Caporalato, Cia: agricoltura è il settore con meno irregolarità

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A quasi un anno dalla nuova legge sul caporalato, Cia ha organizzato ieri a Roma un convegno sui suoi effetti nella realtà agricola con i ministri Orlando e Poletti. Per gli agricoltori norme giuste che hanno margini di perfettibilità: nella loro applicazione serve un netto distinguo tra chi recluta e sfrutta i lavoratori e chi sbaglia una procedura amministrativa. Basta clima di caccia alle streghe.

Il fenomeno del caporalato e del lavoro nero è un’odiosa pratica ancora presente nel nostro Paese. C’è, però, intorno al tema, secondo Cia, un difetto di comunicazione, circa la sua proporzione reale negli ambiti in cui viene esercitato. Nell’immaginario collettivo, infatti, il caporalato viene collegato sempre all’agricoltura ma, dati alla mano, per Cia questo non risponde al vero.
A fronte di un numero ridotto di denunce per irregolarità, sono oltre un milione le aziende agricole che operano nella totale trasparenza e nel pieno rispetto delle regole e dei lavoratori. Comparti come l’edilizia e le costruzioni, l’industria e i trasporti appaiono più toccati rispetto al settore primario, con un numero di irregolarità accertate molto più allarmante. A sostenerlo è la Cia-Agricoltori Italiani, che ha promosso ieri a Roma un convegno per analizzare gli effetti della legge 199 del 2016 a quasi un anno dalla sua approvazione, confrontandosi con i ministri Andrea Orlando e Giuliano Poletti.
La Cia da sempre si è spesa per dare il proprio contributo al varo di una legge a tutela dei lavoratori in agricoltura e punitiva verso ogni comportamento di sfruttamento. Tra l’altro, l’organizzazione si è dotata da tempo al suo interno di un Codice etico, il cui mancato rispetto comporta l’espulsione dell’associato. «Anche perché -ha evidenziato la Confederazione- il caporalato, oltre ad essere una pratica disdicevole, crea anche concorrenza sleale nel settore: i costi previdenziali hanno inevitabilmente una ricaduta diretta sulla formazione dei prezzi dei prodotti che l’agricoltore immetterà sul mercato.»
Lo sguardo dal campo dell’iniziativa di ieri, martedì 18 luglio, a Roma è necessario per comprendere meglio come la nuova legge impatta realmente sulla realtà agricola. Il rischio che la Cia intende scongiurare è quello di innescare un clima da caccia alle streghe verso gli imprenditori, generato da eventuali precipitose disposizioni delle Procure, con ordinanze non commisurate al tipo di reato compiuto. Infatti, se c’è un margine di perfettibilità della legge non è sul testo, ma sulla sua interpretazione.
Nel documento normativo in cui si individuano gli indici di sfruttamento del lavoro, per esempio, non si è operata la dovuta distinzione tra reati gravi/gravissimi e violazioni, anche solo meramente formali, della legislazione sul lavoro e della contrattazione collettiva. Questo determina una totale discrezionalità da parte di chi è deputato all’applicazione della legge, in primis gli Ispettori del lavoro e, a un secondo livello, la stessa Magistratura, considerata la mole importante di contenzioso che presumibilmente si andrà a produrre. Secondo la Cia, piuttosto, gli aspetti penali dovrebbero concentrarsi sulla figura dell’intermediario, che opera sia come soggetto fittiziamente proprietario di terreni e titolare di imprese oppure come soggetto che gestisce illegalmente il mercato del lavoro. Non si può mettere sullo stesso piano penale chi recluta e sfrutta la manodopera e chi commette un’infrazione amministrativa.
«Abbiamo fortemente voluto questo convegno, per testimoniare come la quasi totalità degli agricoltori opera nella trasparenza, nella piena legalità -ha detto il presidente nazionale della Cia, Dino Scanavino- svolgendo un ruolo produttivo, sociale ed educativo centrale per il sistema Paese nel suo complesso. D’altra parte, siamo anche qui per dimostrare che la rappresentanza degli agricoltori non intende nascondersi dietro un dito, ma è pronta a fare responsabilmente la propria parte affinché siano significativamente ridotti i reati nel settore».
 
Redazione