Vis-à-vis

Intervista al presidente dell’Associazione nazionale vivaisti esportatori sulla proposta di un marchio per il distretto vivaistico di Pistoia. Per Marco Cappellini al vivaismo ornamentale è più adatto un marchio di processo, come quello nazionale VivaiFiori, a cui presto si potranno agganciare assicurazioni sulle fitopatie. In generale è favorevole anche al marchio di prodotto Piante e Fiori d’Italia, più idoneo per le aziende floricole. L’ideale sarebbe «un unico ente che gestisce prodotto e processo».     

 
All’inaugurazione di Euroflora 2018, la scorsa settimana a Genova, in margine dell’incontro fra l’Associazione nazionale vivaisti esportatori (Anve), il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (Mipaaf) e una delegazione cinese dell’Expo dell’orto-florovivaismo Pechino 2019 (vedi nostro articolo), Floraviva ha potuto intervistare Marco Cappellini, presidente di Anve, sulla proposta di dare vita a un marchio del distretto vivaistico ornamentale di Pistoia venuta fuori dall’incontro “Vivaismo, la fabbrica del verde” organizzato il 18 aprile dal Tirreno e subito accolta favorevolmente dal presidente di Cia – Agricoltori Italiani Toscana Centro (Firenze – Pistoia – Prato) Sandro Orlandini, che però non ha voluto sbilanciarsi ancora sull’esatta tipologia di marchio su cui puntare (vedi nostro articolo). 
Accanto a lui c’era Alberto Manzo, il funzionario del Mipaaf che da anni ha il ruolo di coordinatore del tavolo del settore florovivaistico (vedi ultima intervista), che ha voluto soltanto ricordare che «il Mipaaf fin dal 2011 ha promosso lo sviluppo del marchio VivaiFiori, che è stato finanziato con un progetto Ismea, e si tratta di un marchio privato, importante che sta per partire finalmente dopo tanti anni (si riferisce all’avvio delle certificazioni, perché il marchio è già definito e c’è già l’associazione che lo gestisce, ndr). Un marchio di processo condiviso dal tavolo tecnico di filiera».
Le risposte di Marco Cappellini sono interessanti e rilevanti non solo per il suo ruolo nazionale in quanto presidente di Anve, che è un’associazione che rappresenta il florovivaismo italiano all’estero sedendo a tutti i tavoli internazionali, e più nello specifico quale vice presidente del marchio di processo VivaiFiori, ma anche in quanto espressione del mondo vivaistico del distretto pistoiese (in particolare dell’azienda Tesi Group).
Che cosa ne pensa della proposta di fare un marchio per il distretto vivaistico di Pistoia? Bisogna puntare su un marchio pistoiese oppure nazionale o regionale? E, seconda domanda, come lo facciamo questo marchio, cioè di che tipologia?
«Ho letto della proposta e si parla di certificare, di dare un marchio. Ma bisogna fare un passo indietro. A livello nazionale è una strada che stiamo, insieme ad altri soggetti, già percorrendo: stiamo portando avanti un’associazione, già costituita e attiva, ne parlava poc’anzi Alberto Manzo, denominata VivaiFiori, la quale certifica il processo nel settore florovivaistico (vedi nostro articolo). Esiste poi un’altra associazione nazionale, Piante e Fiori d’Italia, che ha presentato recentemente il disciplinare e il regolamento inerenti la certificazione e quindi il marchio di prodotto…» (vedi nostro articolo). 
…di origine…
«…sì. Ma facevo questa premessa perché ho letto che su Pistoia si vuole pensare che sia strategicamente importante realizzare un marchio di prodotto. Ecco la ragione del distinguo fra processo e prodotto. Vedo un marchio di processo più affine al settore vivaistico ed un marchio di prodotto più indicato per il settore floricolo in genere». 
Come mai?
«Per varie ragioni. Me ne vengono in mente due su due piedi. Prima: nella gran parte delle aziende floricole (lo dico per conoscenza diretta come a.d. di Floramiata) è interessante il marchio di prodotto, poiché la pianta nasce in azienda, attraverso la talea, il meristema, il seme, e al termine del suo ciclo produttivo viene venduta. Siamo quindi in presenza di un percorso completo. Questo nella gran parte delle aziende vivaistiche ornamentali, non avviene. Cioè l’azienda parte dalla talea o dall’acquisizione di una piccola pianta, alla quale far fare diversi cicli di accrescimento con diverse operazioni colturali al fine di dare alla pianta quel valore aggiunto, peculiare del distretto pistoiese; questo è riconoscibile in una certificazione o marchio di processo. Seconda ragione: il vivaismo pistoiese (che nell’export è intorno al 40% dell’export globale italiano) opera in gran parte con una tipologia di clientela, che, in generale, pur apprezzando il prodotto certificato e quindi garantito in qualità, preferisce non evidenziarne la provenienza. Ragione per cui un prodotto a marchio “piante di Pistoia” potrebbe non essere un valore aggiunto». 
Chiarito questo, qual è la sua posizione?
«Quindi, personalmente e in rappresentanza della mia associazione, sono assolutamente favorevole a che ci sia un marchio, una certificazione a livello nazionale sia di processo che di prodotto, evidenziandone bene le differenze sostanziali. Ritengo che quella di processo possa inserirsi con maggiore interesse sul territorio pistoiese e suggerirei di partire con un marchio “nazionale”, già peraltro esistente ed operativo, come stanno facendo altri distretti italiani. Inoltre, ho letto un riferimento alla questione della tutela fitosanitaria. Come vi dissi, in corso di conferenza stampa al Myplant & Garden, stiamo lavorando alla possibilità di assicurare le aziende anche sulle fitopatie. Ebbene, le assicurazioni che stanno seguendo il progetto ci hanno chiesto, al fine di poter assicurare le aziende, che le stesse siano certificate nei loro processi produttivi. Noi abbiamo risposto: inseriamoci un marchio di processo, vedi VivaiFiori. Sappiamo infatti quanto sia indispensabile eseguire le necessarie cure colturali in tutti i cicli produttivi, anche al fine di rendere meno aggredibile la stessa azienda dalle fitopatie».
Mi pare che la sua posizione sia molto chiara. Però le faccio due obiezioni, da avvocato del diavolo. La prima nasce da come è strutturato il marchio Piante e Fiori d’Italia, che è un marchio di prodotto ma è stato proposto anche per i vivaisti, anche per gli alberi per capirci. Lei mi dice che le vanno bene a livello nazionale entrambi i marchi, di prodotto (Piante e Fiori d’Italia) e di processo (VivaiFiori), ma poi mi dice che i vivaisti non faranno il primo...  
«… il problema è come l’azienda vivaistica è gestita. Se lei mi parla di un’azienda vivaistica che dal meristema  o dal seme produce quella pianta, non compra fuori, realizza solo quella pianta che produce e la porta alla commercializzazione, va benissimo un marchio di prodotto. Ma le faccio una domanda: quante aziende nel distretto pistoiese  hanno questa organizzazione?».
Di solito le piante arrivano dopo (più avanti nella crescita).
«In genere si arriva a comprare una piantina che ha già fatto un suo primo percorso e come dicevo poc’anzi, a farle fare una serie di cicli produttivi, di pratiche colturali, che successivamente (mesi, a volte anni) confluiscono nella vendita».
Ultimo punto: al di là della distinzione fra prodotto e processo, non crede però che possa essere utile per il distretto di Pistoia certificare in qualche modo l’origine, la propria territorialità?
«Siccome noi l’abbiamo già fatta questa strada ed è una strada complessa, e peraltro il Ministero ci ha creduto ed investito per primo, penso che sia importante far partire prima quelli a livello nazionale, perché così siano operativi due marchi di processo e di prodotto che certifichino tutta l’Italia del florovivaismo. E da lì, eventualmente, realizzare, se si vuole, anche dei marchi che vadano a certificare il processo di produzione delle piante dei distretti. Questo, sempre dietro ad una attenta analisi delle problematiche e dei fattori positivi e negativi da mettere su una bilancia».
Dunque, in conclusione, lei è favorevole anche all’esistenza del marchio di prodotto Piante e Fiori d’Italia, poi se i vivaisti non aderiranno, come non stanno aderendo, è secondario.
«Allora, io sono favorevole alla certificazione, sia di prodotto che di processo, perché si va a elevare la qualità della gestione delle aziende, acculturando gli stessi operatori del settore all’espletamento di certe pratiche. Ripeto: io sono favorevolissimo al marchio di prodotto e al marchio di processo. Dico però che, sul marchio di prodotto, vedrete molte più aziende floricole e molte meno vivaistiche. Sul marchio di processo probabilmente succederà il contrario».
 
Lorenzo Sandiford 

Intervista a Dino Scanavino, recentemente confermato alla guida di Cia-Agricoltori Italiani: nelle politiche agricole più risorse all’innovazione, comprese biotecnologie e cisgenetica, Codice unico dell’agricoltura, riforma sistema Agea, riduzione barriere doganali nel rispetto della reciprocità; nel florovivaismo segnali positivi ma non ancora ripresa, da risolvere le emergenze fitosanitarie e scarseggiano i brevetti sulle piante ornamentali, bene le fiere e un loro coordinamento, un po' di scetticismo sul marchio nazionale Piante e fiori d’Italia, a cui preferisce una garanzia sulla sicurezza fitosanitaria; tra le priorità della filiera olivicola, invertire il trend produttivo in discesa, ma valorizzare i propri punti di forza identitari, anche con il miglioramento del nostro patrimonio varietale.    

 
Verso la fine dello scorso febbraio Dino Scanavino è stato confermato alla presidenza di Cia-Agricoltori Italiani. Il via libera della Confederazione al suo secondo mandato è avvenuto nel corso della VII Assemblea nazionale di Cia ed è stato unanime. Il vivaista piemontese Scanavino guiderà Cia per altri quattro anni. Floraviva lo ha sentito per farsi illustrare da lui, in prima persona, gli aspetti salienti del suo programma di mandato, con particolare attenzione al florovivaismo e un cenno anche sull’olivicoltura (su cui si era già espresso a margine dell’assemblea di Cia Toscana dell’8 febbraio, come si può vedere in questo nostro servizio). 
In pillole, quali sono i punti chiave del programma del suo nuovo mandato alla guida di Cia?
«I punti chiave del programma del nuovo mandato trovano sintesi nelle richieste alla politica avanzate nel corso del VII Assemblea nazionale. Parliamo di più risorse per l’innovazione, di favorire l’aggregazione di filiera e di mercato, spingere sulla semplificazione, rivedere la fiscalità agricola e difendere il budget della Pac. E’ necessario “Innovare per un futuro sostenibile”, come recita lo slogan del Congresso. Occorrono più finanziamenti prima di tutto sull’innovazione tecnica, che per il settore primario significa digitalizzazione, automazione e ICT-Information and Communications Technology; risparmio idrico e riciclo di risorse per ridurre le emissioni; ricerca sulle biotecnologie e sulla nuova frontiera della cisgenetica. Urgenti, poi, le misure legate all’innovazione organizzativa e il supporto agli imprenditori in tema di innovazione sociale. All’agricoltura occorre in primis una modernizzazione amministrativa, con l’attuazione di un Codice Unico dell’Agricoltura per costruire effettivi percorsi di de-legiferazione e semplificazione burocratica. Non solo, il settore necessita di una semplificazione del sistema dei pagamenti con una radicale e urgente riforma dell’intero sistema Agea e del sistema assicurativo con modelli di gestione più innovativa. Per quanto riguarda, infine, i negoziati di libero scambio e la Pac post 2020, la Cia è favorevole agli accordi commerciali per aumentare l’accesso ai mercati con la riduzione delle barriere doganali. E’ chiaro, però, che le trattative bilaterali devono sempre garantire il principio di reciprocità, la tutela dei prodotti sensibili e la clausola di salvaguardia. Quanto alla nuova Pac, il primo grande obiettivo è quello di mantenere il budget complessivo dedicato al settore agricolo, nonostante i timori per la Brexit. Bisogna riformare il sistema dei pagamenti diretti accrescendo il sostegno all’innovazione, al mercato, all’organizzazione di filiera; migliorare le politiche di gestione del rischio e di stabilizzazione del reddito e rendere i Piani di sviluppo rurale più flessibili. Un’elasticità che serve anche su greening e inverdimento».
Riguardo al florovivaismo, a cui lei appartiene come imprenditore privato, come vede la situazione generale in Italia, tenendo conto magari anche dei feedback che avrà ricevuto dalle sue aziende socie sull’ultima edizione di Myplant & Garden a Milano? Quali i problemi principali sul tappeto e che cosa prevede il programma di Cia?
«In merito alla situazione generale, ritengo i segnali di ripresa interessanti: c’è stato un aumento degli ordinativi di quest’anno rispetto all’anno passato. E’ presto per parlare di una vera e propria ripresa del settore meglio lavorare per stabilizzare i risultati.  In sintesi c’è molto lavoro da fare, nonostante i segnali positivi. Tra le questioni non risolte penso in particolare alle emergenze fitosanitarie, vecchie e nuove. Le nuove emergenze fitosanitarie rischiano di diventare nuovi casi Xylella, soprattutto per la mancanza di controlli nei punti di entrata delle merci. Sulle vecchie questioni occorrerebbe meditare. Il caso Xylella e le strumentalizzazioni commerciali che ne derivano per i nostri prodotti, nel lungo periodo, rischiano di fare orientare i mercati verso altri paesi produttori (anche intra-UE). La ricerca sulle piante ornamentali in Italia meriterebbe maggiore attenzione (in UE il 60% delle privative vegetali è per l’ornamentale). Occorre lavorare sull’aggregazione delle imprese, la filiera non è strutturata, è carente la logistica, ma soprattutto, a mio parere, manca ancora una vera cultura del verde in Italia, una leva di green economy potente che potrebbe avere indubbi vantaggi in un Paese come il nostro ricco di cultura e di paesaggio».
A proposito del panorama fieristico del florovivaismo - tenendo conto del fatto che alcuni grandi soggetti del settore tendono a sminuirne il valore mentre altri lo ritengono molto importante; e considerando che alcuni florovivaisti, a causa del tipo di produzioni, preferiscono la data di Myplant (febbraio) e altri quella di Flormart (settembre) - pensa che siano ancora utili le fiere e in che misura rispetto ad altre vie di promozione degli affari? E che possano coesistere le due fiere italiane del florovivaismo citate senza penalizzarsi reciprocamente (soprattutto sul fronte internazionale)? E se sì, dal suo punto di vista di osservatore esterno, crede che possano funzionare al meglio autonomamente o che sarebbe meglio un qualche tipo di coordinamento?  
«Per quanto riguarda gli eventi fieristici anch’essi appaiono in ripresa trainati dai segnali positivi del settore italiano. Sono buone le performance delle fiere principali in Italia come la partecipazione dei nostri produttori alle principali fiere di riferimento del settore in Ue. Ma sta cambiando il mercato, cambiano i consumi e il modo di fare acquisti. Oggi le aziende utilizzano più canali per raggiungere la propria clientela, come ad esempio e-commerce. Sicuramente gli eventi si debbono adeguare ad un complesso in evoluzione e stare dietro alle nuove tendenze. Le fiere nazionali perdono importanza a scapito di quelle internazionali che consentono maggiori scambi. Non a caso le fiere nostrane si stanno sempre più orientando per intercettare buyers stranieri. Ciò nonostante, ritengo che gli eventi italiani stiano comunque svolgendo un ruolo di promozione importante, soprattutto per le piccole imprese, che possono avere più difficoltà ad accedere alle fiere internazionali. Bene un coordinamento tra le fiere nazionali, se teso ad attrarre compratori esteri e a guardare ad altri settori (moda, arredamento, turismo, acquisti pubblici, etc). Credo che sarebbe senz’altro utile rafforzare gli strumenti collettivi di partecipazione agli eventi, affinché le aziende possano fare sistema fra loro razionalizzando i costi e facendo massa critica per proporsi anche all'interno degli eventi fieristici internazionali». 
Sui mercati floricoli italiani, che hanno avviato un percorso di coordinamento presso l’Associazione Piante e fiori d’Italia (espressione delle camere di commercio) sui cui esiti non si sa ancora molto, salvo il tentativo di diffondere un marchio nazionale, che cosa pensa: il coordinamento dei mercati può produrre risultati e le associazioni di categoria ci credono? Il marchio nazionale Piante e fiori d’Italia (vedi nostro servizio), fermo restando che può essere complementare ad altri, può servire o in questo settore è meglio puntare su marchi più specifici? Ad esempio un marchio per la floricoltura ligure, uno per il vivaismo pistoiese, uno per il vivaismo olivicolo pesciatino ecc.?
«Un coordinamento può essere utile certamente tra mercati perché porta ad una maggiore organizzazione. Sul marchio Piante e fiori d'Italia, che promuove il prodotto italiano, ho qualche dubbio in virtù del risultato che si intende ottenere. L’italianità della produzione può avere un significato in altre filiere, gli acquirenti delle piante ornamentali non comprano i sapori ed il brand di un territorio ma, molto più semplicemente, acquistano un prodotto con le caratteristiche desiderate, indipendentemente dalla provenienza. In virtù di quanto dicevo in precedenza sulle emergenze fitosanitarie, penso che sarebbe molto più utile un marchio teso a garantire la sicurezza fitosanitaria. Un marchio contro i rischi fitosanitari per chi acquista potrebbe essere un valore aggiunto del prodotto per aprire a nuovi mercati in una fase di commerci sempre più globali e con minacce sempre maggiori dovute ai cambiamenti climatici». 
Sulle politiche per il comparto olivicolo-oleario l’abbiamo già sentita a febbraio a Firenze (vedi nostro servizio), che cosa è emerso in proposito nella VII assemblea nazionale in cui è stato rieletto?
«Cia ha incentrato i lavori dell’Assemblea sul tema dell’innovazione per uno sviluppo sostenibile. La competitività delle imprese passa anche da nuove relazioni con il territorio e nella filiera, e questo conta particolarmente per il comparto olivicolo e oleario. Il settore ha certamente tra le priorità quella di invertire il trend produttivo in discesa, ma anche voler mettere a valore i propri punti di forza senza cambiare identità o voler per forza emulare altri modelli. Non esistono soluzioni universalmente valide, ma diversificate e innovative soluzioni che permettano agli agricoltori sia di garantirsi adeguato reddito, sia di preservare il loro legame con il territorio. Pensiamo a nuove tecniche per la gestione dell’oliveto, al miglioramento del nostro patrimonio varietale attraverso nuove tecnologie e in generale all’innovazione digitale e della comunicazione del valore dell’olio (qualità territoriale, nutrizionale, organolettica, etc). Rafforzare l’aggregazione per un più forte posizionamento sul mercato e riequilibrare i rapporti lungo la filiera, anche utilizzando al meglio lo strumento delle OI (Organizzazioni Interprofessionali), sono percorsi obbligati per sostenere una delle nostre filiere di eccellenza».
 
Lorenzo Sandiford

Intervista ad Alberto Manzo, coordinatore del tavolo tecnico del settore florovivaistico, che traccia il quadro della situazione del florovivaismo italiano: «crisi alle spalle», la novità principale è la voglia di «puntare i mercati esteri con più forza», anche se le «grandi aziende vivaistiche» ce la fanno ma alle piccole manca il traino di un «sistema Italia» come per il vino. E annuncia i prossimi impegni, a partire dai temi della seduta del tavolo tecnico del 28 marzo. Fra cui, le partecipazioni alla fiere, con l’ipotesi “Padiglione Italia” a Essen, e i requisiti dei manutentori del verde, che dovrebbero essere migliorati rispetto all’accordo del 22 febbraio modificando l’art. 12 del Collegato agricolo.   

 
Mercoledì 28 marzo, presso il Comando Carabinieri per la Tutela agroalimentare del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (Mipaaf), si terrà una seduta del tavolo tecnico del settore florovivaistico. All’ordine del giorno i seguenti sei punti: 1) il documento che fissa, in seguito all’accordo del 22 febbraio in Conferenza Stato-Regioni, lo standard professionale e formativo necessario per svolgere attività di manutentore del verde o giardiniere; 2) le strategie di comunicazione e promozione del settore; 3) la proposta di partecipazione unitaria delle aziende florovivaistiche italiane alla fiera tedesca di Essen; 4) la commercializzazione non autorizzata nella Unione europea (Ue) di varietà di petunia geneticamente modificate; 5) aggiornamento sull’emergenza Xylella fastidiosa; 6) stato di avanzamento del Regolamento europeo 2031/2016 contenente le misure di protezione contro gli organismi nocivi per le piante.
Alla vigilia di questa importante seduta, Floraviva ha intervistato proprio il coordinatore del tavolo florovivaistico, Alberto Manzo, funzionario tecnico del Mipaaf. Gli abbiamo posto alcune domande per capire meglio, innanzi tutto, il quadro della situazione del florovivaismo italiano, tenendo conto dell’andamento delle fiere di settore, a cominciare da Myplant & Garden, svoltasi lo scorso febbraio alla Fiera di Milano con risultati molto positivi sia per numero di espositori che di visitatori, e una presenza molto significativa della stampa internazionale. Ad Alberto Manzo abbiamo chiesto anche quali siano i prossimi maggiori impegni per il settore florovivaistico made in Italy e gli obiettivi del tavolo da lui coordinato.
Che fotografia d’insieme del settore florovivaistico e di tutta la filiera del verde è venuta fuori dall’ultima edizione di Myplant, diventata, numeri alla mano, la fiera n. 1 d’Italia in questo momento?
«Personalmente ho partecipato alle prime due giornate di Myplant e, oltre alla gentilezza dell’organizzazione nella persona di Valeria Randazzo, ho potuto constatare indubbiamente l’evoluzione della Fiera e ascoltare direttamente i commenti positivi degli addetti ai lavori sia espositori che partecipanti a vario titolo ricavandone una fotografia d’insieme positiva e rivolta con attenzione agli anni a venire. Il Ministero ha partecipato con un proprio stand gentilmente messo a disposizione dalla Fiera nonché abbellito dalle piante dell’Associazione Piante & Fiori d’Italia e dall’azienda Floramiata Società agricola S.r.l., socio Anve. Con l’occasione il Ministero ha riproposto all’attenzione nel proprio stand il marchio VIVAIFIORI, finalmente in fase di operatività ovvero nella fase di coinvolgimento delle aziende ai fini della certificazione di processo in applicazione del disciplinare approvato».
Sono emerse alcune novità degne di nota a suo parere?
«Intanto mi sembra di poter dire che la crisi e le grosse difficoltà del settore trascinatesi almeno dal 2012 sono alle spalle e la novità più evidente del settore è la voglia di migliorare ulteriormente dal punto di vista qualitativo delle produzioni, ma soprattutto l’intenzione di andare a puntare i mercati esteri con più forza». 
Quali invece gli aspetti ancora negativi del settore?
«Su questo aspetto delle esportazioni verso i paesi terzi appare evidente l’aspetto negativo del settore che si muove spesso in maniera troppo autonoma, ovvero le grandi aziende vivaistiche hanno la capacità (e la forza economica) di andare verso nuovi Paesi che richiedono i nostri prodotti ben conosciuti per la loro qualità, mentre manca l’unità di settore piena, ovvero l’aggregazione vera delle aziende al di là di distretti regionali, consorzi e associazioni che spesso tra loro si parlano con difficoltà e non creano il cosiddetto “sistema Italia”, che tanto successo ottiene in altri comparti agricoli, dal vino all’olio, dall’ortofrutta al settore caseario, con marchi nazionali noti in tutto il mondo. Appare superfluo ricordare come le capacità di esportazione siano maggiormente efficaci con una logistica adeguata a livello nazionale ed una sinergia, auspicabile ormai da anni, tra i mercati floricoli nazionali, che tuttavia da quanto ho saputo non si sono incontrati in Fiera nonostante ci fosse un appuntamento programmato. E’ solo un esempio, magari casuale, ma rende bene la difficoltà di fare sistema, cosa che invece fanno molto bene i nostri competitors e comunque anche senza andare a scomodare i colleghi olandesi dei quali sono ben note le capacità commerciali».
Situazione politica permettendo, quali sono in questo momento le principali linee di azione e le prossime tappe/eventi del tavolo di filiera del florovivaismo da lei coordinato?
«Intanto, al tavolo tecnico convocato per il 28 marzo, la parte più importante l’avranno le strategie di comunicazione e promozione del settore, già attivate dal Mipaaf nel 2018 a Vinitaly Verona, Euroflora Genova Parchi di Nervi, Flormart Padova, e nel 2019 con Myplant & Garden Milano ed Essen (Germania). In particolare è molto importante, da parte della Fiera di Padova, la proposta al Mipaaf di partecipazione delle aziende florovivaistiche italiane ad Essen 2019 in un unico padiglione; al riguardo verrà presentato un rendering del “Padiglione Italia” che si spera abbia il consenso favorevole del Tavolo di filiera. Inoltre nel tavolo è prevista la discussione sul documento relativo allo “Standard professionale e formativo di manutentore del verde” in attuazione del comma 2 dell’art. 12 della legge 154/2016 (accordo sancito il 22 febbraio u.s. in Conferenza Stato-Regioni); si auspica sia solo il primo passaggio per poi andare a migliorare anche la legge nella prossima legislatura. Un altro punto saliente della riunione riguarda gli aggiornamenti circa l’emergenza Xylella fastidiosa e le modalità di attuazione del decreto. Da ultimo mi preme ricordare che con la prossima legislatura avremo un nuovo Ministro, al quale come primo atto tangibile sottoporremo alla firma l’aggiornamento del Tavolo tecnico del settore florovivaistico».
Sui requisiti per l’idoneità all’attività di manutentore del verde ho letto qualche lamentela sui social media: i requisiti sarebbero, per alcuni, insufficienti, a cominciare dal numero di ore di formazione. Che ne pensa?
«Ho già evidenziato che queste linee guida, che con difficoltà sono state condivise collaborando tra amministrazioni centrali (Mipaaf, Minambiente e Ministero del Lavoro), Regioni, parte agricola e parte formazione, trovando un accordo, saranno migliorate come previsto dal decreto del dispositivo di approvazione che prevede un tavolo tecnico aperto, di cui farà parte anche l’Anci, per rivedere la normativa di base ovvero l’art.12 del Collegato agricolo. Sulle ore, siamo partiti da una linea guida che ne proponeva solo 60 e siamo arrivato a 180 di cui 60 di teoria e le restanti 120 di teoria nelle materie concordate in allegato. Infine, tra gli altri aspetti da sistemare, avremmo già voluto gli elenchi regionali delle aziende autorizzate on-line al fine di fornire un servizio agli utenti sul territorio, ma al momento non è stato approvato per problemi organizzativi».    
Può anticipare qualcosa sulla Xylella fastidiosa?
«Il punto sulla Xylella ed anche sul regolamento europeo sono di competenza di un’altra Direzione Generale, quella dello Sviluppo Rurale, e attendiamo la presenza dei funzionari preposti. Sono curioso anch’io di conoscere le novità. Ovvio che questi aspetti rivestono grande importanza per il settore florovivaistico, considerate le specie ornamentali che vi sono implicate a livello commerciale».     
 
Lorenzo Sandiford

Intervista a Vannino Vannucci, presidente dell’Associazione Vivaisti Italiani, che punta ad allargare la base associativa in tutta Italia: «il bonus verde, per quanto non ancora definitivo, prova che se il settore è unito i risultati arrivano». Tra le prossime azioni, una proposta italiana, snella e gestibile, di attuazione della tracciabilità a scopo fitosanitario imposta dal Reg. Ue 2016/2031 per la protezione delle piante da organismi nocivi.


La presenza al tavolo Italia-Turchia sulle questioni riguardanti l’import-export di alcune essenze; il proprio contributo all’approvazione della Carta dei valori del Distretto vivaistico-ornamentale di Pistoia; la partecipazione attiva ai piani di sviluppo rurale e sull’autocontrollo fitosanitario; il rinnovo dell’intesa con l’Accademia dei Georgofili in concomitanza con la giornata di studio sul nuovo regime fitosanitario europeo; la firma di un protocollo d’intesa e la successiva accoglienza di operatori del Burkina Faso per un progetto formativo sull’attività vivaistica, in collaborazione con la Fondazione “Un raggio di luce”, il Comune di Pistoia e Water Right Foundation.  
Sono alcune delle attività svolte quest’anno dall’Associazione Vivaisti Italiani che ci ha ricordato Vannino Vannucci, presidente dell’associazione nonché titolare dell’azienda leader del distretto vivaistico pistoiese, il più importante distretto italiano ed anche a livello europeo, in occasione di una recente visita di Floraviva al suo Nursery Park. A Vannucci abbiamo chiesto di parlarci dell’Associazione da lui presieduta, tenendo conto anche di temi attuali come il “bonus verde” inserito nella manovra finanziaria 2018 e il nuovo regime fitosanitario europeo, con al centro il Regolamento Ue 2016/2031 contenente le misure per la protezione delle piante da organismi nocivi, i cui articoli 69 sulla tracciabilità e 70 sugli spostamenti di piante all'interno e tra i siti degli operatori professionali, a cominciare dai produttori di piante, hanno suscitato forti preoccupazioni fra i vivaisti italiani per l’insostenibile aggravio burocratico che comporteranno.
«Nati come Associazione Vivaisti Pistoiesi, da oltre un anno e mezzo ci siamo trasformati in Associazione Vivaisti Italiani – ha esordito Vannino Vannucci -. L’associazione si occupa delle problematiche del settore vivaistico-ornamentale cercando di portare avanti le istanze dei propri associati, che sono ormai intorno a 200 in tutta Italia, di cui la maggior parte concentrati nel territorio pistoiese, per cui sono tanti».
Come vi collocate nel contesto della filiera florovivaistica e dei settori agricoli confinanti?
«Noi aggreghiamo aziende vivaistiche, non floricole, e ci caratterizziamo per l’attenzione che prestiamo a non intaccare il ruolo e l’operato delle associazioni sindacali agricole, cioè Cia Coldiretti e Unione agricoltori (Confagricoltura). Anzi il nostro obiettivo è proprio quello di collaborare con loro e portare avanti in maniera trasversale tutte le problematiche del settore, perché molto spesso le nostre associazioni sindacali non hanno il tempo e le risorse per individuarle e per affrontarle con la necessaria rapidità. Noi cerchiamo di renderci utili nel portare le nostre istanze settoriali a livello regionale e anche nazionale, perché purtroppo di problematiche ce ne sono: fitosanitarie, fiscali e anche commerciali».
Fate parte anche voi, vero, del Coordinamento Nazionale della Filiera del Florovivaismo e per il Paesaggio, che ha ottenuto recentemente, dopo due anni di iniziative di comunicazione e divulgazione nelle sedi istituzionali, un primo risultato concreto con il riconoscimento del bonus verde?
«Non solo ne facciamo parte, ma siamo fra i fondatori di questo coordinamento, che è nato [il 20 novembre 2015 a Brescia, ndr] da una collaborazione fra la nostra associazione e altri soggetti della filiera florovivaistica, fra cui anche il Distretto vivaistico-ornamentale pistoiese. Quindi siamo tra coloro che hanno contribuito a livello nazionale a questo primo, non ancora definitivo risultato».
Ecco, a questo proposito, vi soddisfa la formulazione del bonus, che dovrebbe prevedere la detraibilità del 36% delle spese per interventi nel verde privato fino a 5 mila euro?
«Siamo molto soddisfatti del lavoro di gruppo intrapreso per il raggiungimento di tale obiettivo. Raramente tutto il settore è stato così compatto ed unito. Lavorare in squadra paga sempre! Riteniamo che il verde abbia bisogno di questo tipo di promozione a carattere nazionale, al pari di altri settori economici come quello edile, automobilistico o di complemento di arredo (casalinghi, mobili, ecc.), poiché l'incentivazione alla realizzazione di spazi verdi potrà solo contribuire a vivere meglio nelle nostre case, nei nostri quartieri e nelle nostre città».
Oltre al bonus verde, quali sono gli altri temi più importanti affrontati quest’anno dall’Associazione Vivaisti Italiani?
«Fra questi va citata certamente la tracciabilità a fini fitosanitari imposta dal nuovo Regolamento Ue 2016/2031, che è una questione complessa che ci creerà sicuramente tante complicazioni a livello burocratico e gestionale. La tracciabilità è una cosa seria, ma non va attuata danneggiando le aziende vivaistiche italiane. Per questo, noi insieme ad altre associazioni e aziende vivaistiche, abbiamo messo dei tecnici al lavoro e ho già partecipato anch’io in prima persona ad alcuni incontri, perché siamo intenzionati a presentare una proposta di attuazione del Regolamento 2031 al direttore del Servizio Fitosanitario Nazionale Bruno Caio Faraglia, che lo scorso maggio a Firenze in occasione di un incontro all’Accademia dei Georgofili si mostrò aperto ad ascoltare le istanze del mondo produttivo» (vedi nostro articolo).  
Può già anticipare qualche elemento di questa proposta? Mi par di ricordare la vostra contrarietà all’obbligo di tracciare addirittura tutti i movimenti delle piante interni alle aziende.
«Su questo mi auguro proprio di sì, che si possa evitare. Poi su come realizzare questa tracciabilità si sta lavorando su un paio di idee. Per i dettagli vedremo, comunque puntiamo a lavorare sì in maniera documentata, ma semplificata».
Quando sarà pronta la proposta?
«L’idea è di presentarla nei primi mesi del prossimo anno».
Quali altri obiettivi vi prefissate per il 2018?
«Intanto bisogna continuare l’attività del Coordinamento nazionale di filiera, perché l’unità fra i soggetti del settore, la presenza attiva di un gruppo vero che parla lo stesso linguaggio sta dando risultati. A mio avviso, sono auspicabili meno presenzialismi alle fiere e meno individualismi, a vantaggio di una maggiore coesione e più ricerche di marketing».
Insomma anche un’azione di lobbying tesa a far capire i benefici dell’industria verde ai politici e alle istituzioni, proprio come indicato a Flormart dai presidenti di Aiph ed Ena, le associazioni internazionali del vostro settore (vedi nostro articolo)?
«Certamente, ma questo è proprio il lavoro che l’Associazione Vivaisti ha svolto sin dalla nascita, oltre 10 anni fa. Siamo partiti a livello locale, provinciale, perché Pistoia non è facile, perché siamo tanti e si ha un impatto importante nel territorio. L’associazione aveva come scopo proprio quello di far conoscere al territorio il valore positivo del settore, non solo dal punto di vista economico e occupazionale, che pure conta moltissimo, ma anche da quello dell’impatto positivo sull’ambiente, perché noi siamo il polmone dell’area metropolitana di Firenze-Prato-Pistoia. Va ricordato infatti che il distretto pistoiese è un parco di 5 mila ettari di piante in produzione che creano una quantità di ossigeno eccezionale. […] Quindi la nostra attività è sempre stata svolta in tale direzione, allo scopo di far comprendere l’impatto positivo del settore del verde».
Ha fatto un cenno anche alle ricerche di marketing…
“Certo, perché noi cerchiamo di dare degli spunti ai produttori su come cambiare i sistemi di produzione adattandosi alle mutate esigenze di mercato. Lo facciamo silenziosamente, senza annunci roboanti, ma con attività concrete di analisi e studio. E non ci limitiamo a questo, perché nel frattempo, negli ultimi 5 anni, c’è stata una crisi molto difficile nel settore e una contrazione del mercato che ha causato diverse problematiche, per cui come associazione cerchiamo di dare una mano alle aziende in difficoltà».

Lorenzo Sandiford

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Intervistati i presidenti di Aiph ed Ena al forum “Horticultural Experiences” del 68° Flormart. Per Bernard Oosterom, sentito sui modi di promuovere fiori e piante, vanno dati ai decisori pubblici i giusti contenuti per vedere il verde come un investimento. Tim Edwards: i politici devono capire quali sono i problemi e le soluzioni per il verde nelle città e fare leggi ad hoc; inutili le aree verdi senza fondi per la manutenzione.


Qualità dei prodotti florovivaistici, città verdi e sostenibili, promozione del verde e dei fiori. Sono le tre sessioni in cui era articolato il forum internazionale “Horticultural Experiences”, organizzato il 21 settembre scorso da Flormart in collaborazione con Anve. Un importante momento di approfondimento di alcuni temi centrali della filiera florovivaistica, a cui sono intervenuti fra gli altri i vertici delle due associazioni florovivaistiche internazionali di riferimento: Bernard Oosterom, presidente di AIPH (International Association of Horticultural Producers), e Tim Edwards, presidente di ENA (European Nurserystock Association); invitati al forum da Anve, l’Associazione nazionale dei vivaisti esportatori, che fa parte di entrambe le organizzazioni. Ecco che cosa hanno detto a Floraviva i due presidenti di Aiph ed Ena, sentiti a margine del forum.
L’olandese Bernard Oosterom, a cui spettava il compito di moderare la sessione dedicata alla promozione dei prodotti florovivaistici, ci ha innanzi tutto ricordato che prima di arrivare all’attuale carica di presidente dell’Aiph ha lavorato nel settore florovivaistico per più di 40 anni. Ha lavorato sia nella produzione che nell’import-export di giovani piante, soprattutto piante tropicali, ed è stato per alcuni anni presidente dell’asta di fiori (Flowerauction). Una vera autorità in materia, dunque. «Penso che a livello internazionale – ha esordito Oosterom rispondendo alla domanda di Floraviva in proposito - i coltivatori stiano producendo un’ampia varietà di prodotti di alta qualità». Sull’altro versante della filiera «i consumatori amano i fiori, le piante e gli alberi: i colori, le forme e godersi le piante e gli alberi negli interni e all’aperto». «La sfida comune – ha continuato - è come creare la situazione in cui i consumatori compreranno più fiori, più piante e più alberi. Il marketing e la promozione sono un buono strumento per diffondere le informazioni su di essi e in particolare le storie dietro ai prodotti e a chi li coltiva, e anche le storie su come usare il verde per godersi la vita a casa, in ufficio e quando ci si rilassa all’aperto». Questa sfida, ha aggiunto Oosterom, si vince in vari modi. «Uno è la promozione del settore in maniera business-to-business, così come fanno le fiere commerciali tipo Flormart e altre in Europa, dove i coltivatori e i commercianti si incontrano. Ma è molto importante anche la comunicazione su mezzi come la radio, la televisione e la stampa cartacea per aiutare il settore a fornire ai consumatori e ai decisori pubblici nelle città (urbanisti e governi locali) informazioni e ragioni per investire di più nel verde». Un altro canale, ha ricordato il presidente di Aiph, è rappresentato dalle «expo florovivaistiche»: «ogni anno c’è da qualche parte nel mondo un’expo florovivaistica e milioni di persone si divertono a visitarla, godendosi il verde ma anche imparando qualcosa sul nostro settore: le tecniche, la qualità e i metodi attraverso i quali i coltivatori producono piante, fiori e alberi».
Lei ha detto che in generale la qualità delle produzioni florovivaistiche è elevata. Ma le produzioni possono, nonostante ciò, essere migliorate ancora? E se sì quali sono gli aspetti prioritari su cui agire?
«La risposta è molto varia. In Olanda per esempio stiamo sviluppando modi di coltivare le piante e i fiori usando meno gas naturale e più naturali, senza utilizzare pesticidi e così via». Ma il punto per Oosterom, che vuole restare al tema della sua sessione, è cercare non solo di migliorare il modo di produrre (più ecologico e a prezzi minori), ma anche di «creare valore» attraverso strumenti come la promozione dei consumi e il marketing.
Che cosa si deve fare per avere nel mondo città più verdi?
«Dovrebbe chiederlo al moderatore della sessione sulle città verdi e sostenibili. Ma ho un’opinione su questo. La maggior parte di coloro che prendono le decisioni nelle città vede il verde come un costo aggiuntivo, non come un investimento. Noi come settore dobbiamo fornire ai decisori pubblici i contenuti giusti per (riuscire a) vedere il verde come un investimento: investimento in città più sane, città dove la gente si diverte a stare all’aperto, per abbassare la temperatura delle città, per ridurre il consumo di energia e anche per la salute delle persone. In conclusione tutti gli amministratori di città devono capire i benefici di città più verdi».
Lo stanno capendo gli amministratori pubblici, almeno in Olanda?
«Non ancora, ma ci stiamo lavorando».
A moderare la sessione del forum sulle città verdi è stato Tim Edwards, florovivaista del Regno Unito che, come ci ha spiegato, è arrivato all’Ena, di cui è poi diventato presidente, grazie alla designazione di due importanti organizzazioni agricole britanniche di cui è membro, The National Farmers’ Union e The Horticultural Trades Association. Edwards ha prima di tutto osservato che non tutti i relatori, come era prevedibile, davano lo stesso significato all’espressione “green city” (città verde). «Sa, di questi tempi tutto è verde – ci ha detto -. Ma per i vivaisti “città verde” significa qualcosa di molto specifico: significa fare, in un modo o nell’altro, buon uso delle piante nel contesto di un ambiente urbano. Così per esempio mettere un tetto verde su un edificio è una buona idea per varie ragioni: incrementare la biodiversità in città, ridurre l’effetto isola di calore della città, diminuire l’inquinamento, aumentare la popolazione di insetti, isolare termicamente l’edificio e ridurre le perdite d’acqua. Dunque un elemento verde come usare le piante su un tetto può portare una grande quantità di effetti benefici in una città». Poi ci sono altri usi del termine verde, ha proseguito, e alcuni coincidono con quello per cui certi saponi vengono definiti verdi, nel senso di avere meno impatto sull’ambiente, essere più ecologici.
Ecco limitandoci alla sua accezione del termine, quella più rilevante per i vivaisti, che cosa è emerso durante la sessione da lei moderata? C’è stato qualche stimolo interessante?
«Uno dei punti che io credo sia emerso molto chiaramente è che ci sono tanti effetti benefici legati alle aree verdi in ambienti urbani. C’è una gran quantità di evidenza e di ricerche che lo dimostrano chiaramente. Ma in realtà questi benefici si ottengono solo se gli elementi verdi introdotti, come ad esempio un parco, sono ben gestiti». Senza un’adeguata manutenzione tali effetti positivi svaniscono e in certi casi gli elementi verdi possono addirittura avere l’effetto opposto. «Quindi la lezione per i sindaci e per chi amministra le città è che non si devono tagliare i finanziamenti per la manutenzione delle aree verdi delle città».
L’altro insegnamento emerso dall’incontro, ci spiega Edwards, è che «nel mondo abbiamo una necessità crescente di guardare agli elementi verdi delle nostre città. Ciò per vari motivi: abbiamo sempre più persone che vivono in città tutto il tempo, abbiamo il cambiamento climatico e ci troviamo a fronteggiare situazioni che non abbiamo mai affrontato sinora». In questo contesto generale lui sostiene che «i migliori esempi di città verdi non si trovano in Europa. Per una ragione molto semplice: le principali città europee sono state costruite tanto tempo fa» con infrastrutture pensate per esigenze completamente diverse e adesso obsolete. Questo non accade ad esempio in Cina, spiega Edwards, dove c’è l’opportunità di costruire città ex novo con le infrastrutture che vogliamo adesso. Ciò consente di concepire il verde con un approccio olistico, diversamente da quanto accade in Europa, dove dobbiamo introdurre elementi verdi in contesti urbani preesistenti. Questo non significa che manchino del tutto in Europa «esempi di città verdi ben concepite». E dove questo è accaduto è stato «perché le città sono state capaci di identificare i problemi e di implementare le soluzioni nelle politiche urbanistiche». Un esempio messo in luce da un relatore dell’incontro è Bristol, fa sapere Edwards. In ogni caso, la conclusione generale per Edwards è che «abbiamo bisogno di politici e decisori che capiscano quali siano i problemi e quali le soluzioni» per rendere più verdi le città e che sappiano tradurre tali esigenze in norme e piani urbanistici adeguati.

Lorenzo Sandiford