Filiera olivo-olio

Intervista a Simone Cagnetti, agronomo consulente del Consorzio nazionale degli olivicoltori, sul modello di olivicoltura intensiva (ma non super intensiva) da lui presentato a nome del Cno durante l’assemblea del 21 giugno a Firenze sul tema “La risposta: più olivicoltura italiana”.  

Oliveti da circa 400 piante di olivo a ettaro, con raccolta delle olive meccanizzata, cultivar italiane dalle caratteristiche compositive e sensoriali uniche al mondo, sistemi di irrigazione efficienti e costi di produzione tra 2,5 e 3 euro al chilogrammo di olio. Sono alcuni dei tratti distintivi dell’identikit di impianto intensivo tracciato da Simone Cagnetti, agronomo consulente del Consorzio nazionale degli olivicoltori, ieri l'altro a Firenze in occasione dell’assemblea del Cno sul tema “La risposta: più olivicoltura italiana”, a cui hanno partecipato qualificati esponenti del comparto olivicolo-oleario e più in generale della filiera agroalimentare (vedi nostro articolo). Un modello di oliveto intensivo che vuole dare una risposta al trend calante della produzione di olio d’oliva in Italia e alla conseguente perdita di quote di mercato dell’olio extravergine made in Italy nel commercio globale, nonostante che quest’ultimo sia in costante rialzo da diversi anni.
A Cagnetti abbiamo posto alcune domande, al termine dell’incontro, per capire meglio come è nata questa proposta che si rivolge in primo luogo a quel 37% di produttori di olio italiani che nella sua relazione sono stati definiti come potenzialmente competitivi (26%) o addirittura strutturati e specializzati (11%). E non quindi al restante 63% di olivicoltura dai costi produttivi elevatissimi, spesso operante in luoghi difficili, che va comunque difesa per la sua valenza ambientale e sociale insostituibile, ma che non deve essere confusa con un’olivicoltura che aspira ad innalzare i livelli produttivi e a una maggiore efficienza economica.
Partendo dai dati negativi a breve e lungo termine della produzione d’olio d’oliva extravergine italiano di cui abbiamo parlato oggi (il 21 giugno: vedi nostro articolo), ci ha spiegato Simone Cagnetti, e tenendo conto del «fatto che tutto sommato la nostra superficie olivicola negli ultimi quarant’anni è rimasta immutata, quando invece gli altri Paesi concorrenti già da 25 a 30 anni fa hanno fatto degli investimenti notevoli in aumento delle produzioni (negli ultimi 30 anni in Italia la superficie è diminuita del 7% e negli ultimi 25 è cresciuta del 2%, mentre in Spagna si è avuto negli ultimi 30 anni il +118% e negli ultimi 25 +22%, e in Grecia +49% e +36%, ndr), nasce la necessità di affiancare al modello attuale di olivicoltura tradizionale, che ha un’importanza insostituibile dal punto di vista…»
...quindi è un modello che deve affiancare non sostituire quello tradizionale?
«Certo, da affiancare a un’olivicoltura tradizionale, che ha una valenza straordinariamente importante per l’ambiente e quant’altro, una nuova olivicoltura più specializzata. Da qui l’idea di promuovere un modello di tipo intensivo, che rispetto ai modelli più esasperati tipo il super intensivo ci permette da una parte di utilizzare le varietà italiane e dall’altra, in parole semplici, di proporre un sistema produttivo che dal punto di vista agronomico sia sostenibile rispetto all’ambiente ma anche rispetto al reddito...»
...da quanto ho capito, non si tratta nemmeno, in certi casi, di espiantare, ma di infittire…
«...esatto. Le opzioni potrebbero essere due: da un lato creare un circolo virtuoso intorno a questa olivicoltura intensiva tale per cui tanti altri produttori agricoli che non sono oggi olivicoltori potrebbero essere interessati ad approcciarsi all’olivicoltura e quindi sarebbero nuove superfici che oggi non sono olivicole che diventano olivicole domani; dall’altro invece, dove possibile, se esistono delle casistiche di possibilità di rinfittimento come ha fatto il Portogallo, anche quello potrebbe essere molto interessante: potrebbero essere anche le aziende olivicole di oggi, quel 37 per cento di aziende di cui abbiamo parlato che hanno una competitività migliorabile, ad essere interessate ad ampliare le superfici olivicole oppure, all’interno della loro superficie aziendale, a riconvertire una parte delle superfici a un’olivicoltura diversa».
Quali sono i parametri principali che distinguono questo modello intensivo da voi proposto dal super intensivo?
«Innanzi tutto il numero delle piante. Noi parliamo di 400, 500 piante al massimo per ettaro, mentre nel super intensivo parliamo di 1250 anche 1600…»
...e quanti sono gli olivi per ettaro degli oliveti tradizionali?
«Quelli si aggirano intorno a 150/200 piante… Quindi parliamo di un intensivo ma molto sostenibile dal punto di vista ambientale e della tecnica agronomica».
Si può adottare anche in collina?
«Sì, fino a pendenze intorno al 25%. Purché ci siano delle disponibilità idriche. Perché il fatto di contrastare l’alternanza di produzione tipica dell’olivo lo si ottiene anche attraverso l’irrigazione, degli interventi di potatura fatti in un certo modo, le concimazioni. Quindi il fatto di ridurre l’alternanza e di contrastare un po’ questi fenomeni avversi del clima, ci permette di avere un minimo di reddito e anche una programmazione della produzione...»
...ma cercherete delle cultivar più adatte alla siccità?
«Sì, certo. Ci sono tanti aspetti. Intorno alle cultivar ci sono gli aspetti legati alla migliore risposta allo stress idrico, ma anche il fatto che un oliveto intensivo promuove la meccanizzazione della raccolta: ci sono olive che si staccano facilmente e olive che non si staccano facilmente. Quindi si può anche banalmente pensare a degli appezzamenti che, al di là del rispetto dell’auto sterilità delle singole cultivar, abbiano uniformità di varietà all’interno degli appezzamenti. Perché quello vuol dire che quando vanno in maturazione tutto l’appezzamento è più o meno nelle stesse condizioni… Insomma ci sono diversi aspetti che incidono…».
...questo modello è una proposta ufficiale del Cno?
«E’ una proposta ai nostri associati che probabilmente poi…»
...sarà avanzata anche a livello politico?
«Immagino di sì».
 
Lorenzo Sandiford

Nella campagna 2016-17 la produzione italiana di extravergine d’oliva è stata superata pure da quella greca, scendendo al 3° posto europeo. In 6 anni -31% e in 25 anni siamo l’unico degli otto maggiori Paesi produttori a calare (-17%). Il presidente del Consorzio nazionale degli olivicoltori Sicolo: necessari 150 milioni di nuovi olivi in produzione con il modello intensivo e la dotazione finanziaria per l’ocm olio va triplicata portandola al livello di quella per il vino (oltre i 300 milioni di euro triennali).  

sicolo, cno, olivicoltura, floraviva«Chiediamo lo stesso trattamento della viticoltura, perché qui, se non ci sono interventi finanziari, non si va da nessuna parte. Quindi interventi come per l’ocm (organizzazione comune di mercato, ndr) vino anche per l’ocm olio, perché sul vino ogni tre anni ci sono investimenti di 340 milioni di euro, sull’olivicoltura in tre anni ci sono 100 milioni. Bisogna alzare la dotazione finanziaria, lavorare sulla promozione e anche a livello strutturale degli oliveti: fare sistemazione degli impianti già esistenti con rinfittimento e fare nuovi impianti intensivi per aumentare la produzione, con varietà autoctone perché dobbiamo mantenere la nostra specificità di qualità delle nostre varietà e non fare “oli Coca Cola” come fanno gli spagnoli».
E’ quanto dichiarato ieri sera dal presidente del Consorzio nazionale degli olivicoltori (Cno) Gennaro Sicolo subito dopo il termine dell’assemblea nazionale organizzata per fare il punto sul significativo calo di produzione di olio d’oliva extravergine che stiamo registrando, sia a breve che a lungo termine, in Italia e sulla corrispondente perdita di quote nelle esportazioni globali, in un contesto di forte crescita degli scambi mondiali di olio d’oliva (raddoppiati dal 2000 ad oggi). Un punto della situazione, insieme a esperti di settore come Maurizio Servili, Francesco Paolo Fanizzi e Simone Cagnetti (vedi nostra intervista) e ad esponenti di spicco del mondo agroalimentare e politico fra cui il presidente di Cia Dino Scanavino, l’assessore all’agricoltura regionale Marco Remaschi, il direttore generale di Legacoop agroalimentare Giuseppe Piscopo, il senatore Dario Stefano e il presidente del Consiglio regionale Eugenio Giani, sulla base del quale avanzare alcune proposte concrete dirette a invertire questo trend negativo di uno dei fiori all’occhiello, anche dal punto di vista simbolico e identitario, della nostra agricoltura.
«Anche il piano olivicolo è un fatto importante – ha aggiunto Gennaro Sicolo - però ha una dotazione finanziaria molto risicata. Sono appena 30 milioni di euro. Quindi 30 milioni, con gli istituti di ricerca e fare quello che serve per il monitoraggio e per dare indicazioni alle regioni su quali sono le varietà di impianti da fare, si consumano. Ma per gli investimenti strutturali delle imprese ci vuole ben altro. Quindi io dico: come l’ocm vino l’ocm olio, la stessa dotazione finanziaria per rafforzarci a livello strutturale. Poi fare passare anche il piano olivicolo nazionale. Ci vogliono finanziamenti adeguati per dare un sterzata importante sia a livello di quantità che di qualità. Perché, se si inverte la rotta sia sulla quantità che sulla qualità, i giovani verranno attratti anche da questa coltura, che adesso viene messa all’ultimo posto. C’è un mercato che ci dà possibilità di sbocco del prodotto, specialmente sui prodotti di qualità, e noi siamo presenti in Giappone, in Cina, in Germania, in America. Vogliono l’olio italiano perché ha proprietà salutistiche importanti. Però al tempo stesso bisogna modernizzare strutturalmente il settore».
Ma vediamo in sintesi i dati messi in evidenza da Cno, un consorzio che riunisce su tutto il territorio nazionale 24 organizzazioni di produttori di vario livello e a cui fanno riferimento 135 mila olivicoltori che gestiscono circa 140 mila ettari di oliveti. Come riassunto da Simone Cagnetti dopo l’incontro, «abbiamo visto che, in base ai dati pubblicati dalla Commissione europea su questa ultima campagna olearia (dall’ottobre 2016 al settembre 2017), passiamo al terzo posto fra i Paesi europei maggiori produttori di olio, perché veniamo superati dalla Grecia». I dati, non definitivi, dicono infatti che la Grecia ha prodotto 195 mila tonnellate, mentre l’Italia si è fermata a 183 mila, così adesso siamo al terzo posto, più che doppiati dagli spagnoli e dietro ai Greci. Passando ai trend, Cagnetti ha osservato che «rispetto agli ultimi sei anni delle campagne olivicole, dal punto di vista della variazione percentuale della produzione, siamo calati negli ultimi sei anni di circa 1/3 della produzione (-31%, unici a indietreggiare insieme alla Grecia, -22%, fra i primi sei Paesi produttori mediterranei, ndr) e negli ultimi 25 anni abbiamo avuto un calo di circa il 17% e tra gli otto market leader del mercato dell’olio a livello mondiale siamo stati gli unici a perdere un 17%, tutti gli altri hanno incrementato le produzioni». Lo scarso dinamismo produttivo italiano, come precisato nel comunicato di Cno, si è fatto sentire anche sull’export: dalla tradizionale posizione di maggiore esportatore di olio d’oliva extravergine a livello mondiale l’Italia è stata scalzata dalla Spagna, attuale leader con una quota del 54%. L’Italia dal 1990 al 2015 ha visto la quota di esportazione sul mercato globale scendere dal 46% al 36% e le tendenze evolutive delle performance di esportazione nelle ultime sei campagne vedono l’Italia sì crescente, ma a un ritmo molto più lento di Portogallo, Spagna, Grecia e persino dell’Unione europea nel suo complesso.
Alla base di questi cattivi risultati dell’olivicoltura italiana per il Cno ci sono tre principali ragioni: «il processo di abbandono della coltivazione, la frammentazione della struttura produttiva ed il mancato ammodernamento del settore». È necessario attuare il prima possibile dunque una riconversione, ristrutturazione e ammodernamento della olivicoltura italiana, «anche tramite un processo di razionalizzazione fondiaria – come ha detto Gennaro Sicolo -. Il settore olivicolo oleario italiano per tornare leader mondiale avrà bisogno di più di 150 milioni di nuovi olivi in produzione e almeno 25 mila nuovi addetti che riequilibrino il ricambio generazionale nei campi, ora fermo sotto il 3 per cento».
Durante l’assemblea è stato illustrato il modello di impianti olivicoli intensivi su cui Cno consiglia di investire (vedi nostra intervista) e gli intervenuti hanno avanzato idee e proposte per contribuire a rafforzare la produzione olivicola italiana, al momento insufficiente a soddisfare la domanda di olio extravergine crescente a livello mondiale. Tra queste, l’idea di Dino Scanavino, che ha fra le altre cose ricordato che il settore commerciale oleario italiano è molto efficiente e vale circa 3 volte la produzione d’olio italiana, di premiare con le bandiere verdi di Cia anche le aziende di ristorazione che introdurranno una carta degli oli d’oliva con relativi prezzi, allo scopo di trasformare la percezione dell’olio extravergine di oliva «da condimento a vero e proprio alimento». Più in generale Scanavino ha sostenuto che gli olivicoltori sono un esercito di piccoli soggetti che hanno bisogno di organizzarsi in sistemi, ad esempio quelli cooperativi, che funzionano bene anche con aziende piccole da 2 ettari, come dimostra il caso Melinda in Trentino. «Non è un invito a restare piccoli – ha precisato Scanavino -, ma finché ci sono i piccoli dobbiamo aiutarli a stare insieme».
L’assessore Marco Remaschi ha riconosciuto che i 32 milioni di euro del piano olivicolo nazionale rappresentano una cifra ancora troppo scarsa e ha ribadito che la parola d’ordine dell’olivicoltura in Toscana (che «ha il 40% dell’olio certificato nazionale» a fronte di una produzione totale «intorno al 3% della produzione nazionale») resta la qualità, ma ha sostenuto che «dobbiamo comunque creare le condizioni per una spinta agli investimenti in nuovi impianti», con grande attenzione in particolare per gli investimenti nei sistemi di irrigazione, altrimenti c’è il rischio che la siccità si porti via una bella fetta della produzione.  
Il senatore Dario Stefano, che è stato assessore all’agricoltura in Puglia e coordinatore della Commissione Politiche agricole della Conferenza Stato-Regioni, ha affermato: «abbiamo un imperativo categorico: dobbiamo produrre più olio d’oliva, altrimenti non avremo più peso in ambito internazionale». Anche Stefano, intervenuto prima di Scanavino, ha sostenuto la necessità per i produttori di olio italiano di farsi sentire con il sistema della ristorazione e anche con il sistema della formazione alberghiera, affinché si parli di più dei contenuti dietro alle etichette degli oli extravergini, di cui molti studenti non sanno quasi niente.
Giuseppe Piscopo, direttore di Legacoop agroalimentare, ha detto che il piano olivicolo nazionale, uscito poco più di un anno fa, fu salutato come positivo nonostante la scarsa dotazione finanziaria. Però nei primi bandi ci sono state note dolenti, a suo avviso, perché troppe piccole e medie imprese, fra cui cooperative, sono rimaste escluse per le condizioni di accesso previste dai bandi, che imponevano in un primo tempo l’appartenenza a op (organizzazioni di produttori) e in un secondo tempo a reti di impresa. «Confidiamo – ha detto – che il Ministero possa rimediare in futuro». Nel settore olivicolo-oleario, ha argomentato Piscopo, esiste un numero altissimo di op, ma questo non impedisce che sia uno dei comparti in cui il livello organizzativo è più carente. Quello che conta, per lui, è come si regolano e si usano certi strumenti organizzativi.
Fra gli interventi tecnici, quello di Francesco Paolo Fanizzi ha prima messo in chiaro che «allo stato attuale non sono previste a livello europeo metodologie di laboratorio in grado di garantire un controllo circa la veridicità dell’informazione sull’origine geografica riportata in etichetta» e che con i test odierni del dna da olio d’oliva si può risalire all’origine varietale ma non all’origine geografica dell’olio stesso. Tuttavia Fanizzi ha spiegato che per stabilire l’origine geografica dell’olio d’oliva si possono usare altre tecniche e ha illustrato i sistemi di banche dati di riferimento che sono stati creati a tal fine.
Mentre Maurizio Servili si è detto d’accordo sull’urgenza di ritornare a coltivare olivi per produrre più olio e anche sulla scelta di puntare sul modello intensivo (da 1,5 a 3 euro di costo produttivo al litro d’olio), invece che super intensivo (meno di 1 euro di costo), e con cultivar italiane. Il fatto è che non possiamo più produrre olio solo a 8 euro di costo: non possiamo più basarci solo su quel modello. Si tratta di fare le scelte giuste agronomiche, con cultivar adeguate e sistemi di irrigazioni ad hoc. Poi ha richiamato una serie di risultati scientifici e innovazioni della ricerca italiana sulle proprietà degli oli extravergini, in relazione non solo alle cultivar ma anche alle modalità di raccolta e conservazione delle olive e alla frangitura, puntualizzando però che non tutti gli oli italiani sono uguali e che bisogna incominciare a distinguere nella comunicazione un olio dall’altro: quelli davvero salubri da quelli che non lo sono. Infine ha ricordato l’importanza del packaging (vedi nostro articolo) e che non siamo all’anno zero nell’uso dei sottoprodotti dell’olivicoltura, che possono servire a generare reddito.
 
Lorenzo Sandiford

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Si terrà domani, mercoledì 21 giugno, a Firenze, l'assemblea nazionale del Consorzio Nazionale Olivicoltori sotto lo slogan "La risposta: più olivicoltura italiana". Numerosi esperti e professionisti del settore interverranno, a partire dalle ore 15.30 al Grand Hotel Mediterraneo, per analizzare il comparto olivicolo-oleario e trovare strategie condivise.

L’olio extravergine d’oliva italiano ha dominato la scena mondiale per oltre un secolo, primeggiando in produzione e qualità e riuscendo a muovere, tra produzione, export e indotto, una cifra vicina ai 4 miliardi di euro annui, impegnando quasi un milione di addetti. Oggi lo scenario è profondamente cambiato e Paesi come Spagna e Grecia producono più olio dell’Italia e la concorrenza che aumenta con i Paesi del bacino del Mediterraneo, che stanno investendo molto su questo settore.
La leadership italiana resta sulla qualità, ma senza nuovi input e investimenti per il comparto olivicolo-oleario si rischia concretamente di mettere a rischio anche questo primato.
Per analizzare lo stato del comparto olivicolo-oleario e trovare strategie condivise il CNO, Consorzio Nazionale Olivicoltori, a Firenze, per domani, mercoledì 21 giugno, alle 15.30 presso il Grand Hotel Mediterraneo, promuove l’Assemblea nazionale sotto lo slogan ”La risposta: più olivicoltura italiana”. Interverranno Gennaro Sicolo, presidente nazionale del CNO, Lucio Cavazzoni, presidente Alce Nero, Francesco Paolo Fanizzi, docente Scienze e Tecnologie Biologiche e Ambientali Università del Salento, Eugenio Giani, presidente del Consiglio Regionale Regione Toscana, David Granieri, presidente FOOI, Giovanni Luppi, presidente Legacoop Agroalimentare, Marco Remaschi, assessore all’Agricoltura Regione Toscana, Luca Sani, presidente Commissione Agricoltura Camera dei Deputati, Dino Scanavino, presidente Confederazione Italiana Agricoltori, Maurizio Servili, docente Scienze e Tecnologie Alimentari Università degli Studi di Perugia, Dario Stefano, senatore della Repubblica.
 
Redazione

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Co.Ri.Pro., consorzio per la certificazione volontaria delle piante d'olivo, ha firmato un accordo con uno dei più importanti distretti agricoli della Cina, Youxian: per cinque anni le sue piante d'olivo forniranno la coltivazione del campo sperimentale di Mianyang. Pur favorendo la commercializzazione dell'olivicoltura toscana, resta da valutare il rischio di vendita del suo know-how.

L'anno scorso il Comune di Pescia e la città di Mianyang (prefettura da quasi sei milioni di abitanti) avevano firmato un patto di amicizia per promuovere l'olivicoltura nel distretto di Youxian, una delle più importanti aree destinate dal Governo cinese allo sviluppo olivicolo. L’accordo mirava a consolidare i rapporti e la cooperazione economica che già legavano da tempo gli olivicoltori del Sichuan con il Co.Ri.Pro.
Lo scorso 9 giugno si è proceduto così ad un ulteriore passo della stretta collaborazione fra Pescia e Mianyang: una delegazione del distretto agricolo di Youxian, assieme al sindaco di Mianyang, ha fatto visita a Pescia, sottoscrivendo con Co.Ri.Pro. un accordo commerciale della durata quinquennale. 
Co.Ri.Pro. rifornirà con le piante di olivo dei suoi tre associati il grande oliveto sperimentale di Mianyang al fine di approfondire le conoscenze cinesi nel settore dell'olivicoltura toscana e italiana, favorendone commercializzazione e consumo, come ha ricordato l'assessore all'agricoltura di Pescia, Marco Della Felice. Resta da valutare l'eventuale rischio di vendita del know-how pesciatino dato che oggetto dell'accordo è un campo sperimentale.
 
Redazione

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È il Ministero dell'Agricoltura spagnolo a pubblicare i dati del mercato oleario riferito al 30 aprile scorso: mentre le esportazioni risultano in forte crescita (+29%), si attesta una riduzione dell'8% della produzione rispetto a quella dell'anno precedente. La campagna 2016/17 non supera così quota 1,2 milioni di tonnellate.

Elaborando i dati Aica relativi alla situazione dello scorso 30 aprile, il Ministero dell'Agricoltura in Spagna ha pubblicato un outlook sul mercato oleario nazionale. I dati mettono così in evidenza una flessione dei livelli di trading nel corso del mese di aprile, dovuta alla contemporanea riduzione dei livelli di consumo interno e di quelli delle esportazioni. 
L'ampia disponibilità di prodotto, nonostante il buon andamento della commercializzazione a livello globale, ha portato a chiudere l'anno con un livello di scorte del 12% superiore a quello dello scorso anno e del 10% superiore alla media degli ultimi anni. 
La produzione complessiva della campagna 2016/17 si attesta a 1.279.500 tonnellate, ovvero un -8% rispetto alla produzione dell'anno precedente (comunque superiore dell'11% rispetto alla media delle ultime quattro campagne). La raccolta delle olive nel dettaglio ammonta a 6,4 milioni di tonnellate, che però hanno reso in olio il 19,72% di media. 
L'export relativo ad aprile registra 573.100 tonnellate, con un incremento del 29% rispetto all'anno precedente; l'import invece registra, sempre per aprile, 63.600 tonnellate. I consumi interni sono in calo del 10% rispetto alla scorsa stagione e del 5% rispetto alle quattro campagne precedenti. La frenata del mercato interno mette così le ali alle scorte. Le importazioni sono poi diminuite notevolmente secondo il Ministero dell'Agricoltura iberico. 
 
Redazione

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Un piano per difendere le colture, in particolare oliveti e vivai, dal rischio Xylella. Lo ha approvato la giunta regionale toscana su proposta dell'assessore regionale all'agricoltura Marco Remaschi. Il piano dà continuità alle azioni intraprese negli ultimi anni dopo l'infestazione del batterio Xylella fastidiosa agli oliveti del Salento e ad altre piante in Corsica e alle isole Baleari.

«La Xylella fastidiosa – ha evidenziato l'assessore regionale Marco Remaschi - non è presente in Toscana e stiamo facendo tutto il possibile per evitare che questo pericolo non si presenti anche in futuro. Nel corso del 2016 gli oltre 4.000 campioni analizzati hanno dato risultato negativo. Speriamo di continuare così.»
«Il piano approvato – prosegue l'assessore - mette insieme tutte le azioni per prevenire il pericolo, in particolare attraverso azioni di sorveglianza e monitoraggio nei punti considerati più a rischio, ma anche le azioni necessarie a fronteggiarlo, nella malaugurata ipotesi che dovesse manifestarsi. E' un piano estremamente dettagliato: bisogna tenere la guardia molto alta perchè le possibili conseguenze economiche e paesaggistiche sul nostro territorio di una infezione sarebbero gravissime.»
Nel documento approvato dalla giunta sono tracciate le indicazioni per lo svolgimento di un costante monitoraggio del territorio e per una sorveglianza presso i punti cruciali da dove si può diffondere la malattia. Tale attività è a carico del servizio fitosanitario regionale che ha già attivato i principali organismi scientifici operanti in Toscana, per avere un valido supporto scientifico nelle operazioni di monitoraggio e sorveglianza.
Il piano approvato dalla Regione ha quindi il compito di continuare questa azione preventiva alimentandola anche con iniziative di comunicazione: per esempio sono previste campagne di informazione nei punti di ingresso in Toscana (porti ed aeroporti); inoltre con le pagine fitosanitarie del sito della Regione Toscana viene svolta una informazione capillare per consentire ai cittadini ed ai visitatori di essere consapevoli e segnalare eventualmente casi sospetti da approfondire con controlli specifici. Inoltre, per far fronte al pericolo, è stato predisposto anche piano di emergenza da mettere in atto immediatamente nel caso che fosse riconosciuto un focolaio dell'infezione sul territorio regionale.
I risultati del monitoraggio nel 2016 aiutano a comprendere l'entità delle azioni che vengono messe in atto, attività che hanno consentito di dichiarare la Toscana "area indenne da Xylella fastidiosa". Nel corso di un anno sono stati effettuati 1204 sopralluoghi di cui 516 in vivai e garden e 688 in "altri siti" (ben 301 in oliveti). Sono stati prelevati e analizzati 3633 campioni da 54 specie vegetali che possono essere interessate all'infezione del batterio, fra le quali l'olivo ma anche l'oleandro, la ginestra, la polygala. Inoltre è stato effettuato un monitoraggio su insetti vettori con un prelievo totale di 649 campioni. Complessivamente il numero dei campioni prelevati e analizzati sul territorio regionale, nel corso dell'anno 2016, è stato di 4312 (3663 vegetali + 649 insetti). Tutti i campioni hanno dato risultato negativo.
 
Redazione