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Le stelle di Natale, comunica Coldiretti Lucca, resistono alla crisi nel polo della poinsettia della Versilia (30 aziende per 15 milioni di euro di fatturato) grazie ai piccoli formati, perché quelli grandi (come l’«Alberello») e medio-grandi hanno subito una leggera flessione. Dei quasi 5 milioni di stelle prodotte, 1 milione all’estero. Il gasolio incide per il 25% sul costo di produzione. Da Pescia il buon esempio del vivaio Bonini (che ne produce circa 25 mila): mantenuto il livello delle vendite nonostante il più 8% dei prezzi (dovuto soprattutto al costo del riscaldamento). Qualche consiglio per conservarle. [Foto di Rinina25 da Wikipedia]
Una fetta rilevante di consumatori per le feste natalizie sceglie ciclamini, lilium e gigli, ma nel complesso gli italiani non sembrano proprio voler rinunciare alla stella di Natale, o poinsettia o ancora, per usare il termine scientifico della specie, “Euphorbia pulcherrima”.
Almeno, questa è l’interpretazione che dà Coldiretti Lucca ai risultati di quest’anno della trentina di vivai versiliesi specializzati (per 15 milioni di euro di fatturato) che costituiscono il polo della poinsettia: una complessiva tenuta delle quantità vendute all’ingrosso, pari a quasi 5 milioni di esemplari, fanno sapere, nonostante la crisi economica generale e l’aumento dei costi produttivi per il freddo, che ha significato un più 10% di consumo di gasolio. Ciò grazie soprattutto alla «vendita dei piccoli formati», che «ha compensato la flessione dei grandi formati». La «produzione di stelle di Natale di grandi dimensioni come il famoso “Alberello” e formati mediamente grandi (vaso 30 e 40) che possono arrivare, al dettaglio, anche fino a 100 euro» è infatti leggermente calata, ma «hanno retto bene invece i formati piccoli e medi (vaso 14, 16 e 18)». Circa 1 milione di esemplari sono stati esportati sul mercato estero (Europa) confermando l’internazionalità della poinsettia versiliese. Mentre dal punto di vista dei canali di commercializzazione, il 30% è stato destinato alla grande distribuzione, un altro 30% ai negozi e un altro 30% ancora nei Garden Center.
A mettere in difficoltà i produttori di stelle di Natale della Versilia, sostiene Coldiretti Lucca, è stata ancora una volta la voce gasolio, che incide per il 25% sul costo di produzione di ogni singolo esemplare, rispetto alla vendita del quale al produttore resta “solo” il 10%. «Troppo poco per fare pensare di poter resistere ancora con questi parametri – dice Cristiano Genovali, presidente di Coldiretti Lucca e del Mercato dei fiori di Viareggio – le Stelle di Natale sono una produzione molto costosa che necessita di una temperatura fra i 15 e i 20 gradi all’interno delle serre. L’unica voce in cui possiamo intervenire è quella dei costi energetici. Le imprese stanno investendo risorse importanti per raggiungere livelli di competitività alti. Le biomasse possono aiutarci a ridurre del 40%, anche fino al 60% i costi energetici all’anno». Secondo Coldiretti (info su www.lucca.coldiretti.it), una serra di medie dimensioni può arrivare a spendere in media 15 mila euro di riscaldamento per i mesi invernali e a seconda delle varietà coltivate, mentre le serre più grandi possono arrivare anche a 40 mila euro all’anno e oltre. Ecco che dunque le energie rinnovabili entrano in gioco con forza anche in Versilia: «il nostro futuro è inevitabilmente legato alla produzione di energie rinnovabili e quindi alla riduzione dei costi di produzione. Possiamo rosicchiare quei 7-8 centesimi producendo con metodi sostenibili e meno costosi. In Versilia questo processo è già iniziato, ed è tutt’ora in atto».
Il problema dei costi, in particolare per il riscaldamento, esiste anche per l’azienda agricola Bonini di Pescia (azienda amica di Floraviva), che coltiva circa 25 mila stelle di Natale commercializzate nella grande distribuzione (50%), nei garden (25%) e presso i fioristi (25%) - come ci fa sapere Leonardo Bonini - che ammette di aver dovuto aumentare un po’ i prezzi quest’anno, circa l’8%, proprio per questo motivo, raggiungendo un range da 80 centesimi circa per le piante con microbase di 5 cm a 20 euro per quelle con vaso di 30 cm di diametro.
Ma ciò non ha impedito al vivaio Bonini di venderle tutte. Come mai questo buon risultato nonostante la crisi? «Forse – risponde Bonini – perché il nostro prodotto è un po’ più artigianale e robusto. Nelle stelle di Natale si vede se le piante sono coltivate in poco o tanto spazio oppure in vasi di plastica o in vasi di coccio». «Ad esempio – spiega Bonini – se si usa il vaso di plastica la pianta poi cresce tendendo a dondolare, mentre nel vaso di coccio rimane più solida, perché l’apparato radicale si sviluppa di più».
Concludendo, ecco i consigli forniti da Coldiretti Lucca per «conservare al top la stella di Natale».
Posizionarla in ambienti ben riscaldati con temperature non inferiori ai 14 gradi e luminosi, ricordando che non teme la luce del sole diretta nel periodo invernale. E soprattutto innaffiarla poco, solo quando il terreno è completamente asciutto. Durante il periodo primaverile è opportuno effettuare una potatura abbastanza vigorosa e portarla in terrazzo per riporla nelle case verso ottobre-novembre in un ambiente poco luminoso (8 ore massimo di luce al giorno) al fine di facilitare la crescita di nuove foglie (che assumeranno il caratteristico colore rosso) e di nuovi rami. Un ultimo piccolo accorgimento per far rifiorire la stella di Natale è la concimazione: quest'essenza predilige concimazioni a base di potassio e fosforo, soprattutto nel periodo autunno-inverno. Così facendo l'anno successivo si potrà avere ancora la stella di Natale, scientificamente chiamata Euphorbia pulcherrima (dal latino bellissima), facendo fruttare gli acquisti fatti durante queste festività.
Lorenzo Sandiford
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Il presidente di Cia Toscana Giordano Pascucci ha espresso piena soddisfazione per le due leggi approvate a inizio settimana dal Consiglio regionale: quella che istituisce la “banca della terra” e la riforma dei consorzi di bonifica. In linea Sandro Orlandini, presidente di Cia Pistoia, che però manifesta qualche timore per le ripercussioni sul Consorzio del Padule di Fucecchio.
Una legge che istituisce l’ente pubblico dipendente dalla Regione “Terre regionali toscane”, che gestirà le sue aziende agricole di Alberese (Grosseto) e Cesa (Arezzo) e tutto il suo patrimonio fondiario, e nel cui contesto nascerà la “Banca della Terra” con l’inventario completo dei terreni agricoli e forestali disponibili per affitto, concessione e compravendita. Un’altra legge che riforma il sistema dei consorzi di bonifica, riducendo il numero dei comprensori (da 41 a 6) e dei soggetti gestori (da 26 a 6) e introducendo un unico programma regionale di manutenzione e difesa del suolo, al cui interno confluiranno i piani di attività dei singoli consorzi.
Sono le due leggi, di grande importanza per il mondo agricolo, approvate a inizio settimana dal Consiglio regionale toscano. Riguardo alle quali la Confederazione italiana agricoltori della Toscana ha subito espresso piena soddisfazione, con la dichiarazione del presidente Giordano Pascucci che «in entrambe le leggi i contenuti rispondono in pieno alle nostre sollecitazioni».
Istituzione di “Terre regionali toscane” e della “Banca della terra”
Nella prima legge, approvata all’unanimità dall’assemblea regionale, come ha spiegato il presidente della commissione Agricoltura Loris Rossetti, in nome di una «gestione ottimale» del patrimonio agricolo forestale pubblico viene fissato l’obiettivo di una «strategia unitaria su tutto il territorio regionale». “Terre regionali toscane” ha infatti il compito di programmare l’attività per rendere produttivo il patrimonio delle disciolte aziende agricole e dei terreni della Regione. E la “Banca della terra” comprende l’inventario di terreni e aziende agricole di proprietà pubblica e privata disponibili per il mercato, pronti cioè a essere utilizzati in operazioni di compravendita, affitto o concessione. Con l’obiettivo, ha spiegato Rossetti, di «garantire un ricambio generazionale, attirando i giovani a diventare imprenditori agricoli». Non solo, la legge punta anche alla difesa del territorio, come dimostra la previsione di un possibile utilizzo dei terreni agricoli incolti, concessi ai privati dietro pagamento di un canone.
«Con questa formulazione – ha detto l’assessore all’agricoltura Gianni Salvadori – la legge è la prima in Europa e ci consentirà di recuperare oltre 100 mila ettari di terreno che negli ultimi 28 anni erano stati abbandonati». Salvadori ha citato i numerosi esempi di giovani che hanno presentato alla Regione, in occasione dell’ultimo bando di “GiovaniSì”, progetti per avviare attività imprenditoriale in agricoltura. «Vi sono stati casi – ha detto l’assessore – nei quali la Regione non ha potuto finanziare il progetto perché i giovani che avevano presentato la domanda non avevano la terra per poterlo realizzare. Ora, con questa legge, potremo mettere loro a disposizione la terra necessaria».
«Fra i punti qualificanti – ha detto Giordano Pascucci commentando la legge - quello di gestire la proprietà privata (oltre ai terreni pubblici) e le terre incolte. Terreni pubblici, proprietà demaniali e private e terre incolte, se messi in circolo, possono creare una concreta mobilità fondiaria per l’insediamento di nuove imprese e per il rafforzamento di quelle già operanti».
Riforma dei consorzi di bonifica e Padule di Fucecchio
Gli obiettivi della riforma, come spiegato in aula dal presidente della commissione Territorio del Consiglio regionale Vincenzo Ceccarelli, sono ridurre il numero dei soggetti gestori ed i relativi costi; delimitare i nuovi consorzi di bonifica, garantendo uniformità ed omogeneità di manutenzione dei corsi d’acqua sulla base del bacino idrografico; semplificare il sistema di competenze degli enti locali. Ceccarelli ha detto che «la proposta di legge propone un disegno organico e snello, dove sono chiaramente individuate funzioni e responsabilità», anche se non è stato possibile riordinare completamente la materia della difesa del suolo, a causa della riforma statale delle Province non ancora completata.
In sintesi, alla Regione va l’indirizzo, il coordinamento, il controllo e l’attuazione delle opere strategiche. Alle Province la gestione tecnica e amministrativa delle opere, l’attività di programmazione comune, il servizio di polizia idraulica, la realizzazione delle nuove opere di seconda e terza categoria. Ai nuovi Consorzi l’attività di manutenzione di tutte le opere idrauliche e di tutto il reticolo idrografico, la realizzazione delle nuove opere di bonifica. Nei territori montani i Consorzi per l’attività di bonifica si avvalgono delle Unioni dei Comuni.
«L’attività di manutenzione ordinaria dei corsi d’acqua, ma anche dei versanti dove ciò rappresenti un beneficio per il buon regime delle acque, sarà svolta in tutta la regione dei Consorzi di bonifica – ha precisato Ceccarelli –. Nell’attuale quadro delle competenze tale attività è già garantita da 65 milioni di euro provenienti dalla contribuenza privata. Si stima che tale valore possa arrivare a 100 milioni di euro con l’estensione del tributo alle zone non ancora coinvolte, ad esempio le città di Firenze e Siena».
Il numero dei comprensori di bonifica passerà da 41 a 6. Passeranno a 6 da 26 anche i soggetti gestori (Consorzi ed Unioni dei Comuni). Nascerà un unico programma di spesa regionale per la difesa del suolo, che, sulla base del Piano ambientale ed energetico regionale (Paer), individuerà anche le “opere strategiche”, la cui realizzazione è attuata direttamente dalla Regione. All’interno del programma confluiranno i piani di attività dei singoli consorzi, in modo da avere un unico piano regionale di manutenzione e difesa del suolo. Una Conferenza permanente costituita dai presidenti della Giunta regionale e delle Province, da sei rappresentanti dei Comuni, di cui due indicati dai comuni montani, farà da supporto alle funzioni di indirizzo della Regione.
«Si tratta di un passaggio fondamentale per le politiche regionali di difesa del suolo, di tutela e valorizzazione delle risorse idriche e più in generale dell’ambiente come ecosistema – ha detto l’assessore regionale all’ambiente e all’energia Anna Rita Bramerini -. Le nuove norme valorizzano l’esperienza maturata in questi anni dai Consorzi ma affrontano le criticità che da più parti, anche in Consiglio, erano state evidenziate, chiarendo ruoli e competenze, in un settore particolarmente delicato della difesa del suolo».
«Valutazione molto positiva anche per la legge sui consorzi di bonifica – ha dichiarato Giordano Pascucci -, perché porta ad un netto snellimento del “sistema” dei Consorzi (che passano da 41 a 6), introducendo l’omogeneità della governance e della gestione, con una riduzione dei comprensori e dei soggetti gestori e quindi ad una diminuzione dei costi di gestione. Inoltre emerge una semplificazione sulle competenze degli enti locali, con vantaggi e minore burocrazia per le aziende agricole».
In linea Sandro Orlandini, presidente di Cia Pistoia e vice regionale, che però, anche in rappresentanza del territorio, esprime qualche timore per le ripercussioni che ci potrebbero essere sul Consorzio di bonifica del Padule di Fucecchio, che è stato finora «un’esperienza positiva per gli agricoltori e i cittadini» (vedi nostro articolo: Consorzio di bonifica del padule di Fucecchio e coltivatori diretti), in particolare nella capacità di utilizzare la normativa che consente l’affidamento diretto agli agricoltori delle opere di manutenzione e bonifica sotto i 50 mila euro. «Il Consorzio del Padule di Fucecchio – dice Orlandini – si unirà ad altri tre: Bientina, Val d'Era, Pisa. Il timore è che costruendo un soggetto più ampio si possa perdere questa esperienza positiva e questo patrimonio di conoscenze del territorio e delle sue problematiche. Comunque si spera di riuscire a traghettare tutto ciò anche nel nuovo contesto, magari facendo leva sul protocollo d’intesa dello scorso settembre con Urbat (Unione regionale per le bonifiche, l’irrigazione e l’ambiente della Toscana)».
L.S.
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L’intesa «per l’attivazione della filiera corta bosco-legno-energia» firmata ieri in Regione dall’assessore Salvadori con i soggetti interessati permetterà di alimentare 70 piccoli impianti a biomasse agroforestali. Presentato l’apposito marchio di qualità “Sistema Green Economy Toscana”. Il presidente Rossi «investire sulla Green Economy per nuova occupazione ai giovani e fonti energetiche alternative».
Un marchio di qualità con la scritta “Sistema Green Economy Toscana” e il logo con l’immagine stilizzata della regione nei colori che richiamano le energie rinnovabili: «giallo per l’energia che proviene dal sole, blu per l’energia che proviene dall’acqua, verde e marrone per l’energia che proviene dal bosco».
E’ suggellato da questo segno distintivo a scopo promozionale il “Protocollo d’intesa per l’attivazione della filiera corta bosco-legno-energia» firmato ieri dall’assessore all’agricoltura della Regione Toscana Gianni Salvadori e dai rappresentanti di tutti i soggetti, istituzionali e sociali, che completano la filiera: Uncem Toscana, Anci, Upi, CGIL, CISL,UIL, CIA, Coldiretti, Confagricoltura, Legacoop, Confcooperative. L’obiettivo dell’intesa è creare una filiera corta integrata che rappresenti un circuito virtuoso nell’utilizzo di una delle risorse di cui la Toscana è più ricca: il bosco. In questo modo si potranno alimentare i 70 impianti di cogenerazione a biomasse agroforestali che si prevede di realizzare da qui al 2015, come promesso da Salvadori il 16 novembre all’incontro “Energia da biomasse agroforestali: un’opportunità per le imprese e i cittadini toscani” (vedi nostro articolo “Biomasse agroforestali: 70 nuovi impianti entro il 2015”).
«La firma di oggi – ha commentato il presidente della regione Toscana Enrico Rossi - è importante perché mette nero su bianco una collaborazione virtuosa fra istituzioni e categorie economiche e sociali con lo scopo di far decollare lo sviluppo delle filiera bosco legno energia e favorire la creazione di filiere corte locali. L’obiettivo, in coerenza con le scelte strategiche della Regione in tema di fonti rinnovabili e di Green Economy, è la creazione di una rete di piccoli impianti di cogenerazione e reti di teleriscaldamento, che diano impulso alla filiera stessa, creando nuove opportunità di occupazione, sopratutto per i giovani, ma anche attivando un’efficace prevenzione del rischio idrogeologico di cui c’è un gran bisogno».
«Il disegno che rappresenta la regione Toscana – ha sottolineato l’assessore Salvadori – indica l’impegno dell’ente a cooperare insieme agli altri attori per la promozione e valorizzazione della filiera bosco, legno energia ma anche il luogo geografico dove promuovere il processo individuato nel protocollo stesso certificando un processo virtuoso fatto di qualità ambientale e responsabilità sociale».
La Toscana con 1 milione e 156 mila 682 ettari di superficie forestale, pari al 51% del territorio regionale, è la regione più boscata d’Italia. La maggior parte dei boschi è di proprietà privata (85%), ma si tratta in prevalenza di piccole proprietà, mentre il 15% pari a 130 mila ettari è di proprietà pubblica, 110 mila ettari la proprietà regionale. La provvigione legnosa complessiva è di circa 124 milioni di metri cubi e l’accrescimento è del 4% annuo. A questo patrimonio è possibile aggiungere gli scarti del mondo agricolo (potature, ramaglie ecc.) che si calcola in circa 700 mila tonnellate di sostanza secca all’anno. Attualmente l’utilizzo del legname toscano è al 40% dell’accrescimento, pari a circa 2 milioni di metri cubi all’anno. Si calcola che nel settore lavorino circa 10 mila 500 persone e le imprese interessate siano attualmente circa 5 mila.
Dall’attivazione di una filiera corta bosco-legno-energia ci si attende la creazione entro il 2015 di una rete di piccoli impianti (non superiori complessivamente a 70 megawatt) per la produzione di energia elettrica e termica (cogenerazione), alimentati da biomassa legnosa locale. Grazie alla firma del protocollo odierno, oltre cinquanta comuni hanno già dato la propria disponibilità ad ospitare gli impianti che avranno una dimensione di circa 1 megawatt di potenza. Si stima un possibile incremento dell’occupazione di almeno 700-1000 addetti.
La creazione della filiera corta bosco-legno-energia mira anche alla prevenzione del rischio idrogeologico grazie alla coltivazione del bosco stesso e al mantenimento del presidio umano sul territorio e risponde agli obiettivi della Regione Toscana, che ne ha fatto un punto strategico del programma regionale di sviluppo, e dell’Unione Europea per l’incremento di energia pulita prodotta da fonti rinnovabili. Il protocollo prevede una campagna di informazione anche tramite il progetto GiovaniSi e una cabina di regia per il coordinamento delle attività e promuove la certificazione di qualità sia in termini ambientali, che di sicurezza e responsabilità sociale delle imprese e si propone anche l’obiettivo di contrastare la piaga del lavoro nero.
L.S.
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Nell’ambito dei rinnovi provinciali di Coldiretti, a Pistoia il presidente uscente Riccardo Andreini ha annunciato di non ricandidarsi, mentre a Lucca arriva un floricoltore: Cristiano Genovali, alla presidenza del Mercato dei fiori di Viareggio. Confermati Tulio Marcelli ad Arezzo e Fabrizio Filippi a Pisa. A capo dei pensionati pistoiesi l’ex vivaista Menichi subentra all’ex floricoltore della Valdinievole Avanzati.
Novità e conferme dai rinnovi dei consigli provinciali in corso nella rete di Coldiretti Toscana.
A Pistoia lascia Riccardo Andreini, che, dopo 15 anni a capo della Coldiretti provinciale, ha deciso di non ricandidarsi alla presidenza. Andreini lo ha annunciato ufficialmente domenica scorsa a Cutigliano nel corso della 62esima Giornata del Ringraziamento, l’omaggio che ogni anno il mondo agricolo della rete Coldiretti rende a Dio con benedizione dei trattori, i mezzi di produzioni agricoli per eccellenza della modernità.
Ed è sempre a una Giornata del Ringraziamento, oggi a Capezzano Pianore, storica capitale agricola delle Versilia, che ha fatto il debutto ufficiale il nuovo presidente di Coldiretti Lucca, il floricoltore viareggino Cristiano Genovali, che è alla presidenza del Mercato dei Fiori di Viareggio ed è, fanno sapere da Coldiretti, «uno dei soggetti più attivi nella promozione e valorizzazione dei fiori “tipici” e di alcune delle produzioni autoctone della Versilia, proponendo originali accostamenti come il tulipano al posto della rosa per San Valentino o il ranuncolo giallo al posto della mimosa nel caso della Festa delle Donne, l’8 marzo, o ancora, affermando la Versilia come capitale della stella di Natale. Iniziative che sono valse ai fiori versiliesi notevole risalto nazionale. Figlio di capitano di nave tra le sue passioni ci sono la cucina e la lettura di saggi storici, è un profondo conoscitore delle produzioni floricole del territorio». Il neo presidente, in occasione dell’investitura, aveva ricordato i 10 punti del manifesto “L’Italia che vogliamo” presentato al Forum Internazionale di Cernobbio dalla Coldiretti lo scorso ottobre e l’importanza di investire sulla qualità e «non sulle economie di scala perché saremo perdenti in partenza – aveva sottolineato –, riuscire a vendere bene il valore immateriale delle nostre produzione deve essere il nostro obiettivo. Non dobbiamo vendere i nostri prodotti a minor prezzo perché è il mercato ad imporlo, ma vendere ad un prezzo giusto e remunerativo».
Ancora a Pistoia sono stati rinnovati gli organi dell’associazione Coldiretti dei pensionati, con il subentro dell’ex vivaista Roberto Menichi, pistoiese, all’ex floricoltore della Valdinievole Renzo Avanzati, di Ponte Buggianese.
Nel frattempo alla guida dei Coltivatori diretti di Pisa è stato confermato all’unanimità per il terzo mandato di fila Fabrizio Filippi, presidente del Consorzio per la tutela dell'Olio Extravergine di Oliva Toscano IGP. Nella sua lunga arringa, il giorno della conferma alla guida di Coldiretti Pisa, Filippi ha percorso alcune delle tappe fondamentali dal 30 aprile 2009, anno di lancio del progetto di una filiera agricola tutta italiana, il cui obiettivo era «portare valore aggiunto alle imprese», fino al manifesto dell’«L’Italia che vogliamo» presentato a Cernobbio. «Sul territorio, questi progetti, - ha detto - si sono tradotti nella rete dei mercati di Campagna Amica che settimanalmente si tengono in diversi comuni pisani». Filippi ha aggiunto che «la lotta alla contraffazione senza se e senza ma» resta una delle «principali battaglie del futuro». Poi ha ricordato i numeri che dimostrano quanto l’agricoltura stia dando risposte alla nostra economia: il record dell’export agroalimentare, la crescita del Pil agricolo e soprattutto il numero di imprese condotte da giovani, anche a livello locale. Filippi ha infine paragonato il sistema Coldiretti ad una Ferrari e, citando un grande storico dell’economia che non c’è più, Carlo Cipolla, ha sostenuto: «la missione dell’Italia è produrre all’ombra dei campanili cose belle che piacciono al mondo. La Ferrari è una cosa bella ma si produce a Maranello e non in qualche capannone senza poesia. Gli esempi positivi nascono da un’economia che ha determinate caratteristiche. Ripartire dall’Italia che fa l’Italia».
Alla guida di Arezzo è stato confermato all’unanimità Tulio Marcelli, presidente regionale di Coldiretti. Nel suo intervento Marcelli ha fra l’altro detto che la «filiera agricola finalmente tutta italiana» ha per scopo «non solo favorire una consumo consapevole e sano dei prodotti» ma anche e soprattutto «portare valore aggiunto alle imprese». Anche da Marcelli importanti riferimenti al manifesto dell’«L’Italia che vogliamo» presentato a Cernobbio. «Attraverso il cibo di sicura provenienza e qualità - ha affermato Marcelli - e grazie al progetto Coldiretti di filiera italiana, si esalta il bene comune rappresentato dalla tutela dell’ambiente, del paesaggio, dalla coesione sociale e dalla salvaguardia e preservazione del nostro magnifico territorio rurale».
Lorenzo Sandiford
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Presentato oggi al convegno “Agricoltura domani”, organizzato a Roma da Conaf e Confagricoltura, un decalogo sulla ricerca e l’innovazione nel settore. L’obiettivo finale dei dieci desiderata è riassunto nel 1°: produzione sostenibile e di qualità «aumentando la produttività». Nel 2011 l’Italia ha investito in ricerca per l’agricoltura 300 milioni di euro, lo 0,8% del valore della produzione agricola.
Produzione agricola «sostenibile e di qualità … aumentando la produttività»; impegno a vasto raggio nella «salvaguardia delle risorse naturali» e del territorio; prodotti competitivi grazie anche alla creazione di «start up innovative»; «intensificazione e … integrazione delle conoscenze» più che delle tecnologie; deframmentazione del sistema italiano della ricerca; maggior collegamento fra ricerca e imprese o professioni sia nella «raccolta del fabbisogno di innovazione» che nella «diffusione» delle innovazioni; partecipazione attiva alle sfide di “Horizon 2020” e alla formazione di partenariati europei; istituzioni di ricerca competitive nei bandi Ue e non più soggette a «inopinati “tagli”» di risorse pubbliche.
Sono i punti più qualificanti del “Decalogo” per il rilancio della ricerca e l’innovazione in agricoltura presentato oggi a Roma durante il convegno “Agricoltura domani”, organizzato da Conaf (Consiglio dell’Ordine nazionale dei dottori agronomi e dei dottori forestali), da Confagricoltura, da Fidaf (Federazione italiana dottori in agraria e forestali), e Unasa (Unione nazionale delle Accademie italiane per le scienze applicate allo sviluppo dell'agricoltura, alla sicurezza alimentare e alla tutela ambientale). Un documento che potrà essere sottoscritto e condiviso anche da altri soggetti.
Con questo decalogo si vuole porre l’attenzione su alcuni aspetti critici che stanno limitando le potenzialità della ricerca e la diffusione di innovazioni nel settore delle produzioni vegetali ed animali. Problematiche che devono essere affrontate prima che sia troppo tardi ed il declino del settore, che già è evidente dalle performance produttive ed economiche, diventi irreversibile. «Riteniamo urgente e non più procrastinabile – affermano Conaf, Confagricoltura, Fidaf e Unasa - l’avvio di una politica volta a realizzare una profonda riforma strutturale. La ricerca agraria, in linea con le scelte dell’Unione Europea e finalizzata allo sviluppo e all’innovazione, avvalendosi delle nuove tecnologie abilitanti, deve considerare la produzione primaria e la filiera alimentare in stretta connessione con il territorio, la salute e l’energia».
Negli ultimi decenni, si legge nel comunicato stampa degli organizzatori del convegno, la ricerca è stata la protagonista assoluta in agricoltura. Grazie alla ricerca è cresciuta la produttività al passo con l’aumento della popolazione mondiale: dagli anni ‘60 gli abitanti del pianeta sono passati da poco più di 3 miliardi a 7 miliardi; in parallelo la produzione cerealicola è cresciuta da circa 900 a quasi 2.400 milioni di tonnellate. Praticamente nello stesso periodo la produzione di cereali è aumentata il 50 per cento più velocemente della popolazione mondiale. Il tutto con aumenti trascurabili delle terre coltivate, ma soprattutto con incrementi delle rese unitarie. Nei prossimi anni – sostengono gli organizzatori - dovremmo continuare a puntare sulla ricerca, perché avremo bisogno di maggiore produzione agricola e dovremo gestire in maniera sostenibile le risorse naturali dell’ecosistema. Inoltre, poiché la percentuale media di aumento delle rese si sta riducendo, si evidenzia un calo della efficacia delle azioni di ricerca e sviluppo, che andrebbero, invece, potenziate.
Diminuire la spesa nella ricerca, prosegue il comunicato, significa mettere a rischio produzione e produttività: con varietà resistenti alla siccità, ad esempio, non si avrebbero avute perdite come in quest’annata e la conseguente instabilità sui prezzi. Obiettivo di Europa 2020 è di aumentare sino al 3% la quota del Pil destinata a finanziare ricerca e innovazione (in tutti i settori), mentre oggi la media europea a 27 è del 2%, con Francia (2,26%) e Germania (2,82%) che superano la soglia, altri già al 3% (Svezia, Danimarca e Finlandia) e l’Italia agli ultimi posti con l’1,26% e un obiettivo fissato assai poco ambizioso (1,58%). Anche le somme impegnate nella spesa pubblica per la ricerca in agricoltura sono in calo per l’Italia: 440,7 milioni di euro nel 2008 contro 311,1 milioni di euro nel 2011; per una media dello 0,8% (2008-2010) rispetto al valore della produzione agricola.
Ecco il “Decalogo: 10 spunti di riflessione sulla ricerca e l’innovazione” per intero sul sito web di Confagricoltura.
L.S.




