Un albero, fiore, pianta per...

Battezziamo la rubrica “Un albero per…” nel nome di una figura storica del florovivaismo di Pescia, Stefano Papini, che ci ha lasciati sabato 8 gennaio 2022 all’età di 96 anni. Un vero decano del settore, come è stato definito da il Floricultore, e sia del comparto floricolo che vivaistico. Un agricoltore che ha partecipato da protagonista, insieme ad altri e in qualche caso prima degli altri, all’intero percorso evolutivo dell’ortoflorovivaismo della Valdinievole nel secolo scorso e nei primi vent’anni del Duemila.
Sì, perché come hanno raccontato a Floraviva i figli Marco e Stefania, che da tempo hanno in mano le redini dell’azienda di famiglia, la Società Agricola Fratelli Papini di Pescia, Stefano, nell’arco del suo quasi centenario percorso professionale di florovivaista curioso e sempre al passo coi tempi (quando non da vero e proprio precursore), ha iniziato negli anni Venti del ‘900 apprendendo dal padre i segreti dell’olivicoltura e dell’orticoltura, poi è passato negli anni ‘50/60 insieme ai fratelli Giocondo e Piero alla produzione di fiori recisi (in particolare garofani) e successivamente, negli anni ’70, alle piante ornamentali in vaso, sia verdi che da fiore, continuando a venire in vivaio fino all’anno scorso. «Si è distinto come ibridatore di garofani – spiega Stefania – e ha partecipato a tutte le biennali del fiore di Pescia e a tutte le edizioni del Flormart di Padova. E in seguito ha avuto la lungimiranza per primo di passare dai fiori alle produzioni in serra delle piante ornamentali», fra le quali spicca la produzione di mimose, di cui è stato un vero pioniere a Pescia, come sottolinea Marco.
Tuttavia, quale pianta per ricordarlo scegliamo, su suggerimento anche di Stefania e Marco, un albero: l’ulivo. Non per seguire il recente, positivo fenomeno delle donazioni e adozioni di olivi, ma perché l’olivo è stato davvero il filo conduttore della sua carriera di florovivaista. Ha iniziato da bambino imparando dal padre l’arte dell’innesto e ha continuato per tutta la vita a produrre piante di olivo. «Sempre partendo dalla semina – ha precisato Stefania -, per poi fare i selvatici e quindi innestare sui selvatici. E negli anni ’80 abbiamo abbandonato la produzione in terra passando al 100% alla produzione in vaso». Quali cultivar di piante di olivo? «Un po’ tutte le più comuni come Leccio, Frantoio, Pendolino, Moraiolo, Leccio del corno ecc. – rispondono Marco e Stefania -. Ma anche Taggiasco, che è ligure, e Bianchera che è del Friuli Venezia Giulia».
Ma Floraviva, facendo tesoro di un simpatico aneddoto che ben testimonia la curiosità di Stefano Papini, preferisce puntare, quale “Un albero per… Stefano Papini”, su uno a piacimento degli olivastri millenari che si trovano intorno alla chiesa di Santa Maria Navarrese a nord di Arbatax in Sardegna. Come complesso di alberi rappresentano un monumento naturale (fanno parte dell’elenco ufficiale nazionale) e sono considerati fra i più antichi d’Europa. Li scegliamo perché, come riferitoci dalla figlia, Stefano Papini, ebbe modo di recarsi a Santa Maria Navarrese e «fare delle talee dagli olivagnoli millenari che si trovano in quella zona, tant’è che ancora oggi abbiamo una piccola produzione di olivi di Santa Maria Navarrese».
[Foto da Wikipedia, di Mila Urteko, CC BY-SA 4.0. Modificata]

L.S.

Il tuo albero preferito o che per qualsiasi ragione hai donato, attraverso una delle tante iniziative attivate negli ultimi anni per promuovere piantagioni di alberi contro il cambiamento climatico e i suoi effetti, a qualche persona cara, viva o scomparsa, oppure alla tua città o a qualunque altro soggetto pubblico.
Una specie arborea di cui conosci le proprietà benefiche (o venefiche) per la salute umana o l’ambiente, secondo criteri scientifici oppure leggende del nostro territorio o di Paesi lontani, e che vuoi divulgare.
Ma ci possono essere tanti altri motivi per completare l’incipit e svelare che cosa si nasconde dopo “Un albero per…”.

Usa le tue competenze, se scegli l’approccio serio o scientifico.
Libera la fantasia, se invece preferisci un taglio d’invenzione e artistico o umoristico.
L’importante è che tu parli di un albero indicandone una funzione, oggettiva o soggettiva, realistica o fantastica.

Invia il tuo testo a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. chiedendo la pubblicazione nella rubrica “Un albero per…” e abbi un po’ di pazienza, perché i testi accettati non saranno pubblicati all'istante.
E ricordati che non si tratta di una rubrica solo per testi dei lettori, ma che alterna contributi esterni ad articoli della redazione e dei suoi collaboratori e registri stilistici i più disparati.

Leggi prima però le brevi istruzioni qua sotto.

Regolamento:
- il testo non deve costituire una prestazione professionale a pagamento, ma viene ceduto a titolo gratuito;
- colui che scrive può scegliere se mantenere l’anonimato o veder comparire la propria firma in fondo al testo, che non sarà ritoccato se non su esplicita richiesta dell’autore, eccetto che di fronte a evidenti refusi o sviste ortografiche che saranno corrette;
- colui che invia un testo può inviare anche una (o più) foto dell'albero di cui si parla in esso, purché da lui scattate e di sua proprietà, e purché disposto a cederne l’utilizzo a tempo indeterminato a Floraviva (che scriverà nel testo il nome e cognome di chi ha scattato la foto e altre brevi note informative su di essa, dal titolo alla data);
- Floraviva si riserva di scegliere a suo insindacabile (e non necessariamente azzeccato) giudizio quali tra i testi ricevuti saranno pubblicati;
- Floraviva si riserva di scegliere a suo insindacabile (e non necessariamente azzeccato) giudizio quali fra le foto ricevute saranno pubblicate, indipendentemente dalla sorte che toccherà al testo che accompagnano.

L.S.

Si chiameranno “Un albero per…” e “Una pianta per…” e sono le due nuove rubriche gemelle di “Un fiore per…”, nata da un’idea di colui che scrive nell’ormai lontano ottobre del 2011, quando la rivista Floraviva di Andrea Vitali, editore residente in Valdinievole, era più centrata sulla floricoltura e tutta la filiera del fiore (senza mai trascurare però il contesto in cui si inserisce: dall’agricoltura e l’ambiente sino alla cultura).
Come descritto nel primo articolo, “Un fiore per… scrivilo tu” (vedi), a contraddistinguere la rubrica dovevano essere tre aspetti: a) sul piano del contenuto, la focalizzazione sulle funzioni dei fiori – in senso lato, a includere tutti gli usi, persino le semplici dediche - e quindi la sua natura molto, infinitamente varia quanto ad argomenti e approcci; b) dal punto di vista produttivo o, per usare un termine più ampio e nobile, “generativo”, l’assenza di un autore fisso con l’apertura a contributi di esterni (secondo il regolamentino tracciato nel primo articolo sopra citato); c) dal punto di vista stilistico, una potenziale eterogeneità assoluta di registri, grazie anche ma non solo all’ipotizzata pluralità di autori.
Le cose non sono andate esattamente come prefigurato dallo scrivente, perché i contributi di autori esterni occasionali, seri o giocosi, profondi o leggeri, sono stati pochissimi, nettamente inferiori alle attese (ma l’invito rimane valido: mandate testi e li pubblicheremo nei limiti del regolamentino del primo articolo della rubrica sopra citato). Però, nonostante ciò, gli articoli della rubrica, per quanto scritti in gran parte dalle medesime due o tre persone, sono stati ugualmente piuttosto eterogenei, adattandosi, secondo la logica implicita della rubrica, alle differenti funzioni e occasioni ispiratrici.
Ma non sono state considerazioni sull’andamento delle rubrica, che il suo egregio numero di visualizzazioni le ha pur (quasi) sempre progressivamente ottenute, a spingere l’editore Andrea Vitali a dare spazio alle due varianti o rubriche gemelle proposte: “Un albero per…” e “Una pianta per…”. Quanto invece due circostanze così riassumibili. Innanzi tutto, le due rubriche, nel corso del tempo, erano di fatto già nate, anche se non battezzate ufficialmente. Infatti, in più di un’occasione, anche sulla spinta della sempre maggiore attenzione riservata da Floraviva al vivaismo ornamentale e alla produzione di piante da esterno, è capitato di scrivere degli articoli intitolati “Una pianta per…” quando l’oggetto non erano piante da fiore, ma alberi o altri tipi di piante verdi. L’altra circostanza è stata l’imporsi e diffondersi, nella comunicazione aziendale di settore estera e italiana - ci piace pensare anche grazie al nostro piccolissimo contributo - e poi nell’editoria specializzata e non solo, di questo approccio al mondo delle piante in chiave funzionale, cioè dal punto di vista dei loro scopi e usi e benefici, in una parola, delle loro funzioni appunto. A queste due circostanze va aggiunto il trend più recente - che in passato era riservato prevalentemente alle nuove cultivar di piante da fiore - delle dediche, spesso collegate alle donazioni. Si fanno sempre più donazioni e dediche di alberi, di piante e persino di giardini e parchi e foreste.
Non si poteva più rimandare quindi l’apertura di questi due nuovi contenitori, la cui suddivisione terminologica e articolazione semantica è comunque, ovviamente, non priva di elementi critici e discutibili o, se preferite, da vari punti di vista banalmente arbitraria. Ma l’arbitrarietà, come sa chiunque abbia studiato un po’ di linguistica, è insita nelle lingue naturali stesse, nel linguaggio... Insomma, siamo ovviamente, pienamente, consapevoli che sono tutte piante… Però ci lasceremo guidare pragmaticamente e semplicisticamente, da un lato, dalla distinzione fra albero e il resto delle piante e, dall’altro, fra pianta da fiore (in cui il centro dell’interesse, almeno in quel determinato articolo, è il fiore) e il resto delle piante che non sono alberi. Così nella rubrica “Un fiore per…” da ora in poi scriveremo di fiori recisi ma anche di piante da fiore, nella rubrica “Un albero per…” di alberi e nella rubrica “Una pianta per…” di tutto il resto: arbusti, piante coltivate per recidere le fronde e piante fiorite in cui il fiore è secondario nelle prassi prevalenti. E potrà accadere, ad esempio, che una pianta da fiore di cui si è già parlato nella rubrica “Un fiore per…” in relazione a certi usi venga in seguito trattata come pianta tout court, e senza considerare la fioritura, con riferimento ad altre funzioni nella rubrica “Una pianta per…”. Perché, appunto, queste tre rubriche non hanno lo scopo di distinguere specie vegetali ma di raccontare usi di quelle cose che comunemente chiamiamo fiori, alberi e piante. E dunque, concludendo, sarà la funzione in primo piano nell’articolo a determinarne la collocazione in una delle tre rubriche. In altri termini, anche qualora i contenuti di certi articoli fossero di alto livello scientifico e botanico, magari in quanto scritti di pugno proprio da scienziati ed esperti, si inserirebbero in una cornice editoriale (le tre rubriche) basata su criteri prima di tutto comunicativi, non botanici o agronomici. Sta proprio in questa formula la nostra scommessa divulgativa.               

Lorenzo Sandiford

gelso di Vannucci Piante alla Fondazione Collodi
Alla vigilia della Giornata nazionale degli alberi e della concomitante Festa dell’albero di Legambiente, anzi due giorni prima, nell’area in cui la Fondazione Nazionale Carlo Collodi sta allestendo la fattoria didattica di Pinocchio è stato piantato un albero di gelso donato da Vannucci Piante, l’azienda leader del distretto vivaistico pistoiese.
Alla cerimonia per la messa a dimora di questo esemplare di Morus alba, che è solo il primo di un piccolo gelseto che sarà creato lì a Collodi accanto alla statua di Pinocchio più alta del mondo e non ha quindi un significato simbolico generale legato alla celebrazione del ruolo degli alberi ma uno più specifico riguardante la sericoltura, hanno partecipato, oltre al presidente della Fondazione Collodi Pier Francesco Bernacchi, Vannino Vannucci, titolare dell’azienda donatrice, il responsabile marketing della stessa azienda Andrea Massaini e una classe dell’Istituto Sismondi-Pacinotti di Pescia (Collodi è una frazione del Comune di Pescia, in provincia di Pistoia) con le docenti Sonia Capecchi ed Emilia Marcori. L’obiettivo dell’iniziativa è inserire e valorizzare Collodi, che ha una tradizione importante di gelsibachicoltura risalente al 1300 e durata fino a circa la metà del secolo scorso, nel progetto della Via Europea della Seta a cui stanno lavorando anche otto provincie italiane fra cui quella di Lucca (ma non nell’odierna dimensione: il riferimento è alla Lucca del XIX secolo che abbracciava anche Collodi e il territorio pistoiese). Come è stato spiegato, a Collodi si trovava infatti la più grande delle tre filande storiche lucchesi dell’epoca e la Fondazione Collodi ha sede in una villetta che era appartenuta alla famiglia Arcangeli, titolare di quella filanda, che sorge qui vicino. 
Dunque la pianta al centro della nostra attenzione è stavolta il gelso o più precisamente la specie gelso bianco o Morus alba, delle cui foglie si nutrono i bachi da seta. Una specie originaria della Cina e della Corea caratterizzata dall’accrescimento piuttosto rapido che raggiunge fra i 15 e i 20 metri di altezza e i cui frutti, chiamati sorosi, sono commestibili, anche se meno gustosi di quelli del gelso nero o Morus nigra, tant’è che l’impiego del Morus alba come albero da frutto è sempre stato di scarsa rilevanza, pur esistendo diverse varietà selezionate a questo scopo con frutti migliorati e più pregiati. Alcune varietà dal fogliame particolare sono utilizzate come piante da giardino. A rendere interessante il gelso bianco come pianta ornamentale, sostiene Wikipedia italiana, sono sia il portamento sia il colore dorato del fogliame in autunno e a tale scopo ne sono state selezionate alcune varietà pendule, come ad esempio la popolare Morus alba v. ‘Pendula’, con chioma espansa e rami ricadenti. In Emilia-Romagna il legno di questa pianta è impiegato nella produzione dell’aceto balsamico tradizionale di Modena, utilizzato per la costruzione di botti che conferiscono un particolare aroma al prodotto. Il gelso bianco è una pianta rustica e resistente che si ammala di rado, ad eccezione dei vecchi esemplari nei quali la carie del legno è piuttosto comune. Come sottolineato da Wikiepdia americana, Morus alba è ampiamente coltivato in tanti paesi fra cui Stati Uniti, Messico, Australia, Argentina, Turchia, Iran e India per l’allevamento dei bachi da seta (attività che nell’originaria Cina risale a ben 4700 anni fa) e si contraddistingue per il rapido rilascio del suo polline, che viene lanciato a più della metà della velocità del suono, il movimento più veloce nel regno vegetale. Gli alberi di Morus alba ‘Pendula’ sono stati ampiamente utilizzati come arredi urbani in alcune aree degli Stati Uniti, sia per l’ombra che per l’estetica, ma il loro polline ha creato problemi in alcune città dove è stato incolpato dell’aumento delle allergie. Alcuni estratti sono stati suggeriti per i potenziali effetti benefici medici, ma mancano ancora sufficienti sperimentazioni cliniche per confermarlo. 


L.S.

Hibiscus syriacus
Per il National Garden Bureau, organizzazione non-profit statunitense che promuove la diffusione delle piante nelle case, nei giardini e nei luoghi di lavoro, questo è l’anno dell’«Hardy Hibiscus», l’ibisco resistente al freddo: «piante favolose a crescita rapida che esplodono con fiori simili a girandole delle dimensioni di piatti nella tarda estate» e che, anche se spesso confuse con le loro cugine tropicali, sono in grado di sopravvivere a diversi gradi sotto zero. Appartenenti al genere di piante fiorite Hibiscus, gli Hardy Hibiscus, come ricorda il National Garden Bureau, sono «ibridi riconducibili principalmente alla specie Hibiscus moscheutos», specie che «può essere trovata in crescita naturale nelle zone umide e lungo le rive dei fiumi in tutto il Midwest e la costa orientale, estendendosi fino al Texas e alla Florida». Un insieme di piante che include dunque specie native del Nord America (oltre a Hibiscus moscheutos anche Hibiscus laevis) e ibridi derivati da tali specie. 
Ma Floraviva vuole considerare come “Un fiore per… l’anno 2021” tutto il genere Hibiscus, non solo il sottoinsieme selezionato dal Garden Bureau. Questo sia perché da noi in Italia le specie più diffuse come piante ornamentali sono in primis l’Hibiscus syriacus (nella foto) e secondariamente l’Hibiscus rosa-sinensis, non gli Hardy Hibiscus, e poi perché altre notizie che lo rendono attuale quest’anno non hanno a che fare nello specifico con quest’ultima classe di ibischi diffusi in Nord America. 
Riguardo al genere Hibiscus, va ricordato innanzi tutto che comprende alcune centinaia di specie, 240 per Wikipedia italiana. E molteplici sono i significati e le simbologie a seconda della dell’area geografica, della cultura, della specie o del colore. Nelle sintesi di giardinaggio.net e giardinaggio.org, mentre in Europa è considerato il simbolo di una bellezza fugace, fragile e delicata da preservare, in America è associato alla fecondità e devozione e viene regalato alle spose. Dal 1923 il fiore dell'ibisco è il simbolo ufficiale dello stato delle Hawaii, dove esprime il buon auspicio e viene intrecciato in ghirlande colorate donate ai turisti. Nella tradizione, le donne hawaiane ne portano uno appuntato dietro all'orecchio: il sinistro se sono single, il destro se impegnate. In Cina, invece, l’albero e il fiore hanno due significati diversi: il primo incarna fama e ricchezza e viene regalato al compimento di un percorso di studi o una promozione sul lavoro; il secondo ha un valore propiziatorio di future nozze. Nella religione indù, invece, è il fiore sacro offerto a Kali e a Ganesha.
Venendo alle specie ornamentali più diffuse in Italia, ricordiamo che l’Hibiscus syriacus, originario della Cina ma raccolto in giardini siriani, come ricorda Wikipedia inglese, è il fiore nazionale della Corea del Sud ed è citato nell’inno nazionale sud-coreano. Si propaga sia tramite semi che tramite talee. Le piante di questa specie, rustiche e resistenti al freddo, dalle fioriture estive bianche, rosa, viola e lilla, sono impiegate quali piante ornamentali nei giardini, come alberelli isolati o come siepi, oppure in vaso nei terrazzi. Da luglio a ottobre producono fiori di 7/8 cm che durano circa un giorno ma vengono continuamente sostituiti. Questa pianta tollera temperature fino a -20 gradi centigradi, ma gradisce climi caldi e temperati. Negli anni sono state sviluppate centinaia di cultivar dai colori più vari, monocromatiche o variegate, a fiore singolo o doppio. 
La specie Hibiscus rosa-sinensis, anch’essa probabilmente originaria della Cina, è il fiore nazionale ufficiale della Malesia, dove viene chiamato “bunga raya” (fiore grande), ma informalmente anche di Haiti, dove viene molto usata nelle promozioni turistiche. Normalmente raggiunge i 3 metri di altezza, ma nei paesi d'origine (la Cina) può arrivare a 10 metri. Trattandosi di una pianta molto versatile, l’Hibiscus rosa sinensis si adatta sia alla coltivazione all’aperto sia a quella in vaso. Ama la luce solare, ma non diretta, per cui d’estate meglio mettere i vasi in luoghi riparati dal sole. D’inverno tenerlo in ambienti a temperature tra i 10° C e i 13° C. Esistono più di 1000 cultivar di questa specie.
Ma, dicevamo, a rendere attuale l’Hibiscus quest’anno contribuiscono anche notizie e articoli da fonti nostrane, non solo made in Usa. Come messo in luce, ad esempio, da un recente articolo su “Cook – racconti di cucina” del Corriere della Sera, l’ibisco, sebbene più famoso come pianta ornamentale che colora tanti giardini e adornava le donne tahitiane dipinte da Gauguin, è un vegetale molto versatile che può essere usato in cucina in tanti modi: per le insalate, i dolci, la granita e i drink. In particolare grazie alle piante della specie Hibiscus sabdariffa, detta “Rosella” o “Karkadè”, probabilmente originaria dell'Africa occidentale, le cui foglie sono una buona fonte di polifenoli. Da esse si ricavano, essiccando i calici dei fiori, delle bevande note come “tè di ibisco” o “Carcadè”. 
L’Informatore della Coop di Firenze, invece, in un recente pezzo su come coltivare l’ibisco sottolinea che «è amato dalle api, che lo visitano sia per il polline sia per il nettare, e pure le farfalle ne sono attratte», per cui «tenerne uno in giardino è favorevole all’ecosistema». Inoltre si sofferma sulla specie Hibiscus palustris, di origine europea, nota in Italia come ibisco palustre, che vive in zone umide e paludose, come stagni e laghetti, ed è diffuso in Italia «prevalentemente in Lombardia, Veneto, Toscana e Lazio». Essa può crescere fino a 2 metri di altezza e «si adorna di grandi fiori bianco rosati che arrivano a oltre dieci centimetri di diametro».
Infine, quasi a contrassegnarne simbolicamente per quanto casualmente l’attualità, come reso noto da Askanews il 30 luglio, una casa editrice fiorentina, Tessere, è tornata a pubblicare un romanzo di Elena Gianini Belotti intitolato Il fiore dell’ibisco. Sì, forse il 2021 è proprio l’anno dell’Hibiscus, sia oltreoceano che da noi.


L.S.