MARIA TERESA SALOMONI SUL VERDE URBANO PER CITTA' SOSTENIBILI
- Lorenzo Sandiford
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in Vis-à-vis

Intervista all’agronoma Maria Teresa Salomoni, di Proambiente Tecnopolo CNR Bologna, dopo la sua conferenza su “Verde e città” a Murabilia Lucca 2025: dall’approccio delle Nature Based Solutions al rapporto circolare coi vivai fino alla valorizzazione delle piante pioniere.
Una conferenza nella seconda giornata di Murabilia, il 6 settembre sulle Mura di Lucca, è stata l’occasione per fare il punto su alcuni principi guida per un verde urbano corretto e in grado di rendere davvero più ecosostenibili le città.
A tenerla era Maria Teresa Salomoni, agronoma di Proambiente Tecnopolo CNR Bologna, che ci ha concesso un’intervista al termine della sua relazione, intitolata “Verde e città: quali scelte per un domani migliore”.
Dottoressa, quali sono i principi da seguire per un corretto verde urbano: può sintetizzare alcuni aspetti da lei toccati nella conferenza?
«I caposaldi sono due. Uno è desigillare le città, cioè togliere asfalto, non aumentare l'asfalto e non aumentare il cemento, utilizzando nel caso in cui servano come edifici gli involucri vuoti che sono già troppo presenti in tante città, che sono tutti i capannoni abbandonati. Quindi il primo è riutilizzare ciò che c’è già e desigillare, cioè cercare di fare in modo che le città siano meno costruite possibili, facendo che cosa? Facendo in modo che ci sia un suolo fertile adatto al secondo caposaldo, che è aumentare il verde in città, che significa aumentare l'ombra delle città e aumentare il processo di evapotraspirazione, che è quello che permette all'aria delle città di ridurre la propria temperatura. E le città sono uno dei punti principali di cambiamento climatico, sono un'origine del cambiamento climatico, perché nelle città avvengono i maggiori cambiamenti di uso del suolo, quindi con la cementificazione del suolo fertile, e vi sono i punti di inquinamento determinati sia dalle fabbriche nelle zone periferiche che dai trasporti. Tutti elementi, questi, che concorrono al cambiamento climatico».
Ecco, nel primo principio, se non ho frainteso, ci rientra la depavimentazione: mi può parlare di questo aspetto?
«È fondamentale, questo aspetto della desigillazione, proprio per evitare di aumentare la quantità di materiale che nel periodo estivo si surriscalda e determina le isole di calore, che sono quelle che appunto causano dei grossi problemi di salute alle persone più fragili. Ma anche alle persone meno fragili, perché quando attraversiamo un parcheggio di 300 metri per 300 che è completamente privo di alberature ed è solo asfalto tutti abbiamo caldo, anche le persone più giovani hanno caldo e anche le persone più giovani non stanno bene. Quindi bisogna ombreggiare il più possibile. Quindi o si fa come in Andalusia, che si ombreggia con dei teloni, oppure noi abbiamo la possibilità, grazie anche alla piovosità che caratterizza tantezone d'Italia, di utilizzare le piante, che non solo ombreggiano, ma anche riducono L'inquinamento e sequestrano l'anidride carbonica, che è una delle principali cause fisico-chimiche dell'aumento della temperatura dell’atmosfera».
Molte amministrazioni pubbliche hanno un po’ di ritrosia a depavimentare, forse per la paura che ci si cammini peggio, ma lei nella relazione ha dato dei consigli per approcciare in modo migliore questa problematica?
«In modo completamente diverso. Nel senso che esistono le Nature Based Solutions, che sono quelle soluzioni che mettono insieme le esigenze della popolazione che deve vivere nelle città con le esigenze di salute della popolazione stessa, che si riverbera ovviamente sulla città intera; e che mettono insieme le piante con le soluzioni ingegneristiche che permettono l'utilizzo e il riutilizzo delle acque in modo sano: in modo sano per le piante, in modo sano per le città, perché la presenza delle Nature Based Solutions impedisce ad esempio l'allagamento di interi quartieri cittadini nei casi di piovosità importanti».
Una parola anche su come lei vede il rapporto con i vivai, cioè sulla scelta delle piante: come lo imposterebbe?
«È fondamentale. Uno dei vivaisti presenti oggi alla conferenza, Francesco Vignoli, ha detto una cosa fondamentale, ovvero che ci deve essere circolarità: dal punto di produzione si deve arrivare al punto di progettazione; ma c’è anche il processo inverso, cioè dalla progettazione si deve arrivare alla richiesta sui vivai di novità, in modo tale da avere delle piante che siano il più possibile adatte per forme e dimensioni anche alla città. Ma forme e dimensioni naturali, non artificiali, in modo che non debbano essere potate. E piante ovviamente adatte al clima, clima che cambia. Quindi è un pò una sfida questa. Però noi dobbiamo essere pronti a coglierla».
Una curiosità finale, su un argomento che lei ha toccato e che a me sta a cuore dopo aver assistito tanti anni fa a una mostra a Roma su un lavoro di un gruppo artistico sugli “interstizi urbani”, in cui compaiono pure le “piante pioniere” di cui lei ha parlato: in che cosa consistono e perché ne ha parlato?
«Le piante pioniere sono quelle piante che spontaneamente si insediano in un luogo senza che siano state messe a dimora dall'uomo. E, se dopo alcuni anni, queste piante pioniere sono ancora lì che resistono, nonostante che non vengano curate, non vengano innaffiate, vuol dire che sono le piante giuste per stare in quel luogo lì. Quindi, quando si fa della depavimentazione o ci sono anche dei luoghi abbandonati dall'uomo, si vede che subito la natura si riappropria di quei luoghi, di quegli spazi. E allora se un Comune non ha troppi soldi per fare di nuovo dell'inverdimento, approfittiamo delle piante pioniere, magari aiutiamole anche a insediarsi, ma in modo tale da permettere a queste piante di insediarsi nei luoghi e di stare lì. E se lì un seme germina e riesce a sopravvivere dopo alcuni anni, sarà una pianta fortissima e quindi sarà una pianta adatta al luogo».
Ultimo esempio, collegato a questo, è il caso dell'ailanto, che viene un po’ stigmatizzato da tutti perché è una pianta invasiva: lei però ha osservato che potrebbe essere utilizzato nei cantieri purché si scelgano delle piante...
«… sterili. Io è da tempo che chiedo alla ricerca e al vivaismo di ottenere degli ailanti sterili. Questo perché? Perché i cantieri sono dei punti, delle sorgenti di inquinamento polverulento enormi, ma anche di inquinamento, perché passano i camion. Quindi abbiamo in mente i cantieri italiani che durano decenni. E sono dei punti dove la vegetazione non ce l’hai perché non riesce a stare, tranne l'ailanto. Allora, fare delle
piantagioni di ailanto in queste zone, dove l'ailanto sopravvive anche senza avere dell'acqua, senza avere nessuna cura, significa riuscire a mitigare le zone di un punto, una sorgente di inquinamento molto importante, in modo che questo inquinamento non si sparga nell'aria, ma venga trattenuto dalla pianta. Però è anche chiaro che dove ci sono questi cantieri non ci possono essere dei punti di infezione di piante aliene, cosiddette aliene, come l'ailanto, che si insediano nei territori sostituendosi alle piante naturali che già ci sono».
Lorenzo Sandiford