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Approvata oggi all’unanimità in commissione Agricoltura del Consiglio regionale, sarà votata nei prossimi giorni in aula. Nell’occasione sarà presentata una risoluzione per far sì che le norme urbanistiche accolgano le indicazioni di questa legge che danno centralità alle aree verdi delle città e alla accurata selezione dei tipi di piante adatti alle varie destinazioni.
Una legge regionale che si pone l’obiettivo di sostenere il vivaismo e al tempo stesso di qualificare e valorizzare il sistema del verde urbano. La Toscana è la prima regione italiana che avrà una specifica legge che collega i due aspetti a vantaggio di un comparto che è un fiore all’occhiello della sua economia ma anche della qualità della vita e della salute di tutti i cittadini. Con il corollario della creazione di posti di lavoro.
La commissione Agricoltura del Consiglio regionale, presieduta da Loris Rossetti, ha dato oggi il via libera all’unanimità alla legge d’iniziativa consiliare proposta oltre un anno fa come primo firmatario dal consigliere Gianfranco Venturi per rendere competitivo e sostenibile il vivaismo, e poi via via rimodellata e collegata alla questione del verde urbano grazie in particolare al contributo del consigliere Pierpaolo Tognocchi.
Fra le azioni previste dalla nuova legge, che nei prossimi giorni dovrà avere il via libera definitivo dell’assemblea regionale, vi sono quelle a favore della competitività delle imprese vivaistiche mediante il miglioramento di azioni sui mercati, l’ammodernamento di strutture ed impianti aziendali con lo sguardo rivolto all’ecoefficienza, politiche a sostegno del settore attraverso ricerca, innovazione e sperimentazione e favorendo le aggregazioni di imprese, la costituzione di reti per l’innovazione e il trasferimento di conoscenza fra istituzioni scientifiche ed imprese del comparto.
«E’ una legge molto importante – ha detto Loris Rossetti -, nata per iniziativa del Consiglio regionale, è stata portata in commissione e quindi la commissione l’ha elaborata, approfondita e in qualche modo l’ha resa innovativa come sistema e come metodo. Qua non si parla solo del settore del vivaismo in quanto settore, che è comunque un settore di grande rilievo e che riguarda insieme alla viticoltura uno degli elementi più importanti per l’esportazione toscana. In questa legge l’innovazione sta nell’aggancio rispetto a quello che è il problema dell’arredo urbano, dell’urbanizzazione e quindi l’inserimento di un piano specifico del verde. L’utilizzo del verde non più come mera risposta alle superfici cementate, ma di un verde che abbia una sua utilità sotto tutti gli aspetti» anche sul piano della salute.
«Sì tratta di una legge che interviene su un comparto importante – ha affermato il primo firmatario del testo Gianfranco Venturi –, il vivaismo pur valendo circa il 30% della produzione lorda vendibile in agricoltura insiste sull’1% della area agricola toscana, cioè per ogni 100 metri quadrati che sono dedicati ad attività agricole uno solo riguarda il vivaismo. Ciò nonostante ha questa produzione. Quindi sono terreni che devono essere in qualche maniera tutelati. Deve essere garantita la prospettiva, bisogna che sia garantita l’acqua, il suolo, i servizi, la viabilità e le infrastrutture. Allora noi andiamo a individuare le aree vocate. Cioè, fermo rimanendo che il vivaismo si può sviluppare dovunque, ci sono aree specificamente dedicate all’interno delle quali si cerca di garantire le condizioni di competitività, di sostenibilità e di qualità sia dei prodotti che dei processi produttivi».
«Il vivaismo toscano – ha aggiunto Venturi - E’ anche un settore che si presta ad alcune valutazioni: la Toscana, con questa armonia di arte e natura, è una realtà che può non solo produrre piante ma anche proporre un uso adeguato di esse. Allora, insieme a una norma che vuole valorizzare tutto quanto attiene al vivaismo, alla sua sostenibilità e alla sua competitività, si affianca una normativa sull’uso del verde. I gas serra non si combattono solo evitando le immissioni, ma anche riassorbendole attraverso per esempio uno sviluppo delle piantumazioni. Così come sull’uso del verde, non è che c’è il verde per tutte le occasioni. Avere una cura del verde giusto al posto giusto è una questione che le amministrazioni locali devono considerare. Non è un problema soltanto di promozione del settore ma anche di estetica e persino di salute, perché il verde fa bene alla salute, se è quello giusto. Ai comuni si chiede che si diano una programmazione dell’uso del verde nell’ambito degli strumenti urbanistici. Il verde che sarà disegnato dagli strumenti urbanistici non deve essere un verde a caso, ma ci deve essere un professionista esperto del settore che dà indicazioni precise. Il consigliere Tognocchi è stato colui che più ha contribuito a questo aspetto della legge».
E Pierpaolo Tognocchi, dopo aver sottolineato che alla base della legge c’è l’idea di collegare virtuosamente una delle eccellenze della nostra economia («la Toscana è il maggiore produttore di piante ornamentali del Paese») con l’obiettivo della qualità della vita dei cittadini, ha detto che «il verde viene qui considerato un elemento strutturale dei piani urbanistici, non più un orpello, e ciò avrà implicazioni anche sulla formazione di addetti e nuove competenze all’interno dei Comuni». Tognocchi ha poi annunciato che in Consiglio regionale «verrà presentata una risoluzione per modificare la normativa sull’urbanistica e il regolamento sul verde» secondo quanto stabilito in questa nuova legge su vivaismo e verde urbano.
L.S.
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Durante la conferenza di ieri Caprotti, sollecitato dall'uditorio, non ha lesinato frecciate sull’attualità: limite di 1500 mq per la media distribuzione? «non liberale»; l’approccio della nostra Regione alle aperture domenicali? «un po’ come il papa». Agli “accademici” ha proposto un argomento di studio: come ripopolare di piante il malridotto nord Italia e con «quale verde»?
«Prima di morire voglio tornare a Londra a vedere il Chelsea Flower Show». E ancora: «voi toscani avete un grande privilegio: vivete in un ambiente ancora bello, avete l’olivo, il cipresso, il pino… ma passando nei territori padani l’ambiente è desolante: non c’è più una pianta. A Milano c’è stata una strage di alberi, è rimasto solo l’ailanto che cresce ovunque. Nel Monferrato le querce non ci sono più, ci sono solo le robinie – da non confondere con le acacie - che però sono infestanti e ammazzano tutto… a Milano i platani sono piantati a 7 metri di distanza, ma hanno bisogno di 18 metri di raggio… Ah, il pino silvestre! […] penso di essere l’unica persona che ultimamente abbia piantato questo albero in Italia».
Sono solo alcuni estratti della parte dedicata all’ambiente della scoppiettante conferenza tenuta ieri all’Accademia dei Georgofili di Firenze da Bernardo Caprotti, il quasi 87enne fondatore di Esselunga che ne dimostra molti di meno. Frasi che ne hanno mostrato il lato verde – anche se non è mancata qualche battuta al vetriolo contro gli ambientalisti – e apparentemente fuori tema, visto che il titolo della sua relazione era “Il nuovo ruolo della grande distribuzione dai rapporti di filiera alle liberalizzazioni”. Ma non casuali, perché Bernardo Caprotti ha toccato questo argomento con un intento preciso: proporre ai Georgofili, rappresentati nella circostanza dal presidente Franco Scaramuzzi che introduceva e moderava l’incontro, di studiare la questione di come ripopolare di piante il Nord Italia e con quali specie, con «quale verde» per usare la sua espressione.
Nell’occasione, sollecitato dalle domande del pubblico, Mister Esselunga non si è tirato indietro nemmeno sulle questioni di attualità. E ha risposto, ad esempio, a una domanda su alcuni aspetti della nuova legge sul commercio della Regione Toscana recentemente anticipati in un’intervista a Sandro Bennucci della Nazione dall’assessore Cristina Scaletti. Fra cui in particolare il confine di 1500 metri quadri tra media e grande distribuzione. «Non conosco bene la situazione – ha detto Caprotti – ma non sembra molto liberale, questo è lapalissiano. E’ vero che con 1500 metri quadri si possono fare cose interessanti, ne potremmo fare uno o due a Firenze di quelle dimensioni… comunque l’approccio è pianificatorio». Del resto, ha osservato con espressione ironica Caprotti, «la Regione Toscana non vuole liberalizzare gli orari di apertura un po’ come il Papa. Io però sono per la libertà selvaggia».
Non poteva mancare una sollecitazione del pubblico sulla vicenda delle battaglie legali con le Coop in seguito alla pubblicazione del suo libro ‘Falce e carrello’, alla quale il fondatore di Esselunga ha replicato così: «con la concorrenza abbiamo sempre avuto dei rapporti molto corretti. Anche con le Coop abbiamo avuto dei buoni rapporti. Sono soltanto successi degli episodi che io ho denunciato nel mio libro…».
Riguardo invece al tema della conferenza, molti gli spunti della sua vivace relazione, fra i ricordi e gli esempi legati alle varie fasi di sviluppo della sua catena di supermercati, che risale alla fine degli anni ’50, e i commenti sul presente. Due sono parsi comunque i concetti chiave del suo discorso: la necessità di spazi per garantire ampio assortimento di prodotti e la libertà imprenditoriale. «Oggi – ha detto Caprotti – abbiamo circa 1200 articoli all’anno e almeno 400 contemporaneamente ogni giorno. Se non c’è spazio come si fa a offrire un servizio alla gente?» D’altra parte i consumatori hanno bisogno di un’ampia gamma di prodotti e, tanto per fare un esempio, vogliono il pomodoro tutto l’anno. «Io non mangio gli asparagi peruviani a novembre, anche se sono buoni. Io aspetto i mesi di febbraio e marzo e compro quello campano… ma perché togliere la possibilità di vendere anche gli altri. Bisogna spiegare ai politici cosa sono gli spazi e la libertà».
Le liberalizzazioni di Monti, secondo il fondatore di Esselunga, «non cambiano molto le cose». Più rilevante fu la riforma Bersani del 2006. «Bersani nel luglio del 2006 ha liberalizzato il pane» e da quel momento «abbiamo deciso di produrre 18 tipi di pane» e «oggi abbiamo 90 panifici, 320 forni tutti uguali e 1500 addetti di cui 850 sono panettieri». Ad ogni modo, sulla liberalizzazione delle aperture e degli orari dei supermercati, Caprotti non vede problemi: «abbiamo più richieste di lavoro la domenica di quante ce ne occorrano, perché si lavora un po’ meno e si guadagna di più». E a proposito della riduzione dei tempi di pagamento, obiettivo giusto visto che «negli Stati Uniti il limite è 30 giorni», Caprotti dice ironicamente che gli dispiace di questa nuova imposizione, perché cosi Esselunga non potrà più mettersi in evidenza quale buon pagatore.
Caprotti ha infine sottolineato quanto sia migliorata la qualità della frutta e della verdura rispetto a 50 anni fa. «La qualità è salita in un modo che era impensabile – dice –; sì le leggi hanno contribuito, ma è anche merito del mercato e soprattutto delle tecnologie» fra le quali in primis la genetica.
Lorenzo Sandiford
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Le 634 richieste di finanziamenti da investire in imprese agricole previste da un bando regionale del progetto GiovaniSì sono un buon segnale sul fronte dell’avvicendamento generazionale. Il presidente Rossi ha annunciato iniziative, fra cui una riguardante le mense scolastiche, per aprire sbocchi di mercato ai produttori agricoli.
«Ci aspettavamo circa la metà di adesioni, avevamo stanziato 30 milioni di euro e ne abbiamo dovuti aggiungere altri 20… Segno che c’è una riscoperta dei valori importanti della vita: il lavoro, il produrre per gli altri».
Così il presidente della Regione Toscana Enrico Rossi ha commentato la risposta dei giovani toscani al bando regionale a loro rivolto per il sostegno all’insediamento di nuove imprese agricole e agli investimenti in agricoltura durante l’incontro di oggi all’Istituto Innocenti di Firenze con i 634 «giovani e un po’ meno giovani» che hanno partecipato.
«Un risultato insperato» e «importantissimo», ha affermato l’assessore regionale all’agricoltura Gianni Salvadori, ricordando che a partire da quei 50 milioni di euro ricordati da Rossi si attiveranno investimenti complessivi pari a 112 milioni e che adesso è «il momento di sostenerli ulteriormente dialogando con le banche, con il sistema istituzionale locale perché le volontà dei ragazzi si traducano in azioni ed imprese concrete immediatamente».
Concetti ribaditi da Giordano Pascucci, presidente di Cia Toscana, che ha detto: «Sapevamo che c’era interesse. Sicuramente è un numero importante, più delle aspettative. E’ un numero però necessario per l’agricoltura. Quindi speriamo che in futuro altri interventi possano incoraggiare altre migliaia di giovani, perché di questo c’è bisogno». «Quella del ricambio generazionale – ha aggiunto Pascucci - è una priorità che va sostenuta. Dopo l’intervento della Regione Toscana è necessario assicurare quel credito, quei finanziamenti di cui le nuove imprese hanno sicuramente bisogno e quindi crediamo che stasera uscirà fuori anche un impegno concreto».
«E’ impensabile – ha sostenuto il presidente di Coldiretti Toscana Tulio Marcelli - che di fronte a questo evento il sistema politico non soltanto regionale ma anche nazionale sia sordo di fronte a quello che può servire all’Italia per restare competitiva e affrontare la crisi. Il turismo, l’agricoltura e tutte le attività connesse sono motore non solo dell’economia e del pil, ma di un territorio, di una sicurezza alimentare, di una qualità della vita che fanno sì che i giovani siano la vera testimonianza di chi in agricoltura ci crede e ci scommette».
Il 34% dei giovani che hanno fatto domanda, si legge nel comunicato stampa della Regione, sono di età compresa fra i 18 e i 25 anni, il 30% hanno fra i 26 e i 32 anni, il 36% fra i 33 e i 39 anni. Il 66% sono maschi, il 34% sono donne. Un passo avanti incoraggiante nella direzione del ricambio generazionale, indispensabile in una regione come la Toscana, dove attualmente soltanto l’8,63% delle aziende agricole è gestito da under 40, mentre il restante 91,37% è gestito da persone che hanno superato i 40 anni e ben il 47,6% da ultra sessantacinquenni. «Solo il 15% di chi ha fatto domanda – ha inoltre osservato Salvadori – ha compiuto studi nelle materie dell’agricoltura. E questo è un dato significativo».
Il numero complessivo di domande alla data di scadenza del band è stato di 634 per un ammontare globale di contributi richiesti comprensivi di premio di primo insediamento per euro 71 milioni 84 mila 705 euro a fronte di risorse stanziate in un primo momento per euro 28 milioni e 960 mila. Di fronte alla grande richiesta e alla grande voglia di investire dei giovani toscani la Giunta Regionale ha deciso di aggiungere ulteriori risorse a quelle già stanziate. Nell’ultima riunione di giunta sono stati stanziati ulteriori 21 milioni di euro, portando il totale a 49 milioni e 960 mila. Secondo i calcoli regionali, la somma consentirà di finanziare almeno il 75% della domande pervenute. Tenendo conto del numero di domande, attualmente in fase di istruttoria, che non risulteranno finanziabili e una fisiologica percentuale di abbandono, la somma consentirà presumibilmente di coprire la quasi totalità delle domande ammesse a finanziamento.
Ma ecco la ripartizione per provincia dei quasi 50 milioni di euro. Grosseto (9.347.300 euro), Siena (7.708.250) e Arezzo (7.088.150) sono state le province dove sono maggiori le domande di giovani che vogliono investire in campagna. Subito dopo viene la provincia di Pistoia con 6.162.600 euro.
«L’agricoltura in Toscana è fondamentale – ha osservato Rossi traccia il profilo stesso della regione, mantiene un paesaggio unico al mondo, serve a contrastare i cambiamenti climatici, serve soprattutto per mangiare qui i prodotti del nostro territorio. Dobbiamo dare questi supporti perché le generazioni che hanno mantenuto i campi finora hanno raggiunto il limite di età e vanno sostituite. Poi oltre al sostegno alle nuove generazioni bisogna aprirgli anche un mercato. Questa è la nostra ossessione. Tante sono le iniziative in cantiere in tal senso, sia nei rapporti con i supermercati che nei piccoli mercati a km 0. Siamo anche pronti a lanciare un’iniziativa nelle mense scolastiche della Toscana».
L.S.
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- Scritto da Andrea Vitali
A Firenze insieme a De Castro, presidente della commissione agricoltura del parlamento europeo, per un incontro dell’Associazione italiana consorzi indicazioni geografiche (Aicig), il ministro ha anche ricordato di aver temporaneamente modificato il disciplinare del Parmigiano Reggiano Dop per salvare le forme non danneggiate dal terremoto.
Con un giro d’affari di quasi 6 miliardi di euro alla produzione e di poco meno di 10 miliardi al consumo (di cui oltre 7 sul mercato nazionale) e con circa 2 miliardi di euro di export – tutti dati in crescita (fonte Qualivita – Ismea 2011) -, i prodotti agroalimentari italiani a denominazione protetta (Dop e Igp) godono di buona salute. E, come afferma il presidente dell’Associazione italiana consorzi indicazioni geografiche (Aicig) Giuseppe Liberatore, sono «la punta di diamante» di un settore agroalimentare di qualità.
Tuttavia non mancano i problemi. Tanto più in questi giorni in cui ai grattacapi del fenomeno dell’Italian sounding, cioè dei tanti prodotti che sembrano italiani - ma sono in realtà delle contraffazioni - venduti nei Paesi extraeuropei (per un valore tra il 10 e il 15 per cento della produzione agroalimentare italiana), si sono aggiunti i danni del terremoto in Emilia Romagna a uno dei nostri prodotti più conosciuti, il Parmigiano Reggiano Dop.
Come far fronte a tali difficoltà per le nostre imprese del settore? Alcune risposte le ha fornite oggi alla stampa a Firenze il ministro delle politiche agricole e alimentari Mario Catania in apertura di un incontro sul tema “1992-2012 Vent’anni di sistema comunitario Dop e Igp: bilanci e prospettive future” organizzato a Palazzo Vecchio da Aicig. Appuntamento che lo ha visto poi impegnato in un faccia a faccia con il presidente della Commissione agricoltura del Parlamento europeo Paolo De Castro.
Riguardo al caso delle forme di Parmigiano crollate nei magazzini in seguito alle scosse del terremoto, il ministro ha detto che «dobbiamo lavorarci e lavorarci tempestivamente. Già oggi abbiamo adottato un primo provvedimento: in sostanza consentiremo di trasferire tutte le forme che erano nei magazzini danneggiati fuori dalla zona di produzione. Questo non sarebbe stato consentito dal disciplinare è un punto chiave nel sistema delle Dop, ma abbiamo chiesto e ottenuto l’accordo della Commissione europea e quindi gli operatori potranno procedere in questo senso. Poi dovremo affrontare più a tutto tondo il problema dei danni, il problema delle ricadute negative sulle imprese coinvolte».
Passando poi al capitolo “italian sounding”, Mario Catania ha affermato: «Questa è una battaglia che portiamo avanti da trent’anni e che non è finita e che continuerà in forme sempre nuove in situazioni sempre nuove. In Europa il quadro che abbiamo raggiunto è abbastanza positivo. Abbiamo una regolamentazione di tutela abbastanza efficace, ma stiamo cercando di migliorarla adesso con la nuova stesura del regolamento qualità che approveremo probabilmente nel giro di pochi mesi. Ne parleremo anche oggi. E’ un punto importante. Rafforzerà ancora di più la tutela in Europa. Fuori dall’Europa il discorso è molto più complesso. Bisogna avere molta pazienza, lavorare a fondo attraverso accordi bilaterali con i Paesi terzi per la tutela delle denominazioni protette e attraverso anche, dove possibile, la registrazione dei nostri marchi e delle nostre denominazioni in base alle normative dei Paesi terzi in questione».
L’importanza delle norme del “pacchetto qualità” a cui stanno lavorando Parlamento e Commissione europei è stata confermata da Paolo De Castro, che ha precisato: «riguardano il maggior ruolo e forza ai consorzi di tutela. In particolare una norma è fondamentale per l’Italia e per tutta l’Europa. E’ la norma “ex officio” che obbliga gli Stati membri a ritirare il prodotto dal mercato quando c’è un prodotto copiato o qualcuno che usurpa un nome. Fino a ieri gli Stati dichiaravano che c’era il problema, ma non erano obbligati a ritirarlo dal mercato. La norma ex officio è una delle norme più qualificanti del pacchetto qualità che ci auguriamo di votare presto. Poi c’è anche l’estensione votata dal Parlamento europeo ai prosciutti di ciò che abbiamo portato a casa per i formaggi: la programmazione produttiva e tante altre cose».
L’Aicig accoglie oltre un quinto dei consorzi di tutela di Dop (Denominazioni di origine protetta) e Igp (Indicazioni geografiche protette) riconosciuti dal Ministero delle politiche agricole e rappresenta in valore oltre il 90% delle produzioni agroalimentari tutelate italiane, che sono le più numerose in Europa: 241 indicazioni geografiche italiane (152 Dop, 89 Igp) su un totale di 1056 (544 Dop, 512 Igp) complessivamente riconosciute in sede comunitaria (al 7 maggio 2012). Fanno parte di Aicig dunque i consorzi di tutela dei prodotti enogastronomici italiani più famosi nel mondo. Tra cui i prosciutti di Parma e San Daniele, i formaggi Parmigiano e Grana Padano, la mozzarella di bufala campana e naturalmente il Chianti Classico.
Lorenzo Sandiford