problematiche dell’olivicoltura e che è da sempre amico della nostra scuola: la sua presenza mi onora ed è di esempio ai miei studenti».
«Tracciabilità e rintracciabilità – dice la preside - vuol dire necessità da parte del consumatore di capire bene il percorso di ciascun olio all’andata e al ritorno. In che modo? Da un punto di vista chimico, intanto, e il prof. Maurizio Servili dell’Università di Perugia tratterà gli strumenti chimici per definire la tracciabilità degli oli (titolo del suo intervento “Tecnologie e biotecnologie degli alimenti: la qualità e la rintracciabilità analitica dell’olio”, ndr). La dottoressa Luciana Baldoni del Cnr di Perugia illustrerà invece un altro strumento: il dna vegetale (“Riconoscimento della composizione varietale degli oli extravergine di oliva mediante test del DNA”, ndr). Si tratta di due aspetti fondamentali».
Infine «Fabrizio Filippi, presidente del Consorzio per la tutela dell'Olio Extravergine di Oliva Toscano IGP, parlerà de “L’esperienza e le prospettive dell’Igp toscano”. Potremo capire meglio a che punto siamo in Toscana nella tutela della qualità dell’olio». E bisogna tra l’altro considerare, sottolinea Siriana Becattini, che la qualità dell’olio toscano è solo una parte della qualità del brand toscano, perché «l’agricoltura toscana è olio, ma anche vino, formaggi, miele e altri prodotti di nicchia» e se si perde credibilità sull’olio, viene danneggiata l’immagine di tutta la filiera agroalimentare.
Per ulteriori informazioni: telefono 0572-49401.
Lorenzo Sandiford
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- Scritto da Andrea Vitali
Il progetto didattico di orti scolastici l’Orto delle Meraviglie è attivato in cinque scuole: quattro di Pietrasanta (una dell’infanzia e tre primarie), una a Lucca (infanzia). L’ideatore Emilio Bertoncini spiega: usiamo l’orticoltura come strumento educativo ampio, non confinato all’agronomia e alle scienze naturali.
«L’idea di “fare l’orto a scuola” si è evoluta in “usiamo l’orto per fare didattica”». E la peculiarità del progetto consiste nel fatto che «l'orto e l'orticoltura sono declinati come strumento per svolgere attività didattica non necessariamente relegata all'ambito delle scienze o dell'agronomia: frequentemente l'attività nell'orto offre l'opportunità di trattare vari temi di scienze ovviamente, ma non mancano occasioni per trattare rudimenti di matematica (già nella scuola dell'infanzia), storia (si pensi alle colture pre e post colombiane), ma anche elementi legati alla sostenibilità ambientale, alle abitudini (i bambini hanno un rapporto molto particolare col tempo e sono molto abituati ad una logica di "tutto e subito" e "in tempo reale" che nell'orto viene completamente meno) e all'educazione civica».
Così Emilio Bertoncini, agronomo e guida ambientale a cui si deve l’invenzione dell’Orto delle Meraviglie, sintetizza il modo in cui questa proposta di orto scolastico si è trasformata da iniziativa spontanea, nata quasi per caso nell’anno scolastico 2008-2009 alla scuola dell’infanzia di Nave a Lucca frequentata da sua figlia, in vero e proprio servizio educativo fornito anche in altre quattro scuole, tutte nel comune di Pietrasanta: le scuole primarie Pascoli, Forli a Vallecchia e Mutti a Strettoia, più la scuola d’infanzia Bibolotti Marsili.
All’inizio si trattava di «una coltivazione in contenitori (cassoni di legno di 1 m x 3 m) – racconta Bertoncini - nei quali nel tempo si sono avvicendate colture come patate, carote, varie insalate e radicchi, fragole, ravanelli, fagioli, pomodori, melanzane, peperoni ma anche cereali come grano e mais. Tutto con un buon livello di coinvolgimento delle famiglie dei bambini». L’idea di fare il salto di qualità didattico, aggiunge, mi è venuta «anche grazie ad un pool di insegnanti molto valido» che si trovava in quella scuola.
Ma quel cambio di marcia è stato possibile solo quando nell’anno scolastico 2011-2012 il garden Giardini della Versilia ha chiesto ad Ecoland snc, società attiva nell’educazione ambientale creata da Bertoncini con Serena Scalici, di estendere il progetto Orto delle Meraviglie nelle scuole del comune di Pietrasanta. «Abbiamo così presentato l'idea ad uno dei due Istituti Comprensivi Scolastici della zona – spiega - e abbiamo avuto l'adesione di due scuole primarie: la scuola Pascoli del capoluogo e la scuola Forli di Vallecchia. Anche qui ci siamo mossi con contenitori e kit per la coltivazione fuori suolo forniti dallo sponsor che sostiene anche i costi del personale. L'uso della coltivazione fuori suolo è funzionale anche perché il poco terreno presente attorno alla scuola è di difficile utilizzo (troppo compatto, ricco di macerie di costruzioni preesistenti, ecc.)».
«Da quest'anno (2012-13) – continua Bertoncini - il progetto è stato esteso ad altre due scuole (infanzia Bibolotti - Marsili della loc. Africa e primaria Mutti di Strettoia) e si è evoluto verso l'utilizzo del terreno circostante la scuola. Presso tre delle quattro scuole di Pietrasanta abbiamo seminato il grano in piccoli appezzamenti di terreno. Sono tentativi sperimentali perché le caratteristiche del terreno disponibile sono spesso mediocri ma la sperimentazione è parte integrante del progetto. Anzi, non mancano casi in cui si compiono volontariamente errori di coltivazione proprio per capire meglio le ragioni delle scelte agronomiche ordinarie o per ottenere risultati interessanti dal punto di vista didattico. Solo nella scuola Mutti di Strettoia non abbiamo alternativa all'uso dei contenitori e della coltura fuori suolo non essendo presente terreno coltivabile. Naturalmente, il progetto prosegue anche a Nave».
Ma quali sono gli aspetti centrali sul piano didattico del progetto Orto delle Meraviglie? E come può variare da scuola a scuola?
«L'aspetto comune è l'approccio – risponde Bertoncini -: non facciamo l'orto a scuola ma "usiamo" l'orto a scuola come strumento per imparare. L'altro elemento in comune è l'impiego di contenitori e della coltivazione fuori suolo. Questo è in parte dovuto alla mancanza di suolo coltivabile ma anche alla praticità della coltivazione in contenitore (per esempio pone il piano di lavoro dei bambini dell'infanzia alla loro altezza) e alla possibilità di rendere più visibile l'orto e di aumentarne il rispetto (anche da parte dei giardinieri distratti). Ulteriore elemento comune è che nello svolgere la coltivazione si segue un percorso didattico di massima ma sono ammesse varianti legate al caso, alla circostanza e alle intuizioni felici. Tanto per citare qualche esempio, abbiamo coltivato arachidi perché il marito di una bidella le aveva nell'orto anche se da noi sono tutt'altro che comuni e proprio ieri abbiamo parlato di funghi perché sono nati spontaneamente. Infine, tutti gli orti sono condotti senza l'uso di antiparassitari e altre sostanze anche solo potenzialmente pericolose. Questo sia come approccio, sia perché certi problemi, come le malattie, offrono spunti per la didattica. Il risultato è che questi orti a volte sono un po' strani o bruttini e altre volte vengono maltrattati pur di imparare. Per esempio di tanto in tanto smontiamo frutti o piante per osservarli».
«Ciò che varia – conclude - è la comunità scolastica, il modo di interpretare questa esperienza, la capacità/volontà delle insegnanti di trarne qualcosa in chiave didattica. In questo senso la “biodiversità” è massima. Si va da chi propone variazioni e integrazioni a ciò che facciamo a chi si limita a seguire il percorso didattico da noi tracciato. E va bene così, perché questo personalizza l'esperienza dei bambini/ragazzi mantenendo una certa filosofia dell'insegnamento. Poi ci sono i destinatari, cioè i bambini, che a volte sono capaci […] di fornire stimoli, di fare domande, di fare piccole scoperte consentendoci di arricchire l'esperienza. Alcune scuole creano momenti di festa e di condivisione attorno all'orto, altre ancora non lo hanno fatto».
Queste esperienze didattiche sono descritte da Bertoncini stesso nel blog www.ortiscolastici.it. Per ulteriori informazioni Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..
Lorenzo Sandiford