CITTA' SPUGNA: LA RISPOSTA URBANA ALLA CRISI CLIMATICA GLOBALE

città spugna; sponge cities

Le “Sponge Cities” o città spugna affrontano piogge estreme e siccità. Esempi virtuosi da Shanghai ad Amsterdam. In Italia si muovono Milano e Modena, ma serve una strategia più ampia.
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Negli ultimi anni, l’urbanistica ha riscoperto l’acqua come risorsa per rispondere alla crisi climatica. Non più solo elemento da incanalare e respingere, ma prezioso alleato da accogliere, trattenere, restituire. È in questo contesto che nasce il concetto di Sponge City, o “città spugna”, una risposta concreta e adattiva ai cambiamenti climatici che rende l’ambiente urbano più resiliente agli eventi meteorologici estremi.
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Il termine è stato coniato in Cina, dove il governo, a partire dal 2014, ha lanciato un programma nazionale per contrastare alluvioni e siccità sempre più frequenti, migliorando la resilienza urbana attraverso una gestione sostenibile dell’acqua piovana. L’idea è semplice e rivoluzionaria: progettare città capaci di assorbire l’acqua piovana come farebbe il suolo naturale, evitando il deflusso rapido che causa allagamenti e sovraccarichi nei sistemi fognari.
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Le città spugna integrano una rete di infrastrutture verdi: tetti verdi, pavimentazioni permeabili, bacini di ritenzione sotterranei, parchi in grado di assorbire l’acqua, canali filtranti. Oltre a ridurre il rischio idrogeologico, queste soluzioni migliorano la qualità dell’acqua, mitigano l’effetto “isola di calore” e aumentano la biodiversità urbana. Non esiste una formula unica: ogni contesto può adattare gli interventi a seconda delle esigenze climatiche e territoriali.
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Shanghai è una delle prime metropoli ad aver implementato il modello, con risultati incoraggianti. Singapore e Amsterdam l’hanno seguita, puntando su sistemi integrati di raccolta e infiltrazione delle acque. In Europa, il progetto Grow Green sta trasformando Berlino e Vienna in ambienti più resilienti grazie alla riconversione di cortili, piazze e tetti in superfici drenanti.
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In Italia, però, il modello di città spugna stenta a decollare, nonostante l’aumento di eventi meteorologici estremi: piogge torrenziali, grandinate record, siccità prolungate. Secondo l’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), la frequenza e l’intensità di questi fenomeni è destinata ad aumentare. L’Italia è terza in Europa per impermeabilizzazione dei suoli, con gravi conseguenze sulla qualità ambientale e sulla disponibilità idrica.
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Qualcosa però si muove. Modena ha partecipato al programma Grow Green, mentre Milano ha avviato il progetto “Città metropolitana Spugna”, con 90 interventi per ridurre l’impatto delle piogge nei Comuni dell’hinterland. Si tratta di esempi importanti, ma ancora troppo isolati. Serve una visione strategica condivisa, supportata da politiche urbanistiche orientate alla rigenerazione ecologica.
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Le città spugna non sono solo infrastrutture, ma un cambio di paradigma. Impongono una revisione radicale del rapporto tra città e natura. Dove prima c’erano barriere di cemento, oggi servono suoli permeabili; dove c’erano scarichi a cielo aperto, servono bacini filtranti. La sfida è progettare spazi che non combattano la pioggia, ma la accolgano.
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È tempo che la pianificazione urbana, soprattutto quella locale, assuma un ruolo centrale nel mitigare gli impatti climatici. Una città spugna non è solo più sicura: è anche più bella, verde, vivibile. E rappresenta una delle strade più concrete per costruire territori sani, capaci di affrontare il futuro senza subire il presente.
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AnneClaire Budin