ULTIMI GIARDINI D'ETERNITÀ: CIMITERI COME PAESAGGI VIVI

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In Germania i cimiteri sono giardini verdi, luoghi della memoria e della biodiversità. Un esempio prezioso per ripensare anche in Italia il senso del commiato.
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Nel silenzio dei cimiteri si intrecciano memoria, natura e futuro. In Germania questi spazi stanno conoscendo una profonda trasformazione: da luoghi del lutto a paesaggi viventi, dove la morte si accompagna alla bellezza e alla biodiversità. Qui il cimitero non è solo una soglia da oltrepassare, ma un luogo in cui sostare.
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A partire dall’Ottocento, molti cimiteri tedeschi sono stati concepiti come veri e propri parchi. Il più celebre è il Friedhof Ohlsdorf di Amburgo: con i suoi 391 ettari, è il più grande cimitero-parco del mondo. Fra laghetti, roseti e oltre 450 specie arboree, ospita tombe di personalità e accoglie ogni giorno cittadini in cerca di quiete o di un luogo dove camminare lentamente.
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Anche il Waldfriedhof di Monaco si distingue per l’armonia con l’ambiente forestale: sentieri, tombe discrete e più di mille specie di uccelli e mammiferi creano un ecosistema delicato e suggestivo. A Lipsia, il Südfriedhof incanta con decine di migliaia di rododendri e una varietà di fauna selvatica che ne fa un vero corridoio ecologico urbano.
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Questi spazi verdi ospitano non solo le tracce di chi non c’è più, ma anche la vita che continua: scoiattoli, pettirossi, visitatori solitari, studenti in pausa, anziani che passeggiano. La cura dedicata a questi luoghi — dalla progettazione naturalistica ai percorsi culturali — mostra una diversa visione del fine vita: più integrata nella città, più sostenibile, più umana.
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In Italia, cimiteri monumentali come quelli di Milano, Genova o Roma conservano una bellezza storica straordinaria, ma restano spesso isolati dalla quotidianità urbana. Invece di custodire solo il passato, potrebbero diventare spazi vivi: giardini del ricordo, rifugi per la biodiversità, luoghi dove il verde accompagna il lutto con discrezione.
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Ripensare il cimitero come “ultimo giardino” significa aprirsi a un’idea più ampia di cura: per chi non c’è più, per chi resta, per il paesaggio. Un atto di rispetto che unisce memoria, silenzio e natura, e che potrebbe trovare terreno fertile anche nella cultura italiana.

AnneCaire Budin