Il vivaio di Cesare Barni, una selezione di piante per grandi giardini

Il vivaio di Cesare Barni, una selezione di piante per grandi giardini

Incontro con Cesare Barni, maestro vivaista di lungo corso e gran gusto affinato dalla passione per l’arte, nei suoi due ettari e mezzo di splendide piante nel cuore del distretto di Pistoia. Spiccano nel suo vivaio circa 600 Picea pungens ‘Hoopsii’, ma anche agrifogli, faggi tricolor e altri alberi dei generi Picea, fra cui alcoquiana ‘Bicolor’ e kosteriana ‘Pendula’, e Abies. Premiato nel 2016 dall’Associazione Vivaisti Italiani, Barni propone una gamma di alberi perfetti per grandi giardini e parchi pubblici bisognosi di piante già in pieno rigoglio.


«Il vivaista produce paesaggio». È quanto recita la targa ricevuta in premio da Cesare Barni nella “Serata del vivaismo” del 2016 dall’Associazione Vivaisti Italiani di cui è socio a riconoscimento della sua lunga e onorata carriera. Motto quanto mai meritato dal maestro vivaista Cesare, il cui vivaio in fondo a via del Pescino a Pistoia, nel distretto vivaistico-ornamentale più importante d’Europa, è un esempio di qualità e ricercatezza per l’originale gamma di piante, frutto di innesti e intuizioni mai banali. Per lo più ormai alberi già maturi e rigogliosi, che ben si presterebbero per parchi pubblici (nuovi o da integrare) o grandi giardini privati che non possono attendere anni per svolgere appieno le proprie funzioni.
Davvero «un vivaista d’eccezione», come è stato definito circa dieci anni orsono in un articolo in cui è stata tratteggiata la sua storia di giovane appassionato di innesti già dai tempi della scuola e poi nel vivaio messo su nel terreno della moglie (che è quello attuale) nelle ore del dopolavoro (era infatti impiegato alle Poste). Non solo per la molteplicità degli interessi e l’amore per l’arte, vissuto sia come musicista dilettante (ha suonato la tromba in diverse bande musicali) che come collezionista d’arte contemporanea. Ma soprattutto in quanto vivaista che ha sempre coltivato il gusto di sperimentare innesti di varietà nuove e la curiosità per «il ricercato». E che ha avuto come punti di riferimento della propria formazione vivaistica, oltre al capovivaio di una grande azienda pistoiese quale Luigi Becarelli, il collezionista di rarità botaniche Ferruccio Rabuzzi, che, colpito positivamente dall’autentica passione di Cesare, gli fornì alcune varietà di alberi trovate in orti botanici nord europei.
Il risultato, dopo mezzo secolo di attività dal momento dell’avvio, è un vivaio intorno a 2 ettari e mezzo dove spiccano per quantità e bellezza circa 600 Picea pungens ‘Hoopsii’ fra i 30 e i 40 anni, ma anche diversi agrifogli (Ilex aquifolium ‘Variegato’ e Ilex crenata, detto agrifoglio giapponese), faggi tricolor (Fagus sylvatica ‘Tricolor’), Abies pinsapo ‘Aurea’, altri alberi del genere Picea, fra cui Picea alcoquiana ‘Bicolor’ e Picea kosteriana ‘Pendula’, e Carpinus betulus ‘Monumentalis’. Piante da intenditori in attesa di acquirenti capaci di apprezzarne il valore sia estetico che commerciale, senza dimenticare la funzione ambientale svolta con l’assorbimento di sostanze inquinanti.
Floraviva ha incontrato nei giorni scorsi Cesare Barni nel suo vivaio per intervistarlo passeggiando insieme a lui fra le sue piante e ripercorrendone la storia.

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Quando è nato esattamente questo vivaio?
«Nei primi anni ‘70. Io ho sposato quella signora lì [indicando la moglie Fernanda che ci ha accolto all’inizio della visita, ndr], che era proprietaria di questo podere e l’ho trasformato da ortolano a vivaio di piante».
Quindi il vivaio l’ha creato lei, Cesare?
«Sì, l’ho creato io perché già conoscevo un po’ il vivaismo. Insieme a mio fratello, che sta di là».
Quindi questo è suo e poi c’è dall’altra parte della superstrada il vivaio del fratello?
«Sì»
E quando l’ha avviato come ha deciso di impostarlo?
«Guardi io ho sempre avuto una grande passione per queste piante: i Picea pungens 'Hoopsii'. Quindi quando misi in opera il vivaio incominciai subito a innestare questi alberi».

3 Picea pungens Hoopsii.2

Era il primo a farlo a Pistoia o ce n’erano altri?
«Il primo no, ma uno dei primi sì. Sono il primo che l’ha fatto con certi numeri, perché io ne ho innestati migliaia».
Perché le piacevano o perché ci vedeva uno sbocco di mercato importante?
«Le due cose assieme».
Quale era lo sbocco di mercato per questo albero principalmente? Il mercato natalizio?
«No, no, queste non sono per Natale. Queste sono piante per i giardini e per i grandi parchi».
E adatte a quali zone soprattutto? Toscana o altrove?
«In collina o anche in pianura, basta non vicino al mare…»
… ma quando ha iniziato a produrli dove ha iniziato a venderli? Più in Italia o subito anche all’estero?
«No, io direttamente all’estero no, ho sempre lavorato con le ditte di Pistoia che esportano».
Quindi faceva il fornitore alle aziende più grosse?
«Sì».

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Dunque, questo è stato l’inizio. Poi che cosa ha fatto? È rimasto specializzato o ha allargato anche ad altre tipologie di piante cominciando a diversificare?
«Ho subito diversificato per avere delle piante in tempi brevi. Perché queste piante qui prima che diventino un po’ grandine ci vogliono tanti anni, almeno 7/8 anni dalla messa a dimora alla vendita. Se si pensa che queste [indicando un filare di Picea pungens 'Hoopsii', ndr] sono le prime e hanno 50 anni, anche qualcosa in più».
E infatti sono belle grosse, eh?
«Sono 7 metri, 7 metri e mezzo».
Ma la diversificazione in che consisteva all’inizio?
«All’inizio facevo principalmente produzione di tuie, che ci venivano bene, perché c’è un terreno molto adatto».
E c’erano anche altre piante in questa diversificazione?
«Sì. Ad esempio gli aceri giapponesi e agrifogli giapponesi: ne avevo tanti».
Questo è stato l’inizio, poi c’è stato qualche cambiamento da segnalare nella storia del suo vivaio?
«Quando incominciai a vendere i Picea pungens ‘Hoopsii’ il mercato li richiedeva. C’era anche il boom economico degli anni 70/80».
Quanto è durato il boom per questo tipo di prodotto?
«Una ventina d’anni».
E poi quando è cominciata a calare la domanda di questa pianta su quali ha cominciato a puntare?
«Niente, perché quando hai il vivaio pieno di queste piante o le tagli o continui a curarle».
C’era rimasto poco spazio nel vivaio?
«Avevamo anche poco spazio. Poi ho allargato il vivaio e ho fatto i diradi…»
… mi può spiegare in che cosa consistono i diradi?
«Perché quando le piante sono piccole si mettono a distanza adeguata, per arrivare a un’altezza giusta, poi crescono e vanno levate. Io vendevo i diradi e lasciavo il resto… lì per esempio ce ne sono una ventina e prima ce n’erano cento…».
… dicevamo di altre piante per la diversificazione.
«Ho fatto anche tanti agrifogli. È un lavoro un po’ lento, perché anche su queste piante qua si va nell’ordine delle decine di anni».

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Queste [indicando degli esemplari di Ilex aquifolium ‘Variegato’, ndr] sembrano messe in forma in qualche modo?
«Quella forma lì a fontana credo di averla fatta solo io».
Ah, quindi è l’unico che li mette in forma così?
«Non posso dire l’unico per certo, però ecco credo, perché ci vuole tanta pazienza».
Possiamo dire che è una sua specialità questa di metterli in forma?
«Io non direi una specialità. Sono un vivaista a cui piaceva farli anche così».
Quali sono le difficoltà maggiori?
«Ci vuole tanta pazienza e tanto tempo. Guardi qui ci sono diversi innesti e c’è già la prima selezione sugli innesti».
Quindi vanno fatti degli innesti per fargli prendere queste forme?
«Certo. Si potrà fare anche in altro modo, ma io l’ho fatto così».

6 a piani

Queste forme di questi alberelli per così dire a tre piani [indicando degli Ilex crenata o agrifogli giapponesi, ndr] hanno un nome tecnico o commerciale?
«A fontana, le fontane classiche del Cinquecento. E se lei guarda i quadri del Cinquecento, per esempio l’Annunciazione di Leonardo che è agli Uffizi, sullo sfondo almeno una c’è potata così. Si vede molto bene questa pianta che svetta sul didietro: è formata così. È una pianta grande».
Quindi una delle sue caratteristiche è che lei è bravo a fare innesti?
«Sì, quando ero molto giovane ne ho fatti, tant’è vero che i Picea pungens ‘Hoopsi’ li ho tutti innestati io».

7 Picea pungens Hoopsibis

Come li ha innestati?
«In parole povere, le radici sono quelle dell’albero di Natale, cioè dell’abete rosso, e poi viene fuori questo qua».
Che ci mettete?
«Si mettono le marze di quella varietà: il Picea pungens ‘Hoopsii’».
Altri esempi di innesti?
«In quegli agrifogli il fusto è quello dell’Ilex selvatico e a una certa altezza si innesta quella varietà lì: l’Ilex aquifolium ‘Variegato’».

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Qualche altra pianta degna di nota?
«Ad esempio ho qualche pianta che non si trova spesso nei vivai. Questo è un abete molto particolare, si chiama Picea alcoquiana ‘Bicolor’. Questi esemplari stanno producendo i semi, maschili e femminili, e quelli femminili sono rosso purpureo».

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Quindi, ricapitolando, lei ha iniziato a fare tutte queste piante più o meno sin dall’inizio?
«Sì. Ho conosciuto una persona, Ferruccio Rabuzzi, che non era un vivaista, ma un appassionato di botanica che faceva l’impiegato a Firenze. Abitava qui in zona e aveva questa passione per le piante, anche molto particolari. C’è stato un periodo che acquistavo da questo signore le piante. E acquistai tante camelie, che lui innestava…».
… perciò collaborava con questo amatore della botanica?
«Sì, questo signore aveva rapporti con i giardini reali inglesi, olandesi e anche belgi. Si faceva mandare le piantine, le faceva crescere un pochino e poi le riproduceva».
Comunque, concludendo questo profilo storico del suo vivaio, possiamo dire che il momento più glorioso è stato nei primi venti anni di vita: dai ‘70 ai ‘90?
«Sì, ma non solo da parte mia. Tutti i vivai di Pistoia ebbero la spinta dal boom economico e dalla grande richiesta di piante».
Passando all’oggi, se dovessimo quantificare e dire le percentuali di piante di ciascuna delle principali tipologie del suo vivaio, diciamo 3: la prima è il Picea pungens ‘Hoopsii’, vero?
«Sì, circa l’80%. Saranno intorno a 600».
E le altre due successive?
«Gli agrifogli e i faggi tricolor (Fagus sylvatica ‘Tricolor’), una pianta che mi è sempre piaciuta fin da quando ero ragazzo, e ne ho riprodotte tante, forse anche troppe».
A suo parere, quali sono fra le sue piante quelle con più prospettive di mercato adesso?
«Come vede, io ho tutte piante grandi e ora, almeno a quanto mi risulta, il mercato richiede soprattutto piante piccole. Piante in vaso, già pronte, o anche con la terra, in zolla, però piccole, fino a 2 metri, 2,50 metri. Io ho piante più grandi».
Ma in teoria si parla tanto di inverdimenti nelle città e in certi casi le piante già grandi sono più apprezzate dai cittadini. Però immagino che ci sia un problema di costo?
«Non lo so, penso che sia il fatto che hanno un costo diverso. Perché in realtà io penso che chi riesce a mettere subito qualche pianta come quelle mie fa subito un bell’effetto».
Quindi se uno vuol fare un bel parco, sia pubblico che privato, con una pianta così parte subito bene…
«… ecco io ce l’ho. Già pronte e lavorate secondo il sistema classico di una volta».
Cioè? che intende dire con «lavorate secondo il sistema classico»?
«Per esempio, per togliere una pianta grande così, va lavorata. Cioè gli si tagliano le radici prima, magari metà e poi… dipende dalla situazione…».
… quindi intende dire che lei sa come preparare bene la pianta che dovrà essere messa a dimora altrove?
«Direi di sì. E ho le piante adatte».
Quali sono le destinazioni privilegiate per queste sue piante? I parchi monumentali e i giardini privati di un certo livello?
«Chiaramente nel giardino della villettina che ha pochi metri di spazio queste piante qui non sono adatte. Ce le può anche mettere ma poi entrano in casa».
Quindi praticamente giardini privati con grandi spazi oppure parchi pubblici monumentali o meno?
«Certo».
E come climi, in quali stanno bene? Dappertutto?
«Basta che non siano proprio vicino al mare, in modo da evitare gli spruzzi salati».
Per il resto, possiamo dire che vanno bene dalla Sicilia alla Svezia?
«Certo».
E ora coi cambiamenti climatici come stanno reggendo?
«Io non ho avuto grossi problemi, perché ho l’acqua e io d’estate annaffio. Ho il pozzo e mi basta».

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