OLTRE LA SOGLIA CLIMATICA: PERCHÉ GLI ALBERI RISCHIANO DI SENTIRSI FUORI LUOGO

da Redazione Floraviva

È un titolo provocatorio ma tristemente esatto quello con cui il professor Francesco Ferrini, ordinario di Arboricoltura generale e coltivazioni arboree all'Università di Firenze, ha commentato lo studio pubblicato nel 2025 su PNAS dal titolo "High tree diversity exposed to unprecedented macroclimatic conditions even under minimal anthropogenic climate change". In altre parole: anche con modeste emissioni antropiche, la biodiversità arborea globale si trova esposta a condizioni climatiche che non ha mai conosciuto.

Lo studio ha preso in esame oltre 32.000 specie arboree a livello mondiale, valutando in che misura le loro aree di distribuzione saranno interessate, nei prossimi decenni, da macroclimi completamente nuovi, secondo la classificazione climatica di Köppen-Geiger. Una delle innovazioni più interessanti dell’analisi è l'introduzione della categoria "Non-analog Hotter", che segnala l'apparizione, soprattutto nelle fasce tropicali, di condizioni termiche mai registrate prima.

I risultati, sintetizzati da Ferrini con una frase semplice quanto profonda - "anche gli alberi si sentono fuori luogo" - sono allarmanti. Nello scenario più ottimistico, il 22% delle specie sarà soggetto a cambiamenti climatici in almeno il 10% del proprio areale. E ben 40 specie, per lo più insulari, rischiano la perdita totale dell'habitat climatico. Nello scenario più pessimista (quello ad alte emissioni), il dato sale al 69%.

A livello locale, la fotografia non migliora: il 45% delle superfici forestali globali vedrà mutamenti significativi, e nel 17% di esse oltre la metà delle specie presenti sarà esposta a condizioni climatiche nuove. Le aree più vulnerabili? Le foreste boreali (Canada, Russia), i tropici (Amazzonia, Madagascar) e molte regioni aride del Sud globale.

Questa proiezione si basa su un modello volutamente prudente: non considera patogeni, incendi, uso del suolo o le risposte adattative delle specie. Eppure, proprio per questa ragione, l’avvertimento è ancora più netto. Come ricorda Ferrini, serve una strategia di conservazione fondata su rifugi climatici e, laddove necessario, sulla migrazione assistita.

Per il mondo del florovivaismo e del verde urbano e periurbano italiano, queste informazioni non possono restare materia accademica. Impongono riflessione e scelte: dalla selezione di specie resilienti nei vivai alla gestione attiva degli spazi verdi pubblici, fino a una visione forestale che riconosca le dinamiche ecologiche in atto. Con una certezza, sottolinea Ferrini: chi opera oggi sul verde deve pensare già al clima di dopodomani.

Fonte: Francesco Ferrini, LinkedIn, commento del 5 luglio 202

Redazione Floraviva