Il Giardino della Gherardesca a Firenze: un restauro rispettoso d’estetica e funzioni

Giorgio Galletti, rinomato architetto del paesaggio, sceglie il suo lavoro di recupero e reinvenzione del prestigioso giardino storico urbano di Firenze, diventato il parco di un noto hotel di lusso, illustrando gli elementi chiave del suo intervento sul verde. Il segreto del bravo restauratore di giardini? «Il giusto equilibrio tra conservazione e innovazione».  

Se non ci fosse stata la limitazione geografica di questa rubrica al territorio toscano, forse avrebbe preferito parlarci dei due giardini progettati ex novo alcuni anni fa a Marrakesh. Perché Giorgio Galletti, architetto con alle spalle un lungo servizio come direttore di Boboli e delle ville medicee di Castello, Petraia e Poggio a Caiano, terminato nel 2000 per intraprendere la libera professione, non è semplicemente un restauratore di giardini storici, ma un architetto a tutto tondo specializzato nella progettazione del paesaggio e dei giardini. E però è vero che nel suo curriculum spiccano gli interventi, da solo o in collaborazione con altri studi architettonici, in luoghi famosi quali i giardini di Villa Medici e della Casina Valadier a Roma o di Villa Garzoni a Collodi, che giustificano la suanotorietà come “restauratore”. 
Così non c’è da meravigliarsi se alla fine la sua scelta di “giardino da intervista” ricada proprio sull’oggetto di un suo lavoro di questo genere a Firenze: il restauro del giardino della Gherardesca e di quello adiacente del Conventino, adesso riuniti come parco del Four Season Hotel. Anche perché si tratta di uno spazio architettonico verde di circa cinque ettari risalente ai primi dell’800 e molto affascinante, ancor più dopo la riprogettazione di Galletti, che ha puntato sull’armonizzazione con il contesto originario di nuovi elementi funzionali come la piscina e le cucine interrate dell’hotel e ha rinaturalizzato per mezzo di nuovi prati e aiuole le zone degradate. 
«Uno degli aspetti più stimolanti di questo genere di lavori – spiega Galletti – è la presenza di molti vincoli. In questo caso, ad esempio, c’era il problema di creare un collegamento tra i due giardini, un tempo separati, e la questione dell’inserimento della piscina senza snaturare il contesto». «Inoltre – continua Galletti – c’era uno stato di generale degrado, in parte nascosto, con alcune zone periferiche messe molto male e diverse alberature in cattive condizioni, per cui sono stati necessari vari interventi arborei, di messa in sicurezza, che continuano ancora oggi. Perché la manutenzione degli alberi di alto fusto, il loro monitoraggio non finisce mai. Il verde in generale e soprattutto l’alto fusto va sempre tenuto sotto controllo». 
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Ed è proprio in relazione alle questioni del restauro del verde che gli chiediamo qualche ulteriore particolare sul giardino della Gherardesca, interessante dal punto di vista della vegetazione. «La specie prevalente è il leccio  – spiega - e sono ancora presenti alberi di alto fusto di grande pregio che risalgono all’800. Ad esempio un gigantesco faggio pendulo nel prato vicino al ristorante, che forma una specie di grotta verde naturale in cui si può entrare». Ma ci sono anche «un notevole ginkgo biloba» e splendide magnolie grandiflora, «che in genere non sono un granché a Firenze, ma lì hanno invece trovato una condizione del suolo particolarmente favorevole». Senza dimenticare la «sequoia sempervirens».
«Nel progetto – aggiunge Galletti – sono state inserite varie fioriture, soprattutto nell’area del Conventino: lì sono stati creati dei giardini di rose classiche (dalla Albéric Barbier alla New Dawn) e poi una collezione di ortensie. E lo stesso è avvenuto nella zona del giardino della vasca tonda». «Nelle aiuole facciamo due o tre cambi l’anno con piante annuali: d’estate alcune specie di impatiens, l’inverno viole ed ellebori». Sì, perché, come sottolinea Galletti, «la manutenzione è in realtà il vero intervento in un giardino. Nel senso che si può fare tutta la poesia che si vuole a livello di progettazione, però allo stesso tempo bisogna sempre avere molta concretezza, perché uno può anche creare il giardino più bello del mondo, ma se poi non ci sono le prerogative per un’adeguata manutenzione né per la trasmissione di questa opera, è tutto inutile».
Riguardo poi alla piscina, premesso che «inserire una piscina in un parco storico non è tanto semplice», spiega che si è cercato di scegliere «una posizione poco visibile dall’hotel, ma allo stesso tempo assolata». Ma soprattutto «abbiamo progettato una forma classicheggiante che si armonizzasse con il tempietto neoclassico di Giuseppe Cacialli del 1815».
Qual è dunque il segreto del bravo restauratore di giardini storici e come si fa a dire che un progetto di restauro è riuscito? «Nel caso di un giardino storico come questo, l’ideale sarebbe riuscire a conservare e non modificare niente, però bisogna anche essere realistici e, al momento in cui c’è la necessità di garantire che vi siano anche delle funzioni contemporanee - perché non si può vivere nell’astratto -, trovare il giusto equilibrio tra conservazione e innovazione. Questa è la sfida principale».
 
Lorenzo Sandiford