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Intervista al responsabile del Gie “Florovivaismo” di Cia, Roberto Chiti, a margine del terzo forum su “Istituzioni e paesaggio” di Ifla 2016 a Torino, a cui è intervenuto anche Dino Scanavino. Chiti: daremo ai paesaggisti indicazioni su «fin dove si può arrivare a immaginare il paesaggio del futuro» e le loro informazioni sui trend paesaggistici aiuteranno noi vivaisti, carenti di varietà in listino per la crisi, a orientare le produzioni.
Uno degli appuntamenti più interessanti per i florovivaisti durante il 53° Congresso mondiale degli architetti paesaggisti (Ifla 2016), in corso a Torino dal 20 aprile a oggi, è stato il forum “Istituzioni e paesaggio”. Nella terza tavola rotonda, in programma nel pomeriggio del 21 aprile e intitolata “Paesaggio e infrastrutture verdi: dal progetto alla realizzazione e gestione”, è intervenuto il presidente di Cia e coordinatore nazionale di Agrinsieme Dino Scanavino.
Per Cia, in rappresentanza dei produttori di piante e fiori associati, era presente anche il responsabile nazionale del Gruppo di interesse economico (Gie) “Florovivaismo”, Roberto Chiti. Floraviva lo ha sentito a margine della tavola rotonda. A partire da una prima domanda generale sul significato del tema in essa affrontato.
«E’ una contaminazione, una contaminazione tra mondi che fanno parte della stessa filiera, la filiera del verde – ha spiegato Roberto Chiti -. Abbiamo i produttori, abbiamo i progettisti e le amministrazioni, cioè coloro che vanno poi a fare l’arredo a verde del nostro paesaggio urbano, e ci sono modi e modi di fare l’arredo a verde. L’arredo a verde che pensiamo noi per il futuro è un arredo che tiene conto di tutte le esigenze: a partire da quelle dei cittadini per una vita più sana in un contesto paesaggistico che sia più consono alla città del futuro. Quindi il verde non inteso come un abbellimento della vita, ma inteso come verde in una città del futuro che non può prescindere dalla salute dei propri cittadini inseriti nel loro contesto naturale, il contesto a verde appunto».
Nella tavola rotonda di oggi definite solo gli obiettivi e i metodi o parlate già di iniziative concrete?
«Oggi abbiamo siglato un importante accordo fra Agrinsieme e Aiapp, due associazioni di categoria che rappresentano Agrinsieme, il mondo della produzione, e Aiapp, il mondo della progettazione. Abbiamo già in cantiere molte iniziative in comune. Come dicevo, vogliamo contaminarci nelle nostre esperienze: fornire al mondo della progettazione quegli elementi che mancano per capire fin dove si può arrivare a immaginare il paesaggio del futuro e, noi produttori, vogliamo capire quali sono le idee, i trend verso cui il mondo della progettazione tende. Su questo ed altro stiamo lavorando per cercare di fare pressioni in maniera comune sulle istituzioni: sulle amministrazioni e su chi legifera a livello nazionale».
Visto che lei è anche un produttore del distretto pistoiese, quanto può contribuire al benessere del distretto vivaistico ornamentale di Pistoia affrontare questi temi insieme agli architetti del paesaggio?
«Può incidere in maniera assoluta. Quest’anno abbiamo avuto un rilancio della produzione, un rilancio delle vendite anche all’interno del nostro distretto. Purtroppo però si nota che c’è anche una carenza, dovuta a tanti anni di crisi, di quelle che sono le varietà, di quello che è il listino. Abbiamo subito una grande perdita dal punto di vista sia del listino che delle quantità prodotte e a volte quando arrivano gli ordini non riusciamo a evaderli, non abbiamo le piante idonee per poter servire i nostri clienti. Ecco io credo che questo tipo di percorso, cioè capire le tendenze, metterci in comunicazione con il mondo della progettazione, ci possa aiutare anche come distretto pistoiese a capire dove orientare le produzioni per volgere sempre di più verso una produzione on demand e sempre meno su una produzione massiva lasciata al caso».
L.S.
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Intervista al responsabile del Gie “Florovivaismo” di Cia, Roberto Chiti, a margine del terzo forum su “Istituzioni e paesaggio” di Ifla 2016 a Torino, a cui è intervenuto anche Dino Scanavino. Chiti: daremo ai paesaggisti indicazioni su «fin dove si può arrivare a immaginare il paesaggio del futuro» e le loro informazioni sui trend paesaggistici aiuteranno noi vivaisti, carenti di varietà in listino per la crisi, a orientare le produzioni.
Uno degli appuntamenti più interessanti per i florovivaisti durante il 53° Congresso mondiale degli architetti paesaggisti (Ifla 2016), in corso a Torino dal 20 aprile a oggi, è stato il forum “Istituzioni e paesaggio”. Nella terza tavola rotonda, in programma nel pomeriggio del 21 aprile e intitolata “Paesaggio e infrastrutture verdi: dal progetto alla realizzazione e gestione”, è intervenuto il presidente di Cia e coordinatore nazionale di Agrinsieme Dino Scanavino.
Per Cia, in rappresentanza dei produttori di piante e fiori associati, era presente anche il responsabile nazionale del Gruppo di interesse economico (Gie) “Florovivaismo”, Roberto Chiti. Floraviva lo ha sentito a margine della tavola rotonda. A partire da una prima domanda generale sul significato del tema in essa affrontato.
«E’ una contaminazione, una contaminazione tra mondi che fanno parte della stessa filiera, la filiera del verde – ha spiegato Roberto Chiti -. Abbiamo i produttori, abbiamo i progettisti e le amministrazioni, cioè coloro che vanno poi a fare l’arredo a verde del nostro paesaggio urbano, e ci sono modi e modi di fare l’arredo a verde. L’arredo a verde che pensiamo noi per il futuro è un arredo che tiene conto di tutte le esigenze: a partire da quelle dei cittadini per una vita più sana in un contesto paesaggistico che sia più consono alla città del futuro. Quindi il verde non inteso come un abbellimento della vita, ma inteso come verde in una città del futuro che non può prescindere dalla salute dei propri cittadini inseriti nel loro contesto naturale, il contesto a verde appunto».
Nella tavola rotonda di oggi definite solo gli obiettivi e i metodi o parlate già di iniziative concrete?
«Oggi abbiamo siglato un importante accordo fra Agrinsieme e Aiapp, due associazioni di categoria che rappresentano Agrinsieme, il mondo della produzione, e Aiapp, il mondo della progettazione. Abbiamo già in cantiere molte iniziative in comune. Come dicevo, vogliamo contaminarci nelle nostre esperienze: fornire al mondo della progettazione quegli elementi che mancano per capire fin dove si può arrivare a immaginare il paesaggio del futuro e, noi produttori, vogliamo capire quali sono le idee, i trend verso cui il mondo della progettazione tende. Su questo ed altro stiamo lavorando per cercare di fare pressioni in maniera comune sulle istituzioni: sulle amministrazioni e su chi legifera a livello nazionale».
Visto che lei è anche un produttore del distretto pistoiese, quanto può contribuire al benessere del distretto vivaistico ornamentale di Pistoia affrontare questi temi insieme agli architetti del paesaggio?
«Può incidere in maniera assoluta. Quest’anno abbiamo avuto un rilancio della produzione, un rilancio delle vendite anche all’interno del nostro distretto. Purtroppo però si nota che c’è anche una carenza, dovuta a tanti anni di crisi, di quelle che sono le varietà, di quello che è il listino. Abbiamo subito una grande perdita dal punto di vista sia del listino che delle quantità prodotte e a volte quando arrivano gli ordini non riusciamo a evaderli, non abbiamo le piante idonee per poter servire i nostri clienti. Ecco io credo che questo tipo di percorso, cioè capire le tendenze, metterci in comunicazione con il mondo della progettazione, ci possa aiutare anche come distretto pistoiese a capire dove orientare le produzioni per volgere sempre di più verso una produzione on demand e sempre meno su una produzione massiva lasciata al caso».
L.S.
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Il sistema di certificazione della sostenibilità ambientale ed equità sociale lungo la filiera florovivaistica (dai floricoltori ai fiorai) Fair Flowers Fair Plants, lanciato dall’Olanda e valido sia per fiori recisi che piante in vaso, si è affacciato per la prima volta in Italia a Genova durante la Europa Cup di Florint. Come ci ha spiegato Kitty de Bruyn, market manager di FFP, nessun soggetto della filiera italiana ne fa ancora parte, anche se 30 produttori aderiscono alla certificazione ambientale MPS.
Un sistema di certificazione e tracciabilità che assomma i requisiti della sostenibilità ambientale e quelli dell’equità sociale lungo tutta la filiera del florovivaismo: dai produttori di piante o di fiori recisi passando per i commercianti fino ai fioristi. Si chiama Fair Flowers Fair Plants (Fiori Equi Piante Eque), in sigla FFP, e poggia su una fondazione con base a Honselersdijk in Olanda che ha come scopo la diffusione del rispetto dell’ambiente e di eque condizioni di lavoro nell’ambito del florovivaismo.
In Italia non ha ancora attecchito, nel senso che nessun floricoltore né commerciante di fiori né fioraio italiano se ne può fregiare. Eppure potrebbe essere allettante, visto l’interesse che suscitano sul mercato i prodotti con certificazioni ambientali e di equità. Forse anche per questo, durante la manifestazione tenutasi al porto antico di Genova nei giorni scorsi per l’Europa Cup 2016 dei fioristi di Florint, Fair Flowers Fair Plants era presente, per la prima volta in Italia, con una postazione. Abbiamo chiesto al market manager Kitty de Bruyn, incontrata durante la conferenza stampa di Florint del 9 aprile, di introdurci brevemente nell’universo FFP.
Come è nato il sistema Fair Flower Fair Plants?
«Il sistema FFP risale a 10 anni fa, ma da circa 3 anni si è unito con il sistema di certificazione MPS (per la qualità sostenibile nel settore orto-florovivaistico, ndr). Il sistema MPS è, sostanzialmente, un sistema di certificazione della sostenibilità per i produttori di piante e fiori basato sulla registrazione in base a una serie di requisiti in termini di fitofarmaci impiegati, livello dei consumi energetici e dell’acqua, ecc. Si possono raggiungere differenti status: dal migliore MPS A, al peggiore MPS C. Per entrare nel sistema Fair Flower Fair Plants un produttore deve avere una certificazione ambientale di status MPS A, il più alto, nel sistema MPS. E deve anche avere una certificazione sociale. Questi due standard ambientale e sociale, insieme, definiscono una etichetta di sostenibilità».
Mi può spiegare meglio chi può ambire all’etichetta FFP?
«Tutti gli attori della filiera (produttori, grossisti e fiorai) possono essere membri di FFP. Il sistema consente al consumatore di conoscere le informazioni relative alla provenienza del singolo prodotto…».
Quanti sono i fiorai e i produttori che hanno aderito al sistema FFP?
«Nel mondo 140 produttori, circa 50 grossisti e intorno al migliaio di fiorai. In Italia nessuno (Anche se c’è una trentina di produttori che hanno il MPS ambientale). Ma esistono grossisti stranieri che possono consegnare fiori certificati FFP in Italia».
Come mai siete a Genova per l’Europa Cup?
«Siamo qua per raccontare ai fioristi internazionali e italiani in gara la storia di FFP e che anch’essi potrebbero raccontarla ai consumatori, essi potrebbero raccontare che i prodotti certificati FFP sono coltivati nel rispetto della natura e nel rispetto delle condizioni di lavoro nei vivai».
Quali sono i vantaggi commerciali dei prodotti FFP, avete dei dati in proposito?
«C’è stata una ricerca in Germania e il risultato è che se i fiorai propongono prodotti sostenibili, prodotti FFP, ai consumatori, il 10% di questi vogliono comprare più prodotti sostenibili. Ma è necessario spiegare di che si tratta, dare informazioni ai consumatori».
Quanto costa aderire al sistema FFP?
«Per i fioristi costa 95 euro all’anno e…».
Ma ci sono vincoli, che so, su una percentuale di piante e fiori FFP da vendere?
«No, ma bisogna venderne di prodotti FFP. Tutti i negozi di fiorai membri sono visibili nel sito web www.fairflowersfairplants.com ».
Ai produttori quanto costa aderire?
«Dipende da quanto grande è, dalle dimensioni dell’azienda, ma si sta tra i 95 e i 500 euro all’anno».
E quali sono, in sintesi, gli obblighi del produttore?
«Se il produttore diventa un produttore FFP deve produrre solo in maniera sostenibile ed equa, ma i suoi prodotti possono essere venduti a chiunque li voglia (non solo a commercianti FFP, ndr), ma…».
Dunque il sistema vale sia per fiori recisi che per piante in vaso, vero?
«Sì, anche per ortaggi».
Ha qualche spiegazione sul perché nessun soggetto italiano della filiera florovivaistica è entrato in FFP?
«Intanto va ricordato che in Italia ci sono 30 produttori con la certificazione MPS. Mah, io credo che l’etichetta sia ancora sconosciuta, penso che il problema sia questo».
Il sistema Fairtrade è un vostro concorrente?
«In parte, ma è più rivolto alla parte sociale e ai Paesi in via di sviluppo».
Lorenzo Sandiford
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- Scritto da Andrea Vitali
Con la nuova varietà bianca e adatta al vaso 18, l’Istituto regionale per la floricoltura di Sanremo, spiega il direttore Margherita Beruto, porta avanti il percorso di ricerca e innovazione sulle margherite in vaso. In ambito fiore reciso si punta sull’elleboro (la rosa di Natale), con 5 varietà brevettate e 10 aziende che provano a produrle.
«Il nostro fine è dare supporto alle aziende del territorio, in particolare quelle del comparto florovivaistico. E lo facciamo da una parte sviluppando delle ricerche in collaborazione con loro, dall’altra fornendo dei servizi specialistici. Il nostro campo di azione va dalla fitopatologia (e quindi patologia, assistenza e gestione colturale) al discorso di ibridazione, propagazione, gestione del prodotto in vista di prove pre-commerciali. Lavoriamo in stretta sinergia con le aziende del territorio».
A parlare è Margherita Beruto, direttore dell’Istituto regionale per la floricoltura di Sanremo (Irf), sentita da Floraviva durante la manifestazione organizzata a Genova lo scorso sabato per le finali del Campionato europeo dei fioristi di Florint. L’Irf è un ente strumentale della Regione Liguria senza fini di lucro, a cui la Regione dà un contributo annuale di funzionamento e che ha altri introiti derivanti dai soggetti aderenti, dai progetti e dai servizi offerti o accordi di vario genere con i produttori. L’Istituto per la floricoltura dispone di una superficie destinata a laboratori e uffici di 700 mq e una di coltivazione di 10 mila mq adibita a colture in ambiente protetto e pieno campo; inoltre possiede strumentazioni per le sperimentazioni e camere di crescita per una produzione di circa 100 mila piante in vitro. L’organico è di una trentina di persone fra dipendenti e collaboratori e l’Irf siede nel Comitato del Distretto rurale florovivaistico del Ponente, oltre a collaborare con tutte le strutture che sono presenti nel territorio, sia nazionale che regionale.
«In particolare la nostra filosofia di lavoro – aggiunge Margherita Beruto - è di lavorare anche in stretta sinergia con la produzione, perché tutte le nostre ricerche e tutti i nostri servizi devono avere la finalità molto concreta di servire alle aziende».
Lavorate sia nel comparto del reciso che in quello della piante in vaso?
«Il nostro campo d’azione è sia reciso che piante in vaso. Sulle piante in vaso stiamo lavorando principalmente sulla margherita e abbiamo ottenuto degli ibridi che sono naturalmente compatti, quindi non necessitano di regolatori di crescita, che già da un po’ di anni sono presenti sul mercato, e proprio questa settimana abbiamo ottenuto una nuova varietà».
E’ già stata lanciata questa varietà?
«E’ stata depositata la richiesta della protezione brevettuale…»
Quando esattamente?
«Ai primi di aprile è stata depositata la richiesta di brevetto. E’ una nuova varietà adatta al vaso 18, di colore bianco, nelle prossime settimane tra l’altro faremo anche delle “porte aperte” su tutti i diversi cloni che abbiamo. Abbiamo circa un centinaio di cloni nuovi: da quelli più compatti a quelli più vigorosi, da quelli colorati a quelli bianchi. Quindi per riprendere la sua domanda, riguardo alle piante in vaso, noi lavoriamo molto sulla margherita».
E riguardo al reciso invece?
«Abbiamo iniziato un lavoro sull’elleboro, che è una pianta su cui noi stiamo puntando molto adesso..»
Ma questa, la cosiddetta rosa di Natale, non è in vaso?
«Eh, inizialmente il nostro discorso era rivolto al vaso. Però in questi ultimi anni la nostra attenzione si è rivolta particolarmente al fiore reciso, perché il vaso è estremamente conosciuto e prodotto nel nord Europa, ci sono delle produzioni estremamente importanti. E quindi per poter penetrare quel tipo di mercato molto forte bisogna avere nelle mani qualcosa di veramente unico e distintivo, che in questo momento noi non eravamo così forti da poter produrre. Mentre lo stelo reciso che sulle aste olandesi registra quantitativi di circa 1 milione e mezzo di steli annuali (di Helleborus, ndr), con una vendita e produzione abbastanza stabile ma da parte di un numero piuttosto ristretto di aziende – che noi fra l’altro abbiamo anche visitato in Olanda -: tutto questo ci ha fatto capire che poteva esserci uno spazio commerciale e produttivo per le nostre aziende. Ora però c’è un problema con l’elleboro».
Quale?
«Le selezioni condotte da colleghi olandesi sono evidentemente selezionate per il clima olandese e l’elleboro soffre tantissimo il caldo, il periodo estivo. Quindi la sfida è stata quella di trovare delle selezioni che fossero adattate anche alle temperatura del nostro clima. E poi fare degli incroci ibridi interspecifici, che abbiamo fatto prendendo anche delle specie selvatiche che naturalmente possono crescere in Sardegna, in Greca, cioè in zone che sono molto più simili al nostro clima. Abbiamo fatto ibridi interspecifici, ibridi che sono venuti poi normalmente attraverso la semina oppure sono stati recuperati attraverso le tecniche in vitro di embryo rescue (di recupero dell’embrione) e di sviluppo successivo delle piante. Abbiamo sviluppato dei protocolli di moltiplicazione in vitro, perché è una pianta a lenta crescita, a lenta propagazione, e, per arrivare sul mercato con un’omogeneità, abbiamo bisogno dei numeri. Quindi la micropropagazione - come è successo nel caso del ranuncolo, che è un altro nostro lavoro fatto negli anni -, abbiamo sviluppato questo protocollo per avere delle varietà».
E che risultati avete ottenuto?
«Adesso il nostro portfolio varietale presenta cinque varietà che sono depositate e abbiamo il brevetto: Francesco, Guapa, Mapada, Domingo e Nikita. In modo particolare Nikita e Francesco, che sono quelle che si trovano, insieme a Mapada, all’entrata (della manifestazione per l’Europa Cup dei fioristi, ndr). Mapada è colorata. Ci sono poi Francesco e Nikita, che sono particolarmente adatte alle condizioni delle nostre aziende».
Sono già in produzione?
«Sono in una produzione pre-commerciale, nel senso che abbiamo una decina di aziende che l’hanno provata in diverse condizioni (per la precisione, a queste 10 aziende, come ha spiegato poi Beruto, sono state consegnate 6 mila piantine micro propagate di 20/30 cm, ndr). Siamo stati anche provocatori in questo, perché siamo partiti da zone dell’entroterra senza protezione, per arrivare alla costa, serre che magari non venivano più coltivate a pianta da foglia, le abbiamo riconvertite come le foto che avete visto qua. E con i nostri coltivatori stiamo cercando di incominciare a fare delle prove commerciali».
Quando pensate di fare le prime produzioni vere e proprie?
«Le prime produzioni e le prime vendite in effetti, di Francesco e Nikita, ci sono già. Perché i nostri coltivatori, evidentemente, devono poterci dire questo materiale va bene o non va bene; e certamente ce lo dicono: la coltivo bene, ho un buon prodotto. Da quel punto di vista abbiamo delle ottime condizioni. Però, perché un prodotto si possa dire veramente che va, si deve vendere».
E come stanno andando queste prime vendite?
«In questo momento c’è stata qualche prima raccolta lo scorso anno, ma era il primo anno. Tra l’altro è stata abbastanza importante perché, consegnate le piante ai coltivatori in aprile-maggio, abbiamo avuto le prime raccolte già in gennaio-febbraio, il che è abbastanza notevole, cioè significa che sono dei genotipi estremamente vigorosi, estremamente ben selezionati e adattati, perché a volte i semenzali, soprattutto quelli che derivano dal Nord Europa, ci mettono anche due o tre anni prima di riuscire a fiorire. Quest’anno c’è stata la prima raccolta. Siamo ancora in fine di stagione, perché i nostri ibridi sono Niger corsicus. La fioritura è iniziata più o meno a metà di gennaio e tutt’ora stanno vendendo. Quindi faremo un primo punto il prossimo mese. Certamente siamo tutti consci del fatto che abbiamo bisogno di un’attività anche di promozione, abbiamo bisogno di una pianificazione strategica, abbiamo comunque degli imprenditori che cominciano ad avere un interesse anche nello svilupparli da un punto di vista imprenditoriale. Quindi, sostanzialmente, come istituto stiamo cercando di incentivare la filiera».
Prima di chiudere l’intervista, Margherita Beruto aggiunge una puntualizzazione:
«Riguardo all’elleboro, va ricordato che alcune foglie di queste varietà sono molto belle e sono state utilizzate per fare dei bouquet, e quest’anno sono arrivate anche al Festival di Sanremo».
Lorenzo Sandiford
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Intervista al coordinatore del Distretto agricolo florovivaistico del Ponente, a Genova per il Campionato europeo dei fioristi di Florint. Alessandro Lanteri auspica collaborazione fra i distretti italiani e spiega che in Liguria si punta a strategie diverse nei due comparti del fiore reciso e delle piante in vaso, che si spartiscono a metà i circa 250 milioni di volume d’affari annuo (all’85% da export). Fra gli obiettivi, far conoscere le varietà di fiori liguri, ancora sconosciute in molte parti d’Italia.
«Noi vorremmo incominciare a lavorare meglio e di più con gli altri distretti italiani, perché ogni distretto ha le sue peculiarità. Noi siamo specializzati verso l’export, sul reciso e sulle aromatiche. Ci sono altri distretti, come quello di Pistoia che è più specializzato sulle piante ornamentali, c’è Pescia che è più conosciuta per i fiori estivi, c’è Canneto sull’Oglio (Mantova, ndr) che fa alberi d’alto fusto, ecc. Però dobbiamo fare un po’ squadra fra tutti noi, perché siamo tutti piccoli alla fine, noi distretti italiani coltiviamo dei piccoli gioielli e dobbiamo imparare a collaborare fra di noi. Nel nostro piccolo qua in Liguria abbiamo incominciato a farlo, anche se al nostro interno ci sono una ventina di componenti. L’importante è capire sempre il punto di vista di tutti».
E’ il finale dell’intervista di Floraviva ad Alessandro Lanteri, dal 2008 coordinatore del Distretto Florovivaistico della Liguria (Distretto Agricolo Florovivaistico del Ponente, legge regionale 42/2001), sentito in occasione della Europa Cup 2016 dei fioristi a Genova sabato scorso, subito dopo i rappresentanti del Mercato dei fiori di Sanremo (vedi nostro servizio). Una conversazione in cui il coordinatore del distretto, che si distende a ponente nelle provincie di Savona e Imperia e che era presente alla manifestazione floreale organizzata da Florint con uno stand istituzionale, ci ha illustrato le caratteristiche di questa realtà di punta del florovivaismo italiano e le principali strategie per il futuro.
«Noi ci occupiamo di una realtà un più vasta del Mercato dei fiori di Sanremo – ha esordito Lanteri -, nel senso che all’interno della nostra filiera rientrano anche gli istituti di ricerca, gli ibridatori e soprattutto tutta l’altra parte di produzione ligure, che sono le piante in vaso. Quindi le piante grasse, le piante aromatiche e le piante fiorite che vengono qui prodotte»
Perciò anche le famose aromatiche?
«Sì. La zona di Albenga è la zona regina del mondo per la produzione delle piante aromatiche».
Il Distretto della Liguria quali territori copre esattamente?
«Il nostro distretto copre tutta la Regione, però il 99% della produzione è racchiuso nell’estremo Ponente, diciamo che parte da Finale Ligure e arriva fino al confine con la Francia».
Quante aziende in tutto?
«In totale circa 3500 aziende, includendole tutte: di produzione, ibridatori, commerciali, di servizi ecc. Per un totale di occupati che calcoliamo intorno ai 15 mila dipendenti e un giro di affari di circa 250 milioni di euro l’anno».
Quanto è attribuibile al reciso e quanto alle piante in vaso?
«Metà e metà. Varia a seconda degli anni per questioni climatiche, di mercato ecc., però diciamo che la produzione del vaso savonese e la produzione del reciso sanremese sono sostanzialmente equivalenti, bilanciate».
Quindi se il giro d’affari del reciso a livello distrettuale è sui 120 milioni di euro e il mercato di Sanremo sui 10 milioni di euro, esso, pur importante, incide solo per un 10%, o sbaglio?
«Sì e no, nel senso che lì ovviamente si tratta del valore del prodotto reso al commerciante, il quale poi rivende, dopo il trasporto, il confezionamento ecc., a un prezzo ancora maggiore al cliente finale».
Ma voi come calcolate il volume d’affari?
«Noi calcoliamo in plv (prodotto lordo vendibile), che equivale, semplificando, al prezzo all’ingrosso. Poi, ovviamente, dipende dal tipo di prodotto, perché se è un fiore vale in un modo, se è un bouquet per il supermercato va contato in un altro modo, se è una pianta, se è un bulbo, ecc. Ci sono tante variabili da considerare».
Come sta andando il distretto?
«Quest’anno direi che sta andando molto bene, per varie circostanze, la parte del settore reciso. La stagione per il vaso è ancora in corso, perché parte leggermente dopo. L’inizio è stato un po’ zoppicante, ma mi sembra che negli ultimi giorni si stia riprendendo. Il mercato delle aromatiche è stato un po’ complicato a causa del freddo nei Paesi di destinazione».
In che senso, non compravano?
«Sostanzialmente no, perché in pratica le piante aromatiche vengono poi seminate al 99% nei giardini in Germania e Nord Europa quando la neve se ne è andata. Altrimenti loro non comprano. Ma una cosa importante da sottolineare riguardo alla produzione ligure è che è per circa l’85% export».
Dove esattamente?
«Il grosso in Paesi di lingua tedesca».
E in Francia che è vicina?
«In Francia qualcosa, ma generalmente siamo rivolti verso Paesi del nord Europa: Germania, Olanda, Scandinavia e poi a seguire tutti gli altri. Però ci sono spedizioni giornaliere che arrivano anche in Giappone e negli Stati Uniti».
Quali prodotti arrivano così lontano?
«A lunga distanza sono solo fiori recisi o qualche varietà peculiare di piante grasse».
Finora abbiamo parlato dell’andamento di quest’anno. Ma come si è chiuso il 2015?
«L’anno scorso è andato molto bene per il fiore reciso, mentre è stata un’annata nella norma per le piante in vaso».
E in cifre?
«Guardi il problema serio che abbiamo è avere dati aggiornati. Però abbiamo le nostre fonti di informazione, che ci consentono di avere un polso del mercato».
Quali strategie avete per il Distretto florovivaistico della Liguria?
«Prima cosa, si tratta di strategie diverse a seconda della tipologia di prodotto. Per quello che riguarda le piante in vaso vogliamo sicuramente far partire una Igp per tutelare il nostro prodotto e caratterizzarlo maggiormente per quanto riguarda la provenienza territoriale».
Sta parlando di tutte le piante in vaso?
«Partiamo dalle aromatiche e sarà un processo lungo e complicato, perché poi il catalogo è molto ampio. Ma non ci spaventiamo, perché abbiamo dei validi istituti di ricerca».
Dunque un marchio di distretto o regionale?
«Sarebbe l’Igp della pianta aromatica di Albenga, che sarà coltivata in un territorio di cinque o sei Comuni, quindi è estremamente locale».
E, mi diceva, sul reciso..
«Poi, invece, per quello che riguarda il reciso, visto che alla fin fine per il fiorista il reciso prodotto da noi è un semilavorato, perché il prodotto finito poi lo confeziona giustamente il fiorista. E qui si tratterà di far conoscere meglio i nostri prodotti, perché abbiamo l’impressione che tanti nostri prodotti non siano abbastanza conosciuti dai fioristi. Abbiamo un’ampia gamma di verde che bisogna far conoscere meglio e che è disponibile sostanzialmente tutto l’anno».
Cosa intendete precisamente con “verde”?
«Per noi il verde sono fronde, foglie, bacche e questo mondo qua. Dopo di che si cercherà di passare a far conoscere meglio nelle zone in cui non sono ancora presenti le nostre nuove varietà dei prodotti tipici, principalmente ranuncolo, anemone e papavero. Perché sono molto conosciute in alcuni Paesi, ad esempio in Germania, ma non dappertutto. E paradossalmente i nostri prodotti non sono ancora ben conosciuti neanche in Italia».
Ecco sembra che la vostra partecipazione con uno stand qui alla Coppa Europa dei fioristi rientri in questa strategia di promozione dei prodotti anche all’estero?
«Esatto».
In che modo vi state presentando? E le pare che stia funzionando, che il feedback sia positivo?
«Noi siamo venuti qua a presentare i nostri prodotti nella maniera più semplice possibile. Il che vuol dire: qua ci sono i migliori fioristi di Europa che si contendono il titolo. Abbiamo dei dimostratori che stanno facendo nell’auditorium delle cose eccellenti. Noi presentiamo il nostro prodotto semplicemente, così come i fioristi lo potranno ricevere ed usare nel loro negozio. In modo che tutti possano avere delle informazioni esatte sulle varietà che abbiamo. La risposta è positiva nel senso che tanti non le conoscevano bene e le stanno apprezzando».
Si sta riferendo ai fioristi stranieri?
«Sì, anche perché qua i visitatori sono al 70% stranieri, ma non vogliamo certo scordarci dell’Italia».
Lorenzo Sandiford