Ispirazioni

Jean-Martin Fortier ha iniziato con un piccolo orto per arrivare alla sua micro-azienda orticola che gli consente di avere un reddito, coltivando biologico.


Ovunque, nel mondo c’è bisogno di coltivazioni sane e locali che, allontanandosi dall’agricoltura industriale, tengano lontano anche tutti i problemi a essa legati: pesticidi, OGM, malattie… Nel suo libro “Coltivare con Successo” ci racconta la sua esperienza e ci spiega cosa dobbiamo fare per provare ad avere il nostro orto bio e, magari un reddito.
Jean-Martin e la sua compagna hanno iniziato la loro carriera con 1000 mq e vendendo ortaggi ai mercati contadini, attraverso il progetto CSA. L’orto era in affitto e così hanno limitato le spese in modo da coprire i costi e mettere qualcosa da parte per investire e fare qualche viaggio. Poi arrivò l’esigenza di mettere radici, per questo motivo il loro orto doveva generare un reddito maggiore ma, nonostante questo, decisero di non meccanizzare le operazioni colturali ma provare a intensificare la produzione lavorando in modo manuale. Il loro principio era: produrre meglio piuttosto che produrre di più.

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Attraverso ricerche sulle tecniche orticole e gli attrezzi più adatti alle loro esigenze e ai loro principi, sono riusciti a realizzare una micro-azienda produttiva, con un orto che rifornisce più di 200 famiglie ogni settimana.
Jean-Martin ci racconta come la loro strategia iniziale fosse basata sulla “bassa tecnologia”, per limitare i costi di avvio, così in pochi anni di attività l’azienda era già redditizia. Inoltre il loro stile di vita è restato immutato, la loro attività principale è coltivare ma facendo in modo che sia l’azienda che lavora per loro e non il contrario, per questo si sono definiti “giardinieri”, proprio per la loro scelta di usare attrezzi manuali.
Non coltivano campi ma orti, limitando l’uso dei carburanti fossili. Le loro attività s’ispirano alla tradizione orticola francese, con qualche influenza americana. E’ stato proprio il libro di un americano, “The New Organic Grower” di Eliot Coleman, che gli ha fatto capire che era possibile ricavare profitto dalle coltivazioni con meno di un ettaro. Per loro anche il trattore non è necessario, l’intensificazione delle coltivazioni diminuisce il lavoro di diserbo, e gli attrezzi manuali che adoperano sono molto sofisticati e rendono il lavoro più comodo. Alla fine il lavoro è produttivo ed efficiente, oltre che in sintonia con una vita più sana. La micro-agricoltura è ancora scoraggiata ma la mentalità piano piano sta cambiando.

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L’azienda di Fortier ha iniziato ad accogliere tirocinanti, ognuno con la sua motivazione specifica ma tutti ben determinati. Il contadino di famiglia sembra essere un mestiere gratificante, la fatica è ricompensata da tutte le famiglie che consumano regolarmente i loro ortaggi. E’ possibile guadagnare e vivere bene, questo è molto incoraggiante!
Un altro incoraggiamento ci arriva dai giardini di Chambord che, dal 2019, ha dedicato un appezzamento di 5 ettari per estendere e diversificare la produzione. I primi a beneficiare di questi orti sono i visitatori che possono provare i prodotti nei punti di ristorazione presenti nel Domaine de Chambord, ma questi piccoli orti produttivi giovano anche ai banchi alimentari locali. Questo progetto fa parte di un processo di sperimentazione e innovazione ispirato alle tecniche degli orticoltori parigini del XIX secolo, e alle tecniche legate ai terreni sabbiosi della Sologne.

Rubrica a cura di Anne Claire Budin

Un progetto innovativo dell’importante studio londinese del progettista Thomas Heatherwick ha portato 1000 alberi in uno dei quartieri più densamente vissuti di Shangai, e sono destinati ad aumentare e non solo in Cina…

Su un’ansa del fiume Suzhou Creek, a Shanghai, a dicembre 2021 è stato inaugurato un edificio dall’aspetto fuori dal comune, come una versione moderna dei giardini pensili di Babilonia. Due “montagne” artificiali ricoperte di alberi e altri elementi vegetali che, in realtà, sono parte di un edificio multifunzionale. Commissionato dall’holding Tian an China, il progetto è partito nel 2015 ed è destinato a estendersi ulteriormente.
Lo studio di Thomas Heatherwick firma il progetto “1000 Trees” che ora conta la presenza proprio di 1000 alberi e 250.000 mila piante, con un incredibile impatto green sul paesaggio cittadino. L’obiettivo dello studio Heatherwick è creare spazi confortevoli per chi vive e lavora in questo quartiere.
Il sito è legato al territorio grazie alla presenza di un parco pubblico e di un distretto artistico, “1000 Trees” è un punto d’incontro e dialogo tra arte, natura e architettura.

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Però gli alberi non sono una novità bensì sono essenziali alla vita, Thomas Heatherwick afferma in proposito: “Penso che al mondo dell'architettura possa piacere pensare che le cose siano mode passeggere, ma abbiamo bisogno di acqua, di aria, di alberi”.
Heatherwick ha sostenuto che alberi e piante devono essere sempre di più nelle città e che i principali sviluppi offrono l'opportunità di aggiungere più verde nelle aree urbane.
"Vai ovunque, dove sono costruiti nuovi edifici, e non c'è un equilibrio sufficiente con il mondo naturale".
Il prestigioso studio Heatherwick ha sede a Londra e vanta una squadra di 200 collaboratori, che si dedicano a rendere il mondo un posto migliore. La loro priorità è realizzare a progetti con un impatto sociale positivo, soprattutto nel loro lavoro non c’è nessun dogma legato al design, piuttosto la ricerca di soluzioni adatte alla realtà, che abbiano come guida l’esperienza umana.
In molti dei loro progetti cercano di integrare il più possibile la natura e, secondo loro, sarebbe utile che sempre più designer e architetti bilanciassero il proprio lavoro con il mondo naturale. L’integrazione degli alberi negli edifici è diventata sempre più popolare da quando Stefano Boeri, nel 2014, ha completato il suo grattacielo “Bosco Verticale” a Milano.

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Qualcuno ha messo in dubbio la pratica di integrare gli alberi negli edifici, definendola semplicemente decorativa. In un articolo su Dezeen l’accademico Philip Oldfield afferma che il carbonio presente nelle fioriere in cemento del progetto “1000 Trees” è superiore alla quantità di carbonio che gli alberi avrebbero assorbito. Mentre Heatherwick sostiene che questa pratica è qualcosa che rinnova e rinfresca, qualcosa che i pannelli in alluminio, i sigillanti siliconici e le grandi lastre di vetro non fanno.

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Per attirare l’attenzione su un’iniziativa per piantare nuovi alberi nel Regno Unito, lo Studio Heatherwick ha progettato “L’albero degli Alberi”, una scultura a forma di albero di 21 metri, installato a Buckingham Palace. La campagna Queen's Green Canopy, iniziata in occasione dei 70 anni di regno della regina, ha visto oltre un milione di alberi piantati nel Regno Unito da ottobre.
"Il nostro compito era di comunicare questa straordinaria iniziativa, mostrando che gli alberi sono i supereroi delle nostre città e paesi", ha affermato Heatherwick.
"E ogni architetto e progettista sa che le nostre città e paesi sarebbero esperienze estremamente impoverite se non supportiamo l'equilibrio dell'ambiente costruito con l'ambiente naturale", ha continuato.
"E quindi qualcosa che sta cercando di far luce su questa importante questione e vale la pena farlo."

Rubrica a cura di Anne Claire Budin

E’ praticata ancora oggi la raccolta delle olive da famiglie e piccole aziende agricole, un lavoro che negli ultimi decenni ha visto delle migliorie ma che resta sempre faticoso. Uno sguardo nostalgico ma non troppo al suo passato.

Se ci fermiamo a osservare con attenzione le vecchie fotografie della raccolta delle olive, ci accorgiamo di quante informazioni possono darci riguardo il modo di raccolta e sugli usi e costumi legati al territorio e alla società contadina.
Oggi abbiamo le reti, le piante di ulivo sono quasi sempre basse e ben potate, esistono turboventilatori e altri attrezzi meccanici e manuali che ne facilitano la raccolta e, soprattutto, è impossibile vedere, tra muri a secco e viottoli, intere comunità lavorare collettivamente intente alla raccolta di questo frutto prezioso.

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Le piante in passato erano molto più alte, così come le scale di legno impiegate che, a guardarle in queste foto in bianco e nero, fanno una certa impressione. I terreni sottostanti gli olivi erano puliti o meglio lavorati, soprattutto in pianura ma, anche negli uliveti collinari, venivano dissodati se non usati come pascolo per gli animali, ma quello che attira di più l’attenzione è il numero di persone che in passato era coinvolto in questa attività legata a un breve periodo dell’anno. Si capisce come fosse un lavoro molto più duro di quello che è oggi, come tutti i lavori dei campi ma che vedeva la partecipazione di tutta la comunità. I braccianti agricoli, tradizionalmente sottopagati, erano affiancati da tantissime donne. La manodopera femminile, che qualcuno ha definito un’avanguardia (ma facciamo finta di non aver capito!), non era certo risparmiata dalla fatica: si occupavano di preparare e sistemare i grandi teli di canapa, facevano la raccolta manuale delle olive, trasportavano pesanti sacchi di canapa camminando su terreni malfermi.
In pochi anni la società contadina si è dissolta, assorbita dalla “vita moderna”, la fabbrica, le periferie, abitudini diverse. Restare nei campi o tra gli ulivi non esercitava molta attrattiva sui giovani, ancora oggi il malessere è una costante per chi lavora nell’agricoltura, dove non mancano gesti estremi spinti da isolamento, problemi finanziari e mancati riconoscimenti. Nonostante questo non si può fare a meno di provare un senso di rammarico e nostalgia per quei tempi e per quella cultura, ormai scomparsa, che è stata la base della nostra società e che, in qualche modo, soddisfa ancora un nostro bisogno primario come l’alimentazione.

Rubrica a cura di Anne Claire Budin

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Da Singapore arriva un apprezzabile esempio di progettazione biofila, l’hotel Garden Wing situato a Shangri-la, un edificio con una presenza rigogliosa di verde, balconi bordati di piante in ogni camera e una parete vivente nella lobby lounge alta circa 10 metri, costruita con 350 kg di pietre di basalto ricoperte con muschio e vari tipi di felci. Un’atmosfera da giungla, arricchita dall’istallazione artistica del progettista giapponese Hirotoshi Sawada: una cascata di migliaia di foglie stilizzate.

I designer del 21° secolo si trovano davanti a due sfide urgenti: progettare spazi pensando alla sostenibilità e al benessere umano. Questo tipo di progettista potrebbe svolgere un ruolo cruciale nel trasformare il nostro ambiente costruendo spazi più sostenibili e più sani.

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Biofilia si traduce letteralmente in amore per la vita, le cose viventi e la natura; concetto reso popolare dal biologo e naturalista americano Edward O. Wiley nel suo libro del 1984 “Biophilia”. Wiley sosteneva che gli esseri umani hanno un bisogno intrinseco di connettersi con la natura e altre forme biotiche, questo a causa della dipendenza evolutiva da essa, per la realizzazione personale e la sopravvivenza. Inoltre il design biofilo può influire positivamente sulla nostra vita, gli elementi naturali hanno il potere di ridurre lo stress e aumentare la creatività.

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Partendo da questa ipotesi il design biofilo insegue una riconnessione con la natura e cerca di portare l’esterno negli interni. Incorpora elementi naturali, forme, trame e altre caratteristiche dell’ambiente naturale all’interno degli spazi pubblici, nell’architettura e nella progettazione degli interni.
Esiste una differenza tra architettura verde/sostenibile e design biofilo. L’architettura green riguarda la riduzione al minimo dell’impatto sull’ambiente causato dal costruito, mentre il design biofilo enfatizza il collegamento con la natura. Lo scenario preferibile è quando vanno di pari passo, completandosi a vicenda.
La progettazione biofila può essere avviata a livello di comunità, singolo edificio o piccolo progetto; oltre alla presenza di piante e vegetazione deve includere funzionalità come luce naturale e ventilazione, utilizzare materiali naturali, imitare il più possibile forme e geometrie naturali, mostrare vedute della natura attraverso finestre o immagini, usare colori e toni della terra, adoperare in modo strategico elementi come vegetazione e acqua e utilizzare pareti e tetti verdi.

Rubrica a cura di Anne Claire Budin

Come un miraggio, trasparente di giorno e luminoso di notte, Lucid Stead da installazione temporanea è diventa un’attrazione iconica.


Una casa o meglio un capanno in disuso, esternamente rivestito con assi di legno alternate a specchi, che creano un surreale gioco di luce e riflessi, il suo nome è Lucid Stead. Il lavoro dell’artista non ha cambiato né le dimensioni né la forma del capanno, il suo intervento è avvenuto tramite gli specchi, le luci a LED e a equipaggiamenti elettronici non visibili.
Se di giorno è trasparente e sembra fluttuare come un miraggio sulle dune, la sera Lucid Stead si accende dei colori che emergono, come forme geometriche oniriche, nel buio del deserto. I bagliori cromatici illuminano la notte del “Joshua Tree National Park” in California, come mai era accaduto prima!
Phillip K Smith ha iniziato a coltivare l’idea di quest’opera senza troppe attese. Pensava di mantenerla per qualche giorno, mostrarla a visitatori occasionali, invece… Nel giro di due settimane i visitatori sono stati più di 400, un'attrazione fenomenale che ha suscitato curiosità e attirato l’attenzione dei media internazionali.
In meno di un mese Lucid Stead, la casa trasparente, è diventata icona, fenomeno, evento.

Rubrica a cura di Anne Claire Budin

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