Il Giardino di Villa Schifanoia a Fiesole: specchio di storia e cosmopolitismo
- Andrea Vitali
La sede del Robert Schuman Centre for Advanced Studies dell’Istituto universitario europeo di Fiesole ha un giardino significativo e non molto conosciuto. Ce lo ha illustrato Laura Bechi, del servizio Patrimonio e logistica dell’Iue, che si è soffermata sulla velocità di cambiamento dei giardini quali organismi viventi e ha ricordato che qui fu girato l’Arcidiavolo di Ettore Scola (1966), con Vittorio Gassman. [foto in home e sotto il titolo di Sailko da Wikipedia, foto dall’alto nel testo gentilmente offerte dallo Schuman Centre]
Le tre terrazze non perfettamente allineate, la prevalenza di siepi di bosso, la piccola grotta invasa dal Ficus repens, la scalinata a due rampe finto barocca, l’emiciclo in fondo con siepi di leccio e statue chiamato “teatro della verzura”, le tuie orientali e i cedri dell’Himalaya.
In ogni caso nel Trecento la struttura dell’immobile e dei terreni circostanti è molto diversa da quella attuale e affinché il complesso assuma, almeno nella sostanza, l’assetto di oggi bisogna aspettare il ‘400, «quando l’antico casolare – spiega Laura Bechi - viene rilevato dai Cresci, una famiglia di tintori fiorentini che avevano fatto una certa fortuna, che lo trasformano in una vera e propria villa con giardino annesso, secondo quelli che erano i canoni delle ville di campagna fiorentine. La villa rimane ai Cresci fino a più o meno la metà del ‘500, e poi comincia a passare di mano in mano». Fino al XVIII secolo la struttura esterna della villa rimane immutata, con l’eccezione del giardino che viene progressivamente trasformato in un giardino all’italiana, basato sulla simmetria e l’ordine. Questa trasformazione si completa intorno alla metà dell’800, quando la villa è in mano alla famiglia Ciacchi, che fa risistemare il giardino riducendo la parte agricola.
Innanzi tutto, cominciando dal parterre davanti all’ingresso dell’edificio, il Ficus repens che ha invaso la piccola grotta affacciata su una parte del giardino che «ricorda molto quelli che erano i “giardini segreti” di alcune ville». Le foglie di questa pianta rampicante ornamentale, sottolinea Laura Bechi, hanno colori diversi: «le più giovani sono marroni tendenti al beige, mentre via via che crescono e invecchiano diventano più verdi». Poi c’è la «bellissima scalinata a doppia rampa, di impianto barocco (ma non barocca d’epoca, perché risalente agli anni ’30 del Novecento), con le statue e le decorazioni volute da Myron Taylor…». E più giù, verso la terrazza grande, una «siepe di cipresso che è volutamente sagomata proprio a schermare la vista», come se questa zona dovesse rimanere invisibile dalla villa. Altro particolare curioso è «il “rondò dell’amore”: un piccolo spazio semicircolare, un po’ nascosto, con delle panchine e delle piante non comuni: delle tuie orientali (Thuja), che non sono delle piante da giardino storico e non siamo riusciti a ricostruire da chi siano state piantate». Inoltre «un boschetto di leccio, che è molto caratteristico dei giardini soprattutto dell’800, e anche a Villa Salviati, per esempio, il viale delle carrozze è pieno di lecci». E ancora, in fondo al giardino, i due cedri, «che però non sono cedri del Libano, ma sono cedri dell’Himalaya, quindi una particolarità» rispetto ad altri giardini toscani.
Infine, va ricordato il «muretto in cui fu girata, nel 1966, la scena del film l’Arcidiavolo, di Ettore Scola, in cui Vittorio Gassman tenta di sedurre Lucrezia e in cui si vede quello che noi chiamiamo il “teatro di verzura”, cioè quella specie di emiciclo in fondo di siepi di leccio». «Adesso le statue – osserva Laura Bechi – sono praticamente incastonate all’interno delle siepi, sembrano quasi coperte da esse; ma quando fu girato il film, circa 50 anni fa, erano completamente scoperte, fuori dalle siepi». Questo è un esempio molto chiaro, commenta, del fatto che «un giardino è un organismo vivente, quindi cambia in continuazione» e, a differenza di quanto accade per gli edifici e altre opere d’arte, «si modifica significativamente anche in un lasso di tempo, come 50 anni, che per un edificio è niente, mentre per un giardino equivale a secoli».