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Intervista a Dino Scanavino, presidente nazionale di CiaAgricoltori Italiani, al termine dell’incontro del 16 dicembre per il 25° anniversario di Dimensione Agricoltura. Per Scanavino l’idea dei «network dei valori», grazie alla trasparenza e al coinvolgimento dei consumatori, darà più spinta ai Progetti integrati di filiera. Bocciate come appesantimento burocratico inutile alla salvaguardia dell’ambiente le misure del “greening”. Si spera di riagganciare l’agricoltura alle agevolazioni per l’innovazione tecnologica della “industria 4.0”. 

L’idea di “network dei valori” per aggregare e dare spinta a filiere anche tra piccoli agricoltori, artigiani, addetti alla logistica e commercianti (in relazione con gli enti locali), oltre a quelle dei big dell’industria agroalimentare e della grande distribuzione. L’esclusione dalla legge obiettivo dell’emendamento che mirava a includere l’agricoltura nel progetto “industria 4.0”. Il «restyling» della nuova Pac (Politica agricola comunitaria), che incomincerà ad essere discussa entro il 2017, senza «mostri burocratici che frenano gli agricoltori quali il “greening” e una serie di altre complicazioni inutili».
Sono tre delle questioni sollevate dal presidente di CiaAgricoltori Italiani Dino Scanavino durante una delle tavole rotonde tenutesi il 16 dicembre a Firenze, in occasione del 25° compleanno del mensile di Cia Toscana ‘Dimensione Agricoltura’ (vedi nostro servizio). Floraviva ha intervistato Scanavino al termine dell’incontro cercando di chiarire meglio alcuni aspetti di tali questioni. A cominciare dall’idea dei network dei valori, lanciata il 15 novembre all’ultima assemblea nazionale di Cia a Roma, che mira a valorizzare meglio le filiere agricoltori-artigiani-addetti alla logistica-commercianti (ed enti locali) in reti d’impresa territoriali trasparenti, capaci di remunerare adeguatamente anche i produttori agricoli. Quella che Scanavino ha definito «una terza via tra vendita diretta e grande distribuzione», necessaria in quanto la vendita diretta «vale solo il 3% delle vendite agroalimentari» e i piccoli restano spesso fuori dal circuito industria agroalimentaregrande distribuzione.
Nel suo intervento, quando ha parlato dei «network dei valori», ha detto che non si tratta di nuove certificazioni, vorrei capire meglio questa specificazione.
«Perché questo è un progetto di organizzazione socio-economica, prima ancora che un progetto di produzione. Cioè noi dobbiamo permeare la cultura dell’ambiente in cui operiamo, cioè noi (i produttori), gli artigiani e i commercianti, gli addetti alla logistica e alla distribuzione, in un progetto che parli alle persone. Le certificazioni sono un prerequisito, ossia quei prodotti che noi produciamo sono già certificati, perché rispondono a delle denominazioni di origine o semplicemente a norme igienico-sanitarie ecc. Quindi non vogliamo fare un altro marchio, un’altra linea, dove c’è un ente che certifica chi ha fatto quei passaggi ecc. A noi interessa avere, rendere evidente questo patto che nasce, cresce, si sviluppa e coinvolge i cittadini fino alla tavola, fino al momento del consumo».
Sembra un progetto che dovrà contenere o essere accompagnato da una importante componente di comunicazione?
«Certamente, questo è estremamente importante, perché questo sforzo si concretizza solo se la gente è a conoscenza, se le persone si convincono che questo percorso va a loro vantaggio e quindi il comunicarlo adeguatamente, quindi non solo informare ma comunicare, cioè sollecitare la curiosità dei cittadini perché in qualche modo diventi un desiderio collettivo di sapere, di conoscere e di provare».
Un’ultima osservazione su questo tema: il vostro progetto si integra bene con tutte quelle leggi e misure di sostegno relative ai Progetti integrati di filiera (Pif) che fanno parte dei Programmi di sviluppo rurale (Psr) delle regioni.
«Sicuramente. Poi nelle varie programmazioni regionali e negli strumenti che di fatto richiamano la filierache è tradizionalmente intesa come filiera produttiva, di trasformazione e commercializzazionenoi inseriamo un elemento di novità fra la produzione, la trasformazione e la commercializzazione: i consumatori. Questa è la nuova filiera che diventerà il network dei valori, che chiederà di essere protagonista anche nei Pif e anche in altri strumenti».
Quindi volete aiutare i Pif dei piccoli o medio-piccoli (visto che forse le filiere dei big funzionano già da sole)?
«E’ indubbio, perché questo diventa appunto un network, cioè un luogo in cui molti partecipano ma costruiscono un fatto anche economicamente rilevante, composto da tante entità tra di loro coordinate da un’idea, non da una legge, perché di leggi ce ne sono già e non ne abbiamo bisogno».
Un’altra sua osservazione sull’attualità è stato il richiamo alla legge obiettivo e alla mancata approvazione del vostro emendamento che mirava ad includere l’agricoltura nel progetto “industria 4.0”: che cosa era? 
«Noi abbiamo interloquito con le istituzioni dicendo che l’industria va intesa a questo proposito come concetto ampio di industria, cioè chiunque produce è in qualche modo un industriale, e che l’agricoltura ha un problema (un problema e un vantaggio per alcuni aspetti): che è tassata sulle rendite catastali e non sui bilanci, per cui non può aderire alla provvidenza principale di questo capitolo, che sono i super ammortamenti. Cioè c’è un meccanismo per cui si crea un credito degli imprenditori verso lo stato nel momento in cui acquistano macchinari innovativi ecc. Noi siamo alle prese con la necessità bruciante di acquistare macchine innovative per l’irrigazione, per l’irrorazione dei fitofarmaci, per consumare meno, per avere più sicurezza dei lavoratori ecc. E quindi abbiamo bisogno anche noi di avere queste provvidenze. Abbiamo presentato un emendamento appoggiato da molti parlamentari, fra cui l’onorevole Cenni che è toscana, e con parere positivo anche del ministro delle politiche agricole, che però è caduto per effetto della fiducia, che ha fatto cadere tecnicamente tutti gli emendamenti. In quell’emendamento c’era un meccanismo, un sistema studiato per trasformare questo super ammortamento in credito di imposta. Cioè l’agricoltore che acquistava macchine innovative ecc. avrebbe potuto scontare una quota che doveva essere attorno al 20/23% dai contributi previdenziali e dal versamento dell’Iva. Questa cosa consentirebbe intanto di allineare l’avanzamento dell’industria di produzione agricola con l’industria di trasformazione alimentare. Senza di ciò noi creiamo invece un muscolo strappato, cioè l’industria è finanziata per innovarsi tecnologicamente, l’agricoltura no. Qualcuno dirà che lo è attraverso i Psr, ma non è vero perché noi sappiamo che i Psr danno poco peso alle innovazioni in termini di macchine, perché privilegiano, giustamente, altri programmi di sviluppo e quindi rimane un vulnus. Noi siamo sollecitati infatti a ridurre la rischiosità per gli operatori delle macchine e manderemo le macchine ai collaudi, ma avremo dei grossi problemi perché molte macchine non li supereranno. La nostra attività non ci consente di generare risorse sufficienti per fare dei piani di meccanizzazione e lo Stato non tiene conto di questa nostra difficoltà, che è una difficoltà collettiva. Se ci viene chiesto di usare meno fitofarmaci, ci sono macchine che recuperano la deriva; se ci viene chiesto di usare meno acqua, allora dovremmo passare dai rotoloni alla micro-irrigazione, che è un investimento; se ci viene chiesto di spremere meno il suolo, di consumare meno gasolio, di inquinare di meno attraverso le emissioni ma non si viene messi in condizione di farlo, ne deriva un danno al sistema nel suo complesso».
Quando potrebbe rientrare in gioco questo emendamento?
«Bè, adesso vediamo perché col nuovo governo, con un ministro che peraltro aveva apprezzato questo nostro ragionamento, immaginiamo si possa tentare di recuperarlo attraverso qualche via, vedremo quale dal punto di vista legislativo. Bisogna rispettare certi percorsi. Però non demordiamo su questo obiettivo».
Pur essendo voi di Cia molto attenti all’ambiente, fate ad esempio tanta agricoltura bio, sia lei che il presidente di Cia Toscana Brunelli avete citato oggi, fra le cose da cambiare della Pac, le misure cosiddette “greening”, perché e quali sono gli altri elementi che è più necessario modificare?
«Sembra una contraddizione il fatto di dire noi stiamo attenti all’ambiente ma non va bene il “greening”. Ma in realtà c’è un problema, che il “greening” con l’ambiente c’entra poco. Nel senso che è una contabilizzazione burocratica di parti di verde da dedicare alla naturalizzazione che in realtà sono inesistenti. Noi abbiamo un vincolo sulla percentuale di verde in proporzione alla terra coltivata, quindi misuriamo la circonferenza della chioma di un albero, inerbiamo le sponde dei canali, che poi si incendiano quando diventano secche, cioè creano un problema. Insomma facciamo delle cose che con l’ambiente non hanno quasi nessuna attinenza, ma prevedono una serie di obblighi burocratici per dimostrare che l’abbiamo fatto che creano ostacoli dal punto di vista operativo. Quindi ok all’impronta ambientale, ok all’impronta ecologica, ma in una visione che possa essere simbiotica, compatibile con l’attività imprenditoriale. Questo non vuol dire abbassare il livello, vuol dire alzarlo il livello. E poi puntare molto sui temi agroambientali, abbinare i temi agroambientali al mantenimento della popolazione nelle aree interne dell’Italia. Questo è fondamentale perché paradossalmente mentre nella pianura padana si potrebbe vivere anche senza Pac e invece lì se ne prende molta, in certe aree interne non si può vivere senza Pac e se ne prende troppo poca. Questo è un problema serio».  
 
Lorenzo Sandiford

Al deputato Edoardo Fanucci, intervistato a margine dell’incontro col ministro Martina al festival della salute di Montecatini, piace la proposta: «in un momento di crisi occorre fare squadra, quindi penso tutto il meglio possibile di questa proposta». Fanucci spera che nella legge di bilancio ci sia spazio, almeno in parte, per le agevolazioni fiscali alle opere a verde dei privati.  

A fare gli onori di casa al ministro delle politiche agricole Maurizio Martina, in visita oggi a Montecatini per la nona edizione del “Festival della salute”, c’era con il sindaco Giuseppe Bellandi anche Edoardo Fanucci, vice presidente della commissione Bilancio della Camera dei deputati, espressione del territorio provinciale pistoiese e quindi sempre attento anche alle questioni del florovivaismo, dal vivaismo alla floricoltura. Floraviva lo ha intervistato, prima che arrivasse il ministro Martina, su alcune questioni di interesse del settore, all’indomani dell’annuncio dello stesso Martina del taglio dell’Irpef agricola, che darà una notevole boccata d’ossigeno alle aziende florovivaistiche
Dopo l’aiuto ai bilanci delle imprese del florovivaismo con il taglio dell’Irpef agricola, si può fare qualcosa anche per stimolare un po’ il consumo delle piante e dare una spinta alla produzione, magari coinvolgendo anche altri ministeri?
«Sicuramente bisogna riconoscere alle piante il valore che hanno nell’ambiente e dare anche un senso a quelle che sono le nostre città, ai nostri ambienti urbani e suburbani. Per questo il coinvolgimento di più ministeri nella ricerca di una soluzione che possa far riprendere i consumi interni e gli acquisti delle nostre piante può essere diretto a favorire il verde privato, e noi abbiamo portato avanti una proposta di legge in Parlamento a sostegno del verde privato per poter fruire di vantaggi fiscali al momento in cui uno realizza ad esempio un intervento nel proprio giardino, chiaramente con dei requisiti professionali (vedi nostro articolo, ndr). Ci vuole un coinvolgimento di tutto il governo, di tutto il parlamento, di tutti i ministeri, in un grande progetto collettivo che guardi all’Italia non soltanto pensando al domani o alle prossime elezioni ma pensando davvero alle future generazioni. Per far questo, ci vuole orgoglio, volontà e anche risorse».
Ecco, a che punto siamo con quel disegno di legge sul bonus fiscale per gli interventi a verde dei privati?
«Noi abbiamo portato avanti una proposta di legge, di cui io sono secondo firmatario, primo firmatario è il presidente della Commissione Finanze Bernardo, una proposta trasversale, ci tengo a sottolinearlo, da più parti politiche, proprio per esplicitare un forte senso di responsabilità di tutto il parlamento. Noi la riproporremo in legge di bilancio. Le risorse sono limitate, sappiamo i vincoli dell’Europa, sappiamo i vincoli della finanza pubblica. Però sicuramente noi abbiamo trovato riscontri in termini di attenzioni da parte del Governo e speriamo che si possano tradurre in stanziamenti di risorse almeno pari a una parte delle nostre attese».
Di recente il sindaco di Pescia Giurlani ha avanzato al Ministero delle politiche agricole la richiesta di creare un tavolo permanente, un coordinamento (aperto anche ad altri soggetti attivi nella commercializzazione) dei mercati di fiori italiani, che forse negli ultimi anni hanno avuto un po’ meno peso nel settore. Ciò in vista anche dei lavori al nuovo piano florovivaistico 2017-19, perché potrebbe esser utile un fronte unitario per far capire bene al Governo le istanze dei mercati di fiori. Cosa pensa di questa idea?
«In un momento di crisi occorre fare squadra, quindi penso tutto il meglio possibile di questa proposta di Giurlani, che sosterrò nei limiti delle mie possibilità, coinvolgendo i colleghi delle commissioni competenti e tutta la filiera che il Pd riesce ad esprimere: dai consiglieri regionali, penso a Massimo Baldi e Marco Niccolai, all’assessore regionale Federica Fratoni, all’altra parlamentare del territorio Caterina Bini. Dobbiamo fare un gioco di squadra perché il territorio è più importante di qualsiasi altra cosa».
 
Lorenzo Sandiford

 

Intervistata a Flora trade a margine di un seminario tecnico, Claudia Pavoni, presidente dell’Associazione italiana giardinieri professionisti, ha detto che l’art. 12 della legge 154/16 su chi può esercitare l'attività di costruzione o manutenzione del verde non basta. Dell’albo si discuterà in una tavola rotonda a Flormart il 23 settembre.

L’articolo 12 della legge 154/16 sulla semplificazione e competitività dell’agroalimentare è stato visto da molti come un passo avanti nella direzione di una gestione del verde in mano a soggetti competenti. Esso stabilisce che «l’attività di costruzione, sistemazione e manutenzione del verde pubblico o privato affidata a terzi» può essere esercitata dai florovivaisti iscritti al Registro ufficiale dei produttori oppure da «imprese agricole, artigiane, industriali o in forma cooperativa, iscritte al registro delle imprese, che abbiano conseguito un attestato di idoneità che accerti il possesso di adeguate competenze»; e che saranno le regioni a disciplinare i corsi di formazione per ottenere l’idoneità e quindi in ultima istanza a decidere chi potrà occuparsi del verde
Per la presidente dell’Associazione italiana giardinieri professionisti (Aigp), l’agronoma Claudia Pavoni, sentita ieri a Rimini a Flora trade, in margine al seminario tecnico su “Qualità ed innovazione nel lavoro del giardiniere”, questo è però solo un primo passo, ma non sufficiente a garantire che alla costruzione e manutenzione del verde saranno ammessi solo individui davvero competenti. «Dovremmo approfittare di questa leggeci ha confermato oggi Claudia Pavoni – per valorizzare la figura professionale del giardiniere, ma questo accadrà solo quando avremo un vero e proprio albo basato su requisiti e una certificazione di livello europeo». Del resto, osserva Claudia Pavoni, all’estero, ad esempio in Germania, la professione del giardiniere è riconosciuta e rispettata. In ogni caso, come spiegato stamani da Rodolfo Bonora, segretario di Aigp, «ci muoveremo con le regioni per aiutarle a definire corsi di formazione adeguati e ad evitare difformità fra una regione e l’altra».   
Aigp ha la sede legale a Padova, con due basi operative: una a PadovaFiere e l’altra a Pordenone, dove si svolgono rispettivamente Flormart e Ortogiardino. L’associazione conta al momento solo alcune decine di iscritti, perché ha scelto di adottare una selezione rigorosa in base alle reali competenze, e non è composta solo da liberi professionisti, ma anche florovivaisti iscritti al Rup e giardinieri dipendenti
Come ci ha spiegato ieri Claudia Pavoni, l’Aigp è nata «attraverso piccole domande botta e risposta da Facebook. Eravamo agronomi, giardinieri, titolari di imprese di manutenzione e ci siamo resi conto di avere un ruolo di Cenerentola, perché il giardiniere non esiste. E in effetti in Italia non esiste un albo dei giardinieri ed è proprio quello l’obiettivo principale per il quale abbiamo creato l’associazione». «Quello che ci ha portati a costituirci due anni fa, il 29 agosto 2014, giorno di San Fiacre, il protettore dei giardinieri – ha proseguito Claudia Pavoni - è stato l’intento di creare un ambito di formazione, una valorizzazione della figura del giardiniere e di divulgarne le competenze. Questo perché parecchie volte il florovivaista che fornisce le piante si trova ad avere anche un ruolo di giardiniere. Ma il giardiniere ha una competenza molto più ampia, a 360 gradi, perché ha a che fare con gli impianti di illuminazione, i passi carrai, quelli che sono i manufatti del giardino. Poi c’è il giardino storico, il giardino moderno, il tetto. Cioè moltissime variabili e competenze».
«Però – ha continuato - se una persona si trova senza lavoro, con un titolo di studio di perito agrario o di agronomo, e ha idea di fare il giardiniere, da dove comincia? Non c’è un curriculum, non esiste una pianificazione, non c’è un anno di stage. E questo è un problema italiano, perché a livello europeo, per esempio in Germania, l’albo dei giardinieri è molto potente: sono quelli che costruiscono il verde. Qui da noi, invece, è il costruttore di cemento che si mette a fare il giardiniere, mentre chi progetta non ha neanche la competenza della realizzazione».
Quali sono i primi passi che intendete fare per raggiungere l’obiettivo dell’albo professionale?
«Il nostro desiderio è fare anzitutto un decalogo del giardiniere e quindi, attraverso una specie di comitato all’interno dell’associazione, dimostrare quelli che sono i punti da portare al tavolo verde, perché il ministero ha dato molto spazio al florovivaismo, però la figura del giardiniere non è stata mai neanche citata. E infatti la nostra associazione, che vabbè è ancora piccola, non è ancora mai stata invitata. Quello che mi sembra giusto è che oggi ci sia un’attenzione a questa figura, che non è il florovivaista e non è neanche il progettista, ma esattamente colui che realizza il giardino e fa la manutenzione».
Ma non c’è stato nessun riconoscimento ancora?
«Abbiamo chiesto di stare al tavolo [del florovivaismo, ndr] e nessuno ci ha detto di no. Ma insomma per noi giardinieri è un bene che il verde non sia un bene superfluo, ma sia un bene importantissimo. Perché l’urbanizzazione deve essere accompagnata al verde. E poi la manutenzione deve partire dalla sostenibilità, che è una parola che nessuno capisce cosa vuol dire: non è sostenibile nel senso economico, ma nel senso di (non) inquinamento. Cioè il tipo di gestione deve essere oculata attraverso la lotta biologica e attraverso anche piccoli interventi ma fatti cum grano salis, cioè è la preparazione che deve essere valorizzata».
E’ soddisfatta, a metà giornata, dell’incontro di oggi a Flora trade?
«Mi è piaciuto molto perché non è stato un workshop, quindi le aziende che ci hanno offerto la loro tecnologia sono state esaustive su questo argomento, come l’utilizzo dei substrati, il prato fiorito, l’utilizzo della lotta per la difesa. E nel pomeriggio parleremo della qualità del materiale florovivaistico per avere la qualità di un giardiniere, perché se il giardiniere non riesce ad avere un materiale di buona qualità, allora farà male il nostro lavoro. Il nostro obiettivo è portare avanti questi momenti di incontro durante le fiere, per avere degli stimoli e momenti di formazione. E a Flormart, venerdì 23 settembre, faremo una tavola rotonda dove vogliamo descrivere proprio quali devono essere gli input per un albo del giardiniere».
 
L.S.

Appello alle imprese del distretto floricolo del sindaco di Pescia Oreste Giurlani, che definisce “un’opportunità unica” i bandi della sottomisura 4.2 del Psr e dei Pif. Giurlani plaude all’apertura della 4.2 alla filiera floricola ma è deluso per la mancata “premialità aggiuntiva” alle imprese del territorio distrettuale. Entro settembre partirà il tavolo tecnico “Pescia agricola e verde-floreale”.

Settembre cruciale per le imprese del distretto floricolo interprovinciale Lucca Pistoia, che ha come centri propulsori i mercati dei fiori di Pescia e Viareggio. Soprattutto per quelle iscritte al mercato di Pescia, dove potrebbe essere finalmente avviata la svolta attesa da tanti anni con la definizione del passaggio del mercato da Regione Toscana a Comune pesciatino e di un contestuale accordo di programma, non appena il Consiglio regionale avrà approvato la variazione di bilancio con lo stanziamento di risorse destinate all’operazione
Il sindaco di Pescia Oreste Giurlani, sentito da Floraviva, non vuole anticipare niente su tale accordo con la Regione e le associazioni di categoria interessate, ma accetta volentieri di dire la sua sulla questione dei fondi del Programma di sviluppo rurale (Psr) a cui la filiera floricola potrebbe attingere per sostenere gli investimenti necessari ad aumentare la competitività e rilanciarsi. E una notizia: il tavolo tecnico “Pescia agricola e verde floreale” (Pav), costituito fra la fine di marzo e i primi di aprile, inizierà la propria attività di stimolo e coordinamento in ambito agricolo e florovivaistico entro settembre, una volta che saranno completate e ufficializzate le nomine dei componenti, in modo da essere «attrezzati ad affrontare la nuova fase che si aprirà dopo aver chiuso l’accordo con la Regione per il trasferimento dell’immobile del mercato dei fiori». 
«Mi rivolgo agli operatori del distretto floricolodichiara Giurlani - per invitarli a prendere sul serio l’appuntamento con i prossimi bandi del Psr. Si tratta infatti di un’opportunità unica: sia la sottomisura 4.2 (Sostegno a investimenti nella trasformazione, commercializzazione e/o sviluppo di prodotti agricoli), che finalmente mette a disposizione contributi anche per le imprese che investono nelle strutture e attrezzature per la commercializzazione dei prodotti floricoli (vedi articolo), sia il secondo bando dei Pif (Progetti integrati di filiera), che dovrebbe essere pubblicato entro settembre. Dobbiamo intercettare queste risorse, non possiamo perdere il treno. A questo scopo, organizzerò entro la prima metà di settembre un incontro con le associazioni di categoria». 
Giurlani coglie l’occasione anche per togliersi un sassolino dalla scarpa: «ho molto apprezzato, da parte della Regione, la variazione al Psr, approvata dalla Commissione europea, che ha inserito le imprese della floricoltura fra i beneficiari della sottomisura 4.2, ma mi è dispiaciuto che non sia stata riconosciuta al nostro distretto interprovinciale Lucca Pistoia quella premialità aggiuntiva che è stata attribuita ad altri territori della regione. Come zona in situazione economica critica, tale premialità era giusto assegnarla anche a noi».   
 
Lorenzo Sandiford

Novella Cappelletti, presidente di Paysage, ha annunciato l’istituzione nell’edizione del 2017 di due nuove categorie. Per Vannucci il premio è un utile interscambio fra chi progetta il paesaggio e i vivaisti, e l’edizione per Pistoia capitale della cultura «una grande opportunità». Renato Ferretti: il paesaggio non è solo natura e boschi, ma anche qualcosa da costruire con il lavoro e producendo reddito.

 
«Quest’anno invece di assegnare il premio abbiamo preferito fare questa riflessione insieme agli architetti e ai vivaisti proprio per cercare di prepararci al meglio per l’edizione 2017 quando, nel contenitore molto più prestigioso di Pistoia capitale della cultura, ci sarà una grande opportunità. Quindi di nuovo una bellissima occasione di interscambio fra coloro che progettano e noi che produciamo, perché, come ripeto spesso, per noi è necessario capire quello che si andrà a progettare nel futuro, proprio per progettare noi stessi le nostre produzioni».
Questo il commento di Vannino Vannucci, presidente dell’Associazione vivaisti italiani, a Floraviva ieri alla Biblioteca San Giorgio di Pistoia, al termine della quarta edizione del premio “Great Trees Awards – I grandi alberi del paesaggio italiano”, promosso da Paysage e Vannucci Piante con l’obiettivo di porre all’attenzione del pubblico professionisti di chiara fama che, come “grandi alberi”, rappresentano il senso, la struttura e la radice del progetto di paesaggio in Italia. Un’edizione interlocutoria, dunque, come sottolineato da Vannucci. Una sorta di anteprima preparatoria della prossima edizione nel 2017. 
Che premio ci possiamo aspettare il prossimo anno? «Un premio importante – ha risposto Novella Cappelletti, direttore di Topscape e presidente di Paysage - . Noi stiamo lavorando a questo. Siamo lavorando alla condivisione con le istituzioni. Stiamo lavorando affinché il premio traini Pistoia e Pistoia traini il premio verso un riconoscimento con una risonanza europea. Questa è la vera sfida per il 2017». E cambierà qualcosa nelle premiazioni? «, vorremmo istituire delle nuove categorie. Quindi non solo un premio alla carriera, ma un premio legato alle realizzazioni in ambito di verde pubblico e un premio legato ai giovani per poter dare loro un’occasione di visibilità. Questi sono le prime indicazioni fondamentali che sono emerse da questo dibattito». Ma rimane come prima il premio originario? «Certamente . Perché nasce e resta la vocazione di rappresentare un premio per una carriera importante a chi ha contribuito alla disciplina, ma si apre verso visioni più allargate».
A Renato Ferretti, direttore di Vestire il Paesaggio, abbiamo chiesto di spiegare la sua osservazione, nel suo intervento, che il premio potrebbe essere una buona volta l’occasione per riflettere su che cosa è davvero il paesaggio e quindi anche sulla figura dell’architetto o progettista del paesaggio: «, io sono fermamente convinto che “paesaggio”, come peraltro dice la convenzione europea del paesaggio, è tutto quello che ci circonda. Noi viviamo nel paesaggio. Non è che andiamo ad ammirare il paesaggio, quello lo si ammira in un quadro. Ma il paesaggio lo viviamo tutti i giorni. E’ un paesaggio che è diverso: è diverso per caratteristiche, è diverso per livelli qualitativi all’interno della stessa categoria, nel senso che ci sono paesaggi urbani gradevoli e paesaggi urbani sgradevoli, ci sono aree industriali gradevoli e aree industriali molto sgradevoli. Purtroppo la maggioranza sono quelle sgradevoli rispetto a quelle gradevoli, e per questo siamo pensati a portare che il paesaggio sia quello che si vede verde, boschi e comunque quello che nell’immaginario collettivo è collegabile alla naturalità, e viceversa tutto il resto non è paesaggio». 
«Invece è tutto paesaggio – ha continuato Ferretti -. Tutto è paesaggio che ha bisogno di essere ricostruito, e ricostruito pensando a una prevalenza del reddito rispetto alla rendita. Credo che questa sia la scommessa vera. Nel senso che, come è stato costruito il paesaggio bello della nostra Toscana nel secolo scorso e in quello precedente, pensando al fatto di dover soddisfare il bisogno alimentare di chi ci viveva, e quindi con un’attenzione forte al reddito che si poteva tirare fuori da questi territori e da questo paesaggio, ugualmente bisogna farlo oggi e credo che questa sia la scommessa vera: fare un salto culturale e passare da immaginare solo come parametro di riferimento la rendita finanziaria a un reddito del capitale, che in questo caso è costituito dal territorio con il paesaggio che ci costruiamo sopra con il lavoro che ognuno di noi ci mette».
 
Lorenzo Sandiford