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- Scritto da Andrea Vitali
Intervistati i presidenti di Aiph ed Ena al forum “Horticultural Experiences” del 68° Flormart. Per Bernard Oosterom, sentito sui modi di promuovere fiori e piante, vanno dati ai decisori pubblici i giusti contenuti per vedere il verde come un investimento. Tim Edwards: i politici devono capire quali sono i problemi e le soluzioni per il verde nelle città e fare leggi ad hoc; inutili le aree verdi senza fondi per la manutenzione.
Qualità dei prodotti florovivaistici, città verdi e sostenibili, promozione del verde e dei fiori. Sono le tre sessioni in cui era articolato il forum internazionale “Horticultural Experiences”, organizzato il 21 settembre scorso da Flormart in collaborazione con Anve. Un importante momento di approfondimento di alcuni temi centrali della filiera florovivaistica, a cui sono intervenuti fra gli altri i vertici delle due associazioni florovivaistiche internazionali di riferimento: Bernard Oosterom, presidente di AIPH (International Association of Horticultural Producers), e Tim Edwards, presidente di ENA (European Nurserystock Association); invitati al forum da Anve, l’Associazione nazionale dei vivaisti esportatori, che fa parte di entrambe le organizzazioni. Ecco che cosa hanno detto a Floraviva i due presidenti di Aiph ed Ena, sentiti a margine del forum.
L’olandese Bernard Oosterom, a cui spettava il compito di moderare la sessione dedicata alla promozione dei prodotti florovivaistici, ci ha innanzi tutto ricordato che prima di arrivare all’attuale carica di presidente dell’Aiph ha lavorato nel settore florovivaistico per più di 40 anni. Ha lavorato sia nella produzione che nell’import-export di giovani piante, soprattutto piante tropicali, ed è stato per alcuni anni presidente dell’asta di fiori (Flowerauction). Una vera autorità in materia, dunque. «Penso che a livello internazionale – ha esordito Oosterom rispondendo alla domanda di Floraviva in proposito - i coltivatori stiano producendo un’ampia varietà di prodotti di alta qualità». Sull’altro versante della filiera «i consumatori amano i fiori, le piante e gli alberi: i colori, le forme e godersi le piante e gli alberi negli interni e all’aperto». «La sfida comune – ha continuato - è come creare la situazione in cui i consumatori compreranno più fiori, più piante e più alberi. Il marketing e la promozione sono un buono strumento per diffondere le informazioni su di essi e in particolare le storie dietro ai prodotti e a chi li coltiva, e anche le storie su come usare il verde per godersi la vita a casa, in ufficio e quando ci si rilassa all’aperto». Questa sfida, ha aggiunto Oosterom, si vince in vari modi. «Uno è la promozione del settore in maniera business-to-business, così come fanno le fiere commerciali tipo Flormart e altre in Europa, dove i coltivatori e i commercianti si incontrano. Ma è molto importante anche la comunicazione su mezzi come la radio, la televisione e la stampa cartacea per aiutare il settore a fornire ai consumatori e ai decisori pubblici nelle città (urbanisti e governi locali) informazioni e ragioni per investire di più nel verde». Un altro canale, ha ricordato il presidente di Aiph, è rappresentato dalle «expo florovivaistiche»: «ogni anno c’è da qualche parte nel mondo un’expo florovivaistica e milioni di persone si divertono a visitarla, godendosi il verde ma anche imparando qualcosa sul nostro settore: le tecniche, la qualità e i metodi attraverso i quali i coltivatori producono piante, fiori e alberi».
Lei ha detto che in generale la qualità delle produzioni florovivaistiche è elevata. Ma le produzioni possono, nonostante ciò, essere migliorate ancora? E se sì quali sono gli aspetti prioritari su cui agire?
«La risposta è molto varia. In Olanda per esempio stiamo sviluppando modi di coltivare le piante e i fiori usando meno gas naturale e più naturali, senza utilizzare pesticidi e così via». Ma il punto per Oosterom, che vuole restare al tema della sua sessione, è cercare non solo di migliorare il modo di produrre (più ecologico e a prezzi minori), ma anche di «creare valore» attraverso strumenti come la promozione dei consumi e il marketing.
Che cosa si deve fare per avere nel mondo città più verdi?
«Dovrebbe chiederlo al moderatore della sessione sulle città verdi e sostenibili. Ma ho un’opinione su questo. La maggior parte di coloro che prendono le decisioni nelle città vede il verde come un costo aggiuntivo, non come un investimento. Noi come settore dobbiamo fornire ai decisori pubblici i contenuti giusti per (riuscire a) vedere il verde come un investimento: investimento in città più sane, città dove la gente si diverte a stare all’aperto, per abbassare la temperatura delle città, per ridurre il consumo di energia e anche per la salute delle persone. In conclusione tutti gli amministratori di città devono capire i benefici di città più verdi».
Lo stanno capendo gli amministratori pubblici, almeno in Olanda?
«Non ancora, ma ci stiamo lavorando».
A moderare la sessione del forum sulle città verdi è stato Tim Edwards, florovivaista del Regno Unito che, come ci ha spiegato, è arrivato all’Ena, di cui è poi diventato presidente, grazie alla designazione di due importanti organizzazioni agricole britanniche di cui è membro, The National Farmers’ Union e The Horticultural Trades Association. Edwards ha prima di tutto osservato che non tutti i relatori, come era prevedibile, davano lo stesso significato all’espressione “green city” (città verde). «Sa, di questi tempi tutto è verde – ci ha detto -. Ma per i vivaisti “città verde” significa qualcosa di molto specifico: significa fare, in un modo o nell’altro, buon uso delle piante nel contesto di un ambiente urbano. Così per esempio mettere un tetto verde su un edificio è una buona idea per varie ragioni: incrementare la biodiversità in città, ridurre l’effetto isola di calore della città, diminuire l’inquinamento, aumentare la popolazione di insetti, isolare termicamente l’edificio e ridurre le perdite d’acqua. Dunque un elemento verde come usare le piante su un tetto può portare una grande quantità di effetti benefici in una città». Poi ci sono altri usi del termine verde, ha proseguito, e alcuni coincidono con quello per cui certi saponi vengono definiti verdi, nel senso di avere meno impatto sull’ambiente, essere più ecologici.
Ecco limitandoci alla sua accezione del termine, quella più rilevante per i vivaisti, che cosa è emerso durante la sessione da lei moderata? C’è stato qualche stimolo interessante?
«Uno dei punti che io credo sia emerso molto chiaramente è che ci sono tanti effetti benefici legati alle aree verdi in ambienti urbani. C’è una gran quantità di evidenza e di ricerche che lo dimostrano chiaramente. Ma in realtà questi benefici si ottengono solo se gli elementi verdi introdotti, come ad esempio un parco, sono ben gestiti». Senza un’adeguata manutenzione tali effetti positivi svaniscono e in certi casi gli elementi verdi possono addirittura avere l’effetto opposto. «Quindi la lezione per i sindaci e per chi amministra le città è che non si devono tagliare i finanziamenti per la manutenzione delle aree verdi delle città».
L’altro insegnamento emerso dall’incontro, ci spiega Edwards, è che «nel mondo abbiamo una necessità crescente di guardare agli elementi verdi delle nostre città. Ciò per vari motivi: abbiamo sempre più persone che vivono in città tutto il tempo, abbiamo il cambiamento climatico e ci troviamo a fronteggiare situazioni che non abbiamo mai affrontato sinora». In questo contesto generale lui sostiene che «i migliori esempi di città verdi non si trovano in Europa. Per una ragione molto semplice: le principali città europee sono state costruite tanto tempo fa» con infrastrutture pensate per esigenze completamente diverse e adesso obsolete. Questo non accade ad esempio in Cina, spiega Edwards, dove c’è l’opportunità di costruire città ex novo con le infrastrutture che vogliamo adesso. Ciò consente di concepire il verde con un approccio olistico, diversamente da quanto accade in Europa, dove dobbiamo introdurre elementi verdi in contesti urbani preesistenti. Questo non significa che manchino del tutto in Europa «esempi di città verdi ben concepite». E dove questo è accaduto è stato «perché le città sono state capaci di identificare i problemi e di implementare le soluzioni nelle politiche urbanistiche». Un esempio messo in luce da un relatore dell’incontro è Bristol, fa sapere Edwards. In ogni caso, la conclusione generale per Edwards è che «abbiamo bisogno di politici e decisori che capiscano quali siano i problemi e quali le soluzioni» per rendere più verdi le città e che sappiano tradurre tali esigenze in norme e piani urbanistici adeguati.
Lorenzo Sandiford
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- Scritto da Andrea Vitali
A colloquio con Alberto Manzo, funzionario del Mipaaf responsabile del tavolo di filiera del florovivaismo, incontrato durante Flormart 2017. E’ aperto a un eventuale Gruppo di lavoro sui mercati di fiori, a beneficio in primis del fiore reciso. Per lui nelle produzioni florovivaistiche italiane c’è qualità, ma i rischi fitosanitari causati dall’import-export di piante esistono: i principi del Reg. Ue 2031 di tutela delle piante vanno rispettati, abbassando però l’eccessivo carico burocratico del regolamento.
«L’incontro dei mercati di fiori è stato interessante. L’idea è quella di realizzare un gruppo di lavoro nell’ambito del tavolo tecnico del florovivaismo, “Gruppo lavoro mercati”, per riprendere un discorso che è stato fatto già negli anni scorsi dal tavolo riguardo ai progetti Ismea sulla certificazione del materiale, per cercare di dare una svolta e un aggiornamento soprattutto al settore dei fiori recisi. Per cui adesso Piante e Fiori d’Italia farà una nota ufficiale al Ministero e lo proporrà come gruppo di lavoro del tavolo tecnico di filiera».
Inizia così la breve intervista di Floraviva ad Alberto Manzo, funzionario del Ministero delle politiche agricole che coordina il tavolo tecnico di filiera del florovivaismo, sentito durante la 68^ edizione di Flormart a Padova, dopo l’incontro sui mercati di fiori del 22 settembre pomeriggio, in cui è stata annunciata dal presidente di Piante e Fiori d’Italia Cristiano Genovali la nascita di un tavolo dei mercati di fiori italiani, per ora all’interno dell’associazione da lui guidata (vedi nostro articolo).
Ad Alberto Manzo chiediamo ragguagli anche sull’incontro del 27 settembre a Roma fra florovivaisti, esperti e politici, sia parlamentari che ministri, sul tema “Il paesaggio chiama politica: economia, salute, sviluppo, occupazione e turismo per un’Italia sostenibile”, organizzato dal Coordinamento nazionale della filiera del florovivaismo e del paesaggio (Cnffp), che ha quali referenti Nada Forbici, presidente di Assofloro Lombardia, e Francesco Mati, presidente del Distretto vivaistico ornamentale di Pistoia (vedi nostro articolo).
«Si tratta dell’ennesimo appuntamento alla Camera dei deputati organizzato da aziende che hanno a cuore tutto il discorso degli incentivi per il verde, cioè il recupero dei giardini privati con la disponibilità di un budget messo a disposizione per attivare un bonus verde…»
..ci sarà anche il suo Ministero?
«Il ministero è stato invitato e probabilmente verrà. Diciamo che è gestito da dei parlamentari che hanno avuto a cuore …»
..i tre disegni di legge di defiscalizzazione di opere a verde private?
«Sì, uno è quello dell’onorevole Susta, che ha parlato anche questa mattina a “EchoTechGreen”, e ha ribadito la proposta di emendamento che dovrà essere riproposta in finanziaria. Vediamo però…»
..ci hanno già provato ma sono mancate le risorse..
«Tutti [nel settore, ndr] sono concordi nel dire: partiamo con un po’ di fondi e vediamo. Però quando si arriva alla ripartizione dei fondi… vedremo».
Cosa è emerso nel convegno internazionale “Horticultural Experiences”?
«Sono state affrontate le tematiche del green, cioè sull’importanza del verde urbano, sempre gli stessi concetti ma più aggiornati. E anche nella mia sezione sulle produzioni di qualità abbiamo parlato più o meno dello stesso discorso toccato nella riunione dei mercati di fiori, cioè l’importanza di alzare la qualità del prodotto garantendo un prodotto adeguato a livello internazionale. Infatti ha parlato Mps, ha parlato l’ufficio dei brevetti europeo di Angers (Cpvo, Community plant variety office Eu agency, ndr), e questo discorso vale per tutti i comparti del florovivaismo. La questione è internazionale, non solo italiana. Il punto è che la qualità delle produzioni in questo settore si scontra con altre problematiche. Infatti un altro tema è stato quello della movimentazione del materiale con problemi fitosanitari, vedi Xylella ecc.; e quindi dell’aumento dei controlli, della necessità di avere cura di controllare le aziende. Tutte tematiche assolutamente legate fra loro e che hanno come conseguenza il fatto di fornire al consumatore un prodotto garantito».
In Italia come si sta da questo punto di vista della qualità delle produzioni e delle garanzie?
«A livello di qualità siamo messi molto bene, perché le aziende italiane sono serie e fanno un buon lavoro. Però c’è anche qui competitività sui mercati e alcuni sì hanno la certificazione, ma a mio avviso, coltivando anche all’estero, importando e inserendo il prodotto nel mercato europeo, si creano problemi nelle nostre aziende. Comunque è un discorso di cui parliamo da tanti anni, non è una novità».
L’unico punto nuovo, però, è il regolamento Ue 2016/2031 (vedi nostro articolo) contenente le misure per la protezione delle piante da organismi nocivi…
«..non è competenza del tavolo florovivaistico…»
..sì, ma una sua opinione è importante.
«L’opinione è che l’applicazione di quel regolamento è sicuramente molto complessa per le aziende e dispendiosa…»
..quindi si potrebbe sperare in un ammorbidimento delle norme..
«..non è che si può ammorbidire, il regolamento è quello, è scritto così, difficilmente si può ammorbidire. Si possono piuttosto cercare delle strade, non per abbassare il livello di quanto scritto, ma per trovare dei sistemi più idonei affinché le aziende non soffrano, perché proprio adesso che stanno uscendo dalla crisi..»
..mi pare che il punto dolente sia proprio il carico burocratico in più che impone, soprattutto quando richiede di tracciare tutto, anche i movimenti interni a un vivaio..
«Il problema è proprio questo: abbassare il livello burocratico della carta pur restando ancorati a quei principi».
Questo si può fare?
«Sì, questo si può fare, dobbiamo trovare dei sistemi più semplici».
Lorenzo Sandiford
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Il Gruppo per la Floristica, Sistematica ed Evoluzione della Società Botanica Italiana, di cui il prof. Lorenzo Peruzzi (Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa) è coordinatore, dal 2010 dedica molta attenzione alle piante endemiche italiane, ovvero quelle che nascono spontaneamente solo qui. Dal primo censimento delle località-tipo, dove queste piante sono state descritte per la prima volta, emerge che circa un terzo di esse non è soggetto ad alcuna tutela e rischia il degrado.
Il Gruppo per la Floristica, Sistematica ed Evoluzione della Società Botanica Italiana, di cui lei è coordinatore, di che cosa si occupa nello specifico?
L'interesse scientifico principale è quello di documentare la diversità e la distribuzione delle piante spontanee, in particolare relativamente alla flora italiana. Nell'ambito della flora italiana, una componente di particolare pregio è quella endemica, cioè esclusiva, del territorio italiano.
Quali sono gli studi effettuati dal Gruppo fino ad oggi?
Dal 2010, che fu anno internazionale della biodiversità, il Gruppo ha dedicato molta attenzione alle piante endemiche italiane, di cui è stato pubblicato nel 2014 un primo elenco (continuamente aggiornato online) e una breve sintesi di alcuni aspetti storici. Nel 2015, sono state definite le località-tipo ricavate dai protologhi (cioè dai lavori scientifici dove una certa specie viene descritta per la prima volta) e quest'anno abbiamo pubblicato una sintesi sul valore conservazionistico delle località tipiche in tassonomia, la scienza che ha come scopo la catalogazione e classificazione dei viventi.
Quali sono i principali dati emersi da questa prima sintesi sulle località-tipo?
Quello da noi effettuato è il primo censimento in Italia delle località-tipo, cioè di quei luoghi dove sono state descritte per la prima volta le circa 1.400 piante endemiche italiane, quelle che nascono spontanee solo nel nostro Paese. Secondo quanto emerge dal censimento e considerando tutto il territorio italiano, sono 670 le località-tipo che si trovano sulle isole, mentre 866 sono sulla terraferma. Il maggior numero di siti si trova poi lungo la costa mediterranea (1.134), segue per numerosità la regione alpina (306) e quindi quella continentale (96). Per quanto riguarda infine la tutela del territorio, 1030 siti rientrano in aree protette, mentre 506 sono al di fuori e di questi 259 si trovano sulle isole.
Dunque circa un terzo delle località esaminate si trovano in aree non soggette ad alcuna tutela…
Proprio a partire dal caso studio sulle endemiche italiane, ci siamo resi conto che le località-tipo non sono state mai sinora prese in considerazione dalla comunità scientifica tra i criteri per definire un'area protetta. Ciononostante, la loro salvaguardia è importantissima sia dal punto di vista scientifico che dal punto di vista culturale. È universalmente riconosciuto che le popolazioni che crescono nelle località-tipo sono di fondamentale importanza in tassonomia, come riferimento e confronto con altre specie. Al contempo, però, le località-tipo rappresentano un importante patrimonio storico-culturale, in quanto luoghi visitati, studiati e descritti da rilevanti personalità nella storia della Botanica e delle Scienze naturali.
Cosa possiamo fare allora per proteggere queste preziose aree dove crescono le piante endemiche italiane?
Le strategie per la loro conservazione potrebbero muoversi in due direzioni: l'istituzione di "plant micro-reserves" (piccole aree protette) e/o riconoscimento dei siti come patrimonio culturale.
Il primo concetto, quello di “plant micro-reserves”, non è molto conosciuto in Italia, può spiegarci meglio di cosa si tratta?
Il concetto di "plant micro-reserves" è nato all'inizio degli anni '90 in Spagna (con esempi di applicazione - tramite progetti LIFE - anche in altre nazioni europee). Si tratta di un network di piccoli siti sperimentali soggetti a tutela e monitoraggio, istituiti per singole specie vegetali di particolare interesse. Tali siti dovrebbero andare ad aggiungersi al sistema di aree protette già esistente sia a livello italiano (es. Parchi Nazionali, Parchi Regionali ecc.) che europeo (es. Direttiva Habitat) ed ovviamente avere un riconoscimento dal punto di vista legislativo (cosa che, ad oggi, avviene solo in Spagna e in Lettonia).
In qualità di Gruppo di ricerca, in quale direzione proseguiranno adesso i vostri studi?
Il nostro prossimo passo, come Gruppo, sarà di estendere questo studio a tutto il resto della flora italiana: tutte le specie non endemiche (la cui distribuzione naturale, quindi, non è ristretta al territorio italiano). Incluse le endemiche italiane di cui abbiamo parlato, la flora spontanea italiana ammonta a oltre 7.600 specie e sottospecie. Tra di esse, infatti, vi è un analogo numero (ca. 1.400 entità) di specie descritte per la prima volta per l'Italia.
Anna Lazzerini
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Intervista a Keese Janssen, che ci introduce la sua azienda specializzata in piante tropicali da interno e ci informa del positivo 2017: +25% in quantità a fine maggio. La pianta più cara? Un Ficus da 12 mila euro. Fachjan ha acquistato un nuovo vivaio che avvierà la produzione fra pochi mesi.

Interview with Keese Janssen, who presents his company, specialized in indoor tropical plants, and inform us about the positive 2017: +25% plants sold in the first five months. The most expensive plant? A Ficus that costs 12.000 euros. Fachjan has bought a new nursery that will start production in a few months.

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