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Intervista al presidente di Cia, a Firenze per l’assemblea regionale, che dice: non bastano piccole modifiche alla Pac e bisogna premiare «non le aziende efficienti, ma filiere efficienti». Dino Scanavino propone un piano straordinario di manutenzione ordinaria del territorio affidato agli agricoltori. L’abolizione dei voucher è «sciagurata» e nella legge sul caporalato, appoggiata da Cia, vanno corrette le norme che trasformano in reati penali dei banali illeciti amministrativi.
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A Firenze per il convegno di Agrinsieme e Accademia dei Georgofili sulla cooperazione agroalimentare il presidente della commissione Agricoltura della Camera Luca Sani ha ricordato due risoluzioni approvate ieri che chiedono al Governo anche meno burocrazia e più aggregazioni. Disponibilità a un approfondimento a sostegno del modello cooperativo in agricoltura.
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Intervista a Enzo Torino, manager di Unicredit Lombardia, a margine della presentazione della 3^ edizione di Myplant & Garden. L’importanza delle aggregazioni di imprese per i progetti di internazionalizzazione e gli strumenti di formazione bancaria e finanziaria per aiutare le pmi a rapportarsi con l’universo del credito.
Tra gli intervenuti alla conferenza stampa di presentazione di Myplant & Garden 2017, che si svolgerà in due padiglioni di Fiera Milano dal 22 al 24 febbraio, c’era anche Enzo Torino, Deputy Regional Manager Lombardia di Unicredit, che ha sponsorizzato questa manifestazione fieristica b2b sul florovivaismo e la filiera del verde fin dall’inizio nel 2015. Forte del suo network di banche estere, Unicredit è il gruppo bancario italiano più internazionalizzato e, come è emerso nella conferenza di Myplant del 13 febbraio a Milano, ha aiutato la fiera a stringere accordi con imprese e buyer stranieri.
Floraviva ha intervistato Enzo Torino dopo l’incontro con i giornalisti, chiedendogli di spiegare le problematiche che emergono più frequentemente con le aziende florovivaistiche, o più in generale agricole, quando esse si rapportano con l’universo del credito; e di illustrare anche le risposte a tali problemi che arrivano dal mondo bancario, magari aggiungendo qualche consiglio rivolto specificamente agli agricoltori e florovivaisti italiani appartenenti alla categoria delle piccole e medie imprese (pmi).
«Innanzi tutto grazie dell’opportunità di dare voce a quello che vediamo noi come Unicredit – ha esordito Enzo Torino -. Bè le aziende del settore appartengono al mondo più grande dell’agricoltura e soffrono del problema dimensione. Un po’ tutte le aziende del settore agricolo hanno infatti una dimensione medio-piccola, direi più piccola che media. Questa è la caratteristica del sistema imprenditoriale italiano, ma probabilmente più di altri settori quelli dell’agricoltura e del florovivaismo hanno questo tipo di caratteristica».
Cosa comporta la piccola taglia delle aziende?
«L’essere piccoli rende qualcosa più difficile e qualcosa più facile. Sicuramente sono più flessibili, si adattano meglio ai cambiamenti e questo è sicuramente un punto di forza, anche nei rapporti col credito. Di certo la piccola dimensione non consente di fare alcune cose. E la dimostrazione è anche il consorzio di Myplant & Garden, che nasce dall’unione di sette piccole realtà e, come diceva lo stesso presidente, ognuno di loro singolarmente non sarebbe mai riuscito a fare quello che stiamo facendo se non avessero avuto la forza di mettersi insieme. Poi ci sono tante modalità per mettersi insieme, con i loro pro e i loro contro, non c’è solo la modalità classica del fare società. Loro hanno scelto la strada del consorzio, che vuol dire sposare un’idea comune, che nel loro caso era promuovere il brand del florovivaismo italiano e spingere sull’internazionalizzazione. Mettersi insieme era necessario. Da soli non ce l’avrebbero fatta, anche banalmente per motivi organizzativi e di investimenti necessari».
Quali le forme di aggregazione che vengono più utilizzate e per quali scopi?
«Il consorzio è una delle modalità per mettersi insieme. Esiste la rete di impresa, che è un’altra modalità che hanno le imprese piccole per aggregarsi e magari continuare nel loro business normale a fare da soli e su progetti speciali farli insieme ad altri. Uno dei progetti speciali che normalmente porta le imprese, anche di questo settore, a mettersi insieme è quello dell’internazionalizzazione. Il florovivaismo - non lo dico io, lo dicono i numeri - è oggi un mercato molto basato in Italia. Sembra strano se pensiamo che il bello, il design, l’architettura che stanno dietro al florovivaismo, e che sono elementi d’eccellenza dell’Italia, non riusciamo a venderlo in questo ambito se non prevalentemente in Italia. Quindi andare di più all’estero a vendere i nostri prodotti, e non solo il fiore o le piante, ma anche le idee e la creatività ad essi connesse, che sono tipici dell’italianità, deve essere un obiettivo. Il consorzio se l’è dato e in questo senso a noi è piaciuta fin dall’inizio l’idea di aiutarli».
Cosa state facendo per favorire la proiezione internazionale della manifestazione?
«Noi, grazie al nostro network di 14 banche all’estero e ai collegamenti che abbiamo in tutto il mondo, siamo riusciti fin dalla prima edizione ad aiutarla ad attrarre buyers, a inserirla in un network internazionale e farla conoscere da quei grandi compratori che ci sono nel mondo, a portare questi buyer in Italia a una manifestazione dove in tre giorni trovano, me lo lasci dire, un po’ il meglio del settore in un solo posto, che è ancora oggi il valore delle fiere».
E, passando alla questione dell’accesso al credito, come vanno le cose per le pmi del florovivaismo?
«L’essere piccolo comporta a volte difficoltà nell’accedere al credito. Sono stati fatti passi in avanti in questo senso. Il Governo ha preso atto che non è un problema di una banca ma un problema di un sistema, soprattutto quando si confronta con le aziende piccole. Da qui le garanzie che vengono date per certe tipologie di finanziamenti che stanno alla base degli investimenti, con il Fondo centrale di garanzia che aiuta sicuramente le imprese e le banche a dialogare. Noi abbiamo scelto anche un’altra via: utilizzare la nostra forza per costruire delle soluzioni che prendono delle garanzie centrali e poi danno la possibilità ai piccoli di ottenere credito a condizioni più favorevoli rispetto a quelle che potrebbero altrimenti ottenere».
Date altre forme di aiuto alle pmi agricole, oltre ai prestiti a condizioni favorevoli?
«Sì, perché il sistema bancario vede i piccoli come imprese da aiutare. Infatti spesso il piccolo imprenditore si concentra sul prodotto, sul fare in questo caso la pianta più bella o il fiore più bello e dedica molto meno tempo a tutto quello che bisogna fare per gestire un’impresa: organizzarsi, pianificare, cercare nuovi mercati, curare i conti, che alla fine devono quadrare, guardare quanti ne ho, se ne ho, di finanziamenti…»
Forse non hanno nemmeno le conoscenze necessarie per rapportarsi bene con voi…
«E manca a volte anche il tempo, perché spesso l’impresa è fatta da una persona che deve fare tutto…»
Ecco che aiuto date in questi casi?
«Allora, fermo restando che le associazioni di categoria sono il primo approdo per questa tipologia di imprese, che trovano nelle loro specifiche associazioni un porto e un conforto, noi abbiamo ormai da tempo istituito due programmi di educazione bancaria e finanziaria. Uno si chiama “In-formati” e l’altro “Go International!”. Il primo è un catalogo di moduli formativi che eroghiamo agli imprenditori, soprattutto piccoli, che hanno bisogno di imparare a muovere i primi passi nel mondo della finanza: come presentarsi alla banca, come stilare un piano finanziario o un piano economico, che poi è alla base di qualunque scelta di merito di credito della banca, la quale deve capire non solo che sei una brava persona, ma anche che hai una buona idea, e anche che hai un buon piano per realizzarla e trasformarla in una buona impresa. Poi è evidente che il mercato ci può riservare delle sorprese. Ma se io già non parto con un progetto…».
Dunque questo primo programma formativo è per tutte le pmi ma adatto a quelle agricole?
«Assolutamente».
Lo presentate a Myplant?
«Non lo presentiamo a Myplant perché in realtà non è una novità. Noi stiamo già lavorando su “In-formati”, nel senso che è già disponibile sul nostro sito web e uno può scaricare i moduli. Inoltre si possono organizzare degli incontri mirati con le associazioni di categoria».
E il secondo programma formativo in che consiste?
«L’altro programma, “Go International!”, è un altro catalogo di moduli educativi con l’obiettivo di aiutare le imprese a capire quali sono le cose da fare per riuscire a internazionalizzarsi. Tradotto: quali sono le attenzioni che deve avere una piccola impresa quando pensa al mercato estero come a uno sbocco? Perché spesso si dice che bisogna non solo vendere in Italia ma andare all’estero, ma, attenzione, non è che all’estero sono tutti là che ci aspettano. Anche per andare all’estero bisogna pianificare, organizzarsi, capire se voglio solo esportare, se voglio magari dopo costituire una filiale all’estero, crearmi una mia rete distributiva. Poi ci sono i temi legati ai dazi e la fiscalità che devo sopportare. I costi che devo sopportare. Come incasso dall’estero. Quindi c’è una serie di attenzioni…»
Avete anche delle forme di finanziamento specifiche per chi fa operazioni di internazionalizzazione?
«Assolutamente sì. Normalmente il primo tema bancario che uno affronta all’estero è: come incasso? Un altro tema è: come faccio a essere sicuro che quel cliente mi paga? E noi abbiamo anche delle soluzioni di assicurazione del credito, perché a volte all’estero non conosco il mio cliente nei dettagli come lo conosco in Italia, quindi la protezione del proprio credito può essere un valore, soprattutto per l’impresa piccola. Ovvio che poi quando un’azienda diventa grande e magari decide di avere una sua filiale all’estero o andare in produzione all’estero, nei molti Paesi in cui siamo presenti, possiamo aiutarli con le nostre banche, come se fossero un’impresa locale a tutti gli effetti».
Ma le pmi possono provare a internazionalizzarsi da sole, senza reti d’impresa, o è sconsigliato?
«Allora, provare possono tutti, evidentemente. Ma le difficoltà per un piccolo nell’andare all’estero sono moltiplicate dalla dimensione. Le faccio un esempio semplicissimo: se decido di fare un investimento in Spagna, banalmente dovrò andare in Spagna: se ci vado da solo il biglietto aereo pesa tutto sulle mie tasche, se abbiamo un consorzio di produttori italiani…»
O anche una rete di impresa…
«Certamente anche una rete d’impresa, come dicevo prima, ma dunque è sempre uno il biglietto che si deve pagare ma quelli che lo pagano sono sei o sette. Anche questo banalissimo esempio chiarisce bene come certe attività fatte insieme abbiano molte più probabilità di successo che non fatte da soli».
Lorenzo Sandiford
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Il sindaco Giurlani sui prossimi snodi del rilancio della floricoltura: il Distretto floricolo Lucca Pistoia del 2 febbraio in cui si attende l’input dell’assessore Remaschi, la successiva cabina di regia del mercato dei fiori (con nuovo regolamento) e l’avviso pubblico ai privati per la multifunzionalità. Senza dimenticare il tavolo Pescia agricola e verde-floreale (Pav), coordinato da Della Felice, che deve nominare il presidente.
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Intervista all’architetto Giorgio Galletti dopo il suo intervento sulle “Cacce nei parchi medicei” al ciclo di conferenze organizzate al Teatro del Rondò di Bacco di Firenze dall’Associazione “Per Boboli”. Orme di ragnaie alle Cascine di Poggio a Caiano e nei giardini di Boboli, Villa la Quiete, Certosa di Pontignano, Villa di Geggiano, Villa il Casale, Villa di Sestano. Più diffusi gli uccellari, a cominciare dai celebri cipressi di San Quirico d’Orcia. Da Galletti un chiarimento storico su pareggiate e arte topiaria.
Nell’ambito del ciclo di incontri organizzati dall’Associazione “Per Boboli” al Teatro del Rondò di Bacco in piazza Pitti a Firenze, ieri l’architetto Giorgio Galletti ha tenuto una conferenza sul tema “Le cacce nei parchi medicei”. Un’occasione, come ha spiegato introducendo la relazione di Galletti Eleonora Pecchioli, presidente dell’associazione organizzatrice dell’appuntamento, per rimeditare sull’impatto delle pratiche venatorie in certe fasi dell’evoluzione dell’architettura dei giardini. Impatto che si è fatto sentire, ha ricordato Eleonora Pecchioli, anche nel Giardino di Boboli.
Fra le strutture venatorie su cui l’architetto Galletti si è soffermato con più dovizia di riferimenti, citazioni di fonti ed esemplificazioni, dopo aver illustrato le varie funzioni della caccia nel Medioevo e nel Rinascimento, vi sono senz’altro le ragnaie. Vale a dire dei boschetti fitti di alberi tra i quali venivano stese le reti per la cattura degli uccelli. Diversamente dall’uccellare, di cui pure ha parlato Galletti e che era costituito solitamente da una radura in una macchia boscosa, la ragnaia aveva un andamento lineare e molto spesso era posizionata accanto a un piccolo corso d’acqua che attirava i volatili. La natura delle ragnaie non è sempre ben compresa. Esse, come hanno sottolineato sia Pecchioli sia più estesamente Galletti, hanno anche una forte valenza ornamentale: all’insegna della triade vitruviana firmitas, utilitas, venustas (solidità, funzionalità, qualità estetica).
«Giovanni Antonio Popoleschi nel suo trattato La Ragnaia (risalente a circa la metà del XVI sec.) – ha detto a Floraviva l’architetto Galletti dopo la conclusione della sua conferenza - scrive: “la ragnaia, per mia oppinione è una delle più belle e migliori commodità che possa avere una possessione di qual si voglia gentiluomo, avvengachè questa, oltre al far bella vista e ornamento alla villa tua, se è posta in luogo accomodato, ti tiene, oltre al piacere che dura molti mesi dell’anno, la casa abbondante tutto il tempo che si uccella”». E si trovano diverse citazioni di questo genere nella letteratura quattrocentesca e cinquecentesca, a cominciare da un passo di Machiavelli riferito da Galletti durante la sua relazione. «Quindi – come sintetizza lui - la ragnaia è un locus amoenus e ornamento per il giardino, non solo luogo di caccia».
Che ruolo hanno (avuto) e quanto pesano le ragnaie nel disegno complessivo del Giardino di Boboli?
«Nel giardino di Boboli ne sono rimaste solo pochissime, dopo i tentativi ottocenteschi di trasformare il giardino in stile all’inglese. Se guardiamo invece la planimetria di Michele Gori (1709) e quelle di epoca lorenese si nota che esse occupavano tutto il lato sud lungo le mura della Pace, lo spazio fra l’imbocco del viale dei Cipressi e l’Isola (ora in gran parte distrutte per l’apertura del vale dei platani in epoca napoleonica e la trasformazione in boschetti con viali in curva). Il Soldini (Il Reale Giardino di Boboli, 1789) scrive in proposito: “terminato il filare dei cipressi, sentesi ricreare la vista al mirare una folta Ragnaia, che forma come una continuata muraglia a disegno…”. Un’altra ragnaia era al margine del perduto labirinto nord, sotto il giardino Botanico di Sopra. L’Anfiteatro secentesco era delimitato da ragnaie. Quindi nella redazione secentesca le ragnaie caratterizzavano in modo inequivocabile il Giardino di Boboli barocco».
La ragnaia e altri portati della caccia così come praticata nel Medioevo e nel Rinascimento in che misura hanno inciso nel paesaggio toscano? Cosa resta oggi?
«Oggi le ragnaie sono praticamente scomparse, salvo rari casi di giardini storici. Sussiste la traccia del Ragnaione delle Cascine di Poggio a Caiano (dette impropriamente di Tavola). Si sono conservate tracce di ragnaie a Boboli, nel Giardino di Villa la Quiete (per ora non visitabile), nel giardino della Certosa di Pontignano (vicino a Siena, visitabile) nel giardino della Villa di Geggiano (a Castelnuovo Berardenga, visitabile con permesso), nel giardino della Villa il Casale (a Sesto Fiorentino, non visitabile) e, pressoché integrale, nel giardino della Villa di Sestano (sempre a Castelnuovo Berardenga, forse visitabile con permesso). Sicuramente ne esistono altre, che io non conosco. La parola ragnaia ricorre invece in molti toponimi. Quindi erano diffuse sul territorio, ma oggi non sono più distinguili o perdute. Si possono invece riconoscere uccellari o roccoli sparsi nella campagna toscana, dal momento che sono caratterizzati da un boschetto isolato. Famoso è quello di cipressi presso San Quirico d’Orcia. Altri uccellari: Castelnuovo Tancredi (Buonconvento), Villa di Celsa (Siena, solo tracce), Borgo Scopeto (Castelnuovo Berardenga, integro), piccoli roccoli nei dintorni di Firenze».
Nella relazione ha citato numerose varietà vegetali utilizzate per le ragnaie, ci può ricordare le principali?
«Sebbene i trattati indichino numerose varietà, le ragnaie di Boboli, quella della Quiete e quella di Sestano sono composte da leccio nella parte alta e da arbusti sempreverdi nella parte bassa (lentaggine, alloro, fillirea, alaterno, lentisco). Nell’Italia settentrionale le strutture per l’uccellagione sono composte prevalentemente di carpino».
Per finire, una curiosità: che relazione c’è, se c’è, fra le tecniche di pareggiamento delle piante delle ragnaie di cui ha parlato e l’arte topiaria in cui oggi i vivaisti pistoiesi eccellono a livello internazionale?
«La pareggiata (orizzontale e verticale) è per me all’origine della palissade dei giardini francesi. Maria de’ Medici riprese il modello di Boboli per il Giardino del Lussemburgo. In realtà l’arte topiaria è di origini antichissime e si riferisce a forme che imitano figure. Certamente l’esperienza del dominare la pianta e mantenerla in forma può essere connessa con la tradizione topiaria. La struttura formale dei giardini rinascimentali e barocchi ha le sue radici in tradizioni di taglio e di governo assai consolidate. Purtroppo questa tradizione fu notevolmente alterata nel dopoguerra con l’introduzione della motosega che comportato danni vastissimi soprattutto ai lecci, come nel caso di Boboli o di Villa Medici a Roma. I giardinieri pistoiesi sicuramente hanno saputo mantenere molte tecniche tradizionali che non hanno a che vedere con la capitozzatura».
Lorenzo Sandiford