Filiera della canapa

L’associazione Canapa Sativa Italia, membro del nuovo tavolo tecnico di filiera, propone in primis di «chiarire la cornice normativa ed eliminare le zone di rischio per gli imprenditori, disciplinare il consumo umano del fiore e l’estrazione per fini non esclusivamente farmaceutici». Per CSI la commercializzazione del fiore di canapa non va inquadrata come quella del tabacco e bisogna «proteggere il mercato italiano della canapa alimentare e degli edibles in generale e da Big Pharma in particolare». 

Che cosa succede al mercato della pianta più antica e più curativa del mondo alle nostre latitudini? E soprattutto che cosa bisogna fare per rendere più competitiva la canapicoltura italiana?
Alcune risposte a tali domande sono contenute in un recente report di Canapa Sativa Italia (CSI), associazione che mette insieme alcuni fra i più rappresentativi esponenti del comparto canapicolo del nostro Paese e che siede al tavolo di filiera costituito all’inizio di quest’anno e insediatosi a febbraio. 
Sullo stato dell’arte, CSI ricorda «storiche evoluzioni normative come la sentenza del 19 novembre 2020 della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) nella causa C-663/18, che tra le altre cose alza il velo (e la sanziona) sulla discriminazione del CBD come nutriente ancora presente nelle legislazioni di vari stati membri e rileva che siffatte legislazioni nazionali impediscono la libera circolazione di questa merce così come dei servizi, dei capitali e della forza lavoro ad essa sottesi». E poi anche la «storica dichiarazione dell’OMS (dicembre 2020) grazie alla quale l’ONU ha potuto stabilire che la cannabis è una sostanza terapeutica, rimuovendola hinc et nunc dalla Tabella 4 nella quale si trovano le sostanze a maggior rischio di abuso e senza alcun valore benefico», pronuncia di cui tutte le legislazioni e i tribunali nazionali «dovranno immediatamente tenere conto».
E, venendo allo specifico italiano, per CSI «la più antica, gustosa, terapeutica e nutriente pianta del pianeta - i cui scarti sono altrettanto preziosi quanto la parte nobile della pianta sia in bio-edilizia che nella produzione di carburanti green - trova nelle fertili terre e nei microclimi speciali delle regioni italiane l’habitat migliore». E, «nonostante un ostracismo che dura da oltre un secolo, la canapa industriale italiana continua ad avere appassionati e competenti alfieri in giovani agricoltori, sapienti trasformatori ed imprenditori, scienziati e ricercatori. In una parola i nuovi ‘pionieri’ di un settore antico, la canapicoltura, che ormai copre ogni spettro di una filiera di qualità: dall’agro-alimentare, alla nutraceutica, alla farmacopea».
Ma non sono tutte rose e fiori, soprattutto per le incertezze normative che ancora permangono da noi. Che cosa bisogna fare per superarle e stabilizzare il comparto in Italia rendendolo più competitivo?
CSI propone innanzi tutto di 1) «chiarire la cornice normativa ed eliminare le zone di rischio per gli imprenditori, disciplinare il consumo umano del fiore e l’estrazione per fini non esclusivamente farmaceutici». La legge c’è già, specifica la nota di CSI, è «la 242 del 2016 per la quale è possibile realizzare e mettere in commercio praticamente qualunque derivato della canapa. A non essere chiaramente disciplinata è la vendita dei derivati destinati al consumo umano e su questo c’è da colmare un vuoto legislativo».
Inoltre bisogna 2) «non inquadrare la commercializzazione del fiore di canapa alla stregua di quella del tabacco». Il fiore o il trinciato di canapa inquadrato come tabacco «perderebbe la maggior parte delle possibilità di valorizzazione del prodotto con identità artigianale – secondo CSI -, l'impianto normativo riferito a questo tipo di filiera tende ad avvilire e a spostare l'attenzione dalla maggior parte delle possibilità e utilizzi molto più sani della pianta. Per questo motivo immaginiamo un impianto autonomo, anche sostenuto da licenze e soprattutto procedure di controllo sulla qualità». «Come accade per le filiere del luppolo e del vino – argomenta CSI - il sistema consente di valorizzarne tutti i livelli. La filiera della canapa, a livello agro-alimentare, è più vicina al luppolo e alla vite anche secondo i marketing standard in definizione EU; queste ultime [filiere, ndr] - in quanto destinate alla produzione di un alcolico - sono molto burocratizzate e non sempre necessariamente capaci di garantire una competitività nel mercato europeo per gli operatori di filiera made in Italy». Dunque «gli usi più promettenti della canapa – sostiene CSI - sono quelli alimentari e devoti al wellness, non certo solo un prodotto destinato banalmente o esclusivamente al fumo che come tutti sanno rimane dannoso alla salute di per sé».
«Tabacco, luppolo e vite – aggiunge la nota di CSI - non hanno, tuttavia, neanche lontanamente le potenzialità della canapa, caratterizzata da una multifunzionalità senza precedenti. Per questo oltre che la vendita diretta con la predisposizione di un sistema di controllo e verifica della salubrità di tutti i derivati, attraverso protocolli accessibili e sicuri, sono necessari tanti interventi tesi a valorizzare la coltivazione della canapa di tutti i livelli trovando soluzioni moderne alle criticità e consentendo a questo settore di svilupparsi autonomamente». «Quello del fiore – si legge - è un segmento della filiera capace di portare milioni di fatturato e senza nessun supporto da parte di finanziamenti o di classiche misure tipiche delle produzioni agricole: questo incredibile slancio andrebbe protetto e sostenuto con interventi tesi a valorizzare e a favorire il consolidamento di queste realtà. Uno degli elementi più critici da inserire a livello normativo è il continuo rinnovarsi del pool geneticoi vecchi processi di registrazione varietale non sono più adatti al continuo e frenetico sviluppo di questo settore, la cui incredibile variabilità e la libertà di ricerca sviluppo e innovazione genetica è considerata uno degli aspetti più interessanti dal punto di vista scientifico, come evidenziano decine di illustri ricerche». «Un approccio di libero mercato, coerente con le possibilità tecniche già a disposizione – continua CSI - potrebbe garantire quindi la possibilità di lavorare liberamente per gli agricoltori, facendo nascere un ulteriore aspetto propulsivo del mercato che è quello degli incroci consentendo uno sviluppo creativo per queste piccole realtà d'eccellenza, una necessità per quella categoria che rappresenta di fatto l’ossatura della filiera italiana in questo secolo».
Altra proposta di CSI è 3) «incoraggiare e proteggere il mercato italiano della canapa alimentare e degli edibles in generale e da Big Pharma in particolare». Infatti, viene sostenuto, «per natura la canapa non può essere relegata a un banale, anonimo e standardizzato succedaneo del tabacco: le destinazioni d’uso reali sono ben più variegate e il consumo può avvenire in diversi modi, tutti decisamente più salutari rispetto al fumo, ma neanche rimanere di esclusivo appannaggio delle officine farmaceutiche». La realizzazione di estratti certificati, spiega CSI, «è possibile oggi solo tramite autorizzazione UCS riservata alle officine farmaceutiche che realizzano API (Active Pharmaceutical Ingredients) ai sensi della L. 309/90: si tratta di ingredienti specifici per farmaci, che non sono però utilizzabili dall’industria alimentare e cosmetica». «In relazione al mondo della canapa industriale – continua la nota - il gap legislativo italiano non ci consentirà di produrre per competere nel mercato europeo (dove sono già autorizzati impianti di estrazione per destinazione novel food / cosmesi / semilavorati) e in violazione del principio di mutuo riconoscimento oggi già subiamo l’importazione dall’estero a prezzi molto più competitivi di quanto da noi vietato».
«La legge, inoltre, - prosegue il testo - prevede un esclusivo rapporto tra l’industria farmaceutica e il produttore selezionato svilendo le possibilità che il libero mercato potrebbe offrire. Non c’è competizione sulla qualità del prodotto, il produttore deve avere già un contratto e conferire tutto il suo prodotto all’industria ancora prima di realizzarlo, quindi impedendo di fatto la possibilità di confrontarsi con gli altri players sul mercato, di valutare diverse offerte, di differenziare i propri prodotti, di avere diversi clienti, fornitori, di lavorare il proprio prodotto presso un laboratorio autorizzato e rivenderlo a proprio marchio, impedendo a queste aziende uno sviluppo di un'identità, caratteristica invece di tutte le aziende del Made in Italy presenti sul panorama internazionale, dovendo trovare le modalità di autorizzare degli impianti a questo specifico scopo ed evitando le logiche della L. 309/90, o quantomeno distinguendo i processi farmaceutici da quelli più economici del settore alimentare o cosmetico in larga scala».
Eppure, afferma CSI, «la destinazione alimentare del fiore, ma soprattutto dei diretti derivati detti edibles, rappresenterebbe un volano economico e culturale non indifferente e un aiuto alla filiera con un grado di evoluzione che integrerebbe tutti i suoi comparti a destinazione umana, quale probabile approdo di un consolidamento del novel food». «Nell’ottica di valorizzare la produzione artigianale – aggiunge la nota - purtroppo le procedure relative all'application di un novel food, a causa della dimensione produttiva di molte piccole realtà italiane, sono un ostacolo insuperabile per le stringenti e costose procedure necessarie alla registrazione». E «l’Italia ha un mercato alimentare troppo variegato per poter puntare su pochi prodotti standardizzati».

Redazione

 

 

tavolo della canapa

Ieri si è insediato il tavolo di filiera della canapa. Il Ministero delle Politiche Agricole sollecita il confronto verso un piano di settore in cui siano precisati obiettivi, fabbisogni e finanziamenti. Confagricoltura: è un’opportunità produttiva, oltre ai finanziamenti del fondo di rilancio delle filiere agricole minori, necessario attingere al Recovery Fund. Coldiretti ricorda i tanti usi della canapa e stima un giro d’affari potenziale di oltre 40 milioni di euro. Cia: il comparto canapicolo è performante e green, ma va migliorata la Legge 246/2016 sulla promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa, ci sono ancora troppe incertezze. 


Il Ministero delle Politiche Agricole alimentari e forestali (Mipaaf) e le tre maggiori associazioni di categoria agricole sono concordi nel credere nelle opportunità del comparto della canapa e prendono tremendamente sul serio la sfida del rilancio di una filiera che fino alla metà del secolo scorso aveva dato tante soddisfazioni all’Italia. Purché si eliminino una volta per tutte le incertezze normative.
E’ quanto emerso alla riunione di insediamento, tenutasi ieri in videoconferenza, del tavolo interministeriale della canapa industriale, che ha coinvolto, oltre al Mipaaf, i ministeri di Interno, Giustizia e Sviluppo Economico, e poi Agenzia delle Dogane, Arma dei Carabinieri, Crea, Ismea, Agea e tutti gli attori del comparto. Riunione in cui, come ha fatto sapere una nota del Mipaaf, si è parlato anche dell'utilizzo «di parte dei fondi messi a disposizione per il 2021 dall’ultima Legge di Bilancio, pari a 10 milioni di euro».
«Oggi poniamo le basi per rilanciare e sostenere le produzioni nazionali di canapa, una pianta nelle cui potenzialità crediamo molto – ha detto il sottosegretario alle Politiche Agricole Giuseppe L'Abbate -. Auspicando un confronto attivo e proficuo con i protagonisti della filiera, ci poniamo l'obiettivo di approvare un piano di sviluppo del settore affinché si evidenzino i fabbisogni e le necessità del comparto, così da intervenire con finanziamenti adeguati in grado di farne crescere la produzione vista la molteplicità di finalità di utilizzo di questa pianta».
«La crisi economica in atto - ha osservato Confagricoltura nell’incontro - si supera dando alle aziende agricole anche nuove prospettive e mercati innovativi: la canapa può essere davvero un’importante opportunità per le imprese, con risposte in chiave produttiva, nei settori emergenti della bioeconomia, ma anche in chiave ambientale. Poi non bisogna dimenticare che pure l’agricoltura è chiamata a contribuire al contrasto dei cambiamenti climatici e al raggiungimento dell’obiettivo di neutralità carbonica al 2050 attraverso la sua capacità naturale di assorbire CO2 in percorsi di carbon farming, dove la canapa potrà assumere un ruolo incisivo». Ad avviso di Confagricoltura è giunto il momento di superare tutte le incertezze legate alle singole destinazioni d’uso della canapa industriale che ne hanno frenato lo sviluppo e di collaborare alla costruzione di un percorso di crescita del settore che possa essere una concreta opportunità per le imprese agricole, anche in relazione ad eventuali riconversioni di alcune produzioni. «Attendiamo dal Tavolo - ha concluso Confagricoltura - proposte e impegni condivisi ed efficaci, a partire dai finanziamenti previsti dal Fondo per la tutela ed il rilancio delle filiere agricole cosiddette minori (tra cui la canapa), che ha una dotazione complessiva, per il 2021, di 10 milioni di euro. Sarà pure importante la possibilità di accedere alle ulteriori risorse del Recovery Fund per un settore che necessita di investimenti in ricerca e sviluppo e in filiere strutturate».
«Uscire dalla giungla di norme e controlli e dare una uniformità di applicazione della legge a livello nazionale al di fuori di singole interpretazioni a livello locale». E’ quanto chiesto da Coldiretti, che ricorda: «in Italia i terreni coltivati a canapa nel giro di cinque anni sono aumentati di dieci volte superando i 4000 ettari da Nord a Sud della penisola, dal Piemonte alla Puglia, dal Veneto alla Basilicata, ma anche in Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Sicilia e Sardegna. Fino agli anni ‘40 la canapa era più che familiare in Italia, tanto che il Belpaese con quasi 100mila ettari era il secondo maggior produttore al mondo dietro soltanto all’Unione Sovietica, poi il declino per la progressiva industrializzazione e l’avvento del “boom economico” che ha imposto sul mercato le fibre sintetiche, ma anche dalla campagna internazionale contro gli stupefacenti che ha gettato un ombra su questa pianta». «La canapa sta vivendo oggi una seconda giovinezza – aggiunge la Coldiretti – con un vero e proprio boom su più fronti dall’alimentare alla medicina. In commercio si trovano dai biscotti e dai taralli al pane, dalla farina di all’olio, ma c’è anche chi la usa per produrre ricotta, tofu e una gustosa bevanda vegana, oltre che la birra. Dalla canapa si ricavano inoltre oli usati per la cosmetica, resine e tessuti naturali ottimi sia per l’abbigliamento, poiché tengono fresco d’estate e caldo d’inverno, sia per l’arredamento, grazie alla grande resistenza di questo tipo di fibra. Se c’è chi ha utilizzato la cannabis per produrre veri e propri eco-mattoni da utilizzare nella bioedilizia per assicurare capacità isolante sia dal caldo che dal freddo, non manca il pellet per il riscaldamento che assicura una combustione pulita». «Si stima – conclude la Coldiretti – un giro d’affari potenziale stimato in oltre 40 milioni di euro con un rilevante impatto occupazionale per effetto del coinvolgimento di centinaia di aziende agricole».
Per Cia – Agricoltori italiani «a livello nazionale, ma anche europeo, ci sono margini importanti per dare impulso al comparto, particolarmente performante e green». «Oggi - spiega Cia - le centinaia di aziende agricole che stanno investendo su questa coltura (+200%), portando a oltre 4 mila gli ettari di canapa seminati, chiedono un necessario salto di qualità che sostenga questa importante occasione di reddito agricolo e il loro contributo a sviluppare produzioni sempre più innovative, capaci di ridurre il consumo di suolo, favorire le rotazioni agronomiche, diserbare i terreni e bonificarli dai metalli pesanti». «Dal Tavolo di filiera è, dunque, urgente -sottolinea Cia - che si proceda, subito, anche all’istituzione del tavolo di settore, appena annunciato, e che s’intervenga per migliorare la Legge 246/2016 relativa alle disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa. Il settore canapicolo resta, infatti ancora imbrigliato in incertezze normative che ne frenano la crescita, nonostante la stessa legge abbia tentato di ridare fiducia alla coltivazione e alle sue trasformazioni». «Allo stesso tempo - conclude Cia - occorre orientare al meglio le risorse a disposizione, come i 10 milioni stanziati per le filiere minori nell’ultima Legge di Bilancio, e attrarre le opportunità rappresentate dalla nuova Pac e dalla transizione verde Ue, ambiti che posso a buon diritto annoverare la coltivazione canapicola in quanto promotrice di pratiche agronomiche sostenibili».


L.S.


Alla riunione in videoconferenza d’insediamento del “Tavolo di filiera della canapa”, che durerà 3 anni con compiti consultivi e di monitoraggio, prenderanno parte i 48 componenti selezionati dal Mipaaf. L’Abbate: «il comparto potrà contare su parte dei 10 milioni di euro stanziati nell’ultima Legge di Bilancio». La produzione di canapa in Europa è aumentata del 614% rispetto al 1993. 


Giovedì 4 febbraio alle 15 si terrà la riunione di insediamento del “Tavolo di filiera della canapa industriale”, istituito il 17 dicembre scorso presso il ministero delle Politiche agricole (vedi).
All’incontro in videoconferenza prenderanno parte i 48 componenti selezionati nei mesi scorsi nel percorso di concertazione portato avanti dal Sottosegretario Giuseppe L'Abbate. Al tavolo, che avrà durata triennale e avrà compiti consultivi e di monitoraggio, parteciperanno i rappresentanti dei ministeri dell'Interno, della Salute, dello Sviluppo economico, dell'Ambiente, dell'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli e dell'Arma dei Carabinieri per la Difesa oltre ai tre dipartimenti del Mipaaf e agli Enti vigilati Crea, Ismea e Agea. In rappresentanza delle Regioni ci saranno la Puglia, il Friuli Venezia-Giulia, il Piemonte, l'Umbria e il Veneto. Il mondo produttivo sarà rappresentato da sei organizzazioni professionali agricole, quattro centrali cooperative agricole, sei organizzazioni di rappresentanza nazionale nonché sei associazioni di settore della canapa e due portatori di interessi. Per il mondo scientifico, infine, l'Università di Roma La Sapienza e di Modena e Reggio Emilia.
«Diamo avvio al confronto nel settore per pianificare le scelte future per rilanciare e sostenere le produzioni nazionali di canapa e rafforzare le politiche di filiera – ha dichiarato nei giorni scorsi il sottosegretario alle Politiche agricole, Giuseppe L'Abbate -. Il comparto potrà contare, inoltre, su parte dei 10 milioni di euro che abbiamo stanziato nell’ultima Legge di Bilancio. Sarà importante fare scelte condivise e ben calibrate affinché si possano dare concrete opportunità per il futuro del settore».
L'Italia con poco più di 4mila ettari, dati 2018, è seconda in Europa dopo la Francia, che domina la produzione comunitaria con 17.900 ettari di canapa industriale. In confronto al 1993, la crescita europea è del 614% con oltre 50mila ettari.

Redazione

 

 

tavolo della filiera della canapa

Designati i 48 membri, che resteranno in carica per tre anni e dovranno elaborare il piano di settore. Il sottosegretario L’Abbate: «dobbiamo ridare lustro a un comparto che ha visto primeggiare l’Italia». Secondo Eiha, la Francia domina la produzione europea con 17.900 ettari coltivati, pari al 37%, seguita dall'Italia con 4 mila ettari e dai Paesi Bassi con 3.833.


Con il decreto di istituzione firmato dalla ministra Teresa Bellanova è nato nei giorni scorsi il «Tavolo di filiera della canapa» presso il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali. 
Dopo un lungo lavoro di concerto portato avanti dal sottosegretario Giuseppe L'Abbate, conclusosi a settembre, si è giunti in dicembre alla designazione dei 48 membri che vi prenderanno parte: saranno coinvolti i ministeri dell'Interno, della Salute, dello Sviluppo economico, della Difesa e dell'Ambiente, l'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, le organizzazioni agricole, le associazioni e i portatori d'interesse del settore canapa, le università e gli Enti controllati Agea, Ismea e il Crea. I componenti del tavolo rimarranno in carica per tre anni con il compito di elaborare un piano di settore capace di ridare slancio a questo comparto.
«La canapa torna ad essere una filiera agricola – ha dichiarato il sottosegretario alle Politiche agricole L'Abbate - Diamo valore ai tanti operatori che stanno lavorando, non senza difficoltà, per ridare lustro ad un settore che ha visto l'Italia tra i maggiori produttori al mondo. Dopo l'approvazione della legge 242 del 2016, il settore della canapa ha finalmente un luogo dove poter discutere e affrontare le diverse problematiche e le questioni più dibattute per addivenire a conclusioni condivise, anche con gli altri ministeri interessati, che possano sostenere e incentivare la filiera, creando così nuovi posti di lavoro e rendendo sempre più competitive le nostre imprese». 
In Italia si è passati da circa 80mila ettari coltivati a canapa nel 1910 a poco più di 4mila ettari nel 2018, periodo in cui della canapa industriale non sono stati conservati né il germoplasma né la conoscenza delle tecniche agronomiche più efficienti. Secondo un report dell'associazione europea della canapa industriale EIHA, pubblicato a gennaio 2020 (su dati del 2018), la Francia domina la produzione europea con 17.900 ettari coltivati, pari al 37%, seguita dall'Italia e dai Paesi Bassi con 3.833 ettari. In Europa, la coltivazione si estende, infatti, su oltre 50mila ettari, con un aumento della produzione del 614% in confronto al 1993.
Come riferito da ‘Canapa Industriale’, fra i 48 membri del tavolo vi sono tre rappresentanti del Mipaaf (Pietro Gasparri, Giuseppe Di Rubbo e Massimiliano Vilardi), due del ministero dell’Interno (Graziella Forti e Paola Di Salvo), uno per il ministero della Salute (Germana Apuzzo), uno per quello dello Sviluppo economico (Debora Rogges), uno per quello dell’Ambiente (Michelangelo Lombardo) e uno per quello della Difesa (Massimo Friano), oltre a uno per l’Agenzia delle dogane e dei monopoli (Stefano Saracchi). Poi i rappresentanti delle Regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano, delle organizzazioni professionali agricole (Anpa, Cia, Coldiretti, Confagricoltura, Uci, Copagri), delle centrali cooperative agricole (Legacoop, Ue Coop, Unicoop, Unci), organizzazioni di rappresentanza nazionali quali Assosementi, Confeuro, Union Alimentari – Confapi, Cai, Federdistribuzione, Meritocrazia Italia). Gli enti e le partecipate del Mipaaf come l’Agea, le divisioni del Crea e l’Ismea, oltre all’università di Roma La Sapienza e quella di Modena e Reggio Emilia. Poi le associazioni di categoria e quindi Lacanapaciunisce, Resilienza Italia Onlus, Canapa Sativa Italia, Sardinia Cannabis, Sativa Molise, Fippo. Infine portatori di interesse quali Pietro Paolo Crocetta di Bio Hemp Trade e Stefano Vitali di Canapamo.
«Provvederemo, nel più breve tempo possibile – ha annunciato L'Abbate - a convocare la prima riunione del Tavolo affinché si possa stabilire il programma di lavoro per il rilancio di questa coltura che interessa il comparto agricolo e quello della trasformazione agroalimentare, tessile, edile e farmaceutica, solo per citare alcune finalità di questa straordinaria pianta».

Redazione


Soddisfazione di Agrinsieme per la sentenza della Corte di Giustizia europea che stoppa i divieti nazionali al commercio di cannabidiolo (CBD), non classificabile come stupefacente. Nella revisione della Legge 242/2016 «occorrerà esplicitare la valorizzazione di tutte le parti della pianta, e dunque anche delle infiorescenze, inserendo un esplicito riferimento alle coltivazioni in ambienti protetti oltre che in pieno campo». Per Agrinsieme senza tavolo di filiera sarà «molto complicato» rivedere le norme e definire un buon piano per questo settore dell’agricoltura così ricco di potenzialità.


«La valorizzazione delle infiorescenze di canapa industriale è strategica per le imprese agricole in termini di diversificazione del reddito e di bioeconomia: nei fiori di canapa, infatti, sono presenti elementi non stupefacenti, quali cannabinoidi e terpeni, di notevole rilevanza per i nuovi mercati della bioeconomia, quali le produzioni alimentari, la nutraceutica e la biocosmetica, senza contare le implicazioni legate alle altre filiere della canapa, come la bioedilizia, le bioplastiche e il biotessile».
Lo ha sottolineato nei giorni scorsi il coordinamento di Agrinsieme, che riunisce Cia-Agricoltori italiani, Confagricoltura, Copagri e Alleanza delle Cooperative Agroalimentari, esprimendo soddisfazione per la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea che ha stabilito che uno stato membro non può vietare la commercializzazione del cannabidiolo (CBD), molecola appartenente alla famiglia dei cannabinoidi, nel mercato comunitario.
«La Corte di Giustizia europea, inoltre, sulla base delle attuali conoscenze scientifiche, stabilisce che il cannabidiolo “non può essere considerato come uno stupefacente”, andando finalmente a fare chiarezza sui suoi presunti effetti psicotropi o nocivi per la salute umana», ha specificato il Coordinamento.
«Alla luce di tale sentenza – prosegue la nota - diventa ancora più urgente convocare il tavolo di filiera interministeriale, del quale abbiamo ripetutamente sollecitato l’istituzione, coinvolgendo i ministeri della Salute, dell’Agricoltura, dell’Interno, della Giustizia e dello Sviluppo Economico e tutti gli attori del comparto, così da andare a implementare il quadro normativo della canapicoltura, settore che negli ultimi anni ha fatto registrare un aumento importante delle superfici coltivate e i cui margini di crescita sono molto più ampi».
«In tale contesto, nell’alveo di un percorso di revisione della Legge 242/2016, occorrerà esplicitare la valorizzazione di tutte le parti della pianta – suggerisce Agrinsieme - e dunque anche delle infiorescenze, inserendo un esplicito riferimento alle coltivazioni in ambienti protetti oltre che in pieno campo, legittimando i produttori agricoli alla prima trasformazione dei prodotti di canapa e dando nuovo impulso alla ricerca; in un’ottica di più ampio respiro, servirà poi dare maggiori certezze agli operatori della filiera in termini di controlli e di qualità, prevedendo appositi sistemi di tracciabilità».
«Allo stesso tempo – aggiunge il Coordinamento - bisognerà lavorare per inserire le infiorescenze di canapa, così come i semi, nell’elenco delle parti di piante officinali previste dal Testo unico in materia di coltivazione, raccolta e prima trasformazione delle piante officinali».
«Ribadiamo – conclude il comunicato - che senza tale tavolo di confronto sarà molto complicato definire un piano di settore che favorisca lo sviluppo del comparto e andare a dipanare tutte le incertezze normative legate alle singole destinazioni d’uso della canapa industriale, che stanno frenando la crescita di una coltura che può rappresentare un’importante opportunità di integrazione del reddito delle imprese e delle cooperative agricole».

Redazione

La migliore startup green del 1° Flormart Future Village è Serranova con la sua serra modulare che permette di far crescere le piante a una velocità fino a 4 volte più alta della norma. Premio del pubblico a Canvasalus, che ha sviluppato un metodo scientifico per ottenere solo piante di canapa femminili. Tra le 8 finaliste che potranno partecipare alla Tilt Academy ed esser selezionate per il Ces di Las Vegas, c’è la rete di imprese tosco-sarda Olea, comprendente 4 aziende vivaistiche della Valdinievole (PT) e una di Orosei (NU). 


Serranova è la migliore startup del settore green in Italia. La serra modulare, ideata dall’architetto e designer Stefano Chiocchini, ha vinto stamani la prima edizione del Flormart Future Village, il cuore innovativo - ideato e organizzato da Blum – della 70esima edizione del salone internazionale del verde, che ha visto competere 8 giovani aziende, selezionate da un apposito bando, in un padiglione di Flormart dedicato all’innovazione.
Serranova permette di coltivare ortaggi e verdure biologiche garantendo una crescita fino a 3 o 4 volte più veloce della norma, grazie alle polveri fotoluminescenti inglobate nei vetri che convertono la luce solare o artificiale in frequenze luminose molto vicine ai picchi della fotosintesi clorofilliana, rilasciandola progressivamente con un’intensità simile a quella del sole a mezzogiorno. A Canvasalus, giovane azienda che sviluppa ricerca sulla canapa, è andato invece il premio del pubblico che ha affollato nei tre giorni il Village.
«Flormart Future Village si è rivelato spazio di incontro e confronto per l’ecosistema dell’innovazione, dove si sono generate buone opportunità di sviluppo - spiega Luca Barbieri, cofounder di Blum -. La conferma di quanto servano luoghi che, come questo, sono progettati per facilitare il networking tra chi crea nuovi dispositivi e servizi, aziende che possono servirsene per fare innovazione di prodotto e di processo, centri di ricerca che fanno da ponte e incubatore per queste nuove idee».
Serranova si aggiudica così una serie di servizi e opportunità, tra cui la possibilità di partecipare come espositore all’interno di Flormart 2020. Ma per tutte le finaliste c’è una doppia opportunità, offerta da Tilt, realtà che seleziona le startup che rappresenteranno l’Italia al Ces di Las Vegas, la più grande fiera mondiale dedicata alla tecnologia in programma dal 7 al 10 gennaio 2020. La prima opportunità è quella di partecipare alla Tilt Academy che nell’arco di un mese può dare loro gli strumenti necessari per competere a livello internazionale. La seconda è, se selezionate da Tilt, portare l’innovazione green a Las Vegas.
Fra queste otto finaliste c’è anche Olea rete contratto: una rete di imprese creata da cinque aziende florovivaistiche tosco-sarde che hanno deciso di unirsi per condividere conoscenze produttive e commerciali ed essere più incisive sul mercato globale. Olea vuole promuovere in particolare la ricerca e l'innovazione nella produzione di piante di olivo e studiare metodi di produzione e di processo innovativi per il settore florovivaistico. Olea è formata dalle seguenti aziende agricole: Az. Agr. Andreani Edoardo (Pescia, PT), Az. Agr. Cinelli Luca (Pescia), Cinelli Vivai di Cinelli Federico (Pescia), Vita Verde Vivai (Orosei, NU), Vivai Attilio Sonnoli (Uzzano, PT).
 
PIGMENTI NEI VETRI: ECCO IL SEGRETO DELLA SERRA SPECIALE
Serranova, startup nata a Perugia, è una serra che permette di coltivare ortaggi e verdure nel proprio giardino o in casa, su un substrato in fibre naturali, in un ambiente controllato con aria purissima e stimolazione fotoluminescente. Grazie a un innovativo sistema di depurazione dell’aria si proteggono le piante dagli attacchi di parassiti e malattie senza ricorrere ad antiparassitari. Il cuore della serra è il sistema sperimentale innovativo per l’accrescimento delle piante. I vetri con inglobate polveri fotoluminescenti sono adiacenti alle scaffalature per le piante in accrescimento e ricoprono tutte le pareti trasparenti della serra. L’innovazione si basa sul seguente principio: in natura esistono alcuni pigmenti «foto convertitori» che sono in grado di convertire alcune frequenze della luce solare o di una particolare luce artificiale, in altri tipi di frequenze nello spettro visibile tra i 400 e 700 nanometri. Una particolare mescola di questi pigmenti foto-convertitori converte la luce solare in frequenze luminose molto vicine ai picchi della fotosintesi clorofilliana stimolando in maniera significativa la crescita delle piante.
 
SEMI TUTTI «AL FEMMINILE» PER UNA CANAPA MIGLIORE
Canvasalus di Monselice (Padova) si occupa di ricerca avanzata sulla canapa. Ha sviluppato un metodo scientifico per ottenere solo piante di canapa femminili, risolvendo così un problema di molte aziende del settore, quello dell’alta concentrazione di piante maschili, prive di fiore e che per questo devono essere eliminate dal campo con il faticoso processo di smaschiatura. Il metodo di Canvasalus invece permette, partendo da un lotto di semi di canapa dioica (cioè con piante a sessi separati), di estrarre solo la frazione dei semi femminili, risolvendo il problema prima della semina.

Redazione