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Intervista al presidente dell’Associazione nazionale vivaisti esportatori sulla proposta di un marchio per il distretto vivaistico di Pistoia. Per Marco Cappellini al vivaismo ornamentale è più adatto un marchio di processo, come quello nazionale VivaiFiori, a cui presto si potranno agganciare assicurazioni sulle fitopatie. In generale è favorevole anche al marchio di prodotto Piante e Fiori d’Italia, più idoneo per le aziende floricole. L’ideale sarebbe «un unico ente che gestisce prodotto e processo».
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Intervista a Dino Scanavino, recentemente confermato alla guida di Cia-Agricoltori Italiani: nelle politiche agricole più risorse all’innovazione, comprese biotecnologie e cisgenetica, Codice unico dell’agricoltura, riforma sistema Agea, riduzione barriere doganali nel rispetto della reciprocità; nel florovivaismo segnali positivi ma non ancora ripresa, da risolvere le emergenze fitosanitarie e scarseggiano i brevetti sulle piante ornamentali, bene le fiere e un loro coordinamento, un po' di scetticismo sul marchio nazionale Piante e fiori d’Italia, a cui preferisce una garanzia sulla sicurezza fitosanitaria; tra le priorità della filiera olivicola, invertire il trend produttivo in discesa, ma valorizzare i propri punti di forza identitari, anche con il miglioramento del nostro patrimonio varietale.
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Intervista ad Alberto Manzo, coordinatore del tavolo tecnico del settore florovivaistico, che traccia il quadro della situazione del florovivaismo italiano: «crisi alle spalle», la novità principale è la voglia di «puntare i mercati esteri con più forza», anche se le «grandi aziende vivaistiche» ce la fanno ma alle piccole manca il traino di un «sistema Italia» come per il vino. E annuncia i prossimi impegni, a partire dai temi della seduta del tavolo tecnico del 28 marzo. Fra cui, le partecipazioni alla fiere, con l’ipotesi “Padiglione Italia” a Essen, e i requisiti dei manutentori del verde, che dovrebbero essere migliorati rispetto all’accordo del 22 febbraio modificando l’art. 12 del Collegato agricolo.
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Intervista a Vannino Vannucci, presidente dell’Associazione Vivaisti Italiani, che punta ad allargare la base associativa in tutta Italia: «il bonus verde, per quanto non ancora definitivo, prova che se il settore è unito i risultati arrivano». Tra le prossime azioni, una proposta italiana, snella e gestibile, di attuazione della tracciabilità a scopo fitosanitario imposta dal Reg. Ue 2016/2031 per la protezione delle piante da organismi nocivi.
La presenza al tavolo Italia-Turchia sulle questioni riguardanti l’import-export di alcune essenze; il proprio contributo all’approvazione della Carta dei valori del Distretto vivaistico-ornamentale di Pistoia; la partecipazione attiva ai piani di sviluppo rurale e sull’autocontrollo fitosanitario; il rinnovo dell’intesa con l’Accademia dei Georgofili in concomitanza con la giornata di studio sul nuovo regime fitosanitario europeo; la firma di un protocollo d’intesa e la successiva accoglienza di operatori del Burkina Faso per un progetto formativo sull’attività vivaistica, in collaborazione con la Fondazione “Un raggio di luce”, il Comune di Pistoia e Water Right Foundation.
Sono alcune delle attività svolte quest’anno dall’Associazione Vivaisti Italiani che ci ha ricordato Vannino Vannucci, presidente dell’associazione nonché titolare dell’azienda leader del distretto vivaistico pistoiese, il più importante distretto italiano ed anche a livello europeo, in occasione di una recente visita di Floraviva al suo Nursery Park. A Vannucci abbiamo chiesto di parlarci dell’Associazione da lui presieduta, tenendo conto anche di temi attuali come il “bonus verde” inserito nella manovra finanziaria 2018 e il nuovo regime fitosanitario europeo, con al centro il Regolamento Ue 2016/2031 contenente le misure per la protezione delle piante da organismi nocivi, i cui articoli 69 sulla tracciabilità e 70 sugli spostamenti di piante all'interno e tra i siti degli operatori professionali, a cominciare dai produttori di piante, hanno suscitato forti preoccupazioni fra i vivaisti italiani per l’insostenibile aggravio burocratico che comporteranno.
«Nati come Associazione Vivaisti Pistoiesi, da oltre un anno e mezzo ci siamo trasformati in Associazione Vivaisti Italiani – ha esordito Vannino Vannucci -. L’associazione si occupa delle problematiche del settore vivaistico-ornamentale cercando di portare avanti le istanze dei propri associati, che sono ormai intorno a 200 in tutta Italia, di cui la maggior parte concentrati nel territorio pistoiese, per cui sono tanti».
Come vi collocate nel contesto della filiera florovivaistica e dei settori agricoli confinanti?
«Noi aggreghiamo aziende vivaistiche, non floricole, e ci caratterizziamo per l’attenzione che prestiamo a non intaccare il ruolo e l’operato delle associazioni sindacali agricole, cioè Cia Coldiretti e Unione agricoltori (Confagricoltura). Anzi il nostro obiettivo è proprio quello di collaborare con loro e portare avanti in maniera trasversale tutte le problematiche del settore, perché molto spesso le nostre associazioni sindacali non hanno il tempo e le risorse per individuarle e per affrontarle con la necessaria rapidità. Noi cerchiamo di renderci utili nel portare le nostre istanze settoriali a livello regionale e anche nazionale, perché purtroppo di problematiche ce ne sono: fitosanitarie, fiscali e anche commerciali».
Fate parte anche voi, vero, del Coordinamento Nazionale della Filiera del Florovivaismo e per il Paesaggio, che ha ottenuto recentemente, dopo due anni di iniziative di comunicazione e divulgazione nelle sedi istituzionali, un primo risultato concreto con il riconoscimento del bonus verde?
«Non solo ne facciamo parte, ma siamo fra i fondatori di questo coordinamento, che è nato [il 20 novembre 2015 a Brescia, ndr] da una collaborazione fra la nostra associazione e altri soggetti della filiera florovivaistica, fra cui anche il Distretto vivaistico-ornamentale pistoiese. Quindi siamo tra coloro che hanno contribuito a livello nazionale a questo primo, non ancora definitivo risultato».
Ecco, a questo proposito, vi soddisfa la formulazione del bonus, che dovrebbe prevedere la detraibilità del 36% delle spese per interventi nel verde privato fino a 5 mila euro?
«Siamo molto soddisfatti del lavoro di gruppo intrapreso per il raggiungimento di tale obiettivo. Raramente tutto il settore è stato così compatto ed unito. Lavorare in squadra paga sempre! Riteniamo che il verde abbia bisogno di questo tipo di promozione a carattere nazionale, al pari di altri settori economici come quello edile, automobilistico o di complemento di arredo (casalinghi, mobili, ecc.), poiché l'incentivazione alla realizzazione di spazi verdi potrà solo contribuire a vivere meglio nelle nostre case, nei nostri quartieri e nelle nostre città».
Oltre al bonus verde, quali sono gli altri temi più importanti affrontati quest’anno dall’Associazione Vivaisti Italiani?
«Fra questi va citata certamente la tracciabilità a fini fitosanitari imposta dal nuovo Regolamento Ue 2016/2031, che è una questione complessa che ci creerà sicuramente tante complicazioni a livello burocratico e gestionale. La tracciabilità è una cosa seria, ma non va attuata danneggiando le aziende vivaistiche italiane. Per questo, noi insieme ad altre associazioni e aziende vivaistiche, abbiamo messo dei tecnici al lavoro e ho già partecipato anch’io in prima persona ad alcuni incontri, perché siamo intenzionati a presentare una proposta di attuazione del Regolamento 2031 al direttore del Servizio Fitosanitario Nazionale Bruno Caio Faraglia, che lo scorso maggio a Firenze in occasione di un incontro all’Accademia dei Georgofili si mostrò aperto ad ascoltare le istanze del mondo produttivo» (vedi nostro articolo).
Può già anticipare qualche elemento di questa proposta? Mi par di ricordare la vostra contrarietà all’obbligo di tracciare addirittura tutti i movimenti delle piante interni alle aziende.
«Su questo mi auguro proprio di sì, che si possa evitare. Poi su come realizzare questa tracciabilità si sta lavorando su un paio di idee. Per i dettagli vedremo, comunque puntiamo a lavorare sì in maniera documentata, ma semplificata».
Quando sarà pronta la proposta?
«L’idea è di presentarla nei primi mesi del prossimo anno».
Quali altri obiettivi vi prefissate per il 2018?
«Intanto bisogna continuare l’attività del Coordinamento nazionale di filiera, perché l’unità fra i soggetti del settore, la presenza attiva di un gruppo vero che parla lo stesso linguaggio sta dando risultati. A mio avviso, sono auspicabili meno presenzialismi alle fiere e meno individualismi, a vantaggio di una maggiore coesione e più ricerche di marketing».
Insomma anche un’azione di lobbying tesa a far capire i benefici dell’industria verde ai politici e alle istituzioni, proprio come indicato a Flormart dai presidenti di Aiph ed Ena, le associazioni internazionali del vostro settore (vedi nostro articolo)?
«Certamente, ma questo è proprio il lavoro che l’Associazione Vivaisti ha svolto sin dalla nascita, oltre 10 anni fa. Siamo partiti a livello locale, provinciale, perché Pistoia non è facile, perché siamo tanti e si ha un impatto importante nel territorio. L’associazione aveva come scopo proprio quello di far conoscere al territorio il valore positivo del settore, non solo dal punto di vista economico e occupazionale, che pure conta moltissimo, ma anche da quello dell’impatto positivo sull’ambiente, perché noi siamo il polmone dell’area metropolitana di Firenze-Prato-Pistoia. Va ricordato infatti che il distretto pistoiese è un parco di 5 mila ettari di piante in produzione che creano una quantità di ossigeno eccezionale. […] Quindi la nostra attività è sempre stata svolta in tale direzione, allo scopo di far comprendere l’impatto positivo del settore del verde».
Ha fatto un cenno anche alle ricerche di marketing…
“Certo, perché noi cerchiamo di dare degli spunti ai produttori su come cambiare i sistemi di produzione adattandosi alle mutate esigenze di mercato. Lo facciamo silenziosamente, senza annunci roboanti, ma con attività concrete di analisi e studio. E non ci limitiamo a questo, perché nel frattempo, negli ultimi 5 anni, c’è stata una crisi molto difficile nel settore e una contrazione del mercato che ha causato diverse problematiche, per cui come associazione cerchiamo di dare una mano alle aziende in difficoltà».
Lorenzo Sandiford
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Intervistati i presidenti di Aiph ed Ena al forum “Horticultural Experiences” del 68° Flormart. Per Bernard Oosterom, sentito sui modi di promuovere fiori e piante, vanno dati ai decisori pubblici i giusti contenuti per vedere il verde come un investimento. Tim Edwards: i politici devono capire quali sono i problemi e le soluzioni per il verde nelle città e fare leggi ad hoc; inutili le aree verdi senza fondi per la manutenzione.
Qualità dei prodotti florovivaistici, città verdi e sostenibili, promozione del verde e dei fiori. Sono le tre sessioni in cui era articolato il forum internazionale “Horticultural Experiences”, organizzato il 21 settembre scorso da Flormart in collaborazione con Anve. Un importante momento di approfondimento di alcuni temi centrali della filiera florovivaistica, a cui sono intervenuti fra gli altri i vertici delle due associazioni florovivaistiche internazionali di riferimento: Bernard Oosterom, presidente di AIPH (International Association of Horticultural Producers), e Tim Edwards, presidente di ENA (European Nurserystock Association); invitati al forum da Anve, l’Associazione nazionale dei vivaisti esportatori, che fa parte di entrambe le organizzazioni. Ecco che cosa hanno detto a Floraviva i due presidenti di Aiph ed Ena, sentiti a margine del forum.
L’olandese Bernard Oosterom, a cui spettava il compito di moderare la sessione dedicata alla promozione dei prodotti florovivaistici, ci ha innanzi tutto ricordato che prima di arrivare all’attuale carica di presidente dell’Aiph ha lavorato nel settore florovivaistico per più di 40 anni. Ha lavorato sia nella produzione che nell’import-export di giovani piante, soprattutto piante tropicali, ed è stato per alcuni anni presidente dell’asta di fiori (Flowerauction). Una vera autorità in materia, dunque. «Penso che a livello internazionale – ha esordito Oosterom rispondendo alla domanda di Floraviva in proposito - i coltivatori stiano producendo un’ampia varietà di prodotti di alta qualità». Sull’altro versante della filiera «i consumatori amano i fiori, le piante e gli alberi: i colori, le forme e godersi le piante e gli alberi negli interni e all’aperto». «La sfida comune – ha continuato - è come creare la situazione in cui i consumatori compreranno più fiori, più piante e più alberi. Il marketing e la promozione sono un buono strumento per diffondere le informazioni su di essi e in particolare le storie dietro ai prodotti e a chi li coltiva, e anche le storie su come usare il verde per godersi la vita a casa, in ufficio e quando ci si rilassa all’aperto». Questa sfida, ha aggiunto Oosterom, si vince in vari modi. «Uno è la promozione del settore in maniera business-to-business, così come fanno le fiere commerciali tipo Flormart e altre in Europa, dove i coltivatori e i commercianti si incontrano. Ma è molto importante anche la comunicazione su mezzi come la radio, la televisione e la stampa cartacea per aiutare il settore a fornire ai consumatori e ai decisori pubblici nelle città (urbanisti e governi locali) informazioni e ragioni per investire di più nel verde». Un altro canale, ha ricordato il presidente di Aiph, è rappresentato dalle «expo florovivaistiche»: «ogni anno c’è da qualche parte nel mondo un’expo florovivaistica e milioni di persone si divertono a visitarla, godendosi il verde ma anche imparando qualcosa sul nostro settore: le tecniche, la qualità e i metodi attraverso i quali i coltivatori producono piante, fiori e alberi».
Lei ha detto che in generale la qualità delle produzioni florovivaistiche è elevata. Ma le produzioni possono, nonostante ciò, essere migliorate ancora? E se sì quali sono gli aspetti prioritari su cui agire?
«La risposta è molto varia. In Olanda per esempio stiamo sviluppando modi di coltivare le piante e i fiori usando meno gas naturale e più naturali, senza utilizzare pesticidi e così via». Ma il punto per Oosterom, che vuole restare al tema della sua sessione, è cercare non solo di migliorare il modo di produrre (più ecologico e a prezzi minori), ma anche di «creare valore» attraverso strumenti come la promozione dei consumi e il marketing.
Che cosa si deve fare per avere nel mondo città più verdi?
«Dovrebbe chiederlo al moderatore della sessione sulle città verdi e sostenibili. Ma ho un’opinione su questo. La maggior parte di coloro che prendono le decisioni nelle città vede il verde come un costo aggiuntivo, non come un investimento. Noi come settore dobbiamo fornire ai decisori pubblici i contenuti giusti per (riuscire a) vedere il verde come un investimento: investimento in città più sane, città dove la gente si diverte a stare all’aperto, per abbassare la temperatura delle città, per ridurre il consumo di energia e anche per la salute delle persone. In conclusione tutti gli amministratori di città devono capire i benefici di città più verdi».
Lo stanno capendo gli amministratori pubblici, almeno in Olanda?
«Non ancora, ma ci stiamo lavorando».
A moderare la sessione del forum sulle città verdi è stato Tim Edwards, florovivaista del Regno Unito che, come ci ha spiegato, è arrivato all’Ena, di cui è poi diventato presidente, grazie alla designazione di due importanti organizzazioni agricole britanniche di cui è membro, The National Farmers’ Union e The Horticultural Trades Association. Edwards ha prima di tutto osservato che non tutti i relatori, come era prevedibile, davano lo stesso significato all’espressione “green city” (città verde). «Sa, di questi tempi tutto è verde – ci ha detto -. Ma per i vivaisti “città verde” significa qualcosa di molto specifico: significa fare, in un modo o nell’altro, buon uso delle piante nel contesto di un ambiente urbano. Così per esempio mettere un tetto verde su un edificio è una buona idea per varie ragioni: incrementare la biodiversità in città, ridurre l’effetto isola di calore della città, diminuire l’inquinamento, aumentare la popolazione di insetti, isolare termicamente l’edificio e ridurre le perdite d’acqua. Dunque un elemento verde come usare le piante su un tetto può portare una grande quantità di effetti benefici in una città». Poi ci sono altri usi del termine verde, ha proseguito, e alcuni coincidono con quello per cui certi saponi vengono definiti verdi, nel senso di avere meno impatto sull’ambiente, essere più ecologici.
Ecco limitandoci alla sua accezione del termine, quella più rilevante per i vivaisti, che cosa è emerso durante la sessione da lei moderata? C’è stato qualche stimolo interessante?
«Uno dei punti che io credo sia emerso molto chiaramente è che ci sono tanti effetti benefici legati alle aree verdi in ambienti urbani. C’è una gran quantità di evidenza e di ricerche che lo dimostrano chiaramente. Ma in realtà questi benefici si ottengono solo se gli elementi verdi introdotti, come ad esempio un parco, sono ben gestiti». Senza un’adeguata manutenzione tali effetti positivi svaniscono e in certi casi gli elementi verdi possono addirittura avere l’effetto opposto. «Quindi la lezione per i sindaci e per chi amministra le città è che non si devono tagliare i finanziamenti per la manutenzione delle aree verdi delle città».
L’altro insegnamento emerso dall’incontro, ci spiega Edwards, è che «nel mondo abbiamo una necessità crescente di guardare agli elementi verdi delle nostre città. Ciò per vari motivi: abbiamo sempre più persone che vivono in città tutto il tempo, abbiamo il cambiamento climatico e ci troviamo a fronteggiare situazioni che non abbiamo mai affrontato sinora». In questo contesto generale lui sostiene che «i migliori esempi di città verdi non si trovano in Europa. Per una ragione molto semplice: le principali città europee sono state costruite tanto tempo fa» con infrastrutture pensate per esigenze completamente diverse e adesso obsolete. Questo non accade ad esempio in Cina, spiega Edwards, dove c’è l’opportunità di costruire città ex novo con le infrastrutture che vogliamo adesso. Ciò consente di concepire il verde con un approccio olistico, diversamente da quanto accade in Europa, dove dobbiamo introdurre elementi verdi in contesti urbani preesistenti. Questo non significa che manchino del tutto in Europa «esempi di città verdi ben concepite». E dove questo è accaduto è stato «perché le città sono state capaci di identificare i problemi e di implementare le soluzioni nelle politiche urbanistiche». Un esempio messo in luce da un relatore dell’incontro è Bristol, fa sapere Edwards. In ogni caso, la conclusione generale per Edwards è che «abbiamo bisogno di politici e decisori che capiscano quali siano i problemi e quali le soluzioni» per rendere più verdi le città e che sappiano tradurre tali esigenze in norme e piani urbanistici adeguati.
Lorenzo Sandiford